OggettoAcerenza, Cripta Ferrillo, cassone di San Canio
Luogo di conservazioneAcerenza
Collocazione originaria
Materialemarmo
Dimensionilarg.: cm 201 (senza zoccolo: cm 198); h sarcofago: cm 59,5; h coperchio: cm 30; profondità: cm 63-64
Cronologiaante 1524
Autoreambito di Francesco di Cristoforo da Milano
Descrizione

Nella parete di fondo della cripta della Cattedrale di Acerenza, in asse con l’ingresso, un angusto vano quadrangolare, che funge come da piccola abside dell’intero ambiente, custodisce, quasi come uno scrigno, un grande sarcofago di marmo, tradizionalmente conosciuto come “cassone di San Canio”. È infatti qui che si ritiene fosse un tempo conservato il corpo del santo martire Canio o Canione, patrono di Acerenza e di Calitri, nonché titolare, insieme alla Vergine assunta, della Cattedrale di Acerenza.

La storia del sarcofago sembrerebbe dunque strettamente intrecciata a quella delle sacre spoglie e legata all’assetto originario della cripta, la cui forma attuale non corrisponde a quella primitiva (cfr. Gelao 1999).

Clara Gelao nel 1999 ha raccolto in un saggio tutte le più antiche testimonianze da lei rintracciate riferibili alla sepoltura di san Canio; alle voci messe insieme dalla studiosa se ne aggiungono qui altre (vd. Cronologia in questa scheda). Anche alla luce della nuova documentazione permangono però alcune questioni irrisolte.

La Gelao ha indicato come “la più antica” attestazione sul Succorpo e sulla sepoltura del santo quella contenuta nella santa visita compiuta il 27 novembre 1543 da Giovanni Michele Saraceno, arcivescovo di Acerenza e Matera, ma il ritrovamento del testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo (10 agosto 1526; vd. qui Fonti e documentiad annum) consente di anticipare quella data di 17 anni, arrivando in definitiva quasi all’anno di esecuzione del Succorpo stesso. Non si parla delle spoglie di san Canio, ma il documento risulta interessante per altre ragioni. Innanzitutto nell’atto è detto esplicitamente che a quella data la cripta, di cui il secondo Conte di Muro fu committente insieme alla moglie, era ultimata; inoltre apprendiamo che il Ferrillo esprimeva la volontà di essere sepolto “ante aram subcorporis”. La precisazione, fatta dal Ferrillo di proprio pugno, consente di stabilire che il Succorpo fu dotato di un altare fin dalle origini. Non sappiamo a chi fosse dedicato tale altare, ma dalla visita pastorale del 1590 (vd. Cronologia) risulta che esso fosse tra i tre altari più importanti della Cattedrale (insieme all’altar maggiore, dedicato a San Canio, e all’altare di San Mariano, nella cappella centrale del deambulatorio). Questo dato, insieme alle numerose testimonianze esplicite che si rincorrono a partire dal 1650, lascerebbe aperta l’ipotesi che l’unico (? vd. Cronologia, 1853) altare marmoreo della cripta fosse fin dall’inizio dedicato sempre a san Canio, sotto la cui protezione evidentemente desiderava porsi il Ferrillo, in perfetta analogia con l’esempio del cardinale Oliviero Carafa e del Succorpo del Duomo di Napoli, cui la cripta di Acerenza si rifà anche strutturalmente (a Napoli è palese il binomio “committente” [Carafa] - “Santo” [Gennaro, anche in quel caso patrono della città]).

La casistica insegna come l’espressione “ante aram”, in casi del genere, ovvero riferita al luogo di seppellimento, e in presenza di una cappella o comunque di un vano circoscritto, indichi perlopiù una sistemazione terragna per il defunto, ai piedi dell’altare. Ammettendo una sepoltura pavimentale per il Ferrillo, si potrebbe dunque concludere che il sarcofago fu pensato fin da subito come contenitore delle reliquie di san Canio, oppure, più verosimilmente, come suo cenotafio. Infatti, nonostante che nella fronte e nel coperchio siano scolpiti gli stemmi Ferrillo e Del Balzo (ramo di Montenegro), il sarcofago esibisce con insistenza anche i simboli dell’autorità arcivescovile. Superata l’erronea convinzione che il sarcofago fosse commissionato da un Giovanni Michele Ferrillo vescovo (mai esistito), allo stato attuale delle conoscenze la soluzione più plausibile sembra quella qui proposta.

La carenza delle fonti documentarie lascia aperto il problema topografico del sarcofago, e ciò a maggior ragione perché la piccola abside in cui esso è inserito è, con evidenza, frutto di uno o più interventi che ne hanno modificato il primitivo assetto.

Nella fronte del sarcofago, al centro, due spiritelli stanti e vestiti affiancano lo stemma Ferrillo, circondato da una folta corona fogliacea, arricchita con bacche, ghiande e pigne; dagli stessi spiritelli si diparte, a destra e a sinistra, con cadenza ritmica, un festone vegetale che viene sollevato da due putti apteri e nudi angolari (uno per ciascun angolo). I due segmenti di festone fanno da appoggio a due coppie di figure maschili stanti e abbracciate, ciascuna delle quattro recante un’insegna arcivescovile: pastorale, mitria e croce astìle, cui viene aggiunta una cornucopia. Le due figure al di sopra dello spezzone di festone sinistro sembrano richiamare, sia perché nude, sia nell’aspetto più infantile dei volti e dei corpi, gli spiritelli angolari del sarcofago; la coppia al di sopra dello spezzone destro richiama invece nell’abbigliamento (un sottile peplo smanicato e arricciato in vita) e nell’aspetto più adulto dei volti e dei corpi i due spiritelli centrali reggistemma. Ciò che non è rispettato, in questa sorta di curiosa ripetizione, è la riproduzione delle ali, variata, sembrerebbe di proposito, nelle due coppie di creature angeliche (una volta con ali e una volta senza). I due putti che reggono lo stemma, la corona in cui questo è racchiuso, i festoni e i due putti angolari sono scolpiti ad altorilievo.

La collocazione dell’urna non permette di verificare immediatamente cosa sia scolpito nei fianchi. Nuccia Barbone Pugliese (1982) ha scritto che “la decorazione si sviluppa, ma con minor impegno, anche sui lati corti, dove è scolpito solo a metà un grosso fiore umbonato”: e questa osservazione si può precisare qui aggiungendo che la metà scolpita di ciascun fiore è quella verticale di ogni fianco verso il fondo, mentre la metà anteriore risulta non solo non scolpita, ma curiosamente senza alcun rilievo e scabra.

Il coperchio a spioventi del sarcofago è oggi posto su di esso con un lieve ma fastidioso decentramento verso destra, tale da far venire sulle prime il sospetto, infine del tutto ingiustificato, che esso non sia nato per l’urna attuale. Su di esso compaiono entro tre clipei, alternati a motivi a candelabre, gli stemmi Ferrillo (al centro) e Balsa (ai lati), scolpiti a sottosquadro. I due clipei estremi della lastra, tagliati a metà sia a sinistra che a destra, ospitano invece nel campo un grande fiore per ciascuno. Alla testata sinistra – pressoché invisibile – di tale copertura è scolpita grossamente una corona di alloro con nastri pendenti in basso: e si può supporre ragionevolmente che lo stesso partito si trovi alla testata destra, oggi non verificabile per l’assoluta mancanza di spazio tra essa e il muro contiguo della scarsella.

Come già notato dalla Barbone Pugliese, il coperchio e il sarcofago sono lavorati solo nella metà anteriore: ciò suggerisce che fin dall’inizio il sarcofago fosse “addossato ad una struttura e posto ad un’altezza tale da poterne apprezzare soltanto la parte anteriore e, forse, parte delle facce laterali”.

Come pure è stato detto, il sarcofago rivela la cultura antiquaria del committente (Marco Antonio Terminio dipinse il Ferrillo come un “cavaliero di gentilissimi costumi, affabile, huomo di bona legge, e più che mediocremente letterato, e grandissimo antiquario”; 1633, 86). Non solo l’intera impostazione figurativa, ma vari singoli dettagli comprovano gli interessi archeologici del Ferrillo, che dobbiamo immaginare direttamente coinvolto e partecipe nella scelta dei temi e del repertorio figurativo da impiegare nella cassa come pure nell’intero Succorpo. Il motivo della piccola basetta al di sopra dei festoni, pronta ad accogliere figurette minori, si ritrova, insieme all’impianto figurativo, nel Sarcofago di Caius Bellicus Natalis Tebanianus, che è il più antico sarcofago romano databile con una certa esattezza (87-110 d.C.; Camposanto monumentale di Pisa; famiglia De Natale Sifola), o ancora, ad es., nel sarcofago marmoreo di epoca adrianea (117-138 d.C.), ritrovato in Via Labicana a Roma, e attualmente nel Museo Nazionale della Capitale (n. inv. 106429), e in quello del Louvre con il mito di Atteone.

Diversamente dalle sculture della cripta, eseguite in loco da maestranze locali, è probabile che l’opera, anche per la sua importanza, fosse commissionata a Napoli e qui realizzata da uno scultore “di non comuni capacità, che nella plastica cupa e sontuosa delle corone e dei festoni, nell’espressività ridente e birichina degli spiritelli contrapposta alla severa classicità degli angeli, nei morbidissimi trapassi chiaroscurali delle vesti [...], mostra di padroneggiare il repertorio figurativo classico in un’accezione schiettamente «lombarda»” (Gelao 1999, 231). È palese uno scarto qualitativo tra i rilievi del sarcofago e quelli della cripta, che denotano un linguaggio più rozzo e artigianale. Inoltre non è da sottovalutare la notizia che Giacomo Alfonso Ferrillo nel 1526 risiedeva a Napoli (“in platea ditta de Vico Frigido, regionis sedilis Montanee, civitatis Neapolitane”; Dentamaro 2011, 142).

Nuccia Barbone Pugliese ha ritenuto il “cassone di San Canio” un prodotto della bottega malvitesca (Barbone Pugliese, 1982, 174). Successivamente Francesco Abbate (1992, 33 nota 65) ha proposto di assegnare l’opera a Francesco di Cristoforo da Milano (figura ancora non del tutto chiara), ravvisando una vicinanza tra il sarcofago in esame e il sedile funerario di Jacopo Rocco nella chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli (1992, 17 e fig. 19). Clara Gelao, accogliendo l’attribuzione di Abbate, ha voluto accostare i putti dell’urna Ferrillo a quelli reggifestone che compaiono nel riquadro frontale inferiore destro dell’Altare Miroballo in San Giovanni a Carbonara (sempre a Napoli), riquadro pure attribuito da Abbate (1992, 17 e fig. 18) a Francesco da Milano. I putti di Acerenza, tuttavia, sembrano discostarsi dalla maniera di questi due esempi specifici. 

Immagine
CommittenteGiacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa, conti di Muro Lucano
Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo († post 1526, ante 1530): figlio di Matteo Ferrillo, I conte di Muro, e di Maria Anna de’ Rossi. Suoi fratelli furono Ferdinando, Giovanni Antonio, Diana (moglie di Barnaba Caracciolo dal 1488) e Clemenza (che sposò nel 1491 Giovanni Antonio Poderico). Morti prematuramente sia Ferdinando che Giovanni Antonio, l’eredità di Matteo Ferrillo passò a Giacomo Alfonso. Quest’ultimo sposò Maria Balsa, dalla quale ebbe tre figli: Guglielmo, premorto al padre (Della Marra 1641, 78, 276-277), Isabella (che sposò Luigi Gesualdo) e Beatrice (che sposò Ferrante Orsini).

 

Maria Balsa († 16 giugno 1559): figlia di Goiko (o Coico) Balsic, signore di Misia, e di Comita Comnico. Ebbe due fratelli maschi, morti in Ungheria. Le notizie su di lei provengono, sembrerebbe, da una fonte attendibile, essendo a lei contemporanea: Giovanni Musachi 1510 (ed. Hopf 1873, 270-340). La data di morte si ricava dal Liber piorum legatorum del 1559 presso l’Archivio diocesano di Acerenza (cfr. Barbone Pugliese, 1982, 181, nota 18).

Su san Canione (oltre alle fonti già citate in Fonti e documenti):

Cioffari 1997, 5-10.

Vuolo 1995.

www.santiebeati.it/dettaglio/90990

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici

Stemma Ferrillo: uno scaglione (rosso su campo d’oro) caricato in capo da tre stelle (d’oro in campo azzurro).

Stemma di Maria Balsa (è lo stemma della famiglia dei Balsichi o Balsidi, ovvero Balsic-Balsa, ramo montenegrino dei Del Balzo): inquartato; nel primo e nel terzo quarto è una testa di lupo; nel secondo e nel terzo una stella a 16 punte.

Note

La qualità dell’opera appare compromessa dal cattivo stato di conservazione in cui essa ha a lungo versato. A tal proposito si può ricordare che, a causa del colore verdastro assunto dal marmo per l’umidità, François Lenormant, nel 1883, credette che il sarcofago fosse in bronzo, e lo attribuì a Giovanni da Nola, all’epoca uno dei pochi nomi di spicco riemergenti nel panorama scultoreo napoletano (“Par-dessous règne une crypte qu’ont fait refaire et décorer en 1523 Giacomo Alfonso Ferrillo, comte de Muro, et sa femme Marie de Baux. C’est une œuvre exquise comme architecture et comme sculpture. Les ornements en grotteschi couvrant les voûtes et les pilastres, les chapiteaux des colonnes et surtout le beau bas-relief de bronze placé au-dessus de l’autel, ont la grâce pleine de morbidesse, la suavité charmante et la souple élégance de Giovanni da Nola” (I, 1883, 282).

Fonti iconografiche
Fonti e documenti

Si riportano di séguito le testimonianze note e quelle rintracciate in occasione della compilazione di questa scheda, relativamente al Succorpo, alle spoglie di san Canio e agli altari dedicati al santo all’interno della Cattedrale di Acerenza.

Accanto alle date si precisa, entro parentesi quadre, le testimonianze che integrano la bibliografia precedente (Gelao-Barbone Pugliese).

 

10 agosto 1526. [testimonianza nuova] Giacomo Alfonso Ferrillo, alla presenza del notaio Giovanni Battista Romano di Napoli, compila “de sua mano” il proprio testamento. Da esso apprendiamo che il Conte di Muro stabiliva di essere sepolto nel Succorpo di Acerenza (“ante aram”), a quella data – come viene esplicitamente detto – già ultimato:

“[...] cuicumque Acherontina civitas obvenerit, subcorpus seu sacellum sub maiori ara ecclesie completo proque missa qualibet die ibi celebranda quatuor sacerdotibus singulis ducatos duodecim annuatim dari iubeo, quousque proventus emat perpetuos ad ecclesiam predittam ipsis sacerdotibus assignandos iuxta meas ordinationes distribuendas. Corpus meum ante aram subcorporis in Acherontina civitate humi sepelliens relinquo” (il documento è stato ritrovato e trascritto nelle righe che qui si riportano da Antonella Dentamaro nella sua tesi di laurea [relatore prof. Francesco Caglioti], a.a. 2010-11, 142).

 

27 novembre 1543. Santa Visita di Giovanni Michele Saraceno: “[nel giorno 27 novembre, il reverendo Giovanni Michele Saraceno...venne nel mattino...] et primo altare maius, in quo reconditur sacrum corpus dicti sancti Canionis martiris, prout fuit sibi relatum ab omnibus, cum illud non potest videri ex quo est suptus altare fabricatum; postea accessit ad subcorpus constructum per illustrem quondam dominum Jacobum Alfonsum comitem Muri, in quo dictus reverendissimus dominus archiepiscopus invenit infrascripta bona, videlicet [...]” (Archivio diocesano di Acerenza, Inventario di tutti i beni mobili ed immobili [...], c. 114r, 1543, in Gelao 1999, 212, 217).

 

1590. Una (anonima?) relazione del 25 giugno, pubblicata da Antonio Grillo (1995), recita: “...quale chiesa contiene tre navi, cioè una grande, che è quella di mezo, et due piccole, cioè una dalla banda destra, et l’altra dalla banda sinistra de detta nava, con una croce et uno carracò [deambulatorio] de volta di lamia verso levante, ove stanno tre altari magiori, cioè uno che si scopre al’intrare de detta chiesa, intitulato l’altare de Santo Canione, ove risiede il Santissimo Sacramento; l’altro allo Succorpo, che resiede sotto il coro de detto altare magior; un altro da dietro detto carracò, ove al continuo si celebrano messe, intitulato de Santo Mariano, con la sacrestia accanto de detto altare” (Grillo 1995, in Gelao 1999, 218 e nota 83).

 

1592. [testimonianza nuova] Paolo Regio scrive: “Così havendo conosciuto quel vescovo [Elpidio, vescovo di Acerenza] il transito di san Canio, venne al luogo [Atella] ove quel sacro corpo giaceva, et con il suo clero et popolo fedele gli fabricò il sepolcro et construsseli la chiesa al suo nome dicata. Poscia, con il tempo essendo quasi oscurata la memoria di così glorioso martire, fu quella rinovata nei fedeli da Arnaldo arcivescovo, l’anno della salute MLXXX, collocandolo in un sepolcro di marmo nel suo domo [sic] arcivescovale, come hora si vede, et componendoli l’officio proprio da recitarsi nella sua festività et in tutta l’ottava seguente nella città di Cirenze et per la provincia [...]. Celebrasi la festività di questo santissimo martire in Cirenza a’ XXV di maggio, nel cui giorno alcuna volta appaiono uscire dal sasso del suo sepolcro goccie di manna bianchissima et dolcissima; sì come nell’istessa chiesa vi è un’altra arca marmorea, presso la sacristia, ove si conserva il suo bacolo pastorale, che per un picciolo buco si può toccare con il dito da persone che siano confessati et contriti de’ loro peccati, essendo agli altri prohibito; il che solamente si osserva ne’ giorni solenni o nella festività del santo istesso [...]” (1592, 472-473; la pagine dedicate a san Canio sono inserite all’interno della vita di sant’Ireneo).

 

1613. [testimonianza nuova] Filippo Ferrario, riprendendo e citando Paolo Regio, nel Catalogo dei santi d’Italia scrive a proposito di san Canio: “postea anno salutis 1080 ab Arnaldo episcopo in cathedralem ecclesiam translatum [il suo corpo], in marmoreo mausoleo conditum est” (1613, 312).

[riferimento alla cassa nel Succorpo]

 

1650 circa? Da una santa visita citata (ma non trascritta) dalla Barbone Pugliese, compiuta dal vescovo Giovanni Battista Spinola (1648-1665), si evince che all’interno del Succorpo dovevano esserci più altari (“Gli affreschi di San Matteo e della prospiciente Adorazione dei Magi vennero ridipinti e sostituiti con nuove immagini, rispettivamente un San Martino e un San Nicola, intorno al 1650, allorché gli altari cambiarono patronato, e vennero riscoperti solo alla fine del secolo scorso”; Barbone Pugliese, 1982, 178 e nota 42).

 

1659. Ferdinando Ughelli: “...locum quoque subterraneum, cryptam seu subconfessionem vocant, in qua tria altaria, in quorum medio iacere dicunt corpus divi tutelaris Canionis, ibi reconditum a Leone laudatissimo eius urbis episcopo, anno Domini 799. Eius translationis festus dies celebratur 11 Martii festivitatis, vero 15 Maii, in qua die, quod mirum est dictu, ex lapideo loculo liquor pretiosus emanare solet dulcis et omnibus imfirmitatibus salutaris” (VII, Roma 1659, col. 10).

 

1688. [testimonianza nuova] Negli Acta Sanctorum il padre bollandista Daniel Papebroch collaziona le informazioni da più fonti: oltre a citare l’Ughelli, riporta alcune notizie da una fonte locale (acheruntina), dalla quale si evince che nel 1682 esistevano nella Cattedrale due altari dedicati a San Canione: “unum in crypta sub choro, continens ipsius sancti corpus, alterum in ecclesia ad dextrum latus sacristiæ, cum pulcherrima illius statua capsaque marmorea”.

“[...] Hactenus Ughellus, cui adstipulatur Nicolaus Palma, archidiaconus et vicarius generalis Acheruntinus, sub officii sui sigillo et manus propriæ subscriptione anno MDCLXXXII nobis missa; addens, præter statuam istam haberi etiam argenteum brachium, cui nihilominus inclusa sit pars aliqua corporis [ejusdem duo ibidem altaria]: neque solis duobus quæ dixit Ughellus festis annue celebrandis contentos Acheruntinos, officium etiam facere de s. Canione sub ritu semiduplicis die XXV cujusvis mensis. Tum vero præter altare majus, in quo servantur duæ jam dictæ sancti Canionis lipsanothecæ, statua item argentea sancti Oliverii Martyris, Ughello Livarii, de quo agendum XXVII Novembris, et brachium sancti Antonii Abbatis argento inclusum. Duo ejusdem sancti Canionis ibidem esse altaria: unum in crypta sub choro, continens ipsius sancti corpus; alterum in ecclesia ad dextrum latus sacristiæ, cum pulcherrima illius statua capsaque marmorea; cujus operculum, firmissime cum ipsa ferruminatum, mensæ usum habet ad missæ sacrificium, intus continens pastoralem sancti Canionis baculum, de quo seorsum aliquid in Appendice post Acta dicendum. Ipsa Acta, quæ Ughellus edidit, accepimus sub fidei publicæ attestatione signata hoc modo: Nos infrascripti, archidiaconus, cantor, canonici, presbyteri, [Acta indidem accepta ex ms.] Capitulum et clerus Metropolitanæ Ecclesiæ civitatis Acheruntiæ, fidem fecimus, supradictam vitam, martyrium, gesta, et miracula gloriosi martyris divi Canionis episcopi, cujus corpus requiescit sub altari majori dictæ Metropolitanæ Ecclesiæ, fundatæ sub titulo ejusdem S. Canionis, extractam esse [...]” (Acta Sanctorum, VI, 1688, 27).

 

1703: Giovanni Battista Pacichelli ripropone la descrizione dell’Ughelli (1703, 268). (“Vi è il sotterraneo, che chiaman Sagra Confessione, con tre altari, nel primo de’ quali dicono che il vescovo Leone del 799 chiudesse il corpo che vi si adora del sudetto santo martire protettore. Si venera egli al quintodecimo di maggio, nel qual giorno sgorgano le sue ossa un dolce e salubre liquore, usato proficuamente ne’ morbi […]”).

 

1721: esce la seconda edizione dell’Ughelli (e la situazione appare immutata rispetto a quella descritta nella princeps).

 

Anteriore al 1737 è la testimonianza [nuova] di Francesco Orlandi (che sembra ripetere le informazioni dell’Ughelli): “Basilica metropolitana satis magnifica atque nobilis structuræ deiparæ Virgini in Cælum assumptæ et divo Canioni episcopo et martyri consecrata est [...]. In crypta ejus subterranea, quam Subconfessione vocant, tria erecta sunt altaria, in quorum medio reconditum ferunt corpus sancti Canionis episcopi et martyris” (Firenze 1737, p. 1959).

 

1761. [testimonianza nuova] “Sotto alla medesima [cattedrale superiore di Acerenza] vi è un’altra chiesa sotterranea, con tre altari; e nel primo di essi dicesi che il vescovo Leone nel 799 vi rinchiudesse il corpo del mentovato santo martire, il quale nel giorno della sua festa, ch’è ai quindici di maggio, dicesi che tramandi dall’ossa una specie di liquore, o sia manna, utile a parecchie infermità” (Lo stato presente di tutti i paesi [...], Venezia 1761, 292).

 

1770. Risale a quest’anno la testimonianza del canonico Carlo Lavinia: “Vien questo [tempio] formato da una nave maggiore con due minori; e nel capo della maggiore da man dritta e da man manca si sporge altra simile nave, con due cappelloni del Santissimo Sagramento e della Beatissima Vergine del Rosario, e forma una perfetta croce in cima a cui è situato il superbo coro con altar maggiore, sotto il quale vi sta un Succorpo, sostenuto da quattro colonne di diversi marmi fini. In questo luogo sta riposto il corpo del ridetto san Canio, e, al di sotto di detto altare, il quale è concavo ed in giro, vi scaturisce un liquore portentoso [...]. In giro poi del detto coro e succorpo, in figura centinata vi sono lamie continue; e tre cappelloni, in uno de’ quali vi sta l’altare di San Mariano martire. È il suo corpo al di sotto [cioè di questo altare] in cassa di marmo, con cristallo al di sopra [...]. In un altro cappellone vi sta altro altare del ridetto San Canio, formato in una cassa di marmo, e, al di dentro, vi si conserva un bastone di legno del nominato santo [...]” (Delle città d’Italia [...], I, Perugia 1770, 6, anche in Gelao 1999, 223-225).

 

30 maggio 1779. [testimonianza nuova] Il notaio Francesco Paolo Saluzzi attesta il miracolo del bastone e della manna con queste parole: “Nella città d’Acerenza, capitale nella provincia di Basilicata, al dì 30 maggio del corrente anno 1779 [...] si aprì la portellina dell’altare di detto santo [S. Canio martire] con due chiavi, in cui sta riposto il sagro bastone, qual altare [è?] concavo di marmaro, che da detto buco visibile e palpabile, lumatasi la candela per osservare il sagro bastone non si vidde [...]. [...] non si distancò il popolo e Capitolo intero di trattenersi in chiesa sino alle ore tre della notte, sempre in orazioni, colla recita di litanie e suoni di campane, suono d’organo, campanelli, pianti in rendimento di grazie al Signore di un sì potente miracolo del nostro protettore glorioso san Canio; e nello stesso punto si vidde il Succorpo, ove giace il corpo di detto glorioso santo, bagnate le mura e le colonne tutte, di marmi, di preziosa manna, e continuandosi le fervorose preghiere e rendimento di grazie si osservò il volto del glorioso santo sudato” (ASP, vol. 3406, cc. 58r-59v. La cronaca notarile è stata trascritta e pubblicata online da Valeria Verrastro nel 1998).

 

1848. Il vicario generale di Acerenza, Francesco Saverio Girardi, nel volume Cenni storici delle chiese arcivescovili...”, del 1848, si sofferma sulla Cattedrale di Acerenza: “Un soccorpo di elegantissima struttura, sostenuto da 4 colonne di finissimo marmo, sito sotto il presbiterio, forma il miglior ornamento di questo tempio. Il lavoro del cornicione di esso soccorpo [è] in marmo bianco di struttura piuttosto composta; i fregi di foglia e frutta di olive, il pavimento pure di marmo, nonché l’altare di mezzo, formano l’ammirazione degli osservatori”. E, in nota, aggiunge: “Il corpo di tal santo vescovo [Canio] essendo stato scoperto fra le rovine della distrutta Atella da Leone arcivescovo di Acerenza (nel 1299), questi arricchì di tanto tesoro la città nostra, la quale [...] elesse Canio a suo patrono. Vuolsi per tradizione che le reliquie di lui fossero dapprima collocate in una cassa di marmo lavorata, che sta nel Soccorpo della cattedrale. Presentemente tale cassa è vuota, e con buone ragioni si crede che il corpo di san Canio fosse stato chiuso nel muro dell’altare a lui dedicato nel Soccorpo medesimo. Nell’altare poi del santo, che sta nel circolo della cattedrale, dentro il vuoto del muro dell’altare medesimo, si conserva un pezzo del bastone che esso santo usava nei suoi viaggi [...]” (Girardi 1848, 6, anche in Gelao 1999, 225-226).

 

1853. Filippo Cirelli: “Al di sotto del presbiterio vi ha un soccorpo di elegantissima struttura [...]. Gira tutt’all’intorno di questa cripta un cornicione, anch’esso di marmo, nel fregio del quale sono scolpiti a rilievo ornati raffiguranti rami di olivo; e di marmo son pure il pavimento ed un ricco altare posto nel mezzo, dedicato al protettore San Canio. Non così dei due altari che veggonsi ne’ laterali, i quali sono di legno, e s’intitolano uno a San Nicola, a San Martino l’altro” (VI, Napoli 1853, 126).

 

1866. [testimonianza nuova] Giuseppe Cappelletti: “Per la vastità e per la magnificenza [la Cattedrale di Acerenza] sarebbe la migliore basilica di tutte le convicine province, ma oggigiorno è ridotta a così deplorabile stato di deperimento da poterla dire poco men che rovinosa [...]. Ha un sotterraneo con tre altari; in quello di mezzo riposa il corpo del santo martire protettore. Di esso si celebra la traslazione agli 11 di marzo, la solennità a’ 25 di maggio, nel qual giorno stilla prodigiosamente ogni anno dall’urna marmorea, che ne chiude le spoglie, un fluido dolce e salutevole ad ogni genere di malattie” (vol. XX, Venezia 1866, 419).

 

1883. Lenormant (vd. Note in questa scheda).

Bibliografia

Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, 33 nota 65.

 

Acta Sanctorum 1688: Acta Sanctorum, Maii [...], tomo VI, Anversa 1688, 27 (autore “D[aniel] P[apebroch]”).

 

ADA 1543: Archivio diocesano di Acerenza (ADA), Inventario di tutti i beni mobili ed immobili [...], c. 114r, 1543, in Gelao 1999, 212, 217.

 

ADA 1559: Archivio diocesano di Acerenza (ADA), Liber piorum legatorum, 1559 (cfr. Barbone Pugliese, 1982, 181, nota 18).

 

ASP 1779 (ed. Verrastro 1998): Archivio di Stato di Potenza (ASP), Archivi notarili, Distretto di Potenza, I versamento, notaio Francesco Paolo Saluzzi di Acerenza, vol. 3406, cc. 58r-59v. La cronaca notarile è stata trascritta e pubblicata da Valeria Verrastro, Il “Miracolo del bastone” in una cronaca notarile del 1779, in Itinerari del sacro in terra lucana. Basilicata regione, 1998, 109-114, rintracciabile online

 

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. 3, 21, 1982, 168-182.

 

Cappelletti 1866: Le chiese d’Italia, dalla loro origine sino ai nostri giorni. Opera di Giuseppe Cappelletti prete veneziano, vol. XX, Venezia 1866, 419.

 

Cioffari 1997: Gerardo Cioffari, “San Canio nelle fonti e nella critica storica”, Il Calitrano, n.s., 5 (luglio-agosto 1997), 5-10.

 

Cirelli 1853: Filippo Cirelli, “Acerenza”, in Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato [...], VI, Napoli 1853, 126.

 

Della Marra 1641: Ferrante della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, Napoli 1641, 78, 276-277.

 

Dentamaro 2011: Antonella Dentamaro, Ricerche su Jacopo della Pila e i suoi committenti, tesi di laurea magistrale (relatore prof. Francesco Caglioti), Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 2010-11, 142 e nota 242.

 

Ferrario 1613: Catalogus sanctorum Italiæ [...] authore Philippo Ferrario, Milano 1613, 312.

 

Gelao 1999: Clara Gelao in La Cattedrale di Acerenza. Mille anni di storia, a cura di Ead. e Pina Belli D’Elia, Venosa 1999, passim.

 

Girardi 1848: Francesco Saverio Girardi, “Acerenza (chiesa metropolitana)”, in Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, raccolti, annotati, scritti per l’abate Vincenzio D’Avino, Napoli 1848, 6 (anche in Gelao 1999, 225-226).

 

Grillo 1995: A. Grillo, Percorsi di una Cattedrale [...], Lavello 1995, 24-26 (anche in Gelao 1999, 218 e nota 83).

 

Lenormant 1883: A travers l’Apulie et la Lucanie. Notes de voyage par François Lenormant, I, Parigi 1883, 282.

 

Lo stato presente 1761: Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo [...] volume XXIII, continuazione dell’Italia o sia descrizione del Regno di Napoli, Venezia 1761, 292.

 

Musachi 1510 (ed. Hopf 1873): Giovanni Musachi, Breve memoria de li discendenti de nostra casa Musachi [1510], in Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues, publiées avec notes et tables généalogiques par Charles Hopf, Berlino 1873, 270-340.

 

Orlandi 1737: Orbis sacer et profanus, pars secunda Europam complectens. Volumen tertium [...] auctore padre Francisco Orlendio ordinis prædicatorum magistro [...], opus postumum, Firenze 1737, p. 1959.

 

Orlandi 1770: Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie, sacre e profane, compilate da Cesare Orlandi [...], I, Perugia 1770, 6 (anche in Gelao 1999, 223-225).

 

Pacichelli 1703: Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva [...]. Parte prima […], in Napoli, 1703, 268).

 

Regio 1592: Dell’opere spirituali di mons. Paolo Regio vescovo di Vico Equense [...], parte prima [...], Napoli 1592, 472-473 (le pagine dedicate a san Canio sono inserite all’interno della vita di sant’Ireneo).

 

Terminio 1633: Marco Antonio Terminio, Apologia dei tre seggi illustri di Napoli, Napoli 1633, 86.

 

Ughelli 1659: Ferdinando Ughelli, Italia sacra [...], VII, Roma 1659, col. 10.

 

Vuolo 1995: Antonio Vuolo, Tradizione letteraria e sviluppo cultuale. Il dossier agiografico di Canione di Atella (secc. X-XV), Napoli 1995.

Allegati
Link esterni

www.santiebeati.it/dettaglio/90990 (per San Canio o Canione di Atella).

SchedatoreFrancesco Caglioti e Michela Tarallo
Data di compilazione28/02/2015 12:57:29
Data ultima revisione27/01/2017 21:51:25
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/502