Oggetto | Galatina, Santa Caterina, cenotafio di Giovanni Antonio Orsini del Balzo | |
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Luogo di conservazione | Galatina | |
Collocazione originaria | Galatina | |
Materiale | pietra calcarea dipinta | |
Dimensioni | ||
Cronologia | entro il primo quarto del Cinquecento | |
Autore | ignoto | |
Descrizione | Il monumento, collocato nella chiesa di Santa Caterina di Galatina, s'innalza su quattro colonne ottagonali, poggiate su altrettanti leoni, in pose diverse e con figure tra gli artigli. Quattro capitelli floreali sostengono un architrave che a sua volta sostiene il cenotafio. Sull’architrave sono dipinti quattro stemmi e due ritratti: a sinistra quello di Raimondello Orsini del Balzo, affiancato dalle lettere "P" e "R", e a destra quello di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, con le lettere: “P”, “I”, “A”. Giovanni Antonio, disteso sul sarcofago, indossa il saio francescano e poggia il capo su un cuscino ricamato, mentre due angeli sollevano la cortina per svelare la figura del defunto. Sulla cornice superiore dell’arca funebre, alla fine dell’epigrafe, compare l’anno 1560. Al di sopra si staglia una sorta di tabernacolo sostenuto da quattro colonnine polistili tortili. Al centro del timpano campeggia l’arme degli Orsini del Balzo, sorretta da due angeli in volo. Al di sotto, quattro teste spuntano da altrettante decorazioni vegetali intrecciate. Completano il monumento tre statue in funzione di acroteri: due angeli con cartiglio sui pinnacoli laterali, Gesù benedicente al centro. Negli anni ottanta dell’Ottocento, in concomitanza con i restauri che interessarono la chiesa e il cenotafio di Raimondello, e che furono condotti con la collaborazione e la supervisione dell’artista e storico dell’arte galatinese Pietro Cavoti, si decise di liberare il sepolcro da uno spesso strato di calce che “toglie completamente tutta la bellezza dell’intaglio [del monumento]”, e che rivestiva anche le pareti della tribuna (lettera inviata nel 1877 al prefetto di Lecce dall’ingegnere del Genio Civile che seguiva i lavori, citata da Canali, Galati 1988, 74). Sempre dalla documentazione lasciataci dal Cavoti sappiamo che quest’ultimo incaricò Luigi Morrone, “valentissimo nell’opera dell’intaglio della pietra leccese”, a restaurare il monumento di Giovanni Antonio (poco prima definito “cadente” dal Cavoti), interpretando “felicemente le mie idee e i miei disegni” (Poso 2013, 182). Purtroppo il Cavoti non ha dato alcuna indicazione ulteriore sul tipo di intervento attuato dal Morrone, che supponiamo abbia rabberciato qualche pezzo danneggiato, o riscalpellato, dove possibile, qualche parte logoratasi nel tempo; o forse il Morrone poté ricomporre, sulla scia dei disegni del Cavoti, qualche pezzo erratico pertinente alla tomba e fratturatosi a seguito dei danni arrecati dal fulmine che si abbatté sulla chiesa nel 1867. Dagli interventi cinquecenteschi, dai numerosi danni subiti nel corso dei secoli, nonché dai restauri otto-novecenteschi dipendono dunque le molteplici discrepanze e disomogeneità del sepolcro. Da quanto si vede oggi, sembra che il baldacchino cuspidato che s’innalza sulla cassa funebre sia opera moderna, da ricondursi ad uno degli interventi di restauro novecenteschi (anni 1929-40 e anni settanta). Secondo Fernando Russo (2005, 35) l’attuale baldacchino avrebbe preso il posto, nel corso dei lavori di riallestimento della metà del Cinquecento, di quello originario, poi reimpiegato nella Cappella di San Francesco (secondo lo studioso, su quest'ultimo comparirebbe anche lo stemma Orsini del Balzo, benché “per metà ricoperto da un panno”). Almeno fino al 1963, data cui risalgono alcune fotografie Soergel, una statua acefala compariva al di sopra della piattaforma su cui si erge l’arca funeraria, all’estremo angolo sinistro. La figura, seduta su una sorta di trono, indossa un lungo abito solcato da pieghe profonde nella parte inferiore del corpo, e poggia su una base decorata da stilizzati motivi vegetali molto simili a quelli ricorrenti nei capitelli della chiesa; la posizione potrebbe adattarsi a quella di un re sul trono (in tal caso non sarebbe pertinente con il cenotafio), oppure a quella di un Dio Padre benedicente. In quest’ultimo caso, si potrebbe suggerire, in via del tutto ipotetica, la provenienza dal vertice della cuspide, dove anche nella ricostruzione moderna compare tale figura. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | Orsini del Balzo | |
Iscrizioni | Al di sopra della cornice su cui s'innalza la cassa funebre: "DI HAVER PIÙ BELLO E PIÙ PERFETTO OPRATO NON SI DOLSE GIAMMAI SPIRTO ONORATO 1560". | |
Stemmi o emblemi araldici | Stemma Orsini del Balzo (al centro del timpano cuspidato) | |
Note | Un tentativo di datazione alla seconda metà del Cinquecento è stato compiuto da Clara Gelao: l’ipotesi della studiosa faceva perno sulla data (che lei leggeva erroneamente “1562”) dipinta sul cartiglio che sovrasta l’arca funebre e che chiude il motto sopra riportato, ed inoltre si basava sull’eventualità che sul fregio-cornice comparisse, all’estrema destra, lo stemma Sanseverino di Bisignano. A detta della studiosa, dunque, la committenza del cenotafio poteva spettare ai Sanseverino (nel 1561 succeduti ai Castriota Scanderberg nel dominio di Galatina), e alla loro intenzione di “glorificare i fasti della casata” Orsini del Balzo. Loro stessi infatti, “per essere imparentati con gli Acquaviva d’Aragona di Nardò, potevano in certo senso sentirsi gli ideali continuatori di questi e, indirettamente, dei Del Balzo Orsini”. La Gelao è stata forse indotta all’errore dalla lettura di un contributo di Giancarlo Vallone (1983, 34-36), che aveva riconosciuto, tra i simboli araldici dipinti sul fregio-cornice, quello dei Sanseverino di Bisignano, nonostante che lo studioso avesse supposto potesse trattarsi anche dello stemma Castriota Scanderberg. A prescindere dalla discussione sugli stemmi, oggi non più leggibili, l’ipotesi della Gelao sembra poco verosimile, in primis perché la tomba, specie nella sua parte centrale, composta dalla cassa con il gisant affiancato dai due angeli reggicortina, palesa caratteri stilistici che mal si adattano ad un’epoca così avanzata. Inoltre, non sembra fondata l’idea che i Sanseverino (ma la data correttamente letta legherebbe l’intervento ai Castriota) abbiano avviato un così imponente programma commemorativo in virtù del legame familiare, peraltro neanche così diretto, con gli Orsini del Balzo. Si potrebbe semmai pensare che, intorno alla metà del Cinquecento, i Castriota siano intervenuti per porre rimedio a qualche danno che la tomba poté subire, inserendo anche qualche nuovo elemento decorativo. In questo senso, l’iscrizione e la data costituirebbero proprio le tracce più evidenti di tale riassetto. Su questa linea si è posto Giovanni Lorenzo (1979, 108 nota 6), il quale ha addebitato la generale disomogeneità del cenotafio ad alcune tarde manomissioni apportate all’opera. Tra queste, sembrano esservi i ritratti inseriti sul fregio e accompagnati, a sinistra, dalle lettere “P” e “R” e a destra da “P”, “I” e “A”, che sono state lette rispettivamente come “Princeps Raimondellus” e “Princeps Ioannes Antonius” (Putignani 1949, 116). L’opinione che si esprime in questa sede è che, indipendentemente dai soggetti ritratti, essi non sembrano potersi ricondurre agli stessi anni del gisant, che verosimilmente non supera il primo quarto del Cinquecento. Pina Belli D’Elia (1991, 272-276, nota 28) si è spinta anche oltre nell’analisi delle discrepanze tra la parte superiore dell’opera, costituita dall’edicola e dalla cassa funebre con il gisant, e il fregio-cornice poggiante sulle quattro colonne: la studiosa ha infatti ragionevolmente ricondotto l’intero fregio, dalle dimensioni sproporzionate rispetto all’arca soprastante, e le volute, che fungerebbero da raccordo tra le due parti del cenotafio (oggi resta solo quella di destra), all’intervento, testimoniato dall’iscrizione, del 1560. Meno condivisibile l’idea che l’inserimento del fregio sia da collegare, come arguito dalla Belli D’Elia, “alla necessità di far posto all’organo”: allo stato attuale degli studi, infatti, lo spostamento dell’organo dalla parete della seconda campata risale al periodo 1929-40, epoca nella quale la chiesa fu interessata da un sostanzioso programma di restauri. In attesa di una verifica autoptica necessaria a rispondere ai numerosi interrogativi che quest’opera ancora pone, in questa sede si può ipotizzare, con la dovuta cautela, che l’inserimento delle volute di raccordo e del fregio, nel quale, come detto, è stato riconosciuto lo stemma dei Sanseverino di Bisignano, siano il frutto di una sorta di riallestimento della tomba promosso appunto nel 1560. Relativamente al baldacchino che sovrasta la cassa funebre, per la Belli D’Elia esso è “chiaramente tardo-gotico”, e sarebbe “modellato su quello che attualmente sovrasta l’altare di San Francesco” collocato nella navata destra, e tradizionalmente identificato con quello proveniente dal perduto cenotafio di Maria d’Enghien. Condividendo l’ipotesi avanzata da Teodoro Presta (1984, 41), la studiosa ha riconosciuto nell’edicola oggi nella Cappella di San Francesco l’originario coronamento del sepolcro di Giovanni Antonio (quello oggi visibile sarebbe allora posticcio o, come sostenuto dalla stessa studiosa, “tardo-gotico"?). Risulta infine difficile concordare con la studiosa, quando ella sostiene che i quattro leoni stilofori siano “molto vicini a quelli ideati da Nuzzo Barba per il Sepolcro Bove in S. Domenico a Bitonto”: a prescindere dal fatto che quelli, magnifici, scolpiti dal Barba per la tomba in questione non sono leoni, ma buoi (emblema araldico della famiglia Bove), mi sembra che il linguaggio formale dell’anonimo autore dell’opera galatinese sia piuttosto lontano dal carattere, pienamente rinascimentale, espresso a Bitonto nel monumento Bove. Giovanni Antonio Orsini ricevé sepoltura a Taranto, nella chiesa di Sant’Antonio da Padova, da lui stesso fondata. Diego Tafuro da Lequile segnalò nel 1647 l’esistenza di un “mausoleum”, collocato “retro ad altare maius antiquum erigetur […] columnis, imaginibus lapideis, et statuis in altum protensum ubi corpus fundatoris requiescit”. Pur tuttavia, tra i disegni che Pompeo Litta pubblicò nel 1846 a corredo della biografia di Giovanni Antonio, compare il solo sepolcro di Galatina, mentre ad attestare la presenza del Principe nella chiesa tarantina è la sola statua raffigurante Giovanni Antonio, inginocchiato e con le mani giunte entro un’edicola timpanata (in origine forse rivolta verso un’effigie di Sant’Antonio; la statua risulta oggi dispersa). La mancanza nell’opera del Litta della tomba ricordata dal Tafuro e, al contrario, l’inserimento della statua orante di Giovanni Antonio potrebbe dunque spiegarsi supponendo che (ipotesi molto verosimile) la tomba fosse già dispersa all’epoca in cui il Litta stendeva le sue biografie. Nel 1724 Bonaventura Quarta da Lama segnalava comunque che da Altamura, nel cui castello Giovanni Antonio fu ucciso, il corpo del Principe fu “trasportato in Galatina, e fu da quattro vescovi, di Otranto, di Gallipoli, di Castro ed Ugento ivi condotto”. Da ciò sembrerebbe dunque che le spoglie del Principe abbiano realmente trovato riposo a Galatina. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Belli D’Elia 1996: Pina Belli D’Elia, “Principi e mendicanti. Una questione d’immagine”, in Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale, Atti del I Convegno Internazionale di studi sulla casa Acquaviva d’Atri e di Conversano (Conversano, Atri, 13-16 settembre 1991), a cura di Caterina Lavarra, Galatina 1996, 261-348 (in partic. 267-274).
Blandamura, Il duomo di Taranto nella storia e nell’arte, Taranto 1923, 115.
Calvesi, Manieri Elia 1971: Maurizio Calvesi, Mario Manieri Elia, Architettura barocca a Lecce e in Terra di Puglia, Milano-Roma 1971, 32.
Canali, Galati 1998: Ferruccio Canali, Virgilio Galati, “Un amico di Giovan Battista Cavalcaselle a Galatina in Terra d’Otranto. Pietro Cavoti (1819-1890) restauratore. Restauri neo-medievali e arredo urbano tra Firenze, la terra d’Otranto e la “Firenze del Mezzogiorno”, Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 3, 1998, 65-82.
Canali, Galati 1999: Ferruccio Canali, Virgilio Galati, “Architetture e ornamentazioni dalla Toscana al Lazio, agli ‘Umanesimi’ baronali del Regno di Napoli (1430-1510). La committenza orsiniana a Vicovaro e nel Salento umanistico: Francesco di Giorgio Martini e Ciro Ciri ‘maestro di Bramante’, dal ‘Bellum Hetruscum’ all’assedio di Otranto”, Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 5, 1999, 9-39 (in partic. 18-22).
Castellano 1975: Antonio Castellano, “Civiltà del Rinascimento in Puglia: Nuzzo Barba”, Studi Bitontini, 16/17, 1975, 22-43.
Cutolo 1977: Alessandro Cutolo, Maria d’Enghien, Galatina 1977, 172 nota 5.
De Giorgi 1975: Cosimo De Giorgi, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, II, Congedo 1975, 418-419.
Franco 1959: Antonio Franco, “L’opera di un ignorato scultore salentino del Rinascimento (appunti)”, La Zagaglia, 4, 1959, 1-15.
Gelao 1988: Clara Gelao, “L’attività di Nuzzo Barba a Conversano e le influenze veneto-dalmate nella scultura pugliese del Rinascimento”, Saggi e memorie di storia dell’arte, 16, 1988, 7-20.
Gelao 1996: Clara Gelao, “Monumenti funerari cinquecenteschi legati alla committenza degli Acquaviva d’Aragona”, in Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale, Atti del I Convegno Internazionale di studi sulla casa Acquaviva d’Atri e di Conversano (Conversano, Atri, 13-16 settembre 1991), a cura di Caterina Lavarra, Galatina 1996, 303-348 (in partic. 328-329).
Litta 1819-1902: Pompeo Litta, Famiglie celebri d’Italia, VI, Milano 1819-1902.
Lorenzo 1979: Giovanni Lorenzo, “L’attività artistica dello scultore galatinese Nuzzo Barba”, Sallentum, 3, 1979, 107-136.
Monaco 2013: Angelo Maria Monaco, “Il ‘potere dello spazio’ nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Culto delle reliquie, iconografia, propaganda”, in Un principato territoriale nel Regno di Napoli?, Atti del Convegno di studi (Lecce, 20-22 ottobre 2009), a cura di Luciana Petracca e Benedetto Vetere, Roma 2013, 603-605. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Paola Coniglio | |
Data di compilazione | 03/03/2015 14:44:08 | |
Data ultima revisione | 12/02/2017 19:42:13 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/508 |