NomeBaronissi
TipoCittà
Luogo superioreCAMPANIA
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Luogo/90
OggettoBaronissi, convento della Trinità
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (esistenti)
Nome attualeConvento della Trinità
Immagine
Nomi antichi

Conventus Sanctissimae Trinitatis Sabae Terrae Sancti Severini

Cronologia

1449: i francescani Osservanti risultano già residenti a Baronissi. L'insediamento della comunità lascia presumere che esistesse già anche il convento.

1532: un incendio danneggia gravemente il complesso. La chiesa non dovette essere distrutta, poiché vi sono tuttora presenti monumenti funebri antecedenti a tale data e che non mostrano segni di danneggiamento.

1582: ancora in corso lavori di ricostruzione del convento.

1594: gli Osservanti cedono il complesso ai Riformati.

1621: annesso al convento è attestata la presenza di un lanificio.

1644: nuove opere di rifacimento del complesso.

1660: conclusione dei lavori.

1681: costruzione del nuovo refettorio.

1719: si avvia la costruzione di una nuova infermeria.

1724: la costruzione dell'infermeria è portata a compimento.

Autore
Committente
Famiglie e persone

Jacopo Gayano

Giulio Sanbarbato

Descrizione
Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego

Il chiostro del convento, a pianta quadrata, è delimitato da un ambulacro con sedici arcate a tutto sesto in piperno, poggianti su altrettante colonne antiche, di cui la maggior parte in marmo proconnesio, altre in cipollino e una in granito rosso egiziano. Sulle colonne sono capitelli di varie epoche, alcuni romani, altri apparentemente altomedievali e due particolarmente raffinati del XIII-XIII secolo.

Opere d'arte medievali e moderne

Lastra funeraria di Giulio di Sanbarbato (1462)

Monumento funebre di Jacopo Gayano (1512)

Pala dell'Immacolata di Teodoro d'Errico

Storia e trasformazioni
Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Cosimato 1969: Donato Cosimato, "Il convento della SS. Trinità di Baronissi", Raccolta Storica dei Comuni, I, 1969, 73-76.

 

Pergamo 1958-1959: Arcangelo Pergamo, "Il convento della Santissima Trinità di Baronissi", Rassegna storica Salernitana, XIX, 1958, 101-141; XX, 1959, 123-174.

 

Raspi Serra 1981: Joselita Raspi Serra, "L'architettura degli ordini mendicanti nel Principato Salernitano", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 93, 1981, 605-681.

Link esterni
SchedatoreFulvio Lenzo
Data di compilazione01/12/2012 13:29:22
Data ultima revisione05/11/2016 23:40:58
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/147
OggettoBaronissi, Chiesa della Trinità, monumento funebre di Jacopo de Gayano
Materialemarmo bianco e pietra serena
Dimensioni
Cronologia1506-1512
Autore
Descrizione

Il monumento funebre di Jacopo Gaiano (o alla latina de Gayano) si trova nella cappella a sinistra del coro della chiesa del convento della Trinità di Baronissi.

 

Su di un alto basamento in marmo bianco, che reca una bella epigrafe latina, è posto il sarcofago (decorato con cherubini) di fattura non eccellente, sul quale riposa il gisant del giureconsulto Jacopo de Gayano, sempre in marmo bianco. Sul basamento insiste anche una grande cornice con pilastrini, trabeazione con cherubini ed acroterio, che ha la particolarità di essere realizzata in una pietra arenaria scura, che ha tutta l'aria d'essere pietra serena (non sono state fatte indagini scientifiche specifiche, ma dalla visione diretta ciò si può affermare con un buon margine di probabilità). Il fondo della camera funeraria non è decorato, ma in origine doveva presumibilmente prevedere un'immagine sacra forse ad affresco o forse a rilievo.

L'iscrizione è ambigua. E' datata 12 luglio 1512, e pare informarci che Jacopo aveva commissionato quest'opera ma anche che morì in mediam aetatem.

Si tratta, è bene dirlo subito, di un sepolcro eccezionale nel panorana della produzione campana che non ha ricevuto attenzione bibliografica. Una sola nota di Abbate (1992, 66, nota) ne ha messo in evidenza il modello di ascendenza romana. Effettivamente la cornice si presta a fitti confronti tipologici con la cultura bregnesca, ma non si può negare l'assoluta novità della pietra serena, diffusa per lo più in Toscana. Inoltre, da una ravvicinata analisi stilistica parrebbe lecito dividere il lavoro complessivo tra due mani: una apparentemente toscana che fornì la cornice, e una sicuramente lombarda che scolpì il basamento e il gisant. 

I cherubini del fregio infatti denunciano un tipico fare toscano, con le loro guance carnose, i bozzi degli zigomi e del doppiomento, così come toscana pare l'esecuzione delle candelabre sui pilastri.

Le parti in marmo bianco, invece, sono vicinissime alla migliore produzione del lombardo Tommaso Malvito, attivo a Napoli sul finire del '400 sino alla sua morte, avvenuta probabilmente a ridosso del 1508. Mi riferisco in particolar modo al motivo dei libri aperti, che richiama direttamente il Succorpo della Cattedrale di Napoli, e allo stile del gisant, il cui profilo è un bellissimo esempio di ritrattistica napoletana dell'epoca ma la cui veste ripropone quella soluzione rigidamente plissettata a fisarmonica tipica dei lombardi e di Malvito in particolare.

Se la data 1512 è da confermare saremmo fuori tempo massimo per l'attività dello scultore comasco, morto probabilmente da quasi un lustro. Ma un negletto appiglio documentario ci spinge a spostare la commissione a qualche anno prima.

In un articolo del 1967 Costantino Nappo, per dimostrare l'esistenza del convento già a inizio '500, pubblicò un atto notarile del 5 settembre 1506 col quale Jacopo Gayano e altri componenti della sua famiglia stipulavano un accordo col convento per restaurare e prendere possesso della cappella di fianco al coro, dove tutt'oggi si trova il monumento di Jacopo. Nel rogito si fa riferimento già alla possibilità di creare due "cantari", ossia sepolture, uno più sontuoso dell'altro. Se nel 1506 Jacopo già metteva nero su bianco la sua volontà di costruire un monumento sontuoso e l'epitaffio ci suggerisce, seppur in maniera velata, che fu lui stesso a curarne la commissione - anche se forse non la totale messa in opera -, sarà possibile arretrare quasi di un lustro l'allogagione dell'opera. In tal caso la Tomba Gayano di Baronissi potrebbe essere una delle ultime realizzazioni di Tommaso Malvito (e della sua bottega) prima della sua morte. La sopravvenuta scomparsa dello scultore potrebbe altresì spiegare la mano di un altro artista nella cornice in pietra. Tali ipotesi, pur plausibili, restano da avvalorare con ulteriori indagini. Più difficile invece è comprendere il perché della scelta della pietra serena, una motivazione solo debolmente legata a ragioni economiche, essendo molto dispendioso il trasporto dei materiali e rappresentando questo caso un unicum nel complesso della scultura cinquecentesca campana.

Immagine
CommittenteJacopo de Gayano
Famiglie e persone

Giovan Ferrando de Gayano

Ettore de Gayano

Alessandro de Gayano

Abate "Carolo" (del convento della Trinità?)

Frate Ciccio

Iscrizioni

"Iacobus de Gayano utri(usque) jur(is) / doctor non minus ingenio / quam origine nobilis eaque propter ad regia olim munera / ascitus vix mediam aetatem / p(er) agens corpus huic saxi / caelo animam dicavit / anno d(omi)ni MCCCCCXII / XII mensis Iulii".


Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti

Archivio di Stato di Avellino, busta 16056, notaio Ambrogio de Vivo (5 settembre 1506), cc. 1v-2r; da Nappo 1967, 148-149:

Conventio inter magnificum dominum Iacobum de Gayano et fratres ex una, et dominum Ethorem et Alexandrum de Gayano ex altera.


Die quinta mensis septembris Xae indictionis 1506, apud Forum Sancti Sanseverini. Nos Confortus de Vivo de Sancto Sanseverino et ipsius terrae annalis literatus iudex, Ambrosius De Vivo etc. et testes subscripti, vide licet Io. Iacobus de Vivo de Tramonto, dominus Bartholomeus Maniscalcus, Carolus Dopnadedus [?].

Coram nobis personaliter constitutis magnificis domino Iacobo abate Carolo, Cicheo [Cicho] et Io. Ferrando de Gayano, agentibus pro seipsis et corum heredibus et successoribus, ex una parte; et magnificis domino Ethore et domino Alexandro de Gayano, agentibus pro seipsis et corum heredibus et successoribus, ex parte altera. 

Dicti vero dominus Ethor et dominus Alexander sponte coram nobis asseruerunt habere, tenere et possidere quamdam cappellam inceptam in capite navis sinistre venerabilis ecclesie Trinitatis de Monticello iuxta tribunam magni altaris dicte ecclesie, et iuxta cortilium ipsius ecclesie, et iuxta alia bona ipsius ecclesie francam etc. Quam quidem cappellam ut supra sitam et positam affectantes ipsi dominus Ethor et dominus Alexander in communionem ponere cum supradictis domino Iacobo et fratribus ea de re sponte sicut eis placuit precibus dictorum domini Iacobi et fratrum, et ex gratia et equitate supradicti dominus Ethor et Alexander coram nobis ex nunc in antea et in perpetuum agregagaverunt et posuerunt supradictos dominum Iacobum et fratrem Cichum, abatem Carolum et Ioannem Ferdinandum presentes pro seipsis et eorum heredibus et successoribus tantum ex eorum corporibus descendentibus in partem, agregationem et unionem et comunionem in dicta cappella ea vide licet racione etc. 

Quod dicta cappella sit et esse debeat ex nunc in antea et in perpetuum pro communi et indiviso inter ipsas partes ut supra stipulantes, videlicet inter dictum dominum Ethorem et dominum Alexandrum et eorum heredes et successores et prefatos dominum Iacobum, abatem Carolum, fratrem Cichum et Io. Ferantem et eorum heredes et successores dumtaxat cum infrascriptis pactis et convectionibus, videlicet quod dicti dominus Iacobus et fraters et eorum heredes teneantur et debeant complere, facere et edificare dictam cappellam de fabrica [...] eorum sumptibus […] et expensis, pacto etiam expresso et sollemniter stipulato quod in dicta cappella si possano fare due cantari uno più sumptuoso de l’altro, in lo quale cantaro più sumptuoso si possano e debiano ponere et seppellire cavalieri de speruni et de sciencia tantum, et in lo altro si debiano seppellire li altri di detta casa; et che non ce possa hereditare femena; et che non since possa fare titulo particulare in dicta cappella, nemeno epitaffio nisi communiter excepto in lo monimento che since facesse. Quae omina partes ipse promiserunt habere rata etc. non contravenire etc. Pro quibus omnibus observandis dicte partes una super altera etc., obligaverunt se etc. ad penam unciarum quinquaginta etc. renuntiaverunt etc. Fiant sollemnitates.

Bibliografia

Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992.

 

Nappo 1967: Costantino Nappo, "Il Convento francescano della SS. Trinità di Baronissi deriva dall'omonima casa verginiana di Sava?", Rassegna storica salernitana, 28, 1967, 143-150.

Allegati
Link esterni
SchedatoreFernando Loffredo
Data di compilazione01/12/2012 13:51:20
Data ultima revisione02/01/2019 18:10:03
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/94
OggettoBaronissi, Chiesa della Trinità, tavola dell'Immacolata
Materialeolio su tavola
Dimensioni
Cronologia
AutoreTeodoro d'Errico
Descrizione

La tavola, di notevoli dimensioni, è conservata nella chiesa del convento francescano della Trinità di Baronissi, oggi sull'altare maggiore, ma originariamente era ubicata sulll'altare dell'omonima cappella a destra dell'abside, già di ius patronato "della comune", come segnala un inventario napoleonico del 22 giugno 1811 (Avino 2003, 29)

Si tratta di un'opera di Teodoro d'Errico e gli ultimi restauri ne hanno messo in luce l'eccezionale qualità, precedentemente inficiata da un massiccio intervento del 1751 di un pittore siglato "I.B.C", in particolar modo sulla figura della Vergine. Ciò aveva indotto Vargas (1988, 123-125, e 128, nota 6, con bibliografia precedente) ad ascrivere a Teodoro i soli pennacchi e la cimasa, ma giustamente Leone de Castris (1991, 30, nota 28) ha restituito in pieno la tavola all'artista avvicinandola possibilmente a un contratto del 1591 (pubblicato da Vargas 1988, nell'appendice documentaria a cura di Antonio Delfino, 160, n. 10) per un'Immacolata con santi francescani commissionata dall'abbate "Hieronimo Marenda canonico aversano".

Immagine
Committente
Famiglie e persone
Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Avino 2003: Luigi Avino, Gli inventari napoleonici delle opere d'arte del Salernitano, Baronissi 2003.

 

Leone de Castris 1991: Pier Luigi Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1573-1606 l'ultima maniera, Napoli 1991.

 

Vargas 1988: Carmela Vargas, Teodoro d'Errico: la maniera fiamminga nel Viceregno, Napoli 1988.

Allegati
Link esterni
SchedatoreFernando Loffredo
Data di compilazione08/01/2013 18:06:28
Data ultima revisione02/01/2019 18:10:58
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/148
OggettoBaronissi, Chiesa della Trinità, tomba di Giulio Sanbarbato
Materialepietra calcarea
Dimensioni
Cronologia1462
Autore
Descrizione

La lapide funeraria si trova attualmente murata nel pavimento della chiesa del convento della Trinità, davanti al pilastro della prima cappella di destra della navata. La lastra mostra il defunto giacente, in armatura con spada al finaco e capo poggiato su un cuscino.

Immagine
Committente
Famiglie e persone

Giulio Sanbarbato

Iscrizioni

"IVLIVS EGREGIVS MILES IACET IN TVMVLO QVO FVERAT NVLL[VS] / [...] PRAESTANTIOR ARMIS / DE SANCTO BARBATO COGNOMEN ILLI FVIT QVI OBIIT A.D. MCCCCLXII".

Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia
Allegati
Link esterni
SchedatoreFulvio Lenzo
Data di compilazione01/12/2012 13:49:14
Data ultima revisione02/01/2019 18:11:34
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/93