Oggetto | Bari, San Nicola, Cattedra d'Elia | |
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Luogo di conservazione | Bari | |
Collocazione originaria | Bari | |
Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | XII secolo | |
Autore | ||
Descrizione | La celebre Cattedra di Elia (fondatore della basilica di San Nicola, nonché arcivescovo di Bari e Canosa dal 1089 al 1105) si trova al centro dell’abside della basilica di San Nicola, su una base circolare di marmo rosa, secondo una sistemazione risalente agli anni '50 dello scorso secolo. Si tratta di un pezzo notissimo nella plastica medievale pugliese, la cui peculiarità risiede nel fatto che è un blocco unico monumentale, ricavato forse da un rocchio di colonna per via di togliere. Il pezzo riassume e condensa in sé esperienze culturali diverse: l’antico (si veda la forma stessa: un seggio all’antica con fiancate aperte) convive con elementi che appartengono alla tradizione bizantina (proviene dal mondo bizantino la tecnica ad incrostazione del marmo ricoperto con mastice nero: così doveva presentarsi l’opera in origine). La cattedra è costituita da un seggio con braccioli e alta spalliera sostenuto da tre telamoni: i due laterali sono veri e propri “Atlanti”, quello centrale è abbigliato diversamente. I due Atlanti sono stati interpretati come schiavi ribelli, il personaggio centrale – per il bastone che stringe nella mano e per il copricapo che indossa – come un pellegrino. Nel retro, due leonesse sono rappresentate nell’atto di sbranare due uomini dai tratti mediterranei (forse due mori). Il trono è stato identificato come il trono di Elia per l’iscrizione che corre sul bordo del sedile, nei lati e a tergo: di qui anche la datazione che gli è stata sempre assegnata, tra il 1098 e il 1105, che muove da una registrazione all’interno della Cronaca di Lupo Protospata, e che è stata al centro di un acceso e ininterrotto dibattito. A favore di una datazione prossima al 1098 si sono rivelati Heinrich Wilhelm Schultz, Martin Wackernagel e Arthur Kingsley Porter, mentre Pietro Toesca, Géza De Francovich e Pina Belli D’Elia ne hanno sostenuto una datazione posteriore. Particolarmente suggestiva è stata la lettura della Belli D’Elia, tornata più volte sull’argomento. La studiosa, mettendo in dubbio l’autenticità – all’interno della Cronaca – del pezzetto riguardante il trono, ed istituendo dei confronti con altre sedie pugliesi presumibilmente precedenti (vd. Note in questa scheda), e con alcune opere scultoree locali, considerate autografe dello stesso maestro scalpellino, ha datato la cattedra pugliese tra il 1166 e il 1170 (Belli D’Elia 1974). Tale datazione appare interessante perché collocherebbe l’opera non all’inizio dell’intero corso del romanico pugliese, come è stato sempre ipotizzato, ma all’interno di una fase del suo sviluppo. La sedia non ha mai trovato termini di confronto diretto, e del suo l’artefice, che viene indicato convenzionalmente con il nome di “Maestro della Cattedra d’Elia”, non si sa molto. È stato spesso accostato a Wiligelmo da Modena, ma il riferimento, come precisato dalla Belli D’Elia, rimarrebbe valido come termine post-quem (la studiosa ha osservato che le leonesse e i telamoni, come forme tridimensionali articolate nello spazio, sono forme estranee alla tradizione romanica pugliese, mentre si trovano in Emilia, anche se in contesti di diverso genere: questo proverebbe un incontro del maestro della cattedra con la cultura emiliana, avvenuto però in epoca avanzata, tale da permettere la rielaborazione e il trasferimento su un piano diverso delle idee da lui apprese durante un possibile viaggio al nord). Allo stesso modo per la Belli D’Elia il confronto con i telamoni della Tomba di Ruggero II a Palermo († 1154), valido da un punto di vista iconografico, e pure spesso suggerito, è apparso sostenibile solo pensando ad un rapporto “invertito”: sarebbe il maestro barese ad essere debitore verso i maestri palermitani (o piacentini, visto che la critica ritiene la tomba di Ruggero opera di scultori piacentini) e non viceversa. ** 1) il capitello dell’iconostasi, con schiavi e maschere (presso la Pinacoteca barese; ritenuto del maestro già dal Toesca); 2) le protomi leonine e umane che si affacciano tra le esafore del lato sud di San Nicola; 3) il torso virile della Pinacoteca barese. A questi pezzi si aggiungerebbero, come opere direttamente dipendenti: una maschera mostruosa al centro del davanzale della finestra absidale della Cattedrale di Bari; i capitelli dei pilastri tra le navate laterali e il transetto della stessa Cattedrale; le maschere del protiro del portale maggiore di San Nicola; una maschera leonina murata su un edificio di Bari Vecchia; un capitello con telamoni in un cortile di Bari Vecchia (purtroppo sfigurato dalla calce). | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | + INCLITVS ATQ(UE) BONVS SEDET H/AC IN SEDE PATRONVS PRESVL BARINVS / HELIAS ET CANVSINVS | |
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | La datazione della cattedra muove da un passo della Cronaca di Lupo Protospata. L’anonimo cronista, nel registrare l’episodio del Concilio del 1098, scrive che in quell’anno papa Urbano II arrivò a Bari con una schiera di vescovi, arcivescovi e abbati, aggiungendo “et preparavit domino nostro Helia archiepiscopo mirificam sedem intus in ecclesia beatissimi Nicolai confessoris Christi”. La Belli D’Elia ha voluto interpretare quel “domino nostro” come un dativo (la sedia sarebbe perciò stata preparata dal papa per Elia), ma lo Schulz, trascrivendo per primo il testo, avvertiva la necessità di specificare “nominativo”. Ad aggiungere ulteriori perplessità, questa constatazione, da parte della Belli D’Elia: perché Lupo Protospata, in genere sempre laconico, si sarebbe fermato a registrare un fatto abbastanza secondario come l’esecuzione di un trono? La studiosa ha dunque ipotizzato che i righi relativi alla sedia siano stati un’interpolazione di un copista, a maggior ragione per il fatto che esiste una discrepanza tra le diverse edizioni della Cronaca (il pezzetto manca nell’edizione di Hannover del 1844 e in tutte le altre redazioni manoscritte). I confronti con altre sedie pugliesi (Canosa, Monte Sant’Angelo, Santa Maria di Siponto e Taranto), tutte databili tra 1040 e 1100 circa, accomunate da una medesima tecnica di realizzazione (mediante “assemblaggio”), da una concezione frontale e da un senso di immobilità ieratica, hanno portato Pina Belli D’Elia a ritenere la cattedra in esame più tarda rispetto a tutte le altre. La cattedra barese, realizzata da un solo blocco, concepita per occupare uno spazio centrale, segnerebbe un superamento sul piano dinamico, plastico e spaziale rispetto allo stereotipo del trono episcopale come si era andato configurando in Puglia nell’XI secolo, e questa “evoluzione” sarebbe per la Belli D’Elia sintomo di una posizione cronologicamente avanzata. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2009: Francesco Aceto, “La cattedra dell’abate Elia. Dalla memoria alla storia”, in Medioevo. Immagine e memoria, Atti del Convegno Internazionale di studi (Parma, 23-28 settembre 2008), Milano 2009, 132-143.
Belli D’Elia 1974: Pina Belli D’Elia, "La Cattedra dell’abate Elia. Precisazioni sul Romanico pugliese", Bollettino d’arte, s. 5, LIX, 1974, 1-17, con bibliografia precedente.
Belli D’Elia-D’Elia 1981: Pina Belli D’Elia, Michele D'Elia, “Aggiunte tranesi al Maestro della Cattedra di Elia. Nuove precisazioni sul romanico pugliese”, in Studi e ricerche di storia dell’arte. In memoria di Luigi Mallé, Torino 1981, 49-60. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Michela Tarallo | |
Data di compilazione | 26/09/2015 19:34:33 | |
Data ultima revisione | 09/02/2017 11:08:17 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/545 |