Oggetto | Cosenza, Cattedrale, sarcofago con Meleagro alla caccia calidonia | |
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Luogo di conservazione | Cosenza | |
Luogo di reimpiego | Cosenza | |
Luogo di provenienza | ||
Collocazione attuale | Il sarcofago si conserva nella Cattedrale di Cosenza in fondo alla navata destra. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | marmo bianco (proconnesio) | |
Dimensioni | h 0,70; lungh. 2,15; sp. 0,70 | |
Stato di conservazione | La cassa presenta un ottimo stato di conservazione, mentre manca, a causa del reimpiego, il coperchio originale. | |
Cronologia | III secolo d.C. (Koch 1975, 136) | |
Descrizione | La cassa rettangolare, scolpita su tre lati, presenta sulla fronte uno degli episodi più noti del mito di Meleagro: la caccia al cinghiale Calidonio (Bochicchio 2007). La scena figurata è dominata dall'impresa della caccia e il personaggio di Meleagro, nell'atto di infliggere al cinghiale il colpo mortale, è posto al centro della composizione; al ritmo più disteso della porzione sinistra corrisponde un affollamento e una maggiore concitazione delle figure su quella destra, fatto che rivela l'originaria dipendenza da uno schema bipartito, come accade nel "gruppo principale" della serie dei sarcofagi con la caccia calidonia, individuato da Koch (Koch 1975, 7-16). Come è stato dimostrato, nel corso del III secolo d.C., la sola rappresentazione della battuta di caccia divenne invece preminente rispetto alla scena con la preparazione dell'impresa (Valbruzzi 1998). Dell'episodio del discorso di Oineus, re di Calidon e padre di Meleagro, dubbioso sulla partecipazione di Atalanta all'impresa, resta solo la figura del re, barbato e immediatamente distinguibile dall'abito e dallo scettro, che è rappresentato come prima figura a sinistra in atteggiamento interlocutorio, mentre sullo sfondo si apre un'arcata, probabilmente allusiva all'ambientazione nel palazzo. Seguono poi, diretti verso l'azione, Orcus, armato di scure, e una figura femminile, Diana con faretra e chitone altocinto, accompagnata da una cagna (sulla tradizione iconografia di Atalanta/Diana si veda Valbruzzi 1998, 123-124, nota 40); uno dei Dioscuri, distinguibile dal copricapo (pileus), come un vero e proprio aiutante del giovane eroe, sostiene il giavellotto di Meleagro, che, coperto dalla sola clamide, affibbiata sulla spalla destra, carica il colpo decisivo. Segue, secondo uno schema canonico che sembra restituire alla composizione parte della profondità originaria, Atalanta leggermente arretrata e posta in diagonale rispetto al giovane, mentre il primo piano è occupato dalla mole del cinghiale e da un altro cacciatore che, in perfetta simmetria con la postura di Meleagro, ma rappresentato di spalle, chiude il gruppo. Arretrato e in diagonale rispetto a questo, un secondo cacciatore barbato funge da pendant alla figura di Atalanta. La composizione termina con una figura maschile stante, anche questa in nudità eroica, appoggiata alla lancia che, piantata a terra, viene impugnata all'estremità e stretta tra braccio e avambraccio; la lancia è stata ricavata dallo spigolo del sarcofago cosicché una porzione del braccio del cacciatore è stata scolpita sul fianco destro della cassa. Entrambi i lati brevi si presentano interamente campiti da un grifone accovacciato. Lucia Faedo ha attribuito il sarcofago a una bottega periferica senza poterlo collegare con certezza, a causa dell'isolamento stilistico, a un ambito regionale specifico (Faedo 1994); infatti l'estrema semplificazione delle figure e la rappresentazione esclusivamente di profilo di tutti i personaggi non trovano, al momento, confronti nel gruppo dei sarcofagi con Meleagro e il cinghiale calidonio. Lo schema ioconografico potrebbe essere collegato a una cassa all'Ashmolean Museum, proveniente da Napoli e di fattura locale (è stato dimostrato che almeno quattro esemplari con caccia calidonia diffusi in Campania potrebbero essere associati all'attività di un'unica bottega, cfr. Valbruzzi 1998, 123). Nel confronto con il sarcofago di Oxford si individuano come elementi comuni, oltre alla banalizzazione delle figure, la pesantezza delle anatomie e dei panneggi e, soprattutto dal punto di vista compositivo, l'assenza di uno dei Dioscuri, che nel cartone originario doveva essere rappresentato sullo sfondo, come se fosse affiancato o appena arretrato rispetto al gemello intento a sostenere l'attacco di Meleagro. Occorre specificare, però, che uno schema analogo, e con uno solo dei Dioscuri, si ricostruisce anche per un notevole esemplare ora a Francoforte e di inequivocabile produzione urbana (purtroppo mutilo nella porzione che qui interesserebbe, Koch 1975, 95-96, n. 30), che si data bene all'età gallienica grazie al ritratto del defunto e che potrebbe fornire un parametro di datazione anche per l'esemplare di Cosenza. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il sarcofago è stato scoperto negli anni trenta del secolo scorso in occasione di lavori di restauro della Cattedrale; la cassa, che era stata riutilizzata per una più tarda sepoltura e chiusa superiormente da grosse tegole, si trovava sigillata al di sotto della pavimentazione sveva e orientata verso l'altare (Galli 1934). L'opera d'arte antica più significativa che la città abbia fino ad oggi restituito è stata collegata sin dalla scoperta, ma senza alcuna base documentaria, alla tomba di Enrico VII, lo sfortunato erede di Federico II che sappiamo dalle fonti coeve sepolto nella Cattedrale di Cosenza (molti dubbi su questa attribuzione erano stati avanzati già in Willemsen, Odenthal 1967, n. 47, successivamente anche in Paoletti 1994, 543 nota 63 e Faedo 1994, che comunque riferisce il pezzo a un reimpiego normanno). La tomba di Enrico VII era stata innalzata in cornu evangeli, vicino alla porta che consentiva di raggiungere dalla Cattedrale il vicino sepolcreto; nel 1574 Andrea Acquaviva, committente di una serie di interventi nell'edificio, avrebbe fatto rimuovere la tomba e collocare i resti del giovane sovrano in una cassetta di ferro che pare negli anni successivi, in attesa di trovare una collocazione consona, fu dispersa (Cappelli 1940, 268). Sappiamo dalla descrizione di Bernardino Bombini che il corpo di Enrico era stato deposto in un pulchro et antiquissimo tumulo (Bombini 1558, 31), si può ipotizzare forse un monumentum assimilabile alle tombe sveve della Cattedrale di Palermo che doveva essere stato esposto all'interno della Cattedrale e dunque difficilmente riconducibile all'inumazione nel sarcofago di Meleagro; d'altra parte questa identificazione non si concilierebbe con la notizia della rimozione della tomba voluta dall'arcivescovo Acquaviva. Da ricordare che recenti analisi sui resti scheletrici all'interno del sarcofago sembrerebbero aver individuato nell'inumato una particolare patologia che dovette comprometterne l'andatura, conformemente a quanto sappiamo di Enrico VII che sarebbe stato claudicante (Fornaciari, De Leo 2001, 13-15). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Bochicchio 2007: Leonardo Bochicchio, "Dal mito al simbolo: osservazioni sui sarcofagi di Meleagro di età tetrarchica", in Lo sguardo archeologico: i normalisti per Paul Zanker, Pisa 2007, 97-110.
Bombini 1598: Commentaria Bruttiorum Antiquitatum Bernardini Bombini U. J. D. Cosentinj, Archivio Storico della città di Cosenza, Fondo manoscritti ms. B1.
Cappelli 1940: Biagio Cappelli, "La tomba di Enrico di Hohenstaufen", Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 10, 1940, 267-271.
Faedo 1994: Lucia Faedo, "Aspetti della cultura figurativa in età romana", in Storia della Calabria antica. Età italica e romana, a cura di Salvatore Settis, Reggio Calabria 1994, 595-652.
Fornaciari, De Leo 2001: Gino Fornaciari, Pietro De Leo, L'impronta indelebile: Enrico VII di Svevia e Gioacchino da Fiore alla luce delle indagini paleopatologiche, Soveria Mannelli 2001.
Galli 1934: Edoardo Galli, "Il sarcofago del duomo di Cosenza", Bollettino d'Arte, 8, 1934, 356-363.
Koch 1975: Guntram Koch, Die antiken Sarkophagreliefs, 12, 6. Die Mythologischen Sarkophage. Meleager, Berlin 1975, 137, n. 157.
Paoletti 1994: Maurizio Paoletti, "Occupazione romana e storia delle città", in Storia della Calabria antica. Età italica e romana, a cura di Salvatore Settis, 467-558.
Valbruzzi 1998: Francesca Valbruzzi, "Su alcune officine di sarcofagi in Campania in età romano-imperiale", in Akten des Symposiums '125 Jahre Sarkophag-Corpus' (Marburg, 4-7 Oktober 1995) a cura di Guntram Koch, Mainz 1998, 117-128.
Valbruzzi 2012: Francesca Valbruzzi, "Modi di produzione dei sarcofagi romani nelle officine campane", in Akten des Symposiums Sarkophage der römischen Kaiserzeit. Produktion in den Zentren, Kopien in den Provinzen. Les sarcophages romains. Centres et périphéries (Paris, 2-5 November 2005), a cura di Guntram Koch, François Baratte, Mainz 2012, 69-78.
Willemsen, Odenthal 1967: Carl Arnold Willemsen, Dagmar Odenthal, Calabria. Destino di una terra di transito, Bari 1967. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 03/11/2015 21:06:24 | |
Data ultima revisione | 13/02/2018 09:09:01 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/541 |