| Oggetto | Santa Maria Capua vetere, Anfiteatro romano | |
|---|---|---|
| Luogo | Santa Maria Capua Vetere | |
| Tipologia | Monumento per spettacoli | |
| Nome attuale | Anfiteatro campano | |
| Nomi antichi | Chuliseo; Borlasci; Verlascio; Berelais (V-VI sec. d. C.) | |
| Materiali e tecniche edilizie | Calcare del Tifata; Opera reticolata; opera laterizia | |
| Dimensioni | 167 x 137 | |
| Stato di conservazione | L'edificio fu spogliato nel corso dei secoli. Tale spoliazione pare documentata attraverso le recenti indagini di scavo, sin dall'età altomedievale e fino all'epoca borbonica. | |
| Immagine | ![]() | |
| Cronologia | Fine I secolo con rifacimenti adrianei | |
| Fattori di datazione | Tecniche edilizie in uso; capitelli; chiavi di volta; iscrizioni | |
| Storia e trasformazioni medievali e moderne | Venne utilizzato come cittadella fortificata (V-VI secolo d. C.) fino all'incendio saraceno (metà del IX secolo all'incirca). Divenne una cava di materiali da riutilizzare per la costruzione degli edifici dell'omonimo centro di Capua d'età longobarda. Sono documentati archeologicamente saccheggi d'età normanno-federiciana (castrum lapidum, porta delle torri), cinquecenteschi (chiesa dell'Annunziata di Capua, Palazzo dei Giudici, Porta Napoli), e d'età borbonica per la costruzione della Reggia di Caserta. La più antica attestazione del monumento in età rinascimentale risale ad un affresco che l'arcivescovo Cesare Costa aveva fatto realizzare nel palazzo arcivescovile. Come disegno preparatorio, secondo F. Lenzo (scheda Lenzo 2012), fu realizzata un'incisione dell'edificio da un architetto della cerchia di Colantonio Stigliola. Nel disegno, con fedeltà archeologica, veniva raffigurato l'edificio a tre ordini d'arcate, con solo il primo ordine esterno decorato con le chiavi di volta figurate. Altri disegni sangalleschi raffigurano le gradinate della cavea (oggi scomparse) con il particolare del suppedaneo, elemento che trova confronto con analoghi edifici d'età flavia e della media età imperiale (Tosi 1999, p. 19 s.; scheda de Divitiis 2012). L'edificio fu utilizzato come cava di materiali ma rimase sempre a vista, concepito come monumento, e per questo non fu inglobato in costruzioni moderne. Lo scavo sistematico avvenne tra il 1811 e il 1860 a fasi alterne. I materiali di risulta furono ammassati nelle aree perimetrali dell'edificio finché tra il 1935 e il 1940 fu ripulita l'intera area e aperta al pubblico attraverso diversi interventi volti alla valorizzazione del sito. | |
| Famiglie e persone | ||
| Descrizione | L'Anfiteatro Campano di Capua fu realizzato tra la fine del II e l'inizio del I sec. a.C. in opera cementizia con paramenti in opus incertum. Ubicato in posizione periferica rispetto alla città, nella zona nord-occidentale, non lontano dal cosiddetto "arco di Adriano", ingresso dell'Appia da Casilinum. Di questo grande edificio, uno dei primi che adotti la forma ellittica e il terrapieno, non rimane quasi nulla, se non alcuni muri in opera quasi-reticolata. Infatti nel I sec. d.C. l'edificio fu completamente raso al suolo per permettere la costruzione di un nuovo grandioso edificio. Conosciamo le fasi costruttive dell'anfiteatro grazie ad una iscrizione rinvenuta e ricomposta da Alessio Simmaco Mazzocchi, trovata presso l'ingresso meridionale nel 1726 (CIL X, 3832), già esposta nel seggio di Sant'Eligio, oggi al Museo Campano, la quale attesta che l'edificio fu costruito dalla città di Capua sul finire del I sec. d.C., l'imperatore Adriano vi aggiunse colonne e statue e infine fu dedicato dall'imperatore Antonino Pio. L'area non presentava edifici preesistenti poiché ci troviamo in una zona esterna rispetto alla città. Indagini eseguite tra il 1965 e il 1975 hanno invece testimoniato la presenza in quest'area di una necropoli databile tra VII e V sec. a.C. (Sampaolo 1997). L'arena presenta una pianta ellittica, di 167 x 137 m, con quattro ingressi, ognuno dei quali evidenziato da due colonne in cipollino sormontate da capitelli compositi, probabilmente articolate in forma di avancorpo, e un alzato che originariamente doveva comporsi di quattro ordini di 80 arcate ciascuno con semicolonne di tipo tuscanico addossate ai pilastri. Ad oggi purtroppo si conserva unicamente parte del primo ordine di arcate mentre del secondo mancano attestazioni delle parti superiori. Secondo Foresta (Foresta 2013, pp. 105-106) le tre file di arcate dovevano presentare la stessa altezza e le stesse dimensioni. Al di sopra del terzo ordine era presente probabilmente un attico a parete chiusa con finestre e feritoie. Tra le finestre delle mensole sporgenti erano utilizzate per mantenere le funi del velario, necessario per proteggere gli spettatori dal sole. A questa altezza doveva corrispondere all'interno la summa cavea, costituita da un portico colonnato. Le colonne erano in marmo cipollino, in origine 120, due di queste reimpiegate nel Duomo di Capua, con capitelli corinzi in marmo proconnesio, di epoca adrianea, i quali sostenevano cornici in marmo pavonazzetto (Pensabene 2005). Le murature sono realizzate in laterizio e blocchi parallelepipedi, cioè in opera quadrata, realizzati in travertino. All'esterno l'anfiteatro era recintato con transenne di legno abbellite con elementi metallici, alternati con cippi calcarei (come per l’anfiteatro di Nola) con personificazioni mitiche come Ercole e Silvano (quest'ultimo conservato ancora in situ all'ingresso). L'interno dell'edificio era articolato in ima, media e summa cavea, divisioni orizzontali basate su criteri di tipo sociale. L'ima cavea era separata dall'arena tramite un parapetto ornato in marmi policromi, sul quale erano presenti colonnine utilizzate per sostenere una rete di protezione per gli spettatori. | |
| Iscrizioni | Nel settembre del 1726 ‘scavandosi le pietre presso la Porta grande Meridionale per l’uso consueto di lastricar le strade’ tornò in luce l’iscrizione posta su uno degli ingressi e oggi visibile nel giardino del museo provinciale campano, che ha consentito in passato una datazione del primitivo complesso in età giulio-claudia e un successivo rifacimento in età adrianea-antonina. Una recente rilettura del testo epigrafico suggerisce una sua costruzione in epoca flavia e un successivo restauro adrianeo. [Colonia Iu]lia Felix Aug[usta Capua] fecit. [Divus Hadr]ianus Aug[ustus restituit]; [imagines e]t columnas ad[di curavit]. [Imp. Caes.T. Ael]ius Hadrianu[s Antoninus] [Aug.] Pius dedicavi[t | |
| Apparato decorativo | Chiavi di arco figurate con protomi di divinità, di diverse dimensioni. Già il de Franciscis aveva ipotizzato che le chiavi si dividessero in tre categorie: la prima costituita da divinità di eguale dimensione, la seconda dalle protomi di Apollo e Diana e infine la terza dalle maschere. Ad ogni categoria corrispondeva un ordine di arcate (de Franciscis 1950, p. 154, sostanzialmente della stessa opinione sono anche Tran Tam Tinh 1972, p. 40 ss. e Bomgardner 2000, pp. 95-96). Questa lettura diverge sostanzialmente rispetto alla tradizione antiquaria che vedeva unicamente il primo ordine di arcate munito di tali decorazioni. Sulla base del recente studio di Simone Foresta (Foresta 2013), le chiavi d'arco superstiti possono dividersi in tre gruppi: il primo è caratterizzato da un'altezza dei conci stimabile in 1 m e da una mensola che chiude inferiormente la protome. Di questo gruppo fanno parte le protomi di Mitra/Attis, di protome maschile già in Palazzo Cagli, di divinità diademata al Museo dei Gladiatori, di Volturno al Museo Campano, della testa virile imberbe conservata in Palazzo Rinaldi-Campanino, di Giove Ammone e Mercurio murati presso il Palazzo dei Giudici, insieme con la testa maschile murata come chiave d'arco del portale di ingresso e infine la protome di Iside ritrovata a Napoli. A queste sono da aggiungere la protome attestata dal disegno di Bossi raffigurante Apollo radiato e il busto virile con clamide dell'Anfiteatro Campano, oltre alle due protomi femminili ancora in situ. Il secondo gruppo è caratterizzato da un'altezza massima di 71 cm ed è attestato dalla testa di Diana, murata presso il campanile del Duomo, e dalla testa di Apollo, murata sulla facciata del Palazzo dei Giudici. Il terzo gruppo è di dimensioni simili comprende le teste satiresche e le maschere. I secondo e il terzo gruppo presentano, inoltre, una decorazione dei conci differente al primo gruppo. Secondo Foresta, sulla base di studi architettonici, le arcate degli ordini superiori sono perfettamente identiche a quelle dell'ordine inferiore e si può calcore che i conci delle arcate di tutti gli ordini misurassero 1 m. Ne risulta pertanto che nell'Anfiteatro Campano fossero decorate unicamente le chiavi d'arco del primo ordine. Se è inconfutabilmente attribuibile il primo gruppo di protomi alle arcate del primo ordine dell'Anfiteatro Campano resta da chiarire invece la provenienza del secondo e terzo gruppo, che secondo Foresta potrebbero essere stati spoliati dal teatro, di cui è stata verificata una riedificazione in età adrianea. Capitelli corinzi; dorici; fusti in cipollino; un cippo con il rilievo di Silvano; transenne figurate con soggetti mitici o scene di sacrificio. | |
| Note | ||
| Fonti iconografiche | La prima attestazione iconografica dell'anfiteatro è costituita dalla pianta dell'antica città di Capua, voluta dall'Arcivescovo Cesare Costa nel 1595. Giovan Battista Pacichelli pubblica una veduta d'uccello dell'Anfiteatro. | |
| Piante e rilievi | Rilievi accurati al fine di una ricostruzione del monumento furono operati da Alessio Simmaco Mazzocchi (Mazzocchi 1727) e da Francesco Alvino (Alvino 1842). | |
| Fonti e documenti | Nel Rinascimento l'anfiteatro campano fu oggetto di grande interesse da parte di poeti e antiquari del Regno, a partire da un epigramma di Jacopo Sannazaro (II 35) che inaugurò un felice filone di epigrammi e sonetti, produttivo per tutta l'età moderna. Con questo genere di composizioni si cimentarono anche vari poeti capuani del XVI secolo, come Girolamo Aquino e Giovan Battista Attendolo, del quale di recente sono stati rinvenuti due sonetti inediti, uno dedicato all'anfiteatro, l'altro al criptoportico (edizione in Miletti 2012, con status quaestionis). | |
| Bibliografia | Alvino 1842: F. Alvino, Anfiteatro Campano illustrato e restaurato da Francesco Alvino, Napoli 1842.
Bomgardner 2000: D.L. Bomgardner, The Story of the Roman Amphiteatre, London-New York. 2000.
Chioffi 2000: L. Chioffi, “Chi ha costruito l'Anfiteatro Campano?”, Orizzonti, 1, 2000, 67-82Cecere, Renda 2012: I. Cecere, G. Renda, “Immagini dell'Anfiteatro Campano fra arte e archeologia: disegni, vedute e incisioni del Settecento e dell'Ottocento”, Orizzonti, 13, 2012, pp. 83-100.
Chioffi 2001: L. Chioffi, “Ancora sull'epigrafe dell'Anfiteatro Campano”, Orizzonti, 2, 2001, pp. 159-164.
de Franciscis 1950: A. de Franciscis, “Nuove chiavi d'arco dell'Anfiteatro Campano”, BdA 35, 1950, 153-155.
Foresta 2013: Simone Foresta, “Lo sguardo degli dei. Osservazioni sulla decorazione architettonica dell'Anfiteatro Campano”, Rivista dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte, 30-31, 2007-2008 (2013), pp. 93-113.
Grassi 2000: B. Grassi, “L'Anfiteatro Campano”, in Guida all'antica Capua, S. Maria Capua Vetere 2000, pp. 22-26.
Giuliani 2001: C.F. Giuliani, “Alcune osservazioni in margine all'Anfiteatro Campano”, in Beni culturali e Terra di Lavoro. Prospettive di ricerca e metodi di valorizzazione (Atti del Convegno, S. Maria Capua Vetere, 9-10 dicembre 1998), Napoli 2001, 33-40.
Legrottaglie 2008: G. Legrottaglie, Il sistema delle immagini negli anfiteatri romani, Bari 2008.
Mazzocchi 1727: Mazzocchi 1727: Alexii Symmachi Mazochi Metropolitanae Ecclesiae Campanae Canonici Theologi In Mutilum Campani Amphitheatri Titulum aliasque nonnullas Campanas inscriptiones commentarius, Neapoli, ex typographia Felicis Muscae, 1727.
Miletti 2012: Lorenzo Miletti, “L’anfiteatro e il criptoportico di Capua nell’antiquaria del cinquecento. Due sonetti inediti di Giovan Battista Attendolo”, La parola del Passato, 67, 2012 [2014], 134-148.
Palmentieri 2010: A. Palmentieri, “Note e discussioni: su una chiave d’arco figurata dell’anfiteatro campano”, Napoli Nobilissima, 6, 1, 2010, 60-65.
Pensabene 2005: P. Pensabene, “Marmi e committenza negli edifici di spettacolo in Campania”, Marmora, 1, 2005, p. 123-127.
Pesce 1941: G. Pesce, I rilievi dell’anfiteatro campano, Roma 1941.
Sampaolo 1997: V. Sampaolo, “L'Anfiteatro Campano”, in L. Spina, L'Anfiteatro Campano di Capua, Napoli 1997, 13-22.
Sampaolo 1999: V. Sampaolo, “Organizzazione dello spazio urbano e di quello extraurbano a Capua”, in ATTA, V, 1999, 139-146 tav. I.
Tosi 1999: G. Tosi, Teatri e anfiteatri dell’Italia romana nella tradizione grafica rinascimentale: commento archeologico, Padova 1999, 19-20
Tran Tam Tinh 1972: V. Tran Tam Tinh, Le culte des divinités orientales en Campanie en dehors de Pompei, de Stabies et d’Herculanum, Leiden, 1972.
Tuck 2007: S. L. Tuck, “Spectacle and ideology in the relief decorations of the Anfiteatro Campano at Capua”, JRA, 20 2007, pp. 255-272. | |
| Link esterni | ||
| Schedatore | Angela Palmentieri, Luca Di Franco | |
| Data di compilazione | 08/06/2012 15:11:34 | |
| Data ultima revisione | 22/11/2016 13:30:08 | |
| Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Monumento Archeologico/7 |