Oggetto | Venosa, fontana di Messer Oto, leone | |
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Luogo di conservazione | Venosa | |
Luogo di reimpiego | Venosa | |
Luogo di provenienza | Venosa | |
Collocazione attuale | Il leone costituisce il coronamento della fontana detta poi di Messer Oto, costruita in città per un privilegio concesso da Roberto d'Angiò (1313-1314). | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,93; largh. 0,62; lungh. 1,61 | |
Stato di conservazione | Un vistoso taglio verticale rivela la mancanza di una consistente porzione sul retro della testa, nel punto di innesto sul dorso, che pare, inoltre, appiattito in seguito a un intervento di rilavorazione. Mancano anche il segmento anteriore delle zampe e la parte del plinto ad esse relativo e una porzione della zampa posteriore destra. Evidenti rilavorazioni interessano il muso e le fauci dell'animale. | |
Cronologia | Metà del I secolo a.C.- metà del I secolo d.C. | |
Descrizione | La scultura, realizzata con il plinto in un unico blocco di calcare, è posta al centro della vasca e sollevata su un podio di forma parallelepipeda, probabilmente ripristinato nei più recenti interventi di sistemazione della fontana trecentesca. La fiera è rappresentata in posizione di riposo, con la testa rivolta a destra e le fauci spalancate; la zampa sinistra era piegata e portata in alto, verisimilmente appoggiata su una testa di ariete; come in altri esemplari venosini si individua anche qui lo schema frequente della coda attorcigliata intorno alla zampa posteriore in corrispondenza della tête coupée (Todisco 1996, 105). La testa, di tipo piriforme (secondo la distinzione tipologica ormai canonica: Mansuelli 1956, Marini Calvani 1980), risulta associata ad una criniera disposta a raggiera che poi si sviluppa sul dorso e sul petto dell'animale in ciocche più lunghe e serpeggianti, alcune delle quali avvolte in un motivo a torciglione. Nel panorama venosino, secondo la tipologia di Luigi Todisco, la scultura trova un solo confronto in un pezzo frammentario (resta solo la testa) ora al Museo archeologico nazionale di Venosa (Todisco 1996, 29 s., n. III Bc 2, tav. XX; per una più recente revisione dei leoni funerari reimpiegati a Venosa si rimanda a Giammatteo 2002, 93-99). Le dimensioni suggeriscono l'originaria destinazione a un monumento funerario di grandezza apprezzabile: probabilmente un monumento a più corpi sovrapposti con la coppia di leoni sul podio ad inquadrare l'edicola, oppure, come unica scultura, a sovrastare un altare. Per la tipologia monumentale di appartenenza si propone una datazione tra la seconda metà del I secolo a.C. e il primo ventennio del successivo. L'uniformità stilistica delle sculture del medesimo soggetto note a Venosa, tutte in collocazione secondaria, ha indotto a prospettare una provenienza e una produzione locale di tali materiali (Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). | |
Immagine | ![]() | |
Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Le profonde rilavorazioni che interessano la protome leonina (la superficie in corrispondenza degli occhi è stata ribassata e contestualmente è stata ridotta la sporgenza delle fauci, in particolare di quella inferiore) attestano la volontà di adeguare il manufatto antico a correnti canoni formali, nell'intento, forse, di risarcire anche lacune preesistenti, come accade nella regolarizzazione della parte in corrispondenza del petto e del dorso. Non si può escludere che il leone funerario, prima della collocazione trecentesca a coronamento della fontana, appartenesse o fosse per lo meno destinato ad altro tipo di sistemazione da ipotizzare verisimilmente nell'ambito dell'architettura della fase normanna della città. La presenza consistente di leoni antichi costituisce, infatti, un tratto caratteristico del reimpiego venosino, come è stato già notato dalle fonti rinascimentali (cfr. Fonti e documenti); Lucilla de Lachenal ha spiegato il fenomeno proponendo una provenienza delle sculture dall'anfiteatro (De Lachenal 1996, 15) in alternativa alla consueta attribuzione di tali opere a monumenti funerari (cfr. Mansuelli 1956; per Venosa almeno Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). Dall’edificio per spettacoli, preziosa cava di materiale cui il complesso dell'Incompiuta è quasi adiacente, sarebbero stati recuperati sia i grandi blocchi calcarei, messi in opera nell'abbaziale normanna, sia alcune delle numerose statue di leoni variamente riutilizzate in città. In maniera specifica, Lucilla de Lachenal ha proposto di associare le fiere in calcare ai grossi basamenti rettangolari che sono stati individuati in occasione dello scavo dell'anfiteatro, realizzato nel 1935, e che dovevano scandire ingressi della struttura (cfr. anche Pesce 1936, 456). Si rileva però la mancanza di un'uniformità metrologica e tipologica tra i leoni venosini, a meno di non ipotizzare una coppia diversa per ciascun ingresso (facendo riferimento agli abbinamenti individuati in Todisco 1996, 104-108 e in Giammatteo 2002, 97). Inoltre, sebbene nei sistemi decorativi anfiteatrali non manchino sculture a tutto tondo rappresentanti animali feroci ed esotici (cfr. Legrottaglie 2008, tabella 127), chiaro riferimento alla pratica delle venationes, una tale scelta iconografica risulterebbe, nell'anfiteatro di Venusia, una forte anticipazione rispetto alla diffusione di questa tematica che è attestata dalla metà del I secolo d.C. e, con particolare frequenza, solo dall'età flavia (Ead., 119-128). Anche per Venosa, dunque, appare preferibile attribuire le numerose sculture di leoni in calcare, ora tutte in collocazione secondaria, all'ambito funerario, collegandone la diffusione, secondo casi già noti (Pompei, Aquileia, Sepino), a quella di determinate architetture funerarie (altari, edicole o tumuli) che trovarono un particolare sviluppo a partire dalla deduzione della colonia triumvirale (Todisco 1996, 115-116). D’altra parte la concentrazione di sculture di questo soggetto tra gli spolia potrebbe essere il portato, oltre che di un'effettiva disponibilità di leoni antichi nel territorio, di una specifica ricerca del soggetto iconografico che, eletto a simbolo del potere regio degli Altavilla, doveva essere esibito con particolare risalto nelle grandi fabbriche normanne (sul simbolismo del leone e gli Altavilla cfr. Todisco 1987). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | "Un leone di pietra bellissimo, grande, che sopra avanza tutti gli altri che sono nella città", viene descritto da Achille Cappellano a decorazione della fontana, insieme al rilievo con personaggi e iscrizione (CIL IX 588), ora murato nel palazzo antistante. La menzione della statua della fontana di Misser Ote induce inoltre Cappellano a una riflessione critica sulla particolare concentrazione di "tanta quantità di leoni" nella città di Venosa (Cappellano [ed. Nigro 1985], 42, 45-46). Anche Jacopo Cenna sottolinea le dimensioni della scultura, che differenzia per tipologia dalle altre: "un leone grandissimo assai dissimile dagli altri, perchè nell'altri che stanno nell'altra fontana al di sopra nominata, vi stanno tutti con una branca che tiene una testa di castrato sotto; così medesmamente quello che sta in mezzo alla piazza pubblica [...]" (Cenna [ed. Pinto 1902], 281). L'ultima scultura menzionata da Cenna, ora non riconoscibile con sicurezza tra quelle adespote del medesimo soggetto, si individua però in una foto d'epoca (Todisco 1996, tav. LXXV) appoggiata ad una colonna, così come la ritraggono le descrizioni cinquecentesche (Cappellano [ed. Nigro1985], 40): doveva trattarsi di una gogna pubblica sul modello della c.d. Colonna della Giustizia in piazza Mercato a Bari. | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Cenna (ed. Pinto 1902): Jacopo Cenna, Cronaca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli con note e prefazione di Gerardo Pinto, Trani 1902, 280-281.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 1-80.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 137 s., n. 50.
Legrottaglie 2008: Giuseppina Legrottaglie, Il sistema delle immagini negli anfiteatri romani, Bari 2008.
Mansuelli 1956: Guido Achille Mansuelli, "Leoni funerari emiliani", Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 63, 1956, 66-69.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, Leoni funerari romani in Italia, Bollettino d'Arte, 65, 1980, 7-14.
Pesce 1936: Gennaro Pesce, "Venosa (Potenza) - Scavo dell'anfiteatro e restauro della cosiddetta Casa di Orazio", Notizie degli Scavi di Antichità, 12, 1936, 450-461.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99, 1987, 123-158.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 28 s., n. B c 1, tavv. XVIII-XX. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 27/05/2014 18:54:35 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 15:50:34 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/364 |