OggettoNola, San Biagio, Sarcofago Orsini
Luogo di conservazioneNola
Collocazione originariaNola
Materialemarmo
Dimensioni86 cm x 215,5 cm x 89 cm
Cronologiaprimo quarto del XV secolo
Autore
Descrizione

L'opera si trova nel vano d’accesso alla sacrestia della chiesa di San Biagio (già San Francesco), dove sono collocate anche le tombe Albertini. La scena centrale mostra il feudatario assiso in trono, circondato dalla sua corte (tra cui un cavaliere con l’arme Orsini scolpita sullo scudo), e due figure inginocchiate ai suoi piedi. Sia queste ultime due sia il personaggio principale sono stati sfigurati nel volto. Sul lato minore sinistro vi è scolpito a rilievo lo stemma Orsini inquartato con leone rampante, la cui lettura è dibattuta.

Il sarcofago doveva far parte di un monumento funebre di imponenti dimensioni, di cui oggi non rimane che la cassa marmorea. 

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Stemmi o emblemi araldici
Note

Ambrogio Leone (1514, III, cap. XIII) non cita il sarcofago orsiniano nella trattazione su Le altre basiliche della città (e San Francesco è la prima di cui discorre). È Guadagni (1991 [1688], 210-211) a offrirci la prima descrizione utile del preesistente monumento, affermando che “nel coro dietro l’altar maggiore” vi era “un sontuoso e vasto mausoleo, sostentato da preziose colonne, ove si asservano le ossa de più conti di Nola, principi del regio sangue d’Aragona, non leggendosi però di essi nome alcuno, né altra memoria, solo che nel frontispicio sono scolpite varie armi, alcune semplici e sole della casa Orsina e molte inquartate”. Già dunque all’epoca di Guadagni non era chiaro di chi fosse tale sepoltura.

È interessante notare come per Guadagni, ormai lontano cronologicamente dai tempi di gloria orsiniani, un appiglio per denominare "basilica" la chiesa di San Francesco stia proprio nel fatto che dietro l’altar maggiore si trovava – perfettamente in linea con la tradizione angioina (Enderlein 1997; e Michalsky 2000) – il sepolcro dei feudatari locali, di regio sangue e, almeno a Nola, di regie ambizioni.

Remondini (1747-1757, I, 206-207) già colloca il sarcofago nel luogo dove si trova oggi, ma egli vedeva ancora nei quattro angoli “quattro gran leoni” e “quattro statue in piedi fra mezzo i due leoni esteriori, che rappresentan le quattro virtù: Prudenza e Giustizia, Fortezza e Temperanza”. Remondini leggeva lo stemma come Orsini/Caracciolo del Sole e dunque affermava che “sebben non èvvi iscrizione, non resta luogo a dubitarsi che non sia questo un sepolcro fattosi molto anticipatamente dal sù lodato conte Raimondo, nel mentre che aveva ancora in moglie la memorata donna Isabella Caracciolo del Sole”, ma che successivamente Raimondo avrebbe scelto di farsi seppellire nel convento di sua fondazione di Sant’Angelo in Palco.

Il sarcofago è oggi nudo, poggiato in terra e privo di qualunque decorazione descritta da Remondini (secondo Malagnini in San Francesco 1980, 141, le Virtù e i leoni stilofori sarebbero stati venduti “durante il periodo di gestione dei priori laici”).

La lettura dello stemma inquartato, considerato Orsini/Caracciolo da Remondini, è stato messo in discussione da Avella (1990, 90, nota 38; e idem 1997, 334, figg. 629-631), che sostiene possa essere quello Orsini/Sabrano, quest’ultimo casato di Giovanna (o Gorizia), moglie di Niccolò.

Nonostante la questione dello stemma sia effettivamente intricata (poiché uno scudo uguale a quello del sarcofago è usato sia da Raimondo prima e dopo il secondo matrimonio con Eleonora d’Aragona, sia dagli Orsini di Pitigliano), ci sarebbero altri appigli per la datazione del sarcofago.

Esso parrebbe il residuo di un momento innalzato in memoria di Niccolò Orsini (il quale era stato il rifondatore della chiesa nel 1372), ma probabilmente per volere del figlio Pirro, prima di perdere Nola, o addirittura di Raimondo Orsini (che avrebbe riottenuto Nola nel 1415 da Sergianni Caracciolo). Che il sarcofago non sia stato commissionato da Niccolò stesso, nel tempo in cui si faceva promotore del nuovo portale (più o meno nei pieni anni settanta del ’300), parrebbe evidente da un confronto stilistico tra questi due oggetti. Le figure del portale sono chiaramente anteriori a quelle del sarcofago; queste ultime, benché parecchio arcaiche ed eseguite da un maestro abbastanza maldestro, sono connotate da un abbigliamento già di primissimo Quattrocento. La disposizione dello spazio e alcuni dettagli (come i piccoli capitelli delle paraste) confermerebbero tale datazione.

Il sarcofago è stato datato al primo quarto del ’400 anche da Bock (2001, 455-456, scheda n. 18), il quale però, citando anche la tesi di dottorato di Sarah Bevan (1979, 428-430, n. 65), lo identifica erroneamente come il deposito di Roberto Orsini. Certo, resta un enigma l’identificazione dei tre personaggi centrali del sarcofago che non hanno più connotati. Secondo Gennaro Toscano (1989, 129-130, nota 40) il volto del defunto assiso sarebbe stato sfigurato nel ’500 sull’onda antiorsiniana volta alla damnatio memoriae degli antichi feudatari. Come detto precedentemente, l’ipotesi più plausibile è che il monumento funebre sia stato innalzato per Niccolò Osini, che dunque sarebbe anche il signore in trono, e forse le due figure inginocchiate ai suoi piedi potrebbero essere quelle dei figli Roberto e Pirro, il primo forse premortogli o comunque deceduto pochi mesi dopo (anche Litta, Orsini di Roma, tavola XI, dice di non veder chiara la linea di discendenza), e il secondo che perse la contea di Nola per mano di Ladislao di Durazzo e che forse fu il primo committente della tomba del padre. Non va sottovalutata, poi, la notizia data da Litta (Orsini di Roma, tavola XI, ad vocem Nicola Orsini), secondo cui il monumento di Niccolò “in Nola fu distrutto dai Mastrilli per fare una cappella”. Vero è che Litta non fa menzione dell’ubicazione, ma risulta altamente probabile che le due storie coincidano, e che il sarcofago superstite sia parte di quella tomba di Nicola che già ai tempi di Litta era distrutta.

Infine è utile riflettere anche sulla tipologia della scena rappresentata nel sarcofago. La figura centrale appare, in maniera squisitamente regale, in trono e in ambiti civili. Questa ambiziosissima  raffigurazione trova forse termine di paragone solo nei sarcofagi tardo-trecenteschi dei Del Balzo in Santa Chiara a Napoli (cfr. Bock 2001, schede nn. 14 e 15) e nella tomba di Francesco Carbone (Bock 2001, 310-328 e scheda n. 20), databile attorno al 1405.

Fonti iconografiche
Fonti e documenti

Guadagni 1991 [1688], 210-211: “[San Francesco] è nomata basilica dal Leoni, benché tal onoranza non le convenga, perché non è sostentata da colonne, né meno conserva corpi di martiri in qualche numero, né custodisce ossa di re – quali prerogative danno il titolo di basilica alle chiese, come dice il Panvinio (De Basilicis) – quantunque nel coro dietro l’altar maggiore si ammiri un sontuoso e vasto mausoleo, sostentato da preziose colonne, ove si asservano le ossa de più conti di Nola, principi del regio sangue d’Aragona, non leggendosi però di essi nome alcuno, né altra memoria, solo che nel frontispicio sono scolpite varie armi, alcune semplici e sole della casa Orsina e molte inquartate”.

 

Remondini 1747-1757, I, 206-207: “In una quadrata stanza che sta avanti la porta della sagrestia, si vede un sontuoso marmoreo sepolcro, vagamente nella parte anteriore intagliato, e sostenuto ne’ quattro angoli da quattro gran leoni e da quattro statue in piedi fra mezzo i due leoni esteriori, che rappresentan le quattro virtù: Prudenza e Giustizia, Fortezza e Temperanza. Son nell’uno e l’altro fianco della maestrosa urna superiore le imprese Orsine inquartate parimente con la Caracciola: onde, sebben non èvvi iscrizione, non resta luogo a dubitarsi che non sia questo un sepolcro fattosi molto anticipatamente dal sù lodato conte Raimondo, nel mentre che aveva ancora in moglie la memorata donna Isabella Caracciolo del Sole, ed allorché fece i già descritti ornamenti a questa chiesa e convento; sebben poscia, avendo di pianta edificata la chiesa di Sant’Angiolo, volle essere in quella seppellito in terra, con una semplice lapida avanti la porta, e restò questo gran tumulo senz’epitaffio, perché non vi fu riposto il suo corpo”.

Bibliografia

Avella 1990: Leonardo Avella, Nola ipotesi, 2, Napoli 1990.

 

Avella 1997: Leonardo Avella, Fototeca nolana. Nola 2, Napoli 1997.

 

Bevan 1979: Sarah Bevan, Sepulcral Monuments in Naples and the neighbouring Region 1300-1421, Ph.D. Dissertation, University of Oxford 1979.

 

Bock 2001: Nicolas Bock, Kunst am Hofe der Anjou-Durazzo. Der Bildhauer Antonio Baboccio (1351 – ca. 1423), München/Berlin 2001, 455-456, scheda n. 18.

 

Guadagni [1688]: Carlo Guadagni, Nola Sagra, edizione a cura di Tobia R. Toscano, Massalubrense 1991.


Remondini 1747-1757: Gianstefano Remondini, Della nolana ecclesiastica storia, 3 voll., Napoli 1747-1757.


Toscano 1989: Gennaro Toscano, “Sculture del Quattro e Cinquecento a Nola: la committenza Orsini”, Quaderni. Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, 6, 1989, 117-142.

 

Toscano 1996: Gennaro Toscano, “La scultura a Nola dagli Orsini agli Albertini”, in Nola e il suo territorio dalla fine del Medio Evo al XVII secolo. Momenti di storia culturale e artistica, a cura di Tobia R. Toscano, Napoli 1996, 85-105. 

Allegati
Link esterni
SchedatoreFernando Loffredo
Data di compilazione02/09/2012 17:44:38
Data ultima revisione17/11/2016 15:36:11
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/67