Oggetto | Anglona, Cattedrale, affreschi romanici | |
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Luogo di conservazione | Anglona | |
Collocazione originaria | Anglona | |
Materiale | affresco | |
Dimensioni | ||
Cronologia | c. 1200 | |
Autore | ||
Descrizione | Nella Cattedrale di Anglona si sono conservate consistenti testimonianze dell’originaria decorazione pittorica a fresco, databile dopo il 1180. Sulla parete meridionale della navata centrale sopravvive quasi integro un esteso ciclo con storie della Genesi, disposte in due registri che corrono sopra le arcate, dall’arco trionfale alla controfacciata. Nei pennacchi sono dipinte figure stanti di profeti con cartiglio, cui corrispondono negli intradossi coppie di santi affrontati. Sulla parete opposta erano raffigurate storie di Cristo, di cui restano però scarsi frammenti. Entrambi i cicli, affrontati secondo il modello tipologico paleocristiano, proseguivano sulle pareti del vestibolo d’ingresso. Nel ciclo della Genesi la critica ha potuto individuare con certezza quarantuno episodi che illustrano il racconto biblico con dovizia di particolari. L’impaginazione delle scene non segue un criterio uniforme. Il registro superiore ha inizio con la Creazione del cielo e della terra e prosegue ininterrottamente sullo sfondo di un paesaggio continuo fino al Rimprovero di Caino nella terza campata, intervallato solo dall’apertura delle finestre del cleristorio. La narrazione continua poi nel registro inferiore con Noè che riceve l’ordine di eseguire l’arca, adottando la stessa ambientazione unica fino alla scena con l’Arca sulle acque, all’altezza della metà circa della seconda campata. Da questo punto in poi gli episodi sono rappresentati entro riquadri, a partire dall’Ebbrezza di Noè fino a Esaù ritorna con la selvaggina nella quinta campata, con un solo ribaltamento nella sequenza degli eventi (l’Incontro di Abramo e Melchisedek segue l’Ospitalità di Abramo). Il ciclo riprende quindi nel registro superiore con il Sogno di Giacobbe, all’inizio della quarta campata, che di conseguenza confina anacronisticamente a sinistra con il Rimprovero di Caino. Il racconto segue infine la storia di Giuseppe, particolarmente estesa, che occupa il resto del registro superiore verso occidente, per poi passare nuovamente a quello inferiore sulla parete del vestibolo. La disposizione irregolare delle scene è da spiegare, secondo Herbert Kessler, con la necessità di ampliare il programma iconografico in corso d’opera. Dopo aver dipinto contemporaneamente la prima parte di entrambi i registri, che, come nella navata centrale del Duomo di Monreale, iniziavano rispettivamente con la Creazione e con la Costruzione dell’arca, si decise di estendere la raffigurazione includendo anche le storie di Giuseppe, assenti a Monreale. A determinare tale ampliamento potrebbe aver contribuito l’allungamento della navata centrale, che tuttavia, secondo Peter Cornelius Claussen e Mario D’Onofrio, sarebbe contestuale alla primitiva campagna costruttiva e dunque anteriore all’inizio dei lavori per la decorazione a fresco. Il ciclo riprende quasi alla lettera modelli desunti dalle chiese normanne di Sicilia, anche mediante l’uso di repertori iconografici. Le scene, caratterizzate da un vivace senso della narrazione, sono accompagnate da iscrizioni dipinte in greco che illustrano gli episodi rappresentati. L’aggiunta delle storie di Giuseppe fa invece riferimento a una consolidata tradizione romana (erano raffigurate a conclusione della Genesi anche nella basilica di San Pietro in Vaticano), e la loro iconografia presenta analogie con cicli campani del XII secolo, come i plutei di Santa Restituta a Napoli. Kessler ipotizza che l’impaginatore si sia servito di un modello unitario, in cui erano già combinati elementi pertinenti a entrambe le tradizioni, romana e siciliana. Tale possibilità sembra comprovata dalla disposizione del ciclo neotestamentario che, come nelle basiliche romane, è affrontato a quello veterotestamentario, piuttosto che svilupparsi in parallelo alle storie di Cristo nel registro superiore, come nelle chiese siciliane. Scarsi frammenti alla congiunzione tra la parete settentrionale e il vestibolo consentono di stabilire che anche il ciclo evangelico si articolava in due registri. Solo tre episodi possono essere individuati, seppur con qualche incertezza, in base alle tracce superstiti. Le lance che s’intravedono nel registro inferiore, presso l’arco trionfale, inducono a ritenere che si trattasse del Tradimento o della Cattura di Cristo. Il brano meglio conservato, nel registro superiore del vestibolo, mostra Cristo davanti a una collina ed è da identificare, secondo Kessler, con Le Marie al sepolcro o con un Noli me tangere. Segue una scena interpretata come la Pentecoste, in cui l’accostamento degli apostoli Andrea e Pietro troverebbe riscontro in modelli siciliani, suggerendo che anche in questo caso le storie ne seguivano l’iconografia. I rimandi tipologici tra i due cicli della navata, rafforzati visivamente dalla raffigurazione di Dio Padre nella Genesi con le sembianze di Cristo, offrivano un’interpretazione della Scrittura che presentasse l’Antico Testamento come preparazione del Nuovo, insistendo sui temi del peccato e della redenzione, culminanti nel Giudizio Finale che doveva essere dipinto in controfacciata. Il programma figurativo era probabilmente completato nelle navate laterali da episodi delle vite degli Apostoli, riprodotti in asse con rappresentazioni del martirio di santi locali, come sembra potersi ricavare dall’unico brano superstite all’estremità occidentale della navata destra, in cui Marina Falla Castelfranchi ha proposto di riconoscere due episodi della vita dei santi apostoli Simone e Giuda (Disputa con i Maghi e Martirio), sovrapposti a un lacunoso Martirio di san Teodoro Tirone. Anche in questo caso, iscrizioni in greco identificano i personaggi e accompagnano il racconto visivo, in uno stretto rapporto fra testo e immagine. L’iconografia dei due apostoli, rara ma non inedita in Italia centro-meridionale nel XII secolo, combina la tradizione latina con quella bizantina, che aveva fuso in un’unica figura San Simone apostolo con San Simeone vescovo di Gerusalemme. La scena si connoterebbe di un rilevante interesse antiquario se fosse provata l’identificazione della Mole Adriana con l’edificio circolare che compare alle spalle del martirio dei Santi Simone e Giuda, come proposto da Falla Castelfranchi. Le reliquie dei due apostoli si sarebbero infatti venerate a Roma nella basilica vaticana, in base a una tradizione attestata sin dalla metà del XII secolo. Poiché le storie di Simone e Giuda dovevano comparire a conclusione del ciclo apostolico, la studiosa ipotizza che la narrazione iniziasse all’estremità orientale della navata sinistra, con storie di san Pietro e san Paolo, e proseguisse lungo il registro superiore di entrambe le navate laterali, in parallelo con quello dei santi locali nel registro inferiore. Alla storia universale della salvezza, rappresentata nella navata centrale, corrispondeva dunque nelle navate laterali il riferimento alla tradizione apostolica e alla testimonianza di fede dei santi, proposti come modello al fedele. Le absidi delle navate laterali, sfondate in età post-medievale, presentavano nel catino figure a mezzo busto di San Pietro, a nord, e di un arcangelo (Michele ?), a sud, ben conservatesi limitatamente alle porzioni di muratura non diroccate. L’intitolazione delle absidi minori all’apostolo Pietro e all’arcangelo Michele è coerente con la particolare devozione dei due santi in ambito normanno. Sulle pareti sopra le absidi sono invece molto deteriorati i resti di affreschi raffiguranti angeli in volo, che recano tondi con l’agnello mistico, a nord, e con un soggetto imprecisabile, a sud. Immagini di santi occupavano infine le quattro facciate dei pilastri della navata centrale. Della campagna primitiva rimangono solo alcuni santi sugli ultimi tre pilastri di destra e sull'ultimo pilastro di sinistra; altri sono stati rifatti nel XV secolo su entrambi i lati. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | Vari tituli e iscrizioni in greco, alcuni dei quali latinizzati in antico. | |
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | Recuperati a migliore leggibilità da un restauro condotto negli anni ottanta del Novecento, gli affreschi sono stati variamente datati tra l’ultimo ventennio del XII secolo e il primo trentennio del XIII. Attribuibili a pittori di lingua e cultura greca, non necessariamente provenienti d’oltremare, mostrano qualche analogia con il ciclo eremitico dipinto a fresco nell’atrio di Sant’Angelo in Formis, differenziandosi da altri episodi di pittura bizantina in Italia meridionale, con cui attestano la varietà del milieu artistico italo-greco in queste regioni. La fattura corsiva dello stile li allontana dalla preziosità e dall’equilibrio espressivo caratteristico dei modelli comneni e tardo-comneni invocati a confronto (in particolare il ciclo del monastero di San Giovanni a Patmos). La critica tende a distinguere la maestranza attiva nella navata centrale e nelle absidi minori, da quella responsabile dei pochi referti sopravvissuti nella navata meridionale, entrambe comunque profondamente imbevute di cultura greca, come mostrano anche le iscrizioni, in parte latinizzate in antico, il cui stile epigrafico sembra confermare la datazione tra XII e XIII secolo. Ignota è la committenza, che si è ritenuto di identificare in un sovrano normanno – Guglielmo II o Tancredi –, ma che potrebbe più verosimilmente essere ricondotta a esponenti del clero locale di rito latino, evidentemente interessati a ribadire la propria appartenenza alla tradizione apostolica romana, senza rinunciare al sostrato culturale bizantino. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Damiano Fonseca 1999: Cosimo Damiano Fonseca, Santa Maria di Anglona. Storia dell’edificio medievale, Lavello (PZ) 1999, 16-20.
D’Onofrio 1996: Mario D’Onofrio, “Struttura e architettura della Cattedrale. Vicende costruttive e caratteri stilistici”, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Valentino Pace, Galatina 1996, 47-48.
Falla Castelfranchi 1991: Marina Falla Castelfranchi, “Il cosiddetto ‘Martirio di San Simone’ a Santa Maria di Anglona”, Arte Medievale, 5, 1991, 67-70.
Falla Castelfranchi 1996: Marina Falla Castelfranchi, “Santa Maria di Anglona fra Roma e Palermo. Sulla decorazione delle navate laterali”, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Valentino Pace, Galatina 1996, 89-97.
Ficcadori 1996: Gianfranco Ficcadori, “Le iscrizioni del ciclo pittorico di Santa Maria di Anglona”, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Valentino Pace, Galatina 1996, 99-102.
Heißenbüttel 2008: Dietrich Heißenbüttel, “Santa Maria di Anglona: eine mittelalterliche Kathedrale und ihr Freskenzyklus”, Kunstchronik, 61, 2008, 84-91.
Kessler 1996: Herbert L. Kessler, I cicli biblici di Santa Maria di Anglona, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Valentino Pace, Galatina 1996, 61-88.
Kometovic 1996: Svetlana Kometovic, “Le programm hagiographique de Santa Maria de Anglona et la place des saints dans le décors de l’Italie méridionale byzantine”, ibid., 73-88.
Muratova 1996: Xenia Muratova, “Su alcune particolarità iconografiche del ciclo veterotestamentario della chiesa di Santa Maria di Anglona”, ibid., 125-134.
Pace 1986: Valentino Pace, Pittura del Duecento e del Trecento in Puglia, Basilicata e nell’Italia meridionale greca”, in La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di Enrico Castelnuovo, Milano 19862, 458.
Pace 1996: Valentino Pace, “Il ciclo di affreschi di Santa Maria di Anglona. Una testimonianza italomeridionale della pittura bizantina intorno al 1200”, in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Valentino Pace, Galatina 1996, 103-110.
Pace 1997: Valentino Pace, “Modi, motivi e significato della pittura bizantina nell’Italia meridionale continentale postbizantina. I casi di età tardonormanna e protosveva: da Lecce ad Anglona”, Zograf, 26, 1997, 49-50.
Pace 2012: Valentino Pace, “La transperiferia bizantina nell’Italia meridionale del XIII secolo. Affreschi in chiese del Salento pugliese, della Basilicata e della Calabria”, in Orient et occident méditerranéens au XIIIe siècle. Les programmes picturaux, Actes du colloque international (2-4 avril 2009), sous la direction de Jean-Pierre Caillet et Fabienne Joubert, Paris 2012, 215-234.
Roma 1986: Giuseppe Roma, “La chiesa di S. Maria di Anglona presso Tursi e la sua decorazione pittorica”, Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, 40, 1986, 75-102.
Roma 1987: Giuseppe Roma, S. Maria di Anglona: struttura architettonica e decorazione pittorica, Cosenza 1987, 39-42, 59-145. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefano D'Ovidio | |
Data di compilazione | 04/08/2015 10:15:36 | |
Data ultima revisione | 13/01/2017 18:51:07 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/528 |