Nome | Venosa | |
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Tipo | Città | |
Luogo superiore | BASILICATA | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Luogo/81 |
Oggetto | Venosa, Piano della SS.ma Trinità | |
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Collocazione | Napoli, Archivio di Stato, Cassa di ammortizzazione, vol. 3510 | |
Immagine | ![]() ![]() | |
Materiali e tecniche | penna, inchiostro e acquerellatura | |
Dimensioni | ||
Cronologia | 1744 | |
Autore | Angelantonio Monaco, Giuseppe Pinto | |
Soggetto | Venosa, Santissima Trinità | |
Descrizione | Il disegno riproduce il territorio sottoposto all'abbazia della Trinità di Venosa. | |
Iscrizioni | "Piano della SS.ma Trinità" | |
Famiglie e persone | ||
Note | ||
Riproduzioni | Emilio Ricciardi, Chiese e commende dell’Ordine di Malta in Campania, testo on line su FEDOA. Ricciardi 2009, 115, fig. 5. | |
Fonti e documenti | Ricciardi (2009, p. 96) segnala che la copia integrale del volume oggi all'archivio di Stato di Napoli si trova a Roma, Biblioteca del Gran Magistero, Cabrei, 30, mentre piante e disegni si trovano anche a Potenza, Archivio di Stato, Raccolta cartografica di agrimensori venosini, serie I, vol. 1. | |
Bibliografia | Ricciardi 2009: Emilio Ricciardi, “Il baliaggio della Trinità di Venosa tra Seicento e Settecento”, Archivio Storico per le Province Napoletane, 127, 2009, 93-120. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fulvio Lenzo | |
Data di compilazione | 01/03/2013 14:23:51 | |
Data ultima revisione | 21/02/2017 00:27:56 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Disegno/69 |
Oggetto | Venosa, Santissima Trinità | |
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Collocazione | Napoli, Archivio di Stato, Cassa Ammortizzazione, 3510 | |
Immagine | ![]() ![]() | |
Materiali e tecniche | penna e inchiostro su carta | |
Dimensioni | ||
Cronologia | 1744 | |
Autore | Angelantonio Monaco, Giuseppe Pinto | |
Soggetto | Venosa, Santissima Trinità | |
Descrizione | Il disegno riproduce la pianta della chiesa vecchia della Trinità di Venosa. | |
Iscrizioni | ||
Famiglie e persone | ||
Note | ||
Riproduzioni | Emilio Ricciardi, Chiese e commende dell’Ordine di Malta in Campania, testo on line su FEDOA. Ricciardi 2009, 116, fig. 6. | |
Fonti e documenti | Ricciardi (2009, 96) segnala che la copia integrale del volume oggi all'archivio di Stato di Napoli si trova a Roma, Biblioteca del Gran Magistero, Cabrei, 30, mentre piante e disegni si trovano anche a Potenza, Archivio di Stato, Raccolta cartografica di agrimensori venosini, serie I, vol. 1. | |
Bibliografia | Ricciardi 2009: Emilio Ricciardi, “Il baliaggio della Trinità di Venosa tra Seicento e Settecento”, Archivio Storico per le Province Napoletane, 127, 2009, 93-120. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fulvio Lenzo | |
Data di compilazione | 01/03/2013 14:11:34 | |
Data ultima revisione | 21/02/2017 00:29:58 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Disegno/64 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità | |
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Tipologia | abbazia | |
Nome attuale | ||
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | V-VI secolo: fondazione della basilica, all'epoca sede vescovile. 1043-1053: il conte Drogone (Dreux de Hauteville) promuove lavori nella chiesa paleocristiana e vi istituisce un cenobio benedettino. 1059: papa Niccolò II consacra la chiesa. 1066-1085: inizio dei lavori di costruzione dell'Incompiuta. L'iniziativa sarebbe da attribuire alla collaborazione fra l'abate Berengario (1066-1094) con il normanno Roberto il Guiscardo (+1085). 1069: Roberto il Guiscardo dona all'abbazia la chiesa di San Pietro di Oliveto. La chiesa viene scelta come pantheon della dinastia, e Ruggero vi fa seppellire i fratelli Guglielmo "braccio di ferro", Drogone e Umfredo. 1074: nuova donazione da parte del Guiscardo, che assicura all'abbazia metà delle rendite dell'intera città. 1086: il nuovo duca Ruggero Borsa concede all'abbazia cospicue rendite in Calabria settentrionale. 1088: Ruggero Borsa concede metà delle rendite di Ascoli Satriano. 1194: i lavori di costruzione si arrestano. 1210: ripresa dei lavori all'Incompiuta. 1220 circa: definitivo abbandono del primo grandioso progetto. I lavori all'Incompiuta si fermano e alla fine si opta per la costruzione di una chiesa più piccola che occupa la prima porzione della navata. 1270: si avviano importanti lavori alla chiesa anteriore. 1287: realizzazione del portale della chiesa anteriore (firmato e datato). 1297: il monastero passa dai benedettini agli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme. | |
Autore | ||
Committente | Roberto il Guiscardo e abate Berengario | |
Famiglie e persone | ||
Descrizione | Il complesso monumentale della Santissima Trinità di Venosa è costituito da una chiesa paleocristiana ampiamente rimaneggiata nell’XI secolo e nel XIII secolo e poi ancora nel corso del Cinquecento, da una seconda, e più grande chiesa fondata ex novo entro la fine dello stesso XI secolo, meglio nota come l’Incompiuta, ed infine dal cosiddetto palazzo abbaziale con il notevole loggiato. Per quest’ultimo, il cui nucleo originario potrebbe datarsi all’epoca longobarda, Michelangelo Cagiano de Azevedo (1979) ha proposto la funzione di foresteria, unica traccia degli edifici conventuali. Il suggestivo e imponente rudere dell’Incompiuta è addossato, lungo il medesimo asse est-ovest, alla chiesa paleocristiana divenuta nell’XI secolo cenobio benedettino. La fabbrica, il cui impianto planimetrico è quello basilicale a tre navate, si caratterizza per il presbiterio articolato in una profonda abside con deambulatorio che si apre in tre cappelle radiali. Tale assetto dell’area presbiteriale, la quale s’innesta in un transetto sporgente e a sua volta absidato, testimonia una chiara radice franco-normanna, che la basilica venusina condivide con le più tarde cattedrali di Aversa e di Acerenza (la prima dotata, in origine, di cinque cappelle radiali, la seconda, proprio come a Venosa, di tre). Sulla crociera avrebbe dovuto svettare un alto tiburio, e due torri scalari si sarebbero dovute trovare nei punti di saldatura tra transetto e deambulatorio. All’esterno i volumi piani schiettamente romanici acquistano plasticità grazie agli archetti pensili di coronamento e alle lesene che scandiscono i muri d’ambito. | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | Incompiuta: - albo gladiatorio CIL IX 465; - albo gladiatorio CIL IX 466; - iscrizione, CIL IX 453 1, 10, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9; - iscrizione CIL IX 454 2,3,6,4,50; - blocchi con singole lettere alveolate; - iscrizione, CIL IX 453, 11 + 455, 1; - leone di sinistra del protiro; - leone di destra del protiro; - rilievo funerario con quattro personaggi reimpiegato nel portalino del transetto; - rilievo con personaggi, CIL IX 477.
Complesso della Trinità o Chiesa Vecchia: - due capitelli di tipo composito; - capitello corinzio rilavorato;
Loggiato della c.d. Foresteria: | |
Opere d'arte medievali e moderne | Abbazia della Trinità:
Incompiuta: Protiro del portale del braccio sinistro del transetto. | |
Storia e trasformazioni | In merito alla chiesa “vecchia”, le notizie più antiche si trovano in un passaggio del Chronicon Cavense, nel quale si afferma che il monastero fu fondato nel 942 su iniziativa di Gisulfo I principe di Salerno, sebbene Houben (1995, 135-136), abbia smentito l’attendibilità del Chronicon. Attestazione documentaria certa è, invece, la donazione fatta da Drogone d’Altavilla nel 1043, vale a dire appena questi ebbe preso controllo della città di Venosa: da tale donazione sappiamo che a quell’epoca il cenobio della Santissima Trinità esisteva già e che la comunità aveva preso possesso dell’antica basilica sorta nel tardo VI secolo sui ruderi di un quartiere residenziale sito nel settore nord-orientale della città imperiale e tardo antica, a ridosso del decumano corrispondente al tracciato urbano della via Appia (Salvatore 1986). Rimasta cattedrale della città fino al 1059, a partire da quella data una bolla di papa Niccolò II ne sancì la trasformazione in chiesa abbaziale. Il documento, datato 25 agosto 1059, cita espressamente il conte di Puglia Drogone quale promotore di una vera e propria rifondazione. Gli interventi di Drogone, divenuto conte di Puglia nel 1046, devono dunque collocarsi tra il 1043 ed il 1051, anno della morte dell’Altavilla. Di tali lavori restano due testimonianze: una lapide, esistente fino al XVII secolo e riportata nella Cronaca di Jacopo Cenna (Cenna [ed. Pinto 1902]), e un’iscrizione incisa nella tomba di Roberto il Guiscardo e dei suoi fratelli in occasione del rifacimento cinquecentesco del sepolcro ad opera dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Al 1059 sono testimoniati, sempre grazie alla lapide trascritta dal Cenna, ulteriori lavori, forse di completamento di quelli avviati da Drogone, o di ampliamento, verosimilmente iniziati dall’abate Ingilberto, in carica già dal 1053. Potrebbe collocarsi a quest’epoca l’interessamento del Guiscardo, sebbene le sue donazioni in favore del monastero non precedano il 1057. Col tramonto della potenza normanna iniziò un periodo di declino per l’abbazia, che nel 1194, per volere dell’imperatore Enrico VI, finì nell’orbita di Montecassino. I lavori all’Incompiuta furono comunque ripresi intorno al 1210, sebbene arrestati definitivamente una decina d’anni più tardi. Solo durante la seconda metà del XIII secolo, in concomitanza con l’ascesa degli Angioini, vi fu una ripresa dei lavori al complesso abbaziale, ma questa volta gli interventi furono mirati alla chiesa “vecchia”, ovvero alla chiesa anteriore. Rinnovato tra il 1270 ed il 1290, l’edificio passò definitivamente dai benedettini agli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme: tale cambio fu legittimamente sancito dalla bolla di papa Bonifacio VIII (1297). La chiesa anteriore reca le tracce dei numerosi interventi susseguitisi nel corso dei secoli. All’ingresso, sul lato occidentale, vi è addossato un atrio che, sulla destra, conduce all’edificio abbaziale, ospitante al piano superiore una piccola cappella romanica dotata di pianta rettangolare e terminante con un’absidiola (Bordenache 1937). L’atrio è databile al 1070-80, e vi si accede dalla porta sinistra della fronte, sulla quale compare lo stemma del balì Antonio Peletta, che ne promosse i lavori di restauro. Oltrepassato l’atrio, ci si ritrova in un ambiente, un portico ad arcate con loggetta soprastante, per l’erezione del quale si è ricorso ad un cospicuo impiego di pezzi di spoglio. Secondo Bozzoni, esso, progettato forse per accogliere i sepolcri ducali, rimase incompiuto o fu distrutto parzialmente da un sisma. Nella loggia, le colonnine reggenti le arcatelle poggiano su elementi quadrati, tra cui si distinguono un cippo e due sostegni recanti figure antropomorfe. Metope e triglifi compaiono invece nel fregio sottostante. L’interno è suddiviso in tre navate separate da una duplice serie di pilastri e concluse da una sola abside semicircolare. La pianta attuale ricalca in parte quella della precedente basilica paleocristiana, anch’essa divisa in tre navate da due sequenze di pilastri collegati tra di loro da archi a tutto sesto, e dotata di transetto non sporgente terminante in un’abside. L’area del transetto ed una piccola porzione della navata erano occupate dalla schola cantorum; due colonne monolitiche di cipollino, tuttora in situ, reggevano l’arco trionfale, la cui spinta era contrastata da due archi delle navate minori anch’essi aperti nel presbiterio. Intorno all’abside correva un deambulatorio della stessa larghezza dell’intera chiesa ed il cui accesso era garantito da due porte ricavate nel muro di fondo delle due navate laterali, nonché da ben otto porte aperte nell’abside, e successivamente tamponate per la metà inferiore in modo da ricavare le finestre attuali. Una ricca decorazione musiva abbelliva la chiesa paleocristiana: in particolare, i pavimenti del deambulatorio, della schola cantorum, del transetto e della navata centrale erano caratterizzati da motivi geometrici o figurati, ancora visibili qua e là, mentre i pavimenti delle navatelle erano in mattoni di cotto sistemati a spina di pesce. In occasione dei lavori di epoca angioina (1270-90) fu dato un nuovo assetto al presbiterio, che si dotò di arconi longitudinali a sesto acuto, e alla cripta. All’interno di questo ambiente ipogeo furono trasferite le reliquie dei Santi Martiri e il corpo di Sant’Atanasio, riscoperti nel corso dei lavori di riammodernamento del 1791. La cripta è costituita da un vano rettangolare cui si accedeva da due rampe di scale parallele ai muri del transetto. Il portale d’accesso alla chiesa è ad oggi l’unica testimonianza dell’attività del maestro Palmerio, il cui nome, assieme alla data 1287 e all’abate dell’epoca Barnaba, compare nell’iscrizione incisa nel listello esterno del timpano. | |
Note | La determinazione della cronologia dell’Incompiuta, ossia di quella che viene comunemente definita la chiesa “nuova”, si attesta come il tema più discusso dalla cospicua bibliografia sul complesso abbaziale. Per riassumere, le principali posizioni emerse nel corso del lungo dibattito critico sono due: la prima, che ha visto nell’Incompiuta una tra le più precoci testimonianze della cultura figurativa normanna nel Meridione d’Italia, da datarsi certamente entro lo scadere dell’XI secolo e da legare con forza alla committenza di Roberto il Guiscardo (Bordenache 1937; Bottari 1948; Id. 1953; D’Onofrio 1993; Id. 1994; Aceto 2007). La seconda, che ha posticipato al XII secolo l’erezione dell’edificio, ritenendo la fondazione all’XI secolo incompatibile con gli sviluppi architettonici transalpini (Schulz 1860; Bertaux 1904; Bozzoni 1979; Torrieto 1990; Urban 1994; Guadagno 1999). Le vicende legate all’Incompiuta non possono ad ogni modo prescindere dal confronto con le altre due fabbriche normanne sopra citate, vale a dire le cattedrali di Aversa e di Acerenza. Grazie all’attendibile cronista “Lupo protospatario”, sappiamo che la chiesa acheruntina fu integralmente ricostruita, a partire dal 1080, dall’arcivescovo Arnaldo (1068-1101) a seguito del ritrovamento delle spoglie del patrono san Canio, da sempre custodite nella chiesa preesistente. La Cattedrale di Aversa è invece legata alla committenza di Riccardo I (†1078), verosimilmente quando questi era già stato insignito del titolo di principe di Capua (1058), e sarebbe stata conclusa entro il 1090, anno di morte del figlio Giordano. Questi, assieme al padre, compare in veste di patrocinatore dell’impresa nell’epigrafe incisa sull’architrave del portale alla testata sinistra del transetto e recante appunto la data 1090. Anche grazie all’aspetto dichiaratamente transalpino, l’edificio aversano divenne ben presto il luogo interprete dell’identità etnica e culturale dei normanni, per i quali la città rappresentava l’avamposto di partenza dei cavalieri alla volta di conquiste militari nel sud Italia. In tale contesto appare evidente come la Trinità di Venosa costituisca il giusto antefatto alle due cattedrali. È questa la tesi proposta, da ultimo, da Francesco Aceto (2007), secondo il quale la conclamata e da più parti accettata alterità culturale delle tre fabbriche (Venosa, Aversa, Acerenza) si deve ad una specifica cerchia di committenti normanni, sia laici che religiosi, accomunati dai medesimi orientamenti politici e pronti a diffondere e a promuovere soluzioni artistiche che, se risultavano eccezionali nella Penisola, Oltralpe s’inserivano perfettamente entro una già sperimentata tradizione architettonica. Si deve dunque alla committenza di Roberto il Guiscardo e a Riccardo I Drengot la comparsa a Venosa, Aversa e Acerenza di simili soluzioni architettoniche di sicura provenienza franco-normanna. La Trinità, legata agli Altavilla almeno dal tempo della divisione della Puglia tra dodici conti normanni (1042), fu ancora di più al centro degli interessi della famiglia francese a partire dal 1069, quando Roberto il Guiscardo vi trasferì in una tomba le spoglie dei suoi due fratelli Guglielmo Braccio-di-ferro e Drogone, in aggiunta a quelle di Umfredo, altro fratello e predecessore del Guiscardo, e già da tempo sepolto a Venosa. Al 1070 si data l’arrivo nell’abbazia, guidata da Berengario, di un gruppo di monaci provenienti dal monastero di Saint-Evroul al seguito dell’abate Robert de Grandmesnil. Scelta dal Guiscardo quale sepolcreto della propria famiglia e adatta, in virtù dei continui richiami alle architetture transalpine, a rappresentare al meglio il legame della medesima famiglia con la terra d’origine, il destino dell’abbaziale di Venosa era segnato: alla morte di Roberto prima e di Berengario poi, essa fu letteralmente abbandonata, dopo una breve ripresa dei lavori all’inizio del Duecento. Il Guiscardo fu l’ultimo degli Altavilla ad esservi sepolto: la moglie Sicilgaita si fece seppellire a Montecassino; il fratello minore, Ruggiero (†1101) trovò sepoltura, insieme alla moglie Adelaide, in un sarcofago destinato alla Trinità di Mileto (Vibo Valentia) ed oggi custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli; il primogenito Boemondo, principe d’Antiochia (†1111), fu inumato in uno splendido mausoleo ancora oggi collocato presso la Cattedrale di Canosa. Se per le mura perimetrali, innalzate con largo utilizzo di materiali di spoglio recuperati nei vicini ruderi romani, si può parlare di una sostanziale omogeneità, lo stesso non può dirsi per la plastica architettonica del corpo longitudinale e per quella del deambulatorio, nettamente differenti tra di loro. In particolare, notevoli differenze si evidenziano tra le mensole della parete sud e i capitelli del colonnato da un lato, e quelli del deambulatorio dall’altro. Nel primo caso le affinità maggiori si riscontrano con esempi di scultura sveva prodotta in Capitanata, in particolare nella Cattedrale di Troia e nella Collegiata di Foggia; nel secondo caso molti paralleli possono farsi con fabbriche fondate con certezza entro l’XI secolo, tra cui quelle di Aversa, Carinola, Canosa e Brindisi. L’edificio non ha mai avuto alcuna copertura. La muratura delle pareti è costituita da un paramento di blocchi squadrati di pietra calcarea di varie dimensioni su corsi orizzontali regolari, ad esso saldati con poca malta. I fianchi sono estremamente austeri, scanditi dalle sole finestre ad arco; differisce tuttavia quello settentrionale, sul quale si addossano anche delle semicolonne, mentre la semplicità del lato meridionale si deve verosimilmente al fatto che esso fosse meno visibile all’esterno in quanto rivolto verso il convento. L’omogeneità del paramento murario s’interrompe soltanto sul fianco meridionale all’altezza del campanile a vela, aggiunta del XVI secolo. Sempre su questo lato si apre un portale, databile al 1300 circa, costituito da un arco a tutto sesto la cui chiave di volta è decorata dal simbolo dell’Agnus Dei, probabile riferimento ai Cavalieri di San Giovanni, promotori della decorazione del portale. Un altro ingresso alla chiesa si apre nel braccio sinistro del transetto, ed è costituito da un portale con protiro particolarmente interessante per il considerevole ricorso a materiale di spoglio. L’interno presenta un’unica fila di sostegni sul lato settentrionale, tra cui cinque colonne, un piliere all’incrocio del transetto e pilastri nell’area del coro. Le colonne poggiano su basi di tipo attico, e sono coronate da eleganti capitelli fogliati di ascendenza francese. Il colonnato è strettamente legato alle pareti d’ambito: a ciascuna colonna, infatti, corrisponde, sulla parete, un peduccio a mensola, decorato da un unico ordine di foglie nervate, e atto a sostenere gli archi trasversali della crociera previsti sopra la navata minore. Francesco Aceto ha individuato nella fabbrica due diverse fasi edilizie: la prima da collocare entro la fine dell’XI secolo, cui spetterebbero l’innalzamento dei muri d’ambito (fino ad una quota che oscilla dai 3,50 metri della navata ai 7,50 dell’area absidale) e l’erezione del colonnato; la seconda riguardante il coro e la sopraelevazione delle mura perimetrali, da far risalire ai primi decenni del Duecento (epoca nella quale il cantiere s’interruppe definitivamente). Altri dettagli costruttivi indicatori di due diverse fasi edilizie sono costituiti dalle basi dei montanti, le finestre (a feritoia e con doppia strombatura quelle del coro, più ampie e di taglio rettilineo quelle della navata meridionale), nonché l’imponente pilastro polistilo collocato all’attacco del transetto, da riferire inequivocabilmente agli interventi duecenteschi. Da non sottovalutare, inoltre, la comparsa, nelle assise dei muri d’ambito, di numerosi marchi di scalpellini, pratica finora documentata nel Meridione d’Italia soltanto a partire dell’epoca federiciana in Castel Maniace a Siracusa (1232-39) e nella Porta delle Torri a Capua (1234-39). Sempre secondo Francesco Aceto, il fervore edilizio duecentesco si dovrebbe ad un rinnovato interesse tributato alla memoria di Roberto il Guiscardo, e riflessa da alcuni prodigi che erano stati nel frattempo registrati nella Cronaca Venosina, confezionata ad hoc alla fine del XII secolo. L’esistenza di un monumentale capitello erratico prova altresì che la tripartizione del corpo longitudinale mediante colonne era già prevista nel progetto primitivo, come d’altronde si evidenzia dall’accertata presenza, al di sotto del colonnato, di un muro di fondazione largo due metri e mezzo circa, che prosegue sotto il coro. I sostenitori della datazione tarda del complesso venosino hanno preso le mosse dal contributo del Bozzoni (1979), che ascriverebbe il carattere “arcaico” dei capitelli del deambulatorio all’utilizzo di elementi di reimpiego, mentre ricondurrebbe gli altri eseguiti ad imitazione di una “maestranza provinciale fortemente ritardataria”. | |
Fonti iconografiche | Mappa dei territori dell'Abbazia (1743) e pianta della chiesa vecchia (1743) in Archivio di Stato di Napoli | |
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2007: Francesco Aceto, "La corte e la chiesa: l'Incompiuta Trinità di Venosa. Un'ipotesi sulla sua destinazione funeraria", in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano 2007, 403-413.
Avena 1902: Adolfo Avena, "Comune di Venosa. Chiese della SS. Trinità", in I monumenti dell'Italia meridionale, Roma 1902, 324-335.
Bertaux 1897: Emile Bertaux, “I monumenti medievali della regione del Vulture”, supplemento a Napoli Nobilissima, VI, 1897.
Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, de la fin de l'Empire romain à la Conquête de Charles d'Anjou, Paris 1904.
Bordenache 1937: Riccardo Bordenache, "La SS. Trinità di Venosa. Scambi ed influssi architettonici ai tempi dei primi Normanni in Italia", Ephemeris Daconiana", 7, 1937, 1-76.
Bozzoni 1979: Corrado Bozzoni, Saggi di architettura medievale, Roma 1979, 15-100.
Cagiano de Azevedo 1979: Michelangelo Cagiano de Azevedo, "Considerazione sulla cosiddetta «Foresteria» di Venosa", Puglia paleocristiana, 3, 1979, 77-84.
Cenna (ed. Pinto 1902): Giacomo Cenna, Giacomo Cenna e la sua Cronoca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli, con prefazione e note di Gerardo Pinto, Trani 1902.
Cirsone 2011: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (I parte)", Capitanata, 49, 2011, 125-180. Cirsone 2012: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (II parte)", Capitanata, 50, 2012, 99-141. Cirsone 2013: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (III parte)", Capitanata, 51, 2013, 113-134. Croce 1892: Benedetto Croce, “Sommario critico della storia dell’arte nel napoletano”, Napoli Nobilissima, 2, 1892, 179-182.
Crudo 1899: Giuseppe Crudo, La SS. Trinità di Venosa. Memorie storiche, diplomatiche, archeologiche, Trani 1899.
D'Onofrio 1997: Mario D'Onofrio, "L'abbatiale normande inachevée de Venosa", in L'architecture normande au Moyen Age, a cura di M. Bayle, 2 voll., Caen 1997, I, 111-124.
Garzya 1988: Chiara Garzya, Italia romanica. La Basilicata e la Calabria, Milano 1988, 39-74.
Herklotz 1990: Ingo Herklotz, "Die Sogennante Foresteria der Abteikirche zu Venosa", in Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno, Atti del Convegno di Studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del IX centenario della morte di Roberto il Guiscardo (Potenza, Melfi , Venosa, 19-23 ottobre 1985), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Galatina, Congedo, 1990, 243-282.
Houben 1994: Hubert Houben, “La SS. Trinità di Venosa, baliaggio dell'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Gerusalemme (1297-1803)”, Studi Melitensi, 2, 1994, 7-24.
Houben 1984: Hubert Houben, “Il necrologio dell'abbazia della SS. Trinità di Venosa. Una testimonianza della prima generazione normanna nel Mezzogiorno d'Italia: bilancio storiografico e prospettive di ricerca”, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia. Convegno di studio in occasione del XV centenario della nascita di S. Benedetto (Bari-Noci-Lecce-Picciano, 6-10 ottobre 1980), a cura di C. D. Fonseca, vol. 2, Galatina 1984, 241-255.
Houben 1984: Hubert Houben, Il 'libro del capitolo' del monastero della SS. Trinità di Venosa (Cod. Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno normanno, Galatina 1984.
Houben 1985: Hubert Houben, “Il cosiddetto 'Liber Vitae' di Polirone: problemi terminologici e metodologici”, in L'Italia nel quadro dell'espansione europea del monachesimo cluniacense. Atti del Convegno internazionale di storia medievale (Pescia, 26-28 novembre 1981), a cura di A. Spicciani, G. Spinelli e C. Violante, Cesena 1985, 187-198.
Houben 1986: Hubert Houben, “Una grande abbazia nel Mezzogiorno medioevale: la SS. Trinità di Venosa”, Bollettino storico della Basilicata, 2, 1986, 19-44.
Houben 1988: Hubert Houben, “Urkundenfälschungen in Süditalien: das Beispiel Venosa”, in Fälschungen im Mittelalter. Internationaler Kongreß der Monumenta Germaniae Historica (München, 15.-18. September 1986), vol. 4, Hannover 1988, 35-65.
Houben 1995: Hubert Houben, Die Abtei Venosa und das Mönchtum im normannisch-staufischen Süditalien, Tübingen 1995.
Houben 1995: Hubert Houben, “L'abbazia della SS. Trinità di Venosa (1040-1297)”, in Aspetti del periodo medievale in Venosa e nel suo territorio, a cura di A. Capano, Lavello 1995, 57-70.
Houben 1997: Hubert Houben, Venosa 1655. Un'anonima storia, descrizione e serie dei vescovi nel lascito di Ughelli, Venosa 1997.
Houben 2006: Hubert Houben, “Le istituzioni monastiche italo-greche e benedettine”, in Storia della Basilicata, II, Il Medioevo, a cura di D. Fonseca, Roma–Bari 2006, 355-386.
Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'arte, ser. VI, 81, 1996,, 96-97, 1-80. Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, “L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego”, Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 110, 1998, 299-315.
Marchi 2010: Maria Luisa Marchi, "Venosa: nuovi dati sulla frequentazione tardoantica dell'area della SS. Trinità a Venosa", in Paesaggi e insediamenti urbani in Italia Meridionale fra tardoantico e altomedioevo, atti del Secondo Seminario sul Tardoantico e l'Altomedioevo in Italia Meridionale (Foggia-Monte Sant'Angelo 27-28 maggio 2006), a cura di Giuliano Volpe e Roberta Giuliani, Bari 2010, 201-218.
Pistilli 2010: Pio Francesco Pistilli, "Tra incompiuto e inesistente. L'abbazia normanna della SS. Trinità di Venosa", in Cantieri e maestranze nell'Italia medievale, Atti del convegno di studio (Chieti-San Salvo, 16-18 maggio 2008), a cura di Maria Carla Somma, Spoleto 2010, 375-412.
Pellettieri 2005: Antonella Pellettieri, Militia Christi in Basilicata, Anzi 2005, 82-90.
Ricciardi 2001: Emilio Ricciardi, “L’abbazia della SS. Trinità di Venosa”, I Beni Culturali. Tutela e valorizzazione, 1, 2001, 21-27.
Ricciardi 2009: Emilio Ricciardi, “Il baliaggio della Trinità di Venosa tra Seicento e Settecento”, Archivio Storico per le Province Napoletane, 127, 2009, 93-120.
Rossi 2005: Pasquale Rossi, “Architettura sacra e fortificata dell’ordine gerosolimitano in Italia meridionale”, in San Giovanni a Mare. Storia e restauri, a cura di Stella Casiello, Napoli 2005, 17-63.
Salvatore 1986: Mariarosaria Salvatore, "La SS. Trinità di Venosa e la Cattedrale paleocristiana: recenti scoperte", in Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Pesaro-Ancona 19-23 settembre 1983), Firenze 1986, II, 825-842. Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 321-328. | |
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Schedatore | Paola Coniglio | |
Data di compilazione | 01/03/2013 14:26:30 | |
Data ultima revisione | 02/01/2019 16:40:55 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/328 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale | |
---|---|---|
Tipologia | campanile | |
Nome attuale | ||
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | 1587: inizio della costruzione. 1614: data dell'iscrizione con cui il vescovo di Venosa Andrea Perbenedetti si attribuisce l'erezione del campanile. | |
Autore | ||
Committente | Pirro del Balzo, conte di Venosa Andrea Perbenedetti, vescovo di Venosa | |
Famiglie e persone |
Andrea Perbenedetti | |
Descrizione | Anche se la sua costruzione è attestata a partire dal 1587, il campanile doveva esser già previsto nel progetto della cattedrale commissionata nel 1470 da Pirro del Balzo. Il primo livello è realizzato con blocchi antichi e con spolia, prevalentemente iscrizioni antiche; sono incluse nel paramento anche due stele con ritratti di togati, un blocco di lesena scanalata e una scacchiera. È interessante notare che tre delle iscrizioni (CIL, IX, 438, 471, 479) incluse nel paramento furono registrate nella Descrittione della città de Venosa di Achille Cappellano (1584) in altre collocazioni solo tre anni prima dell'inizio della costruzione. Dunque il campanile fu utilizzato per esporre memorie cittadine che forse rischiavano di andare disperse. Il primo livello risulta concluso nel 1614, come dimostra l'iscrizione del vescovo Andrea Prebenedetti che si attribuisce la costruzione della "campanilis molem". | |
Iscrizioni | CIL, IX, 438, 471, 479, 480, 556 Iscrizione del vescovo Andrea Perbenedetti: "ANDREAS PERBENEDUS DE CIV(ITATE) CAME/RINI EPISCOPUS ET SINODUS A FUND(AMENTIS) AD UNIVERSALEM TA... COMODUM MAGNO LABORES SUMPTIBUS MAXIMIS HANC CAMPANILIS MOLEM EREXIT / 1614" | |
Stemmi o emblemi araldici | Stemma del Vescovo di Venosa con data 1614 | |
Elementi antichi di reimpiego | Iscrizioni: Rilievo funerario con due personaggi. | |
Opere d'arte medievali e moderne | Due putti. | |
Storia e trasformazioni | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002.
Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, edizione a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 30/11/2012 20:00:14 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 10:21:14 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/143 |
Oggetto | Venosa, castello | |
---|---|---|
Tipologia | castello | |
Nome attuale | Museo Nazionale di Venosa | |
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | 1470: edificazione. | |
Autore | ||
Committente | ||
Famiglie e persone |
Carlo Gesualdo Emanuele Gesualdo | |
Descrizione | Il castello è situato a sud-est della città, nella zona estrema del centro storico, punto di raccordo naturale tra il vallone del Reale e quello del Ruscello. L’area sul quale sorge presenta delle emergenze architettoniche di età romana: inglobate nel castello sono state ritrovate delle strutture in laterizio. Si tratta di sei ambienti collocati simmetricamente, rispettivamente tra vani per ogni lato, intercomunicanti e coperti con volta a botte. All’interno del cortile scavi recenti hanno portato alla luce alcune strutture del castellum aquae, un sistema di cisterne per la raccolta delle acque, databile all’età imperiale. Costruito con grossi conci di pietra viva, il castello si presenta in pianta come un quadrato con quattro torri cilindriche ai vertici, coincidenti con i quattro punti cardinali. In una delle due torri erano originariamente incassati due manufatti di spoglio. L’ingresso originario, munito di ponte levatoio, era posto a sud-est, tra la torre orientale e quella meridionale. Un fossato poligonale, largo 15 metri e profondo 6 circonda l’intera costruzione. Due corpi di fabbrica collegano rispettivamente la torre est con quella nord, la torre nord con quella ovest; mura solide collegano la torre ovest alla torre sud e questa alla torre est. L’interno è caratterizzato da un cortile quadrato (m 30x35) sul quale si affaccia un loggiato posto tra le torri est e nord, con pilastri a sezione ottagonale realizzati in pietra grigia. Una scala esterna posta nel cortile conduce agli appartamenti al piano superiore. La costruzione del castello fu intrapresa nel 1470 quando Pirro del Balzo ottenne dal vescovo di Venosa, Nicola Germano Porfido, il permesso di costruire sul sito della cattedrale del XI secolo dedicata a San Felice, che venne abbattuta con l’impegno però di ricostruire altrove la cattedrale cittadina. Il castello si presentava originariamente come un edificio soltanto con funzione difensiva, ubicato in un punto strategico della città, costruito per completare il vasto programma di ripristino del sistema difensivo e di rinnovamento del tessuto urbano, intrapreso da Pirro del Balzo in seguito al terremoto del 1456. Il castello di Pirro presentava una pianta quadrata con quattro torri angolari cilindriche senza bastioni, circondato da un muro di cinta di 3 m circa. Originariamente non era adibito ad abitazione signorile in quanto il Del Balzo, secondo Cappellano, risiedeva nel Palazzo di Corte, difficile da ubicare con precisione per mancanza di emergenze architettoniche e di precisi dati topografici. La costruzione del castello continuò anche dopo la morte di Pirro nel 1487. Nel 1503 le torri erano state innalzate, come attesta un’iscrizione ritrovata nella torre nord. Il corpo di fabbrica che unisce la torre est a quella nord venne aggiunto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, quando l’edificio fu adibito a dimora signorile, a partire dal 1546, con Luigi Gesualdo, e probabilmente già alla fine del XVI secolo venne costruito l’altro corpo di fabbrica, raccordo tra la torre est e quella nord. Nel 1553 la struttura venne munita dei bastioni a scarpa che definiscono il perimetro dell’edificio. Il castello ospitava le riunioni delle accademie più importanti del centro che ruotavano intorno a Gesualdo, in particolare Carlo Gesualdo signore di Venosa dal 1592 e di suo figlio Emanuele. A metà del XVI secolo fu costruito un loggiato. Un ulteriore intervento risale al XIX secolo, quando venne realizzato il corpo di fabbrica collocato sul fianco occidentale, mentre all’inizio del Novecento va datato l’attuale ingresso posto a est, decorato con due leoni di spoglio. | |
Iscrizioni | Iscrizione sul portale d'ingresso originario Iscrizione sulla finestra della torre. | |
Stemmi o emblemi araldici | Stemma dei Del Balzo sulle finestre delle torri | |
Elementi antichi di reimpiego | Frammento di fregio, oggi conservato presso il Museo di Venosa (Giammatteo 2002, 159 n. 83). Frammento con lesena e capitello, oggi conservato presso il Museo di Venosa (Giammatteo 2002, 159 n. 83). Iscrizione reimpiegata nel fossato (inedita). Iscrizioni antiche reimpiegate nel castello: CIL, IX, 456; CIL, IX, 462. Iscrizioni antiche reimpiegate nel fossato del castello: CIL, IX, 427; CIL, IX, 485; CIL, IX, 491 (in ponte arcis); CIL, IX, 534 (nelle stalle); CIL, IX, 610. Leone in calcare all'ingresso del castello, collocato qui a inizio del XX secolo (Giammatteo 2002, 159 n. 81). Leone in calcare all'ingresso del castello, collocato qui a inizio del XX secolo (Giammatteo 2002, 159 n. 85). | |
Opere d'arte medievali e moderne | ||
Storia e trasformazioni | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002. Salvatore, Marchi 1997: Mariarosaria Salvatore, Maria Luisa Marchi, Venosa, Roma 1997. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 28/11/2012 13:29:49 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 00:11:25 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/141 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale | |
---|---|---|
Tipologia | chiesa cattedrale (esistente) | |
Nome attuale | Cattedrale di Sant'Andrea | |
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | 1470: comincia la costruzione del castello. 1512: viene realizzato il portale principale. 1531: viene consacrata la cattedrale. 1896: lavori di restauro. | |
Autore | ||
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Descrizione | Sorge nella zona nord orientale della città ubicata a metà strada tra la Trinità e il Castello. Venne costruita in una zona urbanizzata già a partire da età repubblicana con una sovrapposizione di strutture ben evidenziata dai saggi di scavo nel giardino della Curia Vescovile dove sono stati rinvenuti ambienti appartenenti a un edificio abitativo del I secolo a.C. con pavimentazione musiva, utilizzato fino al IV secolo d.C.. Quando venne inserito nel tessuto urbano il nuovo edificio, la destinazione d’uso dell’area mutò radicalmente, venendo cancellata l’originaria vocazione commerciale, con la distinzione di “alcune ferraie e mote poteche” secondo la testimonianza di Cenna. Venne demolita anche l’antica chiesa bizantina dedicata a San Basilio. La costruzione della cattedrale comincia nel 1470. Con l’approvazione del vescovo, Pirro Del Balzo aveva fatto demolire l’antica cattedrale di San Felice, risalente all’XI secolo per costruire il castello. Ma se i lavori per la costruzione del castello procedettero velocemente, lo stesso non avvenne per la cattedrale. Il vescovo Nicola Geronimo Porfido fu costretto a richiamare il duca, minacciando la scomunica. Il vescovo non accettò la chiesa di San Domenico allora restaurata e Pirro completò la nuova cattedrale a sue spese, come attestava un’iscrizione sulla facciata della chiesa, non più esistente ma riportata dal Lupoli. La cattedrale presenta un impianto di tipo basilicale con tre navate scandite da due file di pilastri a sezione quadrangolare, realizzati con conci di pietra calcarea lavorata, messi in opera a faccia-vista, con lo stemma dei Del Balzo posto sui conci di chiave di ogni arcata. Le navate sono dotate di archi a sesto acuto, quella centrale termina con un arcone. L’ampio transetto è inserito nel perimetro murario con aperture laterali che fungono da accesso alle cappelle. Il vasto presbiterio termina con abside poligonale e cappelle sui lati corti del transetto. Al di sotto del transetto è posto una cripta, accessibile attraverso due ambulacri laterali con scale, che sembra contemporanea alla chiesa. Nella cripta si trova la tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro, morta nel 1485, originariamente sepolta nella chiesa di Santa Maria della Pace (Cappellano [ed. Nigro 1982], 53; Lupoli 1793, 161). Nel 1681 il sepolcro fu trasferito nella chiesa di San Biagio e infine collocato nella cripta della Cattedrale. La facciata presenta un portale a architrave, con iscrizione, da cui si evince che fu opera del maestro Cola da Conza e che fu realizzato nel 1512. In alto sul portale campeggia lo stemma Del Balzo. La nuova cattedrale, dedicata a Sant’Andrea, venne consacrata il 17 marzo 1531 da Monsignor Serone. | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | Stemma del Balzo in ogni pilastro dell'interno e sulle finestre esterne dell'abside. | |
Elementi antichi di reimpiego | L’edificio è caratterizzato dalla presenza di materiale di spoglio reimpiegato, collocato sia all’esterno (Giammatteo 2002, schede 13-21) che all’interno (Giammatteo 2002, 22-40, 42-43):
Il campanile presenta molti elementi di reimpiego. | |
Opere d'arte medievali e moderne | Cappella del SS. Sacramneto datata 1520 in un’iscrizione incisa nella parte interna dell'arco; Tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro del Balzo, datata 1481; Portale datato 1512 di Cola da Conza; Pietà (proveniente dalla chiesa di San Biagio); frammento di rilievo con i simboli del tetramorfo; frammento di affresco con la Sacra Famiglia. | |
Storia e trasformazioni | Nel 1896 ci fu un intervento di restauro voluto dal vescovo Antonelli. Tale intervento probabilmente modificò gli interni in quanto l’edificio venne intonacato e le volte furono affrescate; i pilastri furono coperti da lesene, con decorazione antichizzante. | |
Note | La particolare articolazione del transetto, suddiviso trasversalmente da una grande arcata, sembra replicare un'analoga disposizione del presbiterio dell'abbazia della Trinità, e si riscontra negli stessi anni anche nella cattedrale di Andria, altro feudo Del Balzo. | |
Fonti iconografiche | La cattedrale è visibile nella Veduta di Venosa affrescata nel salone del palazzo arcivescovile di Matera. | |
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venvsinvm vetvstis monvmentis illvstratvm accedvnt varii argvmenti dissertationes.., Neapoli 1793. Salvatore, Marchi 1997: Mariarosaria Salvatore, Maria Luisa Marchi, Venosa, Roma 1997. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 19/03/2013 10:58:29 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 00:13:27 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/353 |
Oggetto | Venosa, fontana di Messer Oto | |
---|---|---|
Tipologia | fontana | |
Nome attuale | fontana di Messer Oto | |
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | 1313-1314: costruzione della fontana su privilegio di Roberto d'Angiò. 1836: progetti di rifacimento. 1875: nuovi interventi sulla fontana e sulla piazza. | |
Autore | ||
Committente | Universitas di Venosa | |
Famiglie e persone | ||
Descrizione | La fontana consiste di una vasca rettangolare (moderna) sormontata da un leone in pietra. | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | La fontana è coronata dalla statua antica di un leone pesantemente rilavorata. In origine vi era anche il rilievo con togati poi trasportato in palazzo Lioy (Cappellano [ed. Nigro 1985], 42; Lupoli 1793, 356). Probabilmente lo spostamento è da collegare a uno dei due interventi ottocenteschi. | |
Opere d'arte medievali e moderne | ||
Storia e trasformazioni | Fino alla fine del XVIII secolo la fontana inglobava anche un rilievo antico, poi trasferito in data imprecisata nel vicino palazzo Lioy. | |
Note |
| |
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 42. Cenna (ed. Pinto 1902): Giacomo Cenna e la sua Cronaca venosina: ms del sec. 17. della Bibl. Naz. di Napoli, ed. a cura di Gerardo Pinto, Trani 1902, 280, 281, 296.
Cimaglia 1757: Natale Maria Cimaglia, Natalis Marii Cimaliae antiqvitates Venvsinae tribvs libris explicatae. Ascvlanensivum antiqvitates et Davniae Apvliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 220, 224.
Garzia 2003: Tonino Garzia, Venosa tra Ottocento e Novecento. Città Storia Sviluppo Urbano, Venosa 2003, 53-59.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venvsinvm vetvstis monvmentis illvstratvm accedvnt varii argvmenti dissertationes..., Neapoli 1793, 356.
Salvatore, Marchi 1997: Mariarosaria Salvatore, Maria Luisa Marchi, Venosa, Roma 1997. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Fulvio Lenzo | |
Data di compilazione | 24/10/2013 16:01:37 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 20:44:51 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/554 |
Oggetto | Venosa, San Domenico | |
---|---|---|
Tipologia | Chiesa e complesso monastico | |
Nome attuale | San Domenico | |
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | San Domenico | |
Cronologia | XIII secolo: probabile data di insediamento in città dei domenicani. 1464: re Ferrante d'Aragona concede un privilegio al monastero (Mazzoleni 1951, n. 721, p. 111). 1470, ante: Pirro del Balzo ricostruisce la chiesa di San Domenico. 1809: soppressione del convento. 1851: un terremoto danneggia il complesso, che viene restaurato. XX secolo, inizi: sull'area del giardino e di parte del complesso monastico viene creata la nuova Piazza Orazio. | |
Autore | ||
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Descrizione | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | ||
Opere d'arte medievali e moderne | In facciata è murato un frammento di rilievo con figure degli apostoli. | |
Storia e trasformazioni | Cappellano (ed. Nigro 1982), 52 segnala nella chiesa "una pietra di porfido grande di sei palmi in quattro et una mezza colonna di mischio grande”. | |
Note | Secondo quanto tramandato da Cenna (ed. Pinto 1902), 181, la chiesa sarebbe stata fondata da Pirro del Balzo; lo stesso Pirro, dopo aver distrutto la vecchia cattedrale per costruirvi il castello, avrebbe proposto al vescovo di cedere in cambio la chiesa di San Domenico, ricevendone però un rifiuto. Se la chiesa di San Domenico esisteva già prima della attuale cattedrale, se ne deduce che la fondazione va collocata in un periodo precedente al 1470. | |
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 52. Cenna (ed. Pinto 1902): Giacomo Cenna e la sua Cronaca venosina: ms del sec. 17. della Biblioteca Nazionale di Napoli con prefazione e note di Gerardo Pinto, Trani 1902, 180-181. Garzia 2003: Tonino Garzia, Venosa tra Ottocento e Novecento. Città Storia Sviluppo Urbano, Venosa 2003, 41-51. Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venvsinvm vetvstis monvmentis illvstratvm accedvnt varii argvmenti dissertationes..., Neapoli 1793, 209. Salvatore, Marchi 1997: Mariarosaria Salvatore, Maria Luisa Marchi, Venosa, Roma 1997. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Fulvio Lenzo | |
Data di compilazione | 25/08/2013 14:27:04 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 20:54:17 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/498 |
Oggetto | Venosa, seggio | |
---|---|---|
Tipologia | edificio pubblico: sedile | |
Nome attuale | (distrutto) | |
Immagine | ||
Nomi antichi | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Descrizione | L'esistenza di "un seggio ove li nobili si riducono a stare a diporto", nell'area compresa fra la fontana angioina e il castello, è ricordata a metà XVI secolo da Cappellano (ed. Nigro 1985), 40. | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | ||
Opere d'arte medievali e moderne | ||
Storia e trasformazioni | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985. Lenzo 2014: Fulvio Lenzo, Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli (XIII-XVIII secolo), Roma 2014. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Fulvio Lenzo | |
Data di compilazione | 10/12/2013 12:38:22 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 20:58:32 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/632 |
Oggetto | Venosa, c.d. tomba di Marcello | |
---|---|---|
Tipologia | Monumento funerario | |
Nome attuale | tomba di Marcello | |
Nomi antichi | ||
Materiali e tecniche edilizie | Nucleo in opera cementizia | |
Dimensioni | Lato di base m 3,5 ca. | |
Stato di conservazione | Del monumento resta solo il nucleo in cementizio del corpo di base; è completamente perduto il rivestimento esterno. | |
Immagine | ![]() ![]() | |
Cronologia | Fine I secolo a.C.- inizio I secolo d.C. | |
Fattori di datazione | Tipologia architettonica | |
Storia e trasformazioni medievali e moderne | La struttura, mai completamente interrata, è stata restaurata nel 1935. Nel corso dell’Ottocento è stato rinvenuto, in prossimità della base del monumento, un cinerario a cassetta di piombo; nel 1979 l’area circostante è stata oggetto di accertamenti archeologici che hanno portato all’individuazione di una tomba infantile (Bottini 1984). | |
Famiglie e persone | ||
Descrizione | In contrada Madonna della Scala e a poca distanza dall’attuale via Melfi sorge, in un’area ora densamente edificata, il rudere di un monumento funerario che la tradizione antiquaria locale ha identificato nella tomba del console Marcello. Si tratta di una struttura cementizia a pianta quadrangolare, a corpo pieno (senza camera funeraria), che doveva costituire il nucleo di base di un monumento a più elementi sovrapposti; il dado poteva essere sormontato ad esempio da un’edicola o da un corpo chiuso in cementizio, sul modello dei monumenti a Conocchia di Capua o di Avella (per i monumenti funerari a più corpi sovrapposti cfr. Kockel 1983, 23-31). Un’indicazione sulla presenza di una struttura sommitale si rintraccia con sicurezza nella cinquecentesca Discrittione di Venosa di Achille Cappellano (Cappellano [ed. Nigro 1985], 74, cfr. fonti e documenti). Agli inizi del secolo scorso, alla base del monumento, è stato rinvenuto un cinerario a cassetta di piombo contenente i resti di un’incinerazione con un pettine e un anello; la sepoltura è stata ritenuta relativa a una donna dello stesso nucleo familiare del titolare del monumento (Bottini 1984).
| |
Iscrizioni | ||
Apparato decorativo | ||
Note | Il monumento, ubicato su una direttrice viaria che ancora segue il tracciato di quello che doveva essere il tratto venosino dell’Appia antica, è stato identificato, almeno dal Cinquecento, con la tomba del console Claudio Marcello, noto dalla tradizione liviana per essere morto, tra Bantia e Vensuia, mentre difendeva la patria dalle truppe di Annibale (Liv. XXVII, 20-21). A Venosa, come in altre città al confine tra Lucania e Apulia, territorio in cui la guerra annibalica ebbe i momenti decisivi, nella prima età moderna appare già saldamente consolidato il legame tra le antichità visibili e i personaggi antichi ricordati dalle fonti, essenzialmente Livio, ma anche Plutarco, che si distinsero per la condotta esemplare tenuta in quell’occasione, grazie alla quale, divenuti eroi locali, restarono indissolubilmente legati alla memoria storica di quelle città. | |
Fonti iconografiche | ||
Piante e rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 74: "fuor dalla testa della città appresso della devota Chiesa di S.ta Maria della Scala, vi si vede una fabbrica a guisa di Piramide alta 20 piedie larga 10 non ben quadra nè tonda, fabbrica tanto soda che a pena con picconi se ne trarrebbe una pietra […]" | |
Bibliografia | Bottini 1984: Angelo Bottini, “Madonna della Scala: tomba infantile e tomba di Marcello”, in Venosa un parco archeologico ed un museo: come e perché, a cura di Maria Rosaria Salvatore, Taranto 1984, 49-54.
Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
D’Andria 2008: Antonio D’Andria, “Della antiquità e nobilità di Venosa. Intorno alla cronaca venosina di Giacomo Cenna”, in Bollettino Storico della Basilicata, 24, 2008, 209-222.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002, 58.
Kockel 1983: Valentin Kockel, Die Grabbauten von dem Herkulaner Tor in Pompeji, Mainz 1983.
Salvatore, Marchi 1997: Mariarosaria Salvatore, Maria Luisa Marchi, Venosa, Roma 1997, 50-51, fig. 71. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 25/01/2017 02:00:35 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 12:54:07 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Monumento Archeologico/81 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, iscrizione moderna di Elio Restituziano | |
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Supporto | Pietra calcarea | |
Cronologia | XVI secolo | |
Immagine | ![]() | |
Prima attestazione | ||
Trascrizione | LUCULLIANORUM PROLE ROMA/NA AEL RESITVTIANVS V P / CORR APVLIAE ET CALABRIAE IN / HONOREM SPLENDIDAE CIVITATIS / VENVSINORVM CONSECRAVIT | |
Famiglie e persone | Lucullo Del Balzo | |
Note | L'iscrizione murata nel campanile della cattedrale è da confrontare con quella antica CIL, IX, 430: "L[...] PROLE / R G A AEL RESITV / TIANVS V P CORR / APVLIAE ET CALABRIAE I HONOREM SPLENDI / DAE CIVITATIS VENVSI /NORVM CONSECRAVIT". L'iscrizione risulta un'integrazione di quella antica, che nel Cinquecento era sulla porta della città (Cappellano, Cenna), attraverso la creazione della prima parola con "Lucullianorum". L'integrazione deve essere ricollegata all'individuazione a metà Cinquecento della cosiddetta "Possessione di Lucullo", poi nota come "tesoro di Lucullo", di cui raccontano prima Achille Cappellano e poi Giacomo Cenna. In Antonini La Lucania, 113 si descrivono entrambe le iscrizioni, sia quella antica che la falsificazione moderna. L'iscrizione antica è descritta da Natale Maria Cimaglia (1797, 308) come "ad fontem prope superiorem portam oppidi archetypum vidit". | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Antonini 1717: Giuseppe Antonini, La Lucania. Discorsi di Giuseppe Antonini barone di S. Biase, Napoli 1717. Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, edizione a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 52. Cenna (ed. Pinto 1902): Giacomo Cenna e la sua Cronaca venosina, ms del sec. XVII della Bibl. Naz. di Napoli, con prefazione e note di Gerardo Pinto, Trani 1902, 180-181. Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensiuum antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 18/03/2013 10:52:17 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 14:07:42 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Iscrizione/30 |
Oggetto | Venosa, castello, iscrizione di Pirro del Balzo | |
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Supporto | Marmo cipollino | |
Cronologia | c. 1470 | |
Immagine | ![]() | |
Prima attestazione | ||
Trascrizione | MIS FVIT O LECTOR CER/NIS PER CARMINA FACTOR / INCLITA PROLE SATVS / DVX ORBI BAVCIA PHYRRVS
Mis fuit, o lector, cernis per carmina, factor, inclita prole satus dux orbi Baucia Phyrrus "Mio artefice, o lettore, lo vedi da questi versi, fu il comandante Pirro, nato dall'inclita stirpe della gente del Balzo" | |
Famiglie e persone | ||
Note | L'iscrizione è collocata al di sopra dello stemma Del Balzo, posto sull'originario ingresso al castello e riutilizza un supporto antico in marmo cipollino. Il distico è scritto in un latino classico, dotto fino al virtuosismo, con in esordio la forma rara 'mis' per 'mei'. Interessante l'apostrofe al 'lector', al posto del più banale 'viator' o affini. Interessante anche il riferimento ai 'carmina'. Sono inoltre preziosismi sia la presenza dell'appellativo 'satus', sia 'orbis' usato in questo significato specifico. I forti iperbati e la sintassi confermano il quadro appena delineato. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis, Lorenzo Miletti | |
Data di compilazione | 19/03/2013 10:48:16 | |
Data ultima revisione | 12/11/2018 10:23:32 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Iscrizione/32 |
Oggetto | Venosa, castello, iscrizione e stemma di Pirro del Balzo | |
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Supporto | Pietra calcarea | |
Cronologia | c. 1470 | |
Immagine | ![]() | |
Prima attestazione | ||
Trascrizione | ITE DVX VENVSIVM ST/RVXIT DE BAVCIO PIRRVS | |
Famiglie e persone | ||
Note | L'iscrizione è scolpita insieme allo stemma del Balzo ed è collocata al di sopra della finestra della torre del castello. Risulta anomalo l'uso della forma Pirrus al posto di Pyrrhus attestato in genere nelle iscrizioni riconducibili al dotto conte. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis, Lorenzo Miletti | |
Data di compilazione | 19/03/2013 11:58:39 | |
Data ultima revisione | 28/05/2023 16:11:26 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Iscrizione/33 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, capitello-acquasantiera | |
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Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | seconda metà dell'XI secolo | |
Autore | ||
Descrizione | Il capitello, adibito ad acquasantiera ad una data imprecisabile, si trova all’interno della chiesa abbaziale della Santissima Trinità di Venosa. Presenta una decorazione scolpita sui quattro lati con leoni passanti e mascheroni leonini che vomitano volute e figure umane. I caratteri stilistici collegano senza dubbio il capitello ad alcuni tra quelli in opera nelle pareti d’ambito e nei pilastri del coro a deambulatorio dell’annessa chiesa Incompiuta, destinazione per la quale il pezzo fu probabilmente realizzato, rimanendo inutilizzato in seguito all’interruzione del cantiere. I caratteri stilistici di questi capitelli, caratterizzati da un intaglio schematico e da un gusto grafico, sono tipici della prima scultura normanna in Italia meridionale. Confronti diretti con la plastica architettonica delle cattedrali di Aversa, Carinola, Canosa e Brindisi consentono infatti una datazione di questi elementi, e quindi della fase della fabbrica dell’Incompiuta ad essi connessa, entro l’XI secolo (Aceto 2007). | |
Immagine | ![]() | |
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | Secondo Aceto 2007 (407-408), l’autore della serie di capitelli venosini potrebbe essere stato il maestro-guida del cantiere della Trinità nella prima fase dei lavori, circoscrivibile agli ultimi decenni dell’XI secolo. La presenza di un capitello erratico lavorato sui quattro lati confermerebbe inoltre che fin dall’inizio dei lavori fosse prevista la scansione del corpo longitudinale della fabbrica mediante colonnati; questa parte dell’edificio, anch’essa rimasta incompiuta, pare però doversi datare al secolo XIII. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2007: Francesco Aceto, "La corte e la chiesa: l'Incompiuta Trinità di Venosa. Un'ipotesi sulla sua destinazione funeraria", in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, 403-413.
Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, I, Paris 1904, 323. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Elisabetta Scirocco | |
Data di compilazione | 04/06/2014 01:21:33 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 20:46:38 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/459 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, loggiato | |
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Materiale | ||
Dimensioni | ||
Cronologia | XI secolo | |
Autore | ||
Descrizione | La facciata, che oggi si presenta obliterata dalla scala di accesso alla foresteria e che si pone tra la sistemazione cinquecentesca della fronte della Trinità e l'atrio, dove appunto si apre il portale della Chiesa Vecchia, è formata da tre archi sui quali corrono dieci archetti, oggi tompagnati, a costituire una sorta di galleria. Il loggiato rappresenta una particolare soluzione architettonica, la cui peculiarità viene esaltata dal diffuso uso di materiali antichi o di blocchi realizzati ad imitazione dell'antico; ancora molto discussi sono la funzione della galleria nella struttura originaria, i modelli di riferimento e la distinzione, nell'ambito dei materiali figurati che sembrerebbero in buona parte di riuso, di quelli antichi e di quelli medievali (cfr. Bozzoni 2007; Herklotz 1990; Todisco 1996). Sicuramente antica è l'ara funeraria che in sostituzione della colonnina scandisce il centro della composizione, mentre ai lati la prima arcata è divisa da telamoni, dei quali uno parrebbe una scultura medievale di recupero (dato lo stato di conservazione) e l'altro sarebbe stato realizzato per l'occasione. L'elemento più interessante della struttura è costituito dal motivo figurato che corre alla base del loggiato: una successione di blocchi scolpiti che reimpiega almeno un elemento di fregio dorico antico, il primo da sinistra, cui segue un blocco con tre metope figurate, scandite da triglifi a due femori (considerato generalmente un'imitazione medievale). A questa prima serie si giustappone un blocco con tre figure a mezzo busto separate da listelli; in questo caso la superficie è molto consunta e non consente di datare il rilievo, che pare almeno ispirato al tipo antico detto a cassetta. Di fattura medievale sono i successivi tre rilievi, sempre suddivisi in riquadri, in cui si succedono un quadrupede, una figura in trono (?), un secondo quadrupede e nell'ultimo blocco tre figure (testa e busto tagliato all'altezza delle spalle) appena sbozzate e fortemente consunte. | |
Immagine | ![]() | |
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Bozzoni 2007: Corrado Bozzoni, "La SS. Tinità di Venosa. Aggiornamenti", Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura, 44-50, 2004-2007, 75-82.
Cirsone 2012: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (II parte)", Capitanata, 50, 2012, 99-141.
Claussen 1996: Peter Cornelius Claussen, "Il portico di S. Maria di Anglona. Scultura normanna nell'Italia meridionale del XII secolo. Santa Maria di Anglona e la SS. Trinità di Venosa", in Santa Maria di Anglona, Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del decennale della sua istituzione (Potenza, Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di Cosimo Damiano Fonseca e Valentino Pace, Galatina 1996, 55-57.
Herklotz 1990: Ingo Herklotz, "Die Sogennante Foresteria der Abteikirche zu Venosa", in Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno, Atti del Convegno di studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del IX centenario della morte di Roberto il Guiscardo (Potenza, Melfi, Venosa, 19-23 ottobre 1985), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Galatina 1990, 243-282. Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/12/2013 17:36:32 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 20:47:05 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/415 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Sepolcro degli Altavilla | |
---|---|---|
Materiale | ||
Dimensioni | h ca. 350 cm | |
Cronologia | XI, XVI secc. | |
Autore | ||
Descrizione | Il monumento è addossato alla parete della navata laterale destra (sud) della chiesa abbaziale della Santissima Trinità di Venosa. Si compone di un sarcofago in lastre di marmo cipollino, con copertura pertinente dello stesso materiale, inserito all'interno di una struttura ad arcosolio con terminazione a timpano, realizzata in conci tufacei e laterizio. La facies attuale del monumento risale alla risistemazione cinquecentesca della tomba, intrapresa per volontà del priore di Venosa Ardicino Barba (m. 1560) dopo il passaggio della chiesa all’ordine gerosolimitano. Sono noti restauri per l’anno 1960 (Lauridia 1970, 58). Una decorazione pittorica databile al XVI secolo, ad evidenza estesa inizialmente a tutto il monumento, interessa la nicchia, la lunetta e la sommità dell'arcosolio, dove due putti reggono lo stemma ducale degli Altavilla, inquadrati dagli scudi con le croci dei Cavalieri di Malta. Al centro della lunetta sono raffigurati, sullo sfondo di un paesaggio collinare (probabilmente Venosa) due personaggi, l’uno in vesti civili, militari l’altro, in adorazione della Trinità; due corone sono posate sul terreno. La tradizione erudita locale vi riconosce Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone, i primi due duchi della famiglia Altavilla, anche se il monumento è oggi presentato al visitatore come tomba di Roberto il Guiscardo. | |
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Committente | Roberto il Guiscardo (?), Ardicino Barba | |
Famiglie e persone | Membri della famiglia normanna degli Altavilla. | |
Iscrizioni | Iscrizione oggi perduta: Dragono Comiti Comitum, Ducum Duci, huius sacri templi fundatori, Guglielmo regi, Roberto Guiscardo instauratori, fratribus ac eorum successoribus, et templi benefactoribus, quorum hossa hic sita sunt, que bona postea a principibus occupata fuere. Frater Ardicinus Goxiticus Barba civis Novarien(sis) huius templi Baiulinus sacellum hoc erexit. An. Dnj MDLX. | |
Stemmi o emblemi araldici | Altavilla; Ordine dei Cavalieri di Malta. | |
Note | Nel 1560 i resti di vari fratelli Altavilla (Drogone, Guglielmo, Roberto il Guiscardo e altri) furono riuniti in quest’unico monumento per volontà del priore Ardicino Barba, menzionato in un’epigrafe riportata sul sepolcro, oggi perduta, registrata a metà Settecento dal teatino Eustachio Caracciolo (Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo S. Martino 436, tomo LII, c. 5, qui trascritto da Herklotz 1985, 87): Dragono Comiti Comitum, Ducum Duci, huius sacri templi fundatori, Guglielmo regi, Roberto Guiscardo instauratori, fratribus ac eorum successoribus, et templi benefactoribus, quorum hossa hic sita sunt, que bona postea a principibus occupata fuere. Frater Ardicinus Goxiticus Barba civis Novarien(sis) huius templi Baiulinus sacellum hoc erexit. An. Dnj MDLX. Nell’occasione fu con ogni probabilità adattato a sepoltura comune degli Altavilla uno dei sepolcri normanni presenti in chiesa; lo conferma la morfologia del monumento, coerente con la tipologia medievale ad arcosolio con involucro architettonico libero, e l’impiego per il sarcofago dello stesso cipollino in opera nella tomba di Alberada (Herklotz 1985, 88-89). Nel novero delle originali tombe medievali normanne Herklotz 1985 (89) propone di includere anche la tomba degli Acciaiuoli, situata accanto al sepolcro comune degli Altavilla. La prima notizia di sepolture della famiglia Altavilla nella chiesa della Trinità risale a un documento di donazione datato 1060, col quale Roberto il Guiscardo concedeva ai monaci il castello di Dordanum con relativa chiesa, in favore dell’anima dei suoi genitori, dei suoi fratelli conti, e di altri congiunti, sepolti nella Trinità (quorum corpora in monasterio Sancte Trinitatis Venusii jacent sepulti; cfr. Ménager 1981, 34). Non conosciamo i nomi dei fratelli del Guiscardo già sepolti a Venosa dagli anni cinquanta dell’XI secolo. Roberto nel 1069 vi fece traslare anche le spoglie dei suoi fratelli sepolti in luoghi diversi della Puglia: verosimilmente Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone, forse Umfredo (per altri già sepolto nella Trinità) e anche Malgiero. Vi fu forse sepolto anche Umberto (m. 1071), mentre nel suo testamento (1080) Guglielmo di Sanicardo indicò la Trinità come luogo designato per la propria sepoltura. Negli anni seguenti aumentarono i benefici e i donativi concessi all’abbazia, che verosimilmente si presentava come il luogo verso cui far naturalmente confluire le sepolture dei membri della famiglia, situata com’era al centro geografico degli interessi politici del costituendo dominio normanno. Non è da trascurare, in quest’ottica, la presenza nella Trinità di alcune reliquie martiriali oggetto di una particolare promozione cultuale da parte di Vittore II nel 1055 (le reliquie di Senator, Viator, Cassiodor e della loro madre Dominata): un dato che poteva legarsi alla presenza dei sepolcri Altavilla e incrementarne il prestigio e il valore religioso e memoriale. L'operazione attuata dai primi normanni, e promossa con forza dal Guiscardo, faceva della Trinità di Venosa il sacrario della casa d'Altavilla e allo stesso tempo il monumento fondante della loro 'nobiltà' di stirpe e della loro legittimità di governo (Delogu 1994, Aceto 2007). Lo stesso corpo di Roberto il Guiscardo, morto in Oriente nel 1085, fu trasportato a Venosa nel sacrario di famiglia per volontà della moglie Sicilgaita, mentre il cuore e le viscere furono deposte a Otranto. Dopo la morte di Roberto, i suoi successori si indirizzarono verso altri luoghi di sepoltura (Sicilgaita a Montecassino, Ruggero I e sua moglie a Mileto, Ruggero Borsa e il figlio Guglielmo a Salerno, Boemondo a Canosa). Le tombe Altavilla presenti nella chiesa della Trinità di Venosa al termine dell’XI secolo dovevano essere numerose, superando forse la decina (Herklotz 1985, p. 84). In chiesa si trova ancora la più tarda tomba di Alberada, prima moglie del Guiscardo. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2007: Francesco Aceto, "La corte e la chiesa: l'Incompiuta Trinità di Venosa. Un'ipotesi sulla sua destinazione funeraria", in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, 403-413.
Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, I, Paris 1904, 320.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, “L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego”, Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 110, 1998, 299-315.
Delogu 1994: Paolo Delogu, "La committenza degli Altavilla: produzione monumentale e propaganda politica", in I Normanni, popolo d'Europa 1030-1200, a cura di M. D'Onofrio, Roma 1994, 188-192.
Falla-Andaloro 1991: Marina Falla, Maria Andaloro, “Altavilla”, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, I, 1991.
Herklotz 1985: "Sepulcra" e "Monumenta" del Medioevo. Studi sull'arte sepolcrale in Italia, Napoli 1985.
Lauridia 1970: Emanuele Lauridia, La chiesa della SS. Trinità di Venosa: monumento nazionale dal 20-XI-1897, Bari 1970.
Ménager 1981: Léon Robert Ménager, Recueil des actes des ducs normands d'Italie (1046-1127). I: Les premiers ducs (1046-1087), Bari 1981.
Musset 1985: Lucien Musset, “Les sépultures des souverains normands: un aspect de l’idéologie du pouvoir”, in Atour du pouvoir ducal normand, a cura di L. Musset, J. M. Bouvris, J. M. Maillefer, Caen 1985, 19-44.
Tramontana 2005: Salvatore Tramontana, voce "Altavilla", in Enciclopedia Federiciana, 2005. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Elisabetta Scirocco | |
Data di compilazione | 04/06/2014 10:33:17 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 20:50:06 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/460 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Tomba degli Acciaiuoli | |
---|---|---|
Materiale | pietra | |
Dimensioni | 264 cm x 286 cm | |
Cronologia | seconda metà del Quattrocento | |
Autore | ||
Descrizione | Il sepolcro, che oggi è addossato sul muro perimetrale della navata sinistra (nord) della chiesa della Santissima Trinità di Venosa, in origine doveva essere collocato tra i pilastri d’epoca paleocristiana. Costituita da un arcosolio formato da grossi conci di pietra e terminazione a timpano, la tomba ospita le spoglie di Roberto († 1458) e di Emilio Acciaiuoli († 1470), membri della potente famiglia toscana che nella metà del Trecento, con il più celebre Niccolò, aveva detenuto la Contea di Melfi. È interessante evidenziare come la tomba ricalchi la tipologia della tomba ad arcosolio della quale, all’interno della stessa Trinità, è esempio emblematico il Sepolcro degli Altavilla, nel quale l’elemento costituivo, già nella sua facies normanna, doveva essere proprio la struttura ad arcosolio. È indubbia la volontà, da parte dei committenti, di replicare, nella seconda metà del Quattrocento, le scelte della dinastia normanna nella dichiarata riproposizione di un modello funerario ormai vetusto. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | Acciaiuoli | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | Secondo Herklotz (1985, 89), più che alla tipologia ad arcosolio tout court, il monumento apparterrebbe al tipo a nicchia con struttura architettonica autonoma, vale a dire totalmente svincolata dalla parete. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Cirsone 2013: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (III parte)", Capitanata, LI, 2013, 113-134.
Herklotz 1985: “Sepulcra” e “Monumenta” del Medioevo. Studi sull’arte sepolcrale in Italia, Napoli 1985.
Mezzina 1977: Geremia Dario Mezzina, Radiografia di un monumento: la chiesa della SS. Trinità in Venosa, Bari 1977, 95. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Paola Coniglio | |
Data di compilazione | 07/06/2014 16:55:47 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 20:50:36 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/461 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, tomba di Alberada | |
---|---|---|
Materiale | ||
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | Il monumento funebre si trova nella chiesa dell'abbazia della Santissima Trinità di Venosa, addossato alla parete sinistra (nord) del corpo longitudinale dell’edificio, all’altezza dell’ultima campata prima del presbiterio. È inquadrato all’interno di un baldacchino a terminazione a spiovente, e sopraelevato al di sopra di un doppio zoccolo. La sepoltura consiste in un sarcofago semplice in marmo cipollino, coperto da una lastra in marmo bianco il cui bordo, decorato a ovoli e perline, mostra i segni di una lavorazione ascrivibile all’età romanica, coerente con il reimpiego del sarcofago antico nella seconda metà dell’XI secolo, epoca presunta della morte di Alberada. La parete di fondo del monumento è rivestita di lastre di cipollino, così come nel cipollino sono state ricavate le due colonnine che sostengono l’edicola, coronate da alti capitelli. L’iscrizione sul sepolcro, in capitali latine, commemora Alberada quale moglie del Guiscardo e ricorda che suo figlio (Boemondo) è sepolto a Canosa. Condividendo l’ipotesi di una datazione del monumento in anni non molto lontani dal post quem offerto dal 1111, data di morte di Boemondo d’Altavilla, la critica tende a vedere nella tomba di Alberada uno dei più antichi esempi sopravvissuti di sepolcri architettonici a muro, insieme alla tomba del camerario Alfano (m. 1123) nel portico di Santa Maria in Cosmedin a Roma. Bertaux 1897 (XV) e Herklotz 1985 (55) hanno riconosciuto il tratto paleografico moderno dell’epigrafe, risalente con evidenza alle risistemazioni cinquecentesche di cui furono oggetto tanto l’edificio della Trinità quanto le memorie sepolcrali della stirpe degli Altavilla. Si può inoltre condividere la considerazione di Aceto 2007 (413, nota 33) che l’iscrizione sia moderna anche nei contenuti, sulla base del fatto che le iscrizioni sepolcrali medievali, specialmente di XI e XII secolo, più comunemente celebrano i meriti della defunta, del tutto assenti nel testo, mentre l’insolita attenzione verso il luogo di sepoltura del figlio è “perfettamente compatibile con la cultura storica meridionale di pieno Cinquecento”. La datazione del monumento resta dunque affidata principalmente ai dati formali. Le parti scolpite dell’edicola mostrano significative affinità con i capitelli del colonnato della chiesa Incompiuta (Wackernagel 1911, 88-89): un dato non trascurabile che suggerisce di ancorare almeno la monumentalizzazione della tomba di Alberada (la cui data di morte è ignota) a questa fase del cantiere architettonico, dalla cronologia ancora dibattuta, ma sicuramente individuata nell'ambito del XIII secolo. Discussa è anche la relazione con le tombe dinastiche normanne riunite nella Cattedrale di Palermo; per Deer (1959, 88-89) il modello sarebbe derivato da Venosa. Secondo Aceto 2007 (413, nota 33) il rapporto sarebbe invece stato di segno contrario: il sarcofago di Alberada, depositato con le altre sepolture degli Altavilla nella "chiesa vecchia" in attesa che fosse ultimato il nuovo edificio, sarebbe stato oggetto di una rimonumentalizzazione, in coincidenza con la ripresa del cantiere agli inizi del Duecento, su ispirazione delle tombe reali siciliane. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | Di nobile stirpe normanna, Alberada di Buonalbergo sposò Roberto il Guiscardo nel 1047. Nel 1058, il Guiscardo la ripudiò per sposare la longobarda Sichelgaita, sorella del principe di Salerno Gisulfo II, in accordo a una precisa strategia che supportava con i legami matrimoniali l’avanzata e il consolidamento del potere normanno nel Meridione. La coppia ebbe due figli: Emma e Marco, più noto come Boemondo, morto nel 1111 e sepolto in un mausoleo addossato al transetto destro della Cattedrale di Canosa, come ricordato nell'iscrizione che compare sul monumento di Alberada. | |
Iscrizioni | Sull’architrave del timpano: GVISCARDI CONIVX ABERADA HANC CONDITVR ARCA / SI GENITVM QUÆRES HVNC CANVSINVS HABET. | |
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | La tomba di Maria Donata Orsini nella Cattedrale di Venosa è stata messa in relazione alla tomba di Alberada da Anna Grelle Iusco (Grelle Iusco 1981/2001, 61). | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2007: Francesco Aceto, "La corte e la chiesa: l'Incompiuta Trinità di Venosa. Un'ipotesi sulla sua destinazione funeraria", in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, 403-413.
Bertaux 1897: Emilio [sic] Bertaux, "I monumenti medievali della regione del Vulture", Parigi 1897, supplemento a Napoli nobilissima, 1897.
Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, I, Paris 1904, 320-322.
Deér 1959: József Deér, The dynastic porphyry tombs of the Norman period in Sicily, Cambridge 1959.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, “L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego”, Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 110, 1998, 299-315.
Falla, Andaloro 1991: Marina Falla, Maria Andaloro, “Altavilla”, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, I, 1991.
Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001.
Herklotz 1985: "Sepulcra" e "Monumenta" del Medioevo. Studi sull'arte sepolcrale in Italia, Napoli 1985.
Manselli 1960: Raoul Manselli, voce “Alberada”, in Dizionario Biografico degli Italiani, 1, 1960.
Musset 1985: Lucien Musset, “Les sépultures des souverains normands: un aspect de l’idéologie du pouvoir”, in Autour du pouvoir ducal normand, a cura di L. Musset, J. M. Bouvris, J. M. Maillefer, Caen 1985, 19-44.
Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 325.
Tramontana 2005: Salvatore Tramontana, voce "Altavilla", in Enciclopedia Federiciana, 2005.
Wackernagel 1911: Martin Wackernagel, Die Plastik des XI. und XII. Jahrhunderts in Apulien, Leipzig 1911. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Elisabetta Scirocco | |
Data di compilazione | 21/03/2013 12:37:18 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 20:51:47 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/221 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, protiro del portale del braccio sinistro del transetto | |
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Materiale | ||
Dimensioni | ||
Cronologia | XII secolo (Todisco 1996; De Lachenal 1998) | |
Autore | ||
Descrizione | Il piccolo portale che sul lato sinistro della fabbrica consente l'accesso al transetto rappresenta, per concentrazione e qualità degli spolia, un caso emblematico del ricorso al reimpiego in funzione ideologica nell'abbaziale venosina. L'abbondante riuso dei materiali pare infatti funzionale ad esaltare alcuni punti nevralgici della struttura (il transetto, il presbiterio e la crociera), cui appunto si poteva accedere attraverso il portale in esame realizzato, quasi in tutte le sue parti, con elementi antichi. Il protiro esterno che monumentalizzava il portale con archivolto decorato da un motivo a girali si conserva solo nella parte sommitale. Due colonne in marmo, evidentemente di spoglio, ora mancanti, ma descritte da Achille Cappellano, delle quali resta una traccia in negativo nella consunzione del paramento murario e che dobbiamo ipotizzare sostenute da un plinto, reggevano, da entrambi i lati, un leone a tutto tondo posto su una mensola modanata. Le due sulture antiche, speculari nella postura ma di dimensioni differenti (evidentemente non costituivano in origine una coppia, cfr. leone di destra del protiro; leone di sinistra del protiro), inquadrano un rilievo funerario con quattro personaggi, raffigurati a mezzo busto, e sormontato da un frontone triangolare decorato da un gorgoneion centrale dal quale si diparte un tralcio acantino. Il riuso dei materiali si configura come un'operazione complessa e raffinata che aveva previsto il riadattamento delle sculture attraverso vere e proprie operazioni di restauro. I due leoni sono stati ridotti a sole protomi, privati dalla parte posteriore e delle zampe anteriori (forse per il leone di destra non conservate al momento del reimpiego), posti su mensole modanate all'antica - realizzate appositamente su misura - e ammorsati nella muratura nella parete posteriore; si potrebbe inoltre ipotizzare che il leone di destra fosse privo della testa già al momento del riuso in modo da garantire una simmetria con la scultura sull'altro fianco. Anche le mensole, per ripristinare il rapporto dimensionale tra le due protomi, differiscono nell'altezza (quella di sinistra è maggiore) e nel posizionamento (a sinistra sulla stessa assise del rilevo; a destra più in basso, con una serie di aggiustamenti nell'ordito della muratura). Il rilievo policonico, collocato in posizione eccentrica rispetto all'arco del portale è stato, al momento del riuso, reintegrato nell'angolo in alto a sinistra in maniera "filologica", ripristinando il listello di chiusura dello spazio figurato. Contestualmente anche i ritratti sono stati rilavorati. Piuttosto che una trasformazione della forma antica si potrebbe individuare nelle rilavorazioni un tentativo di restauro volto a ripristinare i lineamenti dei volti, probabilmente, abrasi in superficie senza modificarne la tettonica generale. | |
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Committente | Ruggero II | |
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | Il portalino è stato analizzato da Luigi Todisco nell'ambito di un importante studio sulla scultura romana di Venosa (Todisco 1996); la morfologia ritenuta poco convenzionale del protiro con i leoni, tradizionalmente stilofori, innalzati al di sopra delle colonne ad inquadrare il rilievo funerario, ha indotto Todisco a giustificare questa particolare soluzione, che troverebbe un confronto isolato solo a Spoleto, con il richiamo diretto alla collocazione dei leoni, custodi della tomba, nei monumenti funerari antichi. In particolare l'assetto di tali monumenti è documentato nelle stele tipiche dell'Italia settentrionale, nelle quali i leoni figurano, spesso posti su colonnine o lesene, come acroteri ai lati dei timpani dei frontoni (Todisco 1996, 134-135). Il modello poteva essere stato fornito all'architetto medievale dai monumenta delle necropoli venosine che ancora Achille Cappellano poteva vedere numerosi. Questa lettura è forse condizionata dall'aspetto incompiuto della fabbrica che induce a non tenere conto dell'eventuale sviluppo del protiro, che non risulterebbe così isolato se si ipotizzasse una struttura progettata per un secondo ordine di colonne (di minore altezza rispetto al primo) posizionate sulle protomi leonine a sostenere la copertura del piccolo avancorpo (si veda ad esempio il protiro della Cattedrale di Verona). La presenza del rilievo policonico in una posizione di sicuro risalto, come ha notato Lucilla de Lachenal ricostruendone il messaggio simbolico in chiave funeraria e dinastica, viene richiamata da un secondo rilievo con quattro personaggi, posto all'interno nel braccio del transetto, al di sopra dell'entrata alla torretta, quasi a introdurre il pellegrino nell'ambulacro anulare (De Lachenal 1996, 67). Tali rilievi sono, per le evidenti implicazioni ideologiche cui si prestavano (si veda lo straordinario caso di Benevento), una tipologia molto fortunata nell'ambito della prassi del reimpiego dell'antico, a partire appunto dal Medioevo. A Venosa la scelta in entrambe le occorrenze di una serie di quattro personaggi potrebbe aver rappresentato l'esplicito riferimento ai ritratti degli antenati della dinastia normanna che nel pantheon venosino, vero e proprio mausoleo dinastico, avrebbero dovuto trovare l'ultima dimora, ossia all'epoca di Ruggero II: Guglielmo Braccio di Ferro, Umfredo, Drogone e lo stesso Roberto il Guiscardo (ibid.; si veda il sepolcro dei conti normanni). In quest'ottica il simbolismo politico e non solo allegorico-religioso dei leoni sarebbe pregnante e in perfetta simbiosi con il campanile di Melfi, dove appunto la fiera araldica dei Normanni costituisce la celebrazione visiva dei committenti Ruggero e il figlio Guglielmo (Todisco 1996, 137). | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | Una descrizione del protiro si deve ad Achille Cappellano (1985, 57 s.). | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985. De Lachenal 1995: Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995, 263-266.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 66-68, fig. 123.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 308 s.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99, 1987, 123-158.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 134 s. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/12/2013 17:58:36 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 12:24:05 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/416 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, frammento di affresco con la Sacra Famiglia | |
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Materiale | affresco | |
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | Questo resto di affresco, raffigurante una Sacra Famiglia (che probabilmente in origine faceva parte di un'Adorazione dei pastori o dei Magi), si trova sulla parete sinistra della Cattedrale di Venosa. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | ||
Data di compilazione | 25/08/2013 14:24:19 | |
Data ultima revisione | 11/01/2017 11:49:53 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/369 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, Pietà | |
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Materiale | pietra calcarea | |
Dimensioni | ||
Cronologia | XV secolo | |
Autore | ||
Descrizione | Questa Pietà si trova nella Cattedrale di Venosa, ma proviene dalla chiesa di San Biagio. Anna Grelle Iusco (Arte in Basilicata 1981/2001, 49) la ascrive ad Antonio Baboccio e la mette in relazione con la più modesta Pietà di Melfi; ipotizza anche che possa provenire dalla tomba di Maria Donata Orsini. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 25/08/2013 11:07:45 | |
Data ultima revisione | 11/01/2017 12:15:06 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/362 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, prospetto della Cappella del Sacramento | |
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Materiale | pietra | |
Dimensioni | ||
Cronologia | 1520 | |
Autore | ||
Descrizione | La grande cappella si apre sulla navata destra della Cattedrale di Venosa. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | ||
Data di compilazione | 25/08/2013 14:19:56 | |
Data ultima revisione | 11/12/2016 20:04:29 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/367 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, tomba di Maria Donata Orsini | |
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Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | 1485 | |
Autore | ||
Descrizione | Il monumento è conservato nella cripta della Cattedrale di Venosa, e commemora Maria Donata Orsini del Balzo, duchessa di Venosa e moglie di Pirro del Balzo, morta nel 1485. Eretta per volere della figlia Isabella del Balzo, che di lì a breve sarebbe diventata regina di Napoli perché sposa di Federico, la tomba non si presenta oggi con la sua facies originaria a causa di manomissioni causate da spostamenti occorsi nel tempo. Il Lauridia (1972, 75) ne ricorda almeno due: il primo dalla chiesa francescana di Santa Maria della Pace a quella di San Biagio, ed il secondo da quest’ultima alla Cattedrale, nell’odierna collocazione. Il sepolcro è costituito da un’edicola sorretta da colonnine decorate da bei capitelli a crochet all’interno della quale è custodita la lastra tombale della defunta. Maria Donata indossa il saio francescano che ne ricopre interamente il corpo, ricadendo sui suoi piedi con pieghe dure e pesanti. Una maggiore morbidezza sembra percepirsi nel trattamento della larga cappa e sul volto di Maria Donata, sebbene non si avverta una particolare cura nella resa dei dettagli fisionomici. | |
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Committente | Isabella del Balzo | |
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | "MARIAE DONATAE DE URSINIS DE BALCIO PYRRHI DE BALC. COMERTINI MONTIS CAVEOSI VIGILIAR. ACERRAR. QUE COMITIS VENUSIAE / ATQUE ANDRIAE DUCIS ALTAMURAE PRINCIPIS ET REGNI HUIUS / MAGNI CONOSTABILIS CONIUGI DIGNISSIME CLEMENTIE IV / STICIE RELIGIONIS OMNIUMQUE MATRONA LIUM LAUDUM EX EM/PIO INCOMPARABILI YSABELLA DE BALC. DE ARAGONIA FILIA EX IRI / US VESTITIBUS NATU MINIMA SUMPTU MAGIS PRO LOCO / QUAM PRO INSIGNI SUA INPARENTEM PIETATE PONI IUSSIT / IX AN. LIIII OBIIT AN. D. MCCCCLXXXV". | |
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | La Grelle Iusco (1981/2001, 61) ha avanzato l’ipotesi che la Pietà conservata nella Cattedrale possa appartenere al medesimo complesso funerario fatto erigere da Isabella per la propria madre Maria Donata. La studiosa ha altresì proposto quale possibile artefice dell’impresa lo scultore lucano Francesco da Sicignano, molto attivo nella propria terra d’origine nei primi decenni del Cinquecento. La firma di questo artefice comparirebbe sul bordo sinistro della lastra recante un’Annunciazione e custodita a Tursi nella Chiesa Madre, nonché su uno dei due leoni collocati ai lati del portale della chiesa dell’Annunziata a Maratea (1513 circa). Sulla base di tali opere firmate, la Grelle Iusco ha dunque tentato una parziale ricostruzione del catalogo di questo ancora ignoto lapicida, ascrivendogli l’altorilievo con la Madonna col Bambino in trono tra angeli (1519) in Santa Maria del Sepolcro a Potenza e confermando l’attribuzione, già avanzata da Francesco Abbate (1990), dei rilievi del portale di San Biagio ad Ottati. Emergerebbe dunque la personalità di un maestro locale volto a riproporre, un po’ anacronisticamente, temi e motivi figurativi alla Baboccio da Piperno, scultore che egli poté di certo vedere e apprezzare nella capitale del Regno. Un modello locale per il monumento di Maria Donata Orsini è la tomba di Alberada nell'abbazia della Santissima Trinità. | |
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Abbate 1990: Francesco Abbate, in Il Cilento ritrovato. La produzione artistica nell’antica diocesi di Capaccio, cat. mostra (Padula), Napoli 1990.
D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 115.
Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001.
Lauridia 1972: Emanuele Lauridia, Il castello aragonese di Venosa, Bari 1972. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo, Paola Coniglio | |
Data di compilazione | 25/08/2013 14:16:41 | |
Data ultima revisione | 18/02/2017 20:17:58 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/366 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, tre simboli marmorei del Tetramorfo | |
---|---|---|
Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | Il frammento scultoreo, raffigurante al centro l'Angelo di Matteo e ai lati il bue di Luca e il leone di Marco, si trova nella Cattedrale di Venosa. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | ||
Data di compilazione | 25/08/2013 14:22:47 | |
Data ultima revisione | 11/12/2016 20:26:43 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/368 |
Oggetto | Venosa, San Domenico, facciata, rilievi di apostoli | |
---|---|---|
Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | Questo frammento di rilievo con figure di apostoli entro nicchie si trova oggi murato nella facciata della chiesa di San Domenico a Venosa. | |
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Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 25/08/2013 14:29:14 | |
Data ultima revisione | 03/01/2017 12:40:19 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/370 |
Oggetto | Melfi, campanile della Cattedrale, blocco con capitello di lesena | |
---|---|---|
Luogo di conservazione | Melfi | |
Luogo di reimpiego | Melfi | |
Collocazione attuale | Melfi, campanile della Cattedrale (lato sud-ovest, a circa m 3,80 da terra, cfr. Todisco 1987, 128)
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Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,60; largh. 0,95 (Todisco 1987) | |
Stato di conservazione | Un'ampia lacuna interessa la decorazione figurata (probabilmente un elmo). Manca la parte sinistra dell'abaco del capitello di lesena. Un tassello quadrangolare risarcisce il blocco in alto a destra. | |
Cronologia | Prima o media età augustea | |
Descrizione | Il blocco in calcare appartiene ad un monumento funerario che genericamente possiamo definire di tipo a dado scandito da partizioni architettoniche; poichè la lastra non è angolare, si devono supporre almeno tre lesene su ogni lato a dividere intercolumni decorati da armi isolate. Il capitello è ascrivibile a un tipo molto diffuso nell'architettura romana, in particolare in quella funeraria, che deriva dalla contaminazione del modello a sofà canonico e dello schema dei capitelli corinzieggianti con volute a doppia S o a lira, nei quali si trova frequentemente il motivo dei due germogli con rosetta che incorniciano la grande foglia acantina centrale. La morfologia delle digitazioni dei lobi dell'acanto e la forma delle zone d'ombra determinate da queste (un cerchietto seguito da un triangolo talvolta aperto) consentono una datazione del pezzo tra la prima e la media età augustea. Un confronto per il capitello è rintracciabile, in ambito urbano, in un elemento architettonico in marmo dalla via Appia (appartenente a un monumento funerario di qualche decennio più antico; cfr. Giatti 2011, fig. 19, per la tipologia del monumento anche 153-154, fig. 27); inoltre, il medesimo schema, ma interpretato in modo più rigido, si trova in un esemplare beneventano, reimpiegato nelle mura longobarde, che però è pertinente a una struttura circolare (Muscettola 1991, 211 s., fig. 13). L'elemento decorativo posto nell'intercolumio, purtroppo mal conservato, sembrerebbe identificabile con un elmo con cresta centrale e antenne (o corna) assimilabile, prescindendo dalla sfinge centrale, a quello figurato su un blocco ora murato nel sepolcro dei Rabiri al IV miglio della Via Appia e datato tra la fine della Repubblica e i primi decenni del Principato (Polito 1998, 162, fig. 98). L'abaco del capitello è modanato in una gola e listello aggettanti, mentre l'architrave è liscio. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | I temi militari, le armi isolate o i signa militaria, costituivano un richiamo alla carriera militare del defunto, alludendo alle armi realmente indossate in guerra o, più spesso, a quelle dei nemici vinti, alla legione di appartenenza e ai riconoscimenti ottenuti in battaglia (ornamenta militaria); spesso a tali elementi decorativi si affiancano motivi collegati alla sfera civile: era piuttosto frequente, infatti, l’ascesa nella politica locale di “nuovi nobili” di estrazione militare. Il blocco potrebbe essere relativo al monumento del primipilo venosino, la cui iscrizione monumentale è stata reimpiegata nella stessa sede (sul repertorio decorativo dei monumenta dei primipili cfr. Spalthoff 2010, 107- 109). La lastra poteva appartenere al dado di base di un monumento a edicola oppure a una sorta di basamento di grandi dimensioni, non necessariamente completato da un corpo superiore, sul modello del sepolcro sarsinate di Verginius Paetus (Ortalli 1997, 42) o del monumento dei Titeci a Trasacco (Strazzulla 2001). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Adamo Muscettola 1991: Stefania Adamo Muscettola, Appunti sulla cultura figurativa in area irpina, in La romanisation du Samnium aux IIe et Ier siècles av. J.C. Actes du colloque, Naples 4-5 novembre 1988, Napoli 1991, 205-230.
Giatti 2011: Chiara Giatti, “Architettura e linguaggio decorativo del monumento funerario: modelli culturali e forme di rappresentazione a Roma tra il II e il I secolo a.C”, in Tradizione e innovazione. L’elaborazione del linguaggio ellenistico nell’architettura romana e italica di età tardorepubblicana, Studi Miscellanei 35, Roma 2011, 135-155.
Ortalli 1997: Jacopo Ortalli, "Monumenti e architetture sepolcrali in Emilia Romagna", in Antichità Altoadriatiche, Atti della XXVI Settimana di Studi Aquileiesi, 1997, 313-394.
Polito 1998: Eugenio Polito, Fulgentibus armis. Introduzione allo studio dei fregi d'armi, Roma 1998.
Spalthoff 2010: Benjamin H. Spalthoff, Repräsentationsformen des römischen Ritterstandes, Rahden 2010.
Strazzulla 2001: Maria Josè Strazzulla, "Trasacco. Il monumento funerario dei Titeci", in Il tesoro del lago, a cura di Adele Campanelli, Pesaro 2001, 172-178.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 24/07/2014 16:25:03 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 10:18:13 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/424 |
Oggetto | Melfi, campanile della Cattedrale, blocco iscritto | |
---|---|---|
Luogo di conservazione | Melfi | |
Luogo di reimpiego | Melfi | |
Collocazione attuale | Melfi, campanile della Cattedrale (spigolo angolo nord-ovest/nord-est a circa cm 30 da terra, cfr. Todisco 1987, 129) | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,58; largh. 0,79 (h delle lettere cm 14,8; 10,5; 9 cfr. Torelli 1969). | |
Stato di conservazione | Piuttosto lacunosi i margini; superficie abrasa. Torelli ha rilevato la perdita della metà sinistra del testo alla terza riga. | |
Cronologia | Inizi I secolo d.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | Il blocco iscritto, posto in prima assise nell'angolo nord del campanile della Cattedrale di Melfi, appartiene a un'iscrizione funeraria di dimensioni monumentali, come attestano l'altezza delle lettere e le dimensioni ipotizzabili per il testo completo. L'iscrizione riferisce l'appartenenza del monumento a un primipilo, purtroppo anonimo, della tribù Horatia, che aveva fatto realizzare il sepolcro per sé stesso e per i suoi familiari più stretti: sicuramente per la moglie e probabilmente per uno dei genitori oppure per un fratello.
Trascrizione del testo (Chelotti 2003, n. 15):
[--- f(ili)] Hor(atia), pri(mi) pi[l(aris)], [sibi et? ---]ilae uxor[i] [---]atri ------ | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Già Mario Torelli aveva identificato il titolare del monumento in un veterano, un primipilo appunto, stanziatosi a Venosa, come si intuisce dalla tribù di appartenenza, nel corso della deduzione della colonia secondotriumvirale (Torelli 1969). Considerando gli altri materiali antichi reimpiegati nel campanile di Melfi, all'iscrizione in esame si potrebbe associare la lastra con capitello di lesena, attribuibile a un monumentum decorato con armi isolate e probabilmente anche con signa miliatria, secondo numerosi esempi noti di monumenti funerari di primipili, come quello dei Titeci a Trasacco (Strazzulla 2001) o l'altare monumentale interamente reimpiegato al Goleto (Lipss, Töpfer 2007; in generale sul repertorio decorativo dei monumenta dei primipili cfr. Spalthoff 2010, 107-109). Il rango di primipilo, particolarmente ambito, era stato per molti centurioni il primo passo verso la carriera politica svolta nei municipia (cfr. De Carlo 2005). Alla stessa struttura, ipotizzando un dado di base scandito da paraste e sormontato da un’edicola, si potrebbe associare anche il frammento di transenna, decorato da motivi a squama e reimpiegato nella medesima sede (Todisco 1987, fig. 18), infatti nel mausoleo sarsinate di Murcius Obulaccus una transenna con identica decorazione, ma lavorata a giorno, chiude i lati della piccola edicola sommitale (cfr. Ortalli 1987). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 132-133, n. 15.
De Carlo 2005: Antonella De Carlo, "I cavalieri e l’amministrazione cittadina nelle città dell’Italia meridionale. La Campania e le regiones II e III", Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, 117, 2005, 491-506.
Lipps, Töpfer 2007: Johannes Lipps, Kai Töpfer, "Neues zum Grabbau des Marcus Paccius Marcellus im Kloster von San Guglielmo al Goleto", Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 113, 2007, 571-594.
Ortalli 1987: Jacopo Ortalli, La via dei sepolcri di Sarsina. Aspetti funzionali, formali e sociali, in Römische Gräberstrassen. Selbsdarstellung, Status, Standard, (Atti del convegno, Monaco 1985), a cura di Paul Zanker, Henner von Hesberg, München 1987, 155-182.
Rossano 2004: Maristella Rossano, scheda nel database Eagle n. EDR026015.
Spalthoff 2010: Benjamin H. Spalthoff, Repräsentationsformen des römischen Ritterstandes, Rahden 2010.
Strazzulla 2001: Maria Josè Strazzulla, "Trasacco. Il monumento funerario dei Titeci", in Il tesoro del lago, a cura di Adele Campanelli, Pesaro 2001, 172-178.
Torelli 1969: Mario Torelli, "Contributi al supplemento del CIL IX", Rendiconti dell'Accademia dei Lincei, 24, 1969, 18, n. 11. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 25/07/2014 16:30:29 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 10:43:51 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/426 |
Oggetto | Melfi, campanile della Cattedrale, leone funerario | |
---|---|---|
Luogo di conservazione | Melfi | |
Luogo di reimpiego | Melfi | |
Collocazione attuale | Melfi, campanile della Cattedrale, lato nord-ovest a circa m 6 da terra. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 1,20; largh. 0,60 (Todisco 1987) | |
Stato di conservazione | La scultura è stata ridotta alla sola protome, tagliata a circa un terzo della lunghezza originaria (in un punto difficile da verificare poiché incassato nella parete); mancano anche le zampe anteriori; il taglio, o la frattura, è stato regolarizzato. Lacunoso e rilavorato anche il muso (è stata accentuata l'apertura delle fauci). | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C. | |
Descrizione | Lo stato di conservazione della scultura non consente di definire lo schema originario del corpo della fiera (stante sulle quattro zampe, in posizione d'attacco con la schiena curva e le zampe anteriori piegate o in posizione di riposo accovacciata sulle quattro zampe; una sintesi da ultimo in Stortoni 2008, 130 s.). La testa, di tipo piriforme (Marini Calvani 1980), presenta le fauci spalancate e gli occhi stretti vicini alla radice del naso, globulari e piccoli, che la cavità orbitale, molto profonda, rende pateticamente accentuati creando una vistosa zona d'ombra; nel ruggito il vello sulla fronte e tra gli occhi forma alcune grinze. La criniera incornicia la protome formando una sorta di corona di lunghe e larghe ciocche, solcate da incisioni, disposte a raggiera e piuttosto rigide con l'estremità ricurva; queste, più corte sulla sommità del capo, formano quasi un'anastolè. La massa fluente della criniera sul dorso e sul petto è trattata con ciocche più lunghe e piuttosto sintetiche. Verosimilmente di destinazione funeraria, la scultura, che doveva avere dimensioni notevoli, assimilabili ad esempio ai leoni del protiro del portalino sinistro dell'Incompiuta di Venosa, doveva essere destinata a un'architettura di sicuro impegno monumentale (sulle tipologie dei monumenta di origine: Todisco 1996, 102-104). Si può esprimere una datazione generica alla seconda metà del I secolo a.C.
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Luigi Todisco ha proposto di associare la scultura al leone di sinistra del protiro del portale del transetto dell'Incompiuta di Venosa, ipotizzandone l'appartenenza, in coppia, a uno stesso monumento antico (Todisco 1987; Todisco 1996, 38). Secondo una tale lettura sarebbe inoltre possibile istituire un parallelismo tra il leone di destra del portale venosino e un'altra delle protomi di Melfi, quella reimpiegata isolata, su un fianco del campanile, la cui antichità pare però molto dubbia (d'altra parte anche la scultura a Venosa è stata considerata medievale, cfr. De Lachenal 1998, 308). L'individuazione di analoghe modalità di reimpiego, cui si affiancherebbe il ricorso a pezzi antichi appartenenti al medesimo contesto, permetterebbe di individuare un legame solido tra il progetto e la realizzazione del campanile di Melfi, solidamente datato dall'iscrizione, e una delle fasi costruttive dell'Incompiuta, che potrebbe essere associata, sulla base delle testimonianze ora esaminate, alla committenza di re Ruggero (De Lachenal 1998, 313 s.; Todisco 1996, 136 s., più cautamente, riferisce il portale venosino ai primi anni del 1200). Per la scultura in esame è molto probabile la provenienza dalla vicina Venusia, mentre meno sicura è la pertinenza allo stesso monumento antico del leone sinistro del protiro dell'Incompiuta; come per gli altri esemplari lucani si riscontra anche in questo caso la creazione di una profonda zona d'ombra, determinata dal taglio netto dello zigomo, in corrispondenza con l'apertura delle fauci, caratteristica che sembra rappresentare un marchio regionale. L'esecuzione della protome esprime un buon livello artistico e pare confrontabile in alcuni particolari (schema della criniera, naturalismo degli occhi e del muso) con il leone incastonato nel campanile di San Pietro a Teggiano, esemplare che richiama il caso melfitano anche per le modalità di reimpiego. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | De Lachenal 1995: Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995, 159-161, 262-263.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 308 s.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calvani, "Leoni funerari romani in Italia", Bollettino d'arte, 65, 1980, 7-14.
Stortoni 2008: Emanuela Stortoni, Monumenti funerari di età romana nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, I-II, Urbino 2008.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99, 1987, 127 n. 2, figg. 6-8.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996. | |
Allegati | ||
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Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 24/07/2014 16:10:42 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 12:26:33 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/423 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Chiesa Vecchia, fregio dorico | |
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Collocazione attuale | Venosa, Trinità; reimpiegato, ruotato di 180° nello spigolo sinistro della facciata (fase paleocristiana) della c.d. Chiesa Vecchia. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,30; lungh. 1,13; largh. 0,50. | |
Stato di conservazione | Superficie diffusamente abrasa con varie scheggiature sui lati lunghi; resecate regulae e guttae e, probabilmente, anche parte del listello inferiore e superiore. | |
Cronologia | Terzo quarto del I secolo a.C. | |
Descrizione | Il fregio dorico si compone di tre triglifi e due metope decorate con i tradizionali elementi di connotazione sacrale quali il bucranio e la rosetta. Il bucranio, la protome bovina scarnificata, presenta la forma triangolare allungata di matrice ellenistica, con piccole cavità circolari leggermente aggettanti per alloggiare le pupille, e corna brevi semilunate intorno alle quali si avvolge l'infula; questa ancora si vede, resa in rilievo bassissimo, scendere libera ai lati della protome. Lo stesso tipo di bucranio, che tendenzialmente si data entro il I secolo a.C., si trova a Venosa nel fregio dorico reimpiegato all'interno dell'Incompiuta. La rosetta è del tipo a doppia corolla: una prima corona di elementi molto brevi, disposti a croce di Sant'Andrea, si staglia su una seconda costituita da otto petali polilobati, resi come foglie acantine le cui digitazioni aguzze incontrandosi formano triangolini di risulta; questa caratteristica consente di avanzare una datazione al secondo triumvirato (cfr. per la morofologia dell'acanto: Roth Congès 1983).
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il numero notevole di fregi dorici reimpiegati nel tessuto urbano, ancora visibili alla fine del XVI secolo, è documentato dal rifermento di Achille Cappellano "ad alcune teste di tori fabbricate nelle mura" che si potevano vedere in molti luoghi (Cappellano [ed. Nigro 1985], 46). Il riuso dei fregi dorici a Venosa risulta diffuso in un'ampia prospettiva diacronica: dall'ipogeo Lauridia (IV-VI secolo), ai reimpieghi nella cattedrale, alle risistemazioni urbane più recenti del 1800 e del 1900 (cfr. Todisco 1996, 68-76, 120-122; Giammatteo 2002, 85-89, schede nn. 17, 29, 34, 40, 46, 62, 63, 90, 98). In generale sulla tipologia di monumenti di appartenenza si vedano le note alla scheda Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 28.
Roth Congès 1983: Annè Roth Congès, "L’acanthe dans le décor architectonique protoaugustéen en Provence", Revue archéologique de Narbonnaise 16, 1983, 103-134.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 67, n. X A 2, tav. LI.
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, a cura di Luigi Todisco, 121, fig. 1.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/01/2014 12:19:26 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 19:13:38 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/312 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Chiesa Vecchia, CIL IX 461 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, SS. Trinità. L'iscrizione è reimpiegata nel paramento esterno del lato sinistro della c.d. Chiesa Vecchia, in angolo. | |
Prima attestazione | Cimaglia 1757, 209. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | Mancante della cornice modanata sul lato destro che forse è stato regolarizzato al momento del reimpiego; un'evidente lesione taglia in verticale la lastra ai due terzi del suo sviluppo in larghezza. La superficie è in alcuni punti consunta e il profilo modanato presenta scheggiature. | |
Cronologia | ||
Descrizione | Una cornice costituita da un listello piatto e da un sorta di piccola gola rovescia chiude il campo epigrafico che reca l'iscrizione relativa all'Augustale L. Livius L. l. Probus e al suo nucleo familiare. Doveva trattarsi dell'epigrafe posta sulla tomba di famiglia. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Le modalità di messa in opera del blocco iscritto ad un'altezza non molto elevata e in angolo potrebbero aver rappresentato un modello per la collocazione dell'iscrizione moderna di Aelio Restitutiano, posta appunto in seconda assise nell'angolo esterno del lato occidentale del campanile della Cattedrale e realizzata in un blocco similmente modanato. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 65 n. 461.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 209, n. 12.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinum vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes [...], Neapoli 1793, 295. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 07/01/2014 10:14:36 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 19:14:14 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/310 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Chiesa Vecchia, ara funeraria, CIL IX 573 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, abbazia della SS. Trinità, "Chiesa vecchia". L'ara è reimpiegata come pilastrino nel loggiato, ora murato, che correva sul portico ad arcate della seconda facciata della chiesa. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 1,32; larg. 0,55; lung. 0,23 (Chelotti 2003) | |
Stato di conservazione | ||
Cronologia | II-III secolo d.C | |
Descrizione | Ara funeraria modanata, sormontata da un frontone triangolare, chiuso ai lati da pulvini piuttosto schematici. Il timpano reca incisa al centro l'immagine, molto semplificata, di una patera (?), fiancheggiata dalla consueta invocazione agli dei Mani. Il monumento è stato dedicato da Alphius alla conserva Silva, liberta di Betitius Pius e a se stesso (per il testo cfr. Milano 2005).
D(is) M(anibus)/
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il tipo di monumento trova confronti a Venosa stessa in un'ara proveniente dalla località detta Diga del Rendina (Chelotti 2003). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 89.
Milano 2005: Ilaria Milano, scheda nel database Eagle n. EDR026393. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 18/11/2013 15:26:43 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 19:15:20 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/299 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Chiesa Vecchia, due capitelli di tipo composito | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Trinità Vecchia, ai due lati dell'arcone trionfale. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Marmo lunense | |
Dimensioni | h 0,70 (Todisco 1996) | |
Stato di conservazione | La superficie è consunta e si registrano diverse lacune nelle volute e nel kyma ionico. | |
Cronologia | Età flavia-età traianea | |
Descrizione | A ridosso dell'arco trionfale della Chiesa Vecchia restano due colonne in cipollino sormontate da due capitelli identici di tipo composito, evidentemente appartenenti in origine a uno stesso complesso della città antica. Il kalathos è composto da due corone di otto foglie acantine dalle quali spuntano due viticci fioriti, in luogo del caulo della forma corinzio-normale. L'elemento ionico è costituito da un collarino di perline e fusarole, cui segue l'echino intagliato in un kyma ionico, chiuso tra le quattro volute. Le foglie acantine del calato hanno un aspetto plastico molto marcato, nonostante l'uso del trapano per le costolature centrali. Allo stesso modo la resa dei viticci desinenti in una rosetta è accurata e molto raffinata. Gli ovoli del kyma, tre per lato, sono piuttosto allungati, separati da sgusci dal profilo a U e freccette con fascette in alto. Le volute e il canale rettilineo alla base dell'abaco sono ricoperti da un rigoglioso tralcio; una semipalmetta si staglia sulla prima serie di ovoli dell'echino (sul tipo: Pensabene 1973, 106-108). Il trattamento dei motivi vegetali e la tettonica generale del capitello, che si qualifica come un prodotto di alta qualità, trovano confronti datati tra l'età flavia e l'età traianea (tradizione flavia); in particolare la morfologia del nastro esterno della voluta, ricoperto, a partire dall'abaco, con una foglia a palmetta stilizzata, risulta affine ai capitelli dell'arco di Traiano a Benevento (Freyberger 1990, 48-51, 109 a-h); il medesimo orizzonte cronologico è stato proposto anche da Todisco (Todisco 1996, 89 n. 21). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Sia i capitelli che le relative colonne possono ritenersi recuperati da un edificio pubblico probabilmente già in epoca paleocristiana (Todisco 1996, 89 n. 21). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Freyberger 1990: Klaus S. Freyberger, Stadtrömische Kapitelle aus der Zeit von Domitian bis Alexander Severus: zur Arbeitsweise und Organisation stadtrömischer Werkstätten der Kaiserzeit, Mainz 1990.
Pensabene 1973: Patrizio Pensabene, Scavi di Ostia. VII, I capitelli, Roma 1973.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 89 n. 21. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 23/06/2014 15:18:32 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 19:16:09 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/394 |
Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità, Chiesa Vecchia, fregio dorico | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Il fregio è stato reimpiegato nel pilastro di sostegno della facciata medievale della c.d. Chiesa Vecchia ad un'altezza di circa cm 60. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,30; lungh. 0,93; largh. 0,48 | |
Stato di conservazione | Mancano regulae e guttae, diverse scheggiature sul listello di chiusura superiore. | |
Cronologia | ||
Descrizione | Si conservano due metope e due triglifi; a sinistra resta solo un femore di un terzo triglifo, mentre a destra il blocco si chiude con una metopa frammentaria; gli elementi decorativi del campo metopale sono il bucefalo e la rosetta e un terzo elemento di difficile interpretazione (rosetta, elmo?). La protome bovina, di tipo naturalistico, ha le forme piene con il muso tozzo e arrotondato di ascendenza medioitalica; alla stessa corrente stilistica rimandano una serie di elementi convenzionali quali: gli occhi amigdaloidi, le incisioni ad indicare la grinzosità del vello intorno alle narici, le orecchie del tipo detto a fondo di cucchiaio (per tipologia e nomenclatura dei fregi dorici: Joulia 1988 e da ultimo Maschek 2012). Risultano, inoltre, molto schematiche la resa del manto villoso al centro della testa (superficie triangolare segnata da incisioni) e della benda, che, quasi tubolare sulla fronte, è avvolta intorno alle corna per poi rigidamente ricadere sui lati. La rosetta presenta una doppia corolla: una prima di quattro sepali cuoriformi dal profilo rilevato e disposti a croce di Sant'Andrea sulla quale si apre una seconda corona di pari elementi polilobati. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La morfologia del triglifo con due risalti in alto e in basso si trova, quasi come tratto regionale specifico, sia nella metopa con rosetta a girandola reimpiegata nella Cattedrale sia nel fregio con metopa con rosacea e due triglifi riutilizzato nella stessa sede. In generale sui fregi dorici venosini e sulla tipologia di monumenti di appartenenza si vedano: Todisco 1996, 120-122; Giammatteo 2002, 85-89 e le note alla scheda Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 86 nota 7.
Joulia 1988: Jean Claude Joulia, Les frises doriques de Narbonne, Collection Latomus 202, Bruxelles 1988.
Maschek 2012: Dominik Maschek, Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr., Wien 2012.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 70, VI A 7, tav. LIV.
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, Bari 2002, 123.
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Allegati | ||
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Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/01/2014 19:56:53 | |
Data ultima revisione | 06/01/2019 19:16:35 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/313 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, albo gladiatorio, CIL IX 465 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | La stele è murata, girata di 90° gradi verso sinistra, nel braccio sinistro del transetto dell'Abbaziale Incompiuta. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 1,52; larg. 0,60 | |
Stato di conservazione | La stele è stata tagliata sui lati, mentre non si conserva la parte finale del testo; si riconsce il tentativo di ricavare sul blocco un listello ribassato come cornice. | |
Cronologia | Prima metà del I secolo d.C. | |
Descrizione | La stele, di destinazione funeraria, conserva l'albo della familia gladiatoria di C. Salvius Capito. La lettura aedilis ad integrare le seconda linea sembra preferibile a quella A[(uli) filius] (Buonocore 1992, 97 s.) in relazione all'appartenenza di Salvius Capito ad una delle gentes più importanti di Venosa (De Lachenal 1996; Chelotti 2003), i cui esponenti hanno rivestito magistrature (CIL IX 422) e promosso notevoli interventi di restauro. Un personaggio di tale estrazione sociale potrebbe essere stato l'editor dei giochi e quindi il proprietario di una familia gladiatoria allestita per l'occasione (Ville 1981, in particolare 275). Il testo prevede la menzione dei membri della familia gladiatoria, divisi per specialità e seguiti dal novero delle vittorie e delle corone conseguite.
[F]amilia gladiat[oria] [C(ai)] Salvi Capitonis A(edilis)] hic sita. Eq(ues): Mandatus Rab(irianus) (victoriarum) III, (coronarum) II. Tr(aeces): Secundus Pomp(eianus vel -onianus) (victoriarum) II, (coronarum) II; C(aius) Masonius (victoriarum) VII, (coronarum) III; Phileros Dom(itianus) (victoriarum) XII, (coronarum) XI; Optatus Salvi(anus), t(iro); C(aius) Alfidius, t(iro). M(urmillones): Q(uintus) Cleppius, t(iro); [-] Iulius, t(iro). R(etiarius): [- - -], t(iro) [- - -] [- - - (victoriarum) -], (coronarum) X; - - - - - - | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Buonocore 1992: Epigrafia anfiteatrale dell'Occidente Romano, III. Regiones Italiae II-V. Sicilia, Sardinia et Corsica, a cura di Marco Buonocore, Roma 1992, 97, n. 67, tav. XXVII, fig. 2.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 65-66.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra Lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 1-80.
De Lachenal 1998: Lucilla De Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 304.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 151.
Ville 1981: Georges Ville, La gladiature en Occident des origines à la mort de Domitien, Rome 1981. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 11/11/2013 15:03:59 | |
Data ultima revisione | 05/01/2017 20:21:30 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/297 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, albo gladiatorio, CIL IX 466 | |
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Collocazione attuale | Venosa, Incompiuta. La stele è usata come lastra di copertura della porta di accesso al braccio sinistro del transetto. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 1,60; larg. 0,60 | |
Stato di conservazione | Il blocco è stato tagliato sui quattro lati, evidentemente per essere adattato al luogo di reimpiego. | |
Cronologia | metà del I secolo d.C. | |
Descrizione | Sulla stele (?) è iscritto un albo gladiatorio mancante però dell'intestazione, che avrebbe dovuto recare l'indicazione del lanista o del magistrato, editor dei giochi, che doveva aver comprato i gladiatori, allestendo una sorta di squadra per un'occasione specifica. Questa seconda ipotesi sembra da prediligersi nel caso in esame e nell'ipotesi di attribuire il testo al monumento funerario del magistrato (Todisco 1996, 151). Come di consueto in questo genere di testi i gladiatori sono ripartiti per specialità e accompagnati dal numero delle vittorie e delle corone conseguite.
Si riporta di seguito il testo: ----- Oceanus Avil(ianus) t(iro). Sag(ittarius): Dorus Pis(inianus) (victoriarum) VI, (coronarum) IIII. Vel(es): Mycter Ofil(ianus) (victoriarum) II. Opl(omachus): Phaeder Avil(ianus), t(iro). Thr(aeces): Donatus Ner(onianus) (victoriarum) XII, (coronarum) VII; Hilario Arr(ianus) (victoriarum) VII, (coronarum) V; Aquila Pis(ianus) (vitoriarum) XII, (coronarum) VI; Quartio Munil(ianus) (victoriae) I; C(aius) Pepernius, t(iro) Mur(millones): Amicus Munil(ianus) (victoriae) I; Q(uintus) Fabius (victoriarum) V; (coronarum) III; Eleuther Mun(ilianus) (victoriae) I; C(aius) Memmius (victoriarum) III; (coronarum) II; Antenors Munilian(us) (victoriarum) II; Atlans Don(atianus) (victoriarum) IIII; (coronae) I. Esse(darius): Inclutus Arr(ianus) (victoriarum) V; (coronarum) II; Sam(nes): Strabo Don(atianus) (victoriarum) III, (coronarum) III. Ret(iarius): C(aius) Clodius (victoriarum) II Scisso(r): M(arcus) Caecilius, t(iro). Gallu(s): Q(uintus) Granius, t(iro).
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Buonocore 1992: Epigrafia anfiteatrale dell'Occidente Romano, III. Regiones Italiae II-V. Sicilia, Sardinia et Corsica, a cura di Marco Buonocore, Roma 1992, 99, n. 68, tav. XXVIII, fig. 1.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 66-67, n. 466.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra Lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 47-48, fig. 88.
Todisco: Luigi Todisco, La Scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 151. Ville 1981: Georges Ville, La gladiature en Occident des origines à la mort de Domitien, Rome 1981. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 12/11/2013 13:13:44 | |
Data ultima revisione | 05/01/2017 20:53:15 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/298 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, blocchi con lettere alveolate, CIL IX 453, 11 + 455, 1 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta: a) murato girato di 90° in senso verticale nel montante del portale del braccio sinistro del transetto; b) collocato, con il testo capovolto, in prima assise, al di sopra del coronamento del portale del lato destro. | |
Prima attestazione | Si deve a Cimaglia la prima attestazione del blocco b, del quale fornì però una trascrizione erronea (PLNO), evidentemente ingannato dalla collocazione del testo, capovolto di 180° (Cimaglia 1757, 223). | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | a) h 0,57; lungh. 0,80; b) h 0,59; lungh. 1,50. | |
Stato di conservazione | I blocchi non recano segni di usura; in occasione del reimpiego il profilo del blocco b è stato evidenziato con un riquadro, ottenuto ribassando la superficie antica e obliterando una lettera (probabilmente una I, che si può restituire in base alla disposizione dei fori per le grappe). | |
Cronologia | 30 a.C.-30 d.C. (Rossano 2004) | |
Descrizione | I due blocchi recanti porzioni di un'iscrizione monumentale con lettere bronzee sono stati ricondotti, per tipologia e dimensione delle lettere, e per morfologia del supporto stesso, ad un unico testo da Michel Aberson e Michel Tarpin (Aberson, Tarpin 1990, 53). Il Mommsen, invece, attribuiva il blocco reimpiegato nel montante del portale del transetto (a) all'iscrizione pavimentale CIL IX 453 (leggendo [de]cre[to]) e pubblicava l'altro (b) seguendo la trascrizione di Cimaglia (CIL IX 455,1). Secondo gli editori più recenti la monumentale iscrizione bronzea poteva essere stata collocata sull'architrave di un monumento o di una porticus, come parrebbe dedursi dalla forma dei blocchi, sviluppati in lunghezza (in maniera differente da quelli concepiti come lastre pavimentali del foro).
(a) [-?] Cre[---] ------? (b) [--- p]onti[f---] ------? | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Le modalità di messa in opera dei blocchi sembrano trovare una giustificazione nella forma e nelle dimensioni dei materiali (si consideri ad esempio larghezza del montante del portalino, cfr. Aberson, Tarpin 1990, 53); mentre il frammento maggiore, quasi in asse con il portale sottostante, doveva aver avuto nel progetto iniziale una più accentuata visibilità, poi parzialmente obliterata dalla cornice aggettante di coronamento, costruita in un secondo momento ( De Lachenal 1996, 24 s.). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aberson, Tarpin 1990: Michel Aberson, Tarpin Michel, "Les inscriptions en lettres de bronze en remploi dans l’église inachevée de la SS. Trinità à Venosa", in Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del Convegno (Venosa, 23-25 aprile 1987), Venosa 1990, 51-69.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 146, n. 32.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra Lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, pp. 1-80. Rossano 2004: Maristella Rossano, scheda nel database Eagle n. EDR026032. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 07/01/2014 09:29:27 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 13:42:21 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/309 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, blocchi con singole lettere alveolate | |
---|---|---|
Collocazione attuale | I diciassette blocchi sono murati all'interno e all'esterno della fabbrica dell'Incompiuta. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | I blocchi sono di dimensioni variabili; l'altezza delle lettere è compresa tra cm 13,5 e 15. | |
Stato di conservazione | ||
Cronologia | Età tardorepubblicana | |
Descrizione | Le diciassette lettere, originariamente in bronzo, incise ciascuna su un singolo blocco, affini per tipologia e dimensioni, sono state attribuite da Michel Aberson e Michel Tarpin alla pavimentazione di uno spazio pubblico dell'estensione di circa m 20 (Aberson, Tarpin 1991). Le lettere, che rappresentano una serie alfabetica, ora incompleta, ma che si può ricostruire di 20 o 25 elementi, avrebbero dovuto segnalare al corpo civico, diviso per tribù o per curie, gli spazi destinati alle operazioni di voto. I 20 elementi totali (ipotizzabili per il punto presente dopo la T e per la duplicazione della E e della M) potrebbero adattarsi alla divisione del corpo civico della colonia latina conservatasi nel Municipio; mentre una successione di 25 lettere (le 23 dell'alfabeto latino e le due doppie) potrebbe essere riferita alle curie della colonia triumvirale (Chelotti 2003). Questa seconda ipotesi risulterebbe compatibile dal punto di vista cronologico con altri importanti interventi di ristrutturazione del foro venosino (cfr. CIL IX 453, 454). | |
Immagine | ||
Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Aberson, Tarpin 1990: Michel Aberson, Tarpin Michel, "Les inscriptions en lettres de bronze en remploi dans l’église inachevée de la SS. Trinità à Venosa", in Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del Convegno (Venosa, 23-25 aprile 1987), Venosa 1990, 51-69.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 144-145, n. 30.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 1-80.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 30.
Marchi, Salvatore 1997: Maria Luisa Marchi, Mariarosaria Salvatore, Venosa, Roma 1997, 55 nota 8. | |
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 19/12/2013 13:28:43 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 00:37:33 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/305 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, CIL IX 501 | |
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Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta. Il blocco iscritto è murato nel transetto sinistro (paramento interno) in ottava assise, ruotato di 90°. | |
Prima attestazione | Cimaglia 1757, 220 | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,55; lungh. 0,65. | |
Stato di conservazione | Il blocco iscritto, piuttosto consunto nella superficie, è mancante della parte superiore e resecato sui lati. | |
Cronologia | Prima età imperiale | |
Descrizione | L'iscrizione doveva appartenere al monumento funerario dedicato dalla liberta Cominia Copiosa al defunto, Drimac(h)us, forse di condizione servile, del quale è noto solo il cognomen grecanico. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 74 n. 501.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 220.
Crudo 1899: Giuseppe Crudo, La SS. Trinità di Venosa. Memorie storiche, diplomatiche, archeologiche, Trani 1899, 435.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 44 s., fig. 82.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinum vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes [...], Neapoli 1793, 351. | |
Allegati | ||
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Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 07/01/2014 14:41:08 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 00:40:34 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/311 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, CIL IX 526 | |
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Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta; il blocco è murato nel paramento interno della navata sinistra, girato di 90° verso l'alto in quinta assise. | |
Prima attestazione | XVI secolo, Codex Chigianus J VI 203. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,70; lungh. 0,45 | |
Stato di conservazione | La lastra è stata resecata a destra e in alto per adattarla alle dimensioni richieste dalla tessitura muraria. | |
Cronologia | I secolo d.C. (Chellotti 2003) | |
Descrizione | Del testo restano solo i gentilizi delle dedicanti, due donne appartententi alla gens Herennia. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Codex Chigianus, 46: Venusiae in S. Trinitatis. | |
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 79, n. 526.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 49.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinum vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes [...], Neapoli 1793, 295.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 07/01/2014 08:48:30 | |
Data ultima revisione | 02/02/2017 18:21:55 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/308 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, CIL IX 539 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta. L'iscrizione è murata, girata di 90° gradi verso il basso, nel paramento interno della navata sinistra in ottava assise. | |
Prima attestazione | Cimaglia 1757, 222. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,42; largh. 0,28. | |
Stato di conservazione | Il blocco è stato tagliato su tutti i lati per essere adattato alla tessitura muraria. | |
Cronologia | I secolo d.C. (Chellotti 2003) | |
Descrizione | Il testo, di destinazione funeraria, contiene parte del nome della defunta Maria Polla e delle due dedicanti, aventi lo stesso gentilizio. L'epitaffio menziona anche un Ṃ(arcus) Pisentius Chry[- - -].
[- - -] Mariae L(uci) f(iliae) Pol[la] Ṃ(arcus) Pisentius Chry[- - -] Maria P(ubli) f(ilia) [- - -] [M]aria +[- - -] | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 81, n. 539.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 222.
Milano 2005: Ilaria Milano, scheda nel database Eagle n. EDR026360.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 29/12/2013 17:06:24 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 13:31:35 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/307 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, CIL IX 540 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta, ruotato di 90° verso il basso, è stato riutilizzato come archivolto della monofora del presbiterio. | |
Prima attestazione | Cimaglia 1757, 223. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | Il blocco è stato opportunamente squadrato per la messa in opera, e nello spessore è stato ricavato l'archivolto della monofora. | |
Cronologia | I secolo d.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | Della dedica, probabilmente funeraria, si legge con sicurezza il cognomen della destinataria Maxsima, scritto in belle lettere capitali che attestano il pregio del monumento. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 82, n. 540.
Cimaglia 1757: Natale Maria Cimaglia, Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra Lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 23, fig. 31. Milano 2005: Ilaria Milano, scheda nel database Eagle n. EDR026361. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 29/12/2013 13:54:40 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 13:37:41 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/306 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, cinque blocchi con lettere alveolate, CIL IX 454 2,3,6,4,5 | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta | |
Prima attestazione | Sono stati trascritti dal Cimaglia i blocchi nn. 2,3,4,5 (Cimaglia 1757, 223) | |
Materiale | calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | ||
Cronologia | 31 a.C. - 31 d.C. | |
Descrizione | I cinque blocchi compongono un'iscrizione monumentale con lettere bronzee (h cm 29-31) che, dato lo stato di consunzione superficiale, le modalità di realizzazione delle lettere, incise dopo la messa in posa degli elementi e le stesse dimensioni del testo, è stata attribuita alla pavimentazione del foro. Le restituzione del testo si deve allo studio, basato sul rilievo fotogrammetrico, di Aberson e Tarpin, i quali rispetto alla lettura del Mommsen hanno espunto due elementi (CIL IX 454, 1 e 7). Dell'iscrizione, fortemente mutila, resta solo il cognomen di un magistrato (Bassus) che, molto probabilmente, in collaborazione con i colleghi in carica aveva provveduto al restauro della pavimentazione del foro (ob honorem e per decreto decurionale).
Si riporta di seguito la trascrizione ora edita nei Supplementa Italica (Chelotti 2003, 133-135, n. 17):
[---] f(ilius) Bassus [---], [---] L(uci) f(ilius) +[---] [--- ex d(ecreto)] d(ecurionum) ob honor[em ---].
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | L'iscrizione è in stretta relazione, oltre che per le modalità di reimpiego, con CIL IX 453 e la serie di blocchi con una sola lettera alveolata, riutilizzati nella stessa sede: si tratta infatti degli unici materiali archeologici che testimoniano la monumentalità del foro della città antica (collocato forse nell'area dell'attuale piazza Orazio, cfr. Marchi, Salvatore 1997, 55). A differenza dell'iscrizione menzionante i magistrati, probabilmente i quattuoviri, i blocchi mostrano un'evidente consunzione superficiale; oltre alle relazioni tra i due distinti interventi di pavimentazione, non troppo distanti cronologicamente (relativi a due fora? o semplicemente a due aree differenti, cfr. Chelotti 2003), restano da chiarire le modalità di conservazione dei materiali nonchè quelle del recupero medievale. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aberson, Tarpin 1990: Michel Aberson, Tarpin Michel, "Les inscriptions en lettres de bronze en remploi dans l’église inachevée de la SS. Trinità à Venosa", in Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del convegno, Venosa (23 - 25 aprile 1987), Venosa 1990, 51-69.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria:Venusia, cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 133-135, n. 17.
Cimaglia 1757: Natale Maria Cimaglia, Natalis Marii Cimaliae antiqvitates Venvsinae tribvs libris explicatae. Ascvlanensivum antiqvitates et Davniae Apvliaeque veteris geographia, Neapoli 1757.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di venosa in terra Lucana", Bollettino d'Arte 6, 1996, 1-80.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 30.
Marchi, Salvatore 1997: Maria Luisa Marchi, Mariarosaria Salvatore, Venosa, Roma 1997.
Rossano 2004: Maristella Rossano, scheda nel database Eagle n. EDR026017.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 18/12/2013 21:34:02 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 13:46:21 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/304 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta, incassato all'esterno dell'abside destra del transetto, a circa m 5 di altezza. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,62; lungh. 1,30; largh. 0,43; fregio h 0,43 | |
Stato di conservazione | Una parte della superficie del blocco, a partire dalla metopa centrale e proseguendo verso il bucefalo, è stata evidentemente ribassata per adattare alla curvatura esterna dell'abside un pezzo in origine rettilineo; allo stesso intervento si deve l'eliminazione del listello superiore del fregio, della sola porzione inferiore in corrispondenza del bucefalo e del triglifo che doveva chiudere la metopa con elmo. | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C. (40-20 a.C.) | |
Descrizione | Il blocco, dell'altezza di circa due piedi romani, doveva appartenere a un monumento funerario a dado o ad altare; nonostante le dimensioni notevoli del fregio (h cm 43), l'assenza dell'architrave induce a rifiutarne l'attribuzione ad altre tipologie monumentali. Le metope figurate sono decorate dal bucefalo di tradizione italica, una rosetta a doppia corolla e da un elmo con calotta rotonda, tesa ondulata e paragnatidi in rappresentazione frontale. Il bucefalo ha occhi amigdaloidi dal profilo ingrossato, mentre il vello al centro della fronte è reso con cordoncini paralleli e impreziosito dall'infula, portata poi dietro le corna. L'intaglio della rosetta, come più in generale quello di tutta la partitura decorativa, richiama modalità di lavoro tipiche della pietra tenera: ad una corona di foglie acantine si sovrappone una corolla di petali lanceolati, di notevole plasticismo con la costolatura centrale incisa e il bulbo rigonfio di semi. Anche l'elmo si caratterizza per l'accurata resa dei dettagli, come si evince dalla sottile linea doppia che segna il profilo delle paragnatidi e della tesa. Il tipo di elmo (Polito 1998, tipo C2), derivato da precedenti ellenistici, qui presente nella forma senza rinforzo frontale, è diffuso nei fregi d'armi compresi tra il I secolo a.C. e l'inizio del seguente e trova confronti precisi nel fregio continuo dal foro di Cuma (Zevi et Alii 2008, I, 94 s., scheda di Carmela Capaldi; ora Capaldi 2015) e in un fregio d'armi reimpiegato ad Alife nel rifacimento medievale della torre sinistra di Porta Fiume. La tipologia e i confronti individuati per gli elementi decorativi consentono una datazione compresa tra l'età del secondo triumvirato e la prima età augustea. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | I fregi dorici rappresentano una voce consistente dei materiali, erratici o reimpiegati, diffusi in ambito municipale e provenienti, nella maggior parte dei casi, da monumenti funerari (un corpus di riferimento per i materiali dell'Italia centrale è Maschek 2012) . Lo studio fondamentale di Mario Torelli (Torelli 1968), che ha assunto valore normativo, ha fissato le coordinate per l'attribuzione di tali fregi a tipologie monumentali ben definite (monumenti a dado o altari); ricerche più recenti hanno tentato di elaborare un criterio metrologico per determinare il monumento di provenienza dei fregi adespoti e in tal senso è stata notata una tendenza ad accrescere le dimensioni del fregio quando questo non ha una funzione strutturale o non deve armonizzarsi con lo sviluppo di un corpo superiore (in sintesi Giatti 2005, 179-181; Tuccinardi 2011, 91). L'estrema varietà dei casi noti induce comunque a non applicare rigidamente tali presupposti teorici. Nel caso specifico le dimensioni del fregio indurrebbero a presupporne l'appartenenza ad un altare funerario di dimensioni rilevanti e decorato con motivi di armi, tipologia di monumentum che ben si adatterebbe, inoltre, a rappresentare i coloni della deduzione triumvirale di Venusia (sul probabile legame con lo stanziamento dei veterani della battaglia di Filippi, cfr. Maschek 2012, 46). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Capaldi 2015: Carmela Capaldi, "Die Portikenfassade des Forums von Cumae in Kampanien", Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 130, 2015, 183-236.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 31, fig. 49.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 88.
Giatti 2005: Chiara Giatti, "Il Sepolcro Dorico e la Tomba dei Festoni sulla Via Appia: due esempi di ricostruzione ottocentesca", Archeologia Classica, 56, 2005, 155-187.
Maschek 2012: Dominik Maschek, Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr., Wien 2012, 287, Df 86, tav. 20,3. Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 77, n. X B1, tav. LX.
Torelli 1968: Mario Torelli, "Monumenti funerari romani con fregio dorico", Dialoghi di Archeologia, 2, 1968, 32-54.
Tuccinardi 2011: Stefania Tuccinardi, "Fregi dorici da monumenti funerari. La documentazione alifana", Oebalus, 6, 2011, 69-104.
Zevi et alii 2008: Museo Archeologico dei Campi Flegrei, catalogo generale, Cuma, a cura di Fausto Zevi, Filippo Demma, Elsa Nuzzo, Carlo Rescigno, Claudia Valeri, Napoli 2008.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 13/12/2013 18:04:20 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 00:22:51 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/301 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico | |
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Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta; i due blocchi sono incassati ad un'altezza di circa m 6 nella parete rettilinea a destra dell'abside centrale. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,35; lunghezza totale dei due frammenti m 2,30 | |
Stato di conservazione | Rilievo molto basso, privo di mutuli e guttae e in alcuni punti mancante dei listelli di chiusura; i due blocchi sono rotti su almeno uno dei lati e resecati nella parte inferiore. | |
Cronologia | 40-20 a.C. | |
Descrizione | I due blocchi con fregio dorico, anche se non contigui, appartengono verisimilmente allo stesso monumento, come si deduce dalla precisa rispondenza nelle dimensioni e nelle caratteristiche stilistiche. Il fregio a sinistra si compone di tre triglifi, due metope integre e altre due frammentarie (all'estremità), decorate da una rosetta e da un bucranio in successione alternata. Gli stessi motivi si trovano sul frammento minore (costituito da due metope intervallate da un triglifo cui si aggiungono due triglifi frammentari a chiudere il blocco). La rosetta è presente in due tipi: con piccolo bottone centrale e otto petali bilobati, oppure con unica corona di otto petali lanceolati, mentre il bucranio è del tipo scarnificato di matrice ellenistica, costituito da una massa triangolare ancora coperta dalla pelle rinsecchita e con piccole cavità circolari per l'alloggiamento delle pupille (cfr. Tomassetti 2000 per il Mausoleo di Bibulo a Roma). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il reimpiego dei fregi ne rispetta la pertinenza allo stesso monumento, o quanto meno l'affinità formale: è stata infatti ripristinata le sequenza di triglifi e metope, ricongiungendo i frammenti in corrispondenza dei femori. Il fregio risulta inoltre posizionato in maniera corretta, compreso tra i capitelli, a fare da base all'imposta della volta (cfr. De Lachenal 1996, 41). In generale sui fregi dorici venosini e sulla tipologia di monumenti di appartenenza si vedano: Todisco 1996, 120-122, Giammatteo 2002, 85-89 e le note alla scheda Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico.
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Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 86 nota 76.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 41-42, figg. 69, 71.
Maschek 2012: Dominik Maschek, Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr., Wien 2012, 286, Df 85, tav. 20, 2.
Todisco 1992: Luigi Todisco, Introduzione all’artigianato della Puglia antica: dall’età coloniale all’età romana, Bari 1992.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 66, n. X A1, tav. L. Tomassetti 2000: Alessandra Tomassetti, "Un edificio antico lungo il clivus Argentarius. Il monumentum di Gaio Publicio Bibulo", Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, 101, 2000, 39-80. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 17/12/2013 15:59:13 | |
Data ultima revisione | 28/01/2017 22:24:15 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/302 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, iscrizione con lettere alveolate, CIL IX 453 1, 10, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 | |
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Collocazione attuale | I nove blocchi sono murati all'interno e all'esterno della fabbrica dell'Incompiuta: a) murato all'esterno nel braccio sinistro del transetto, in seconda assise girato di 90° verso il basso; b) murato all'esterno del presbiterio, girato di 90° gradi verso il basso; c) murato all'interno nel braccio destro del transetto verso est, in quinta assise, girato di 90° verso il basso; d) murato all'interno del braccio sinistro del transetto, in prima assise, a sinistra del portale girato di 90°; e) murato all'interno del braccio destro del transetto, girato di 90° verso il basso; f) murato all'interno del braccio destro del transetto, in quinta assise, girato di 90°; g) murato all'esterno nella testata del braccio destro del transetto, in seconda assise, girato di 90° verso il basso; h) all'interno nel braccio sinistro del transetto in terza assise; i) all'interno nel braccio sinistro del transetto, ultimo filare, girato di 90° verso l'alto. | |
Prima attestazione | Cimaglia 1757, 223. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | a) h 1, 16, lungh, 1, largh. 0,30; b) h 0,86, lungh. 0,62; c) h 0,80, lungh. 0,76; d) h 1,15, lungh. 0,75; e) h 0,78, lungh. 1,12; f) h 1, lungh. 0,81; g) h 0,99, lungh. 1,56; h) h 0,94, lungh. 0, 765; i) h 0,82, lungh. 0,78. | |
Stato di conservazione | ||
Cronologia | 41-36 a.C.; post 27 a.C. | |
Descrizione | I nove blocchi in calcare sono pertinenti ad un'unica iscrizione di dimensioni monumentali, con lettere alveolate (h delle lettere cm 22-26,5), che doveva svilupparsi per un'altezza di m 1,75 e per una lunghezza di m 8,40 e che è stata attribuita alla pavimentazione del foro della città antica (Aberson, Tarpin 1990). Già il Lupoli aveva tentato di ricondurre i blocchi con lettere monumentali murati nell'Incompiuta ad un solo testo, proponendone una prima lettura (Lupoli 1793, 327) poi fortemente emendata dal Mommsen. I numerosi materiali epigrafici riutilizzati nell'abbaziale sono stati successivamente analizzati da Aberson e Tarpin (Aberson, Tarpin 1990) dal punto di vista strettamente epigrafico e da Lucilla De Lachenal (De Lachenal 1996) per quanto riguarda il riuso medievale. L'edizione degli studiosi francesi, realizzata attraverso il rilievo fotogrammetrico dei blocchi, prevede l'espunzione di CIL IX 453 11, 12 e la restituzione del testo seguente che è stata accolta anche da Marcella Chelotti che ipotizza, inoltre, la presenza di una terza linea (Chellotti 2003).
Q(uintus) Plot[ius] P(ubli) f(ilius), M(arcus) Valerius [- f(ilius)] [II]vir(i), P(ublius) Ve[tt]ius M(arci) f(ilius), L(ucius) Caetronius A(uli) f(ilius) aed(iles) ------? Il testo, inciso dopo la messa in opera dei blocchi e allineato sulla destra, riferisce di un atto munifico realizzato dai magistrati (IVviri o IIviri?, cfr. Chelotti 2003, 137) a favore della città; il verbo e l'oggetto del finanziamento sono sottintesi, mentre si potrebbe ipotizzare un completamento con la formula decurionale (Aberson, Tarpin 1990, 57). È molto probabile che l'oggetto dell'evergetismo sia stata la nuova pavimentazione del foro o meglio di un'area ben precisa della piazza pubblica, infatti i blocchi, a differenza degli elementi di una seconda iscrizione pavimentale reimpiegata nella stessa sede, non presentano tracce di usura superficiale: l'iscrizione, dunque, poteva essere stata collocata in uno spazio poco o per nulla frequentato, oppure essere stata smontata poco dopo la realizzazione o, in ultima ipotesi, mai messa in opera. Restano ancora aperte questioni relative alla conservazione nel tempo di tali materiali fino al momento del reimpiego medievale e ai rapporti di questo testo con gli altri che si ritengono ugualmente relativi alla piazza forense (Chelotti 2003, 137). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il Lupoli, che aveva restituito tutti i blocchi con lettere alveolate murati nell'Incompiuta in un unico testo, ne sosteneva l'appartenenza all'anfiteatro della città romana, utilizzando la grande iscrizione bronzea come prova della monumentalità dell'edificio. Il reimpiego dei singoli blocchi iscritti non sembra rispondere ad una volontà di valorizzare in maniera filologica l'antico, contrariamente a quanto si verifica nell'Abbaziale per i fregi e i rilievi funerari con personaggi (in genere collocati correttamente). Infatti, nella messa in opera gli elementi iscritti si presentano spesso capovolti o ruotati di 90° con una logica «contraria a qualsiasi approccio - sia esso anche soltanto fonetico più che linguistico - con i materiali antichi» (De Lachenal 1996, 64 s.). I numerosi frammenti epigrafici reimpiegati nella Cattedrale di Pirro del Balzo, esibiti in genere nei pilastri, spesso capovolti o ruotati di 90°, rappresentano un'esplicita citazione delle modalità di riuso della stessa classe di materiali nella grande fabbrica incompiuta tanto da potersi individure nell'edificio rinascimentale una vera e propria imitazione dell'ordito delle pareti dell'abbaziale normanno.
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Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aberson, Tarpin 1990: Michel Aberson, Michel Tarpin, "Les inscriptions en lettres de bronze en remploi dans l’église inachevée de la SS. Trinità à Venosa", in Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del Convegno (Venosa, 23-25 aprile 1987), Venosa 1990, 51-69.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 136-138, n. 19.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 223.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 1-80.
De Lachenal 1998: Lucilla De Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 304 s.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 30. Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinum vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes [...], Neapoli 1793.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 18/12/2013 15:47:00 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 15:14:19 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/303 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, leone di destra del protiro | |
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Collocazione attuale | La scultura inquadra, con un secondo esemplare del medesimo soggetto, la lunetta del portale sinistro del transetto dell'Incompiuta, costituita da un rilievo funerario antico.
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Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare locale | |
Dimensioni | h 1,25; largh. 0,70 (Todisco 1996) | |
Stato di conservazione | Manca completamente la testa; il corpo è tagliato a meno dei due terzi della lunghezza originale; la superficie è generalmente consunta. | |
Cronologia | Fine I secolo a.C - inizio I secolo d.C. (Todisco); medievale (De Lachenal) | |
Descrizione | La fiera, come si evince dalla restante porzione del corpo, era rappresentata in posizione di riposo, probabilmente accovacciata sulle quattro zampe, con la sinistra anteriore sollevata e poggiata sulla protome di un ariete. Manca completamente la parte frontale della testa, mentre si riconosce bene la criniera, del tipo con corona a raggiera separata da un massa più compatta, che si sviluppa sul dorso e sul collo dell'animale (per una tipologia dei leoni funerari romani: Mansuelli 1956; Marini Calvani 1980; Stortoni 2008; in particolare per gli esemplari venosini Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). Le posizioni degli studiosi in merito alla datazione della scultura sono alquanto discordi; Todisco ritiene il pezzo antico e ne sottolinea, in una più complessa ricerca dei modelli iconografici del protiro, l'affinità con una delle protomi leonine reimpiegate nel campanile di Melfi (Todisco 1987; Todisco 1996), sulla cui antichità si possono però esprimere alcuni dubbi. Lucilla De Lachenal, pur accettando il parallelismo tra le modalità del reimpiego nel "portalino" dell'Incompiuta e nel campanile di Melfi, ha definito la scultura in esame sicuramente medievale (De Lachenal 1996, 15; De Lachenal 1998, 308). Lo stato di conservazione della superficie e l'impossibilità di un'osservazione ravvicinata non consentono di espirmere una datazione certa della scultura. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La particolare affinità della protome di ariete con quella del citato leone di Melfi, che è medievale o - ipotesi da non escludere - fortemente rilavorato, ne confermerebbe almeno la comune provenienza territoriale, permettendo di verificare, da una parte, la dipendenza dei reimpieghi medievali realizzati a Venosa dal modello melfitano e confermando, dall'altra, lo scetticismo rispetto all'antichità del pezzo espressa ad esempio da Lucilla De Lachenal. Alla stessa studiosa si deve il tentativo di giustificare il gran numero di leoni antichi reimpiegati a Venosa, già notati dalle fonti rinascimentali, proponendone una provenienza dall'anfiteatro (De Lachenal 1996, 15), in alternativa alla consueta attribuzione di tali opere a monumenti funerari (cfr. Mansuelli 1956; per Venosa almeno Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). Dall'anfiteatro, preziosa cava di materiale cui il complesso dell'Incompiuta è quasi adiacente, sarebbero stati recuperati sia i grandi blocchi calcarei messi in opera nell'abbaziale normanna sia alcune delle numerose statue di leoni, variamente riutilizzati in città, e che potevano in origine essere destinati alla fabbrica dell'abbazia, mai completata. In maniera specifica Lucilla De Lachenal propone di associare le fiere in calcare ai grossi basamenti rettangolari che sono stati individuati in occasione dello scavo dell'edificio per spettacoli, realizzato nel 1935, e che sono stati associati agli ingressi della struttura (cfr. anche Pesce 1936, 456). Si rileva però la mancanza di un'uniformità metrologica e tipologica tra i leoni venosini, a meno di non ipotizzare una coppia diversa per ciascun ingresso (facendo riferimento agli abbinamenti individuati in Todisco 1996, 104-108 e in Giammatteo 2002, 97). Inoltre, sebbene nei sistemi decorativi anfiteatrali non manchino sculture a tutto tondo rappresentanti fiere (cfr. Legrottaglie 2008, tabella 127), chiaro riferimento alla pratica delle venationes, una tale scelta iconografica risulterebbe a Venosa una forte anticipazione rispetto alla diffusione di questa tematica nella decorazione degli anfiteatri che risulta attestata dalla metà del I secolo d.C., con una particolare frequenza solo dall'età flavia (Ead., 119-128). Anche per Venosa, tuttavia, appare preferibile attribuire le numerose sculture di leoni in calcare, ora tutte in collocazione secondaria, all'ambito funerario, collegandone la diffusione, secondo casi già noti (Pompei, Aquileia, Sepino), a quella di determinate architetture funerarie (altari, edicole o tumuli) che trovarono un particolare sviluppo a partire dalla deduzione della colonia triumvirale (Todisco 1996, 115 -116). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 58: "E in un'altra porta che sta fabbricata dalla parte di fuora, vi si veggono, per ornamento di detta porta, due colonne impiedi di marmo, et ne la summità di essa, un leone per ciascheduna, sono molto ben fatti, et l'arcotrave e il fornimento della porta sono di marmi eccellenti." | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
De Lachenal 1995: Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995, 263-266.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 66-68, fig. 123.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, "L' Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 308 s.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002.
Legrottaglie 2008: Giuseppina Legrottaglie, Il sistema delle immagini negli anfiteatri romani, Bari 2008.
Mansuelli 1956: Guido Achille Mansueli, "Leoni funerari romani", Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 63, 1956, 66-89.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, "Leoni funerari romani in Italia", Bollettino d'arte, 65, 1980, 7-14.
Pesce 1936: Gennaro Pesce, "Venosa (Potenza) - Scavo dell'anfiteatro e restauro della cosiddetta Casa di Orazio", Notizie degli Scavi di Antichità, 12, 1936, 450-461.
Stortoni 2008: Emanuela Stortoni, Monumenti funerari di età romana nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, I-II, Urbino 2008.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99,1987, 123-158.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, n. III B h 1, 39. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 20/06/2014 16:46:08 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 12:18:46 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/390 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, leone di sinistra del protiro | |
---|---|---|
Collocazione attuale | La scultura antica inquadra, con un secondo esemplare del medesimo soggetto, la lunetta del portale sinistro del transetto dell'Incompiuta, costituita da un rilievo funerario antico. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare locale | |
Dimensioni | h 1,10; largh. 0,55 | |
Stato di conservazione | La scultura è ridotta a circa un terzo delle dimensioni originarie; è stata infatti tagliata sul dorso secondo una sezione verticale così da poter essere direttamente messa in opera nella tessitura muraria. Ugualmente recise, probabilmente per adattare il pezzo alla nuova collocazione, le zampe anteriori. Lo stato di conservazione della superficie antica è nel complesso buono, appare leggermente dilavata solo sulla sommità del capo. | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C.- primo venticinquennio del I secolo d.C. | |
Descrizione | Della scultura funeraria resta esclusivamente la porzione anteriore, ridotta quasi alla sola protome; da quanto si può ricostruire dalla posizione del dorso, che non è inarcato, e dal primo segmento delle zampe anteriori, la fiera doveva essere stata rappresentata accovacciata, in posizione di riposto (è meno probabile, in base a quanto resta dell'attacco della zampa destra, che il leone fosse stante); la bocca è spalancata a esibire la linea della dentatura, gli occhi piccoli, infossati e ben profilati. La testa può dirsi affine al tipo piriforme della tipologia della Marini Calvani (Marini Calvani, 1980, 8 s.; una sintesi tipologica recente si trova in Stortoni 2008, 129-134), mentre la criniera si dispone intorno ad essa in una breve corona a raggiera con un'anastolè centrale, distaccandosi dalle ciocche più lunghe e leggermente ricurve che coprono il dorso e il petto. Le dimensioni ricostruibili per la scultura completa sono notevoli (l'altezza, reintegrata, potrebbe essere di almeno m 1,30 per una lunghezza complessiva di oltre m 1,50) e inducono a prospettarne, in antico, o un uso isolato come coronamento di altare (secondo un modello propriamente attico [cfr. Vedder 1985, 115-119], che pare poi godere in ambito urbano di una rinnovata fortuna a partire dall'età adrianea [cfr. Gasparri 2009, 124]), oppure la collocazione, con un elemento speculare, ai lati di uno dei corpi di fabbrica di una struttura funeraria del tipo a più elementi sovrapposti (es. edicola o monoptero), come nel grande Mausoleo di Aquileia, con la cui scala di grandezza risulterebbe compatibile anche quella del pezzo in esame (Gros 2001, 408, fig. 479). Nell'impossibilità di esprimere una datazione puntuale si ci limita a prospettarne un inquadramento tra la seconda metà del I secolo a.C. e il primo quarto del seguente. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Luigi Todisco ha individuato particolari affinità tra la scultura in esame e uno dei leoni reimpiegati nel campanile della Cattedrale di Melfi (inserito sul lato nord-occidentale), prospettando anche per questo una provenienza venosina e la probabile appartenenza di entrambi i pezzi allo stesso monumento antico (Todisco 1987; Todisco 1996, 38); mentre il leone sinistro del protiro risulterebbe isolato nel gruppo dei leoni funerari presenti in città (in generale sui leoni venosini: Todisco 1996, 97-116; Giammatteo 2002, 93-99). Il leone potrebbe però essere avvicinato a quello collocato sul lato sinistro del portale della Chiesa Vecchia (Todisco 1996, n. III Bf 1, 35 s.) per le dimensioni e sopratutto per alcuni elementi stilistici, quali la morfologia della criniera e l'estremo grafismo che caratterizza il trattamento della protome, con un'evidente zona d'ombra, ottenuta mediante un taglio geometrico che va a segnare la sporgenza del muso separandola dagli occhi. Per ulteriori riflessioni sui leoni funerari venosini e sul loro reimpiego si rimanda alla scheda Venosa, fontana di Messer Oto, leone. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 58: "E in un'altra porta che sta fabbricata dalla parte di fuora, vi si veggono, per ornamento di detta porta, due colonne impiedi di marmo, et ne la summità di essa, un leone per ciascheduna , sono molto ben fatti, et l'arcotrave e il fornimento della porta sono di marmi eccellenti." | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 57 s.
De Lachenal 1995: Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995, 263-266.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 66-68, fig. 123.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, Tempes Modernes, 110, 1998, 308-315.
Gasparri 2009: Carlo Gasparri, La Villa Mèdicis 4. Le sculture e le pitture, Rome 2009.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002.
Gros: Pierre Gros, L'architecture romaine, II. Maisons, palais, villas et tombeaux, Paris 2001.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, "Leoni funerari romani in Italia", Bollettino d'Arte, 65, 1980, 7-14.
Stortoni 2008: Emanuela Stortoni, Monumenti funerari di età romana nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, I-II, Urbino 2008.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99,1987, 123-158.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, III B g 1, 38.
Vedder 1985: Ursula Vedder, Untersuchungen zur plastischen Ausstattung attischer Grabnlagen des 4. Jhs. v. Chr., Frankfurt am Main 1985.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/06/2014 16:14:27 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 12:19:45 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/376 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, rilievo con personaggi, CIL IX 477 | |
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Collocazione attuale | Venosa, Abbaziale Incompiuta; murato in nona assise nella torretta di sinistra, in posizione eccentrica rispetto alla porta di accesso. | |
Prima attestazione | Cappellano 1584 (Cappellano [ed. Nigro 1985], 57). | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,68, lungh. 1,20 | |
Stato di conservazione | La superficie è diffusamente abrasa; vistosi interventi di rilavorazione interessano in particolare i volti dei personaggi. | |
Cronologia | fine I secolo a.C.-inizio I secolo d.C. | |
Descrizione | All'interno dello spazio racchiuso da un ampio listello, che corre su tutti i lati del rilievo e che nella parte superiore e inferiore reca l'iscrizione, sono stati ritratti quattro personaggi (tre maschili e uno femminile) rappresentati solo nel busto. Il rilievo appartiene al tipo di destinazione funeraria detto a cassetta: si tratta di una forma di autorappresentazione sul sepolcro prediletta in maniera particolare dall'ordo libertinus (in generale: Zanker 1975; Kockel 1993). L'abbigliamento e il gesto delle figure riprendono coevi tipi statuari di ampia diffusione: gli uomini si presentano nel consueto atteggiamento bracchio cohibito, tipico del cittadino avvolto nella toga exigua di età repubblicana, e la donna (tradizionalmente in stola e palla) è raffigurata mentre riporta un lembo del mantello con la mano sinistra sulla spalla opposta (cfr. Kockel 1993, 15-31). Tali rilievi erano destinati, come si desume dalla quantità dei personaggi rappresentati, a sepolcri di tipo familiare (sulla tipologia monumentale di appartenenza: Kockel 1993, 7-9; per il monumento dei Fontei cfr. Nonnis 2004); piuttosto comune, come nel caso in esame, risulta la presenza dell'iscrizione posta in maniera quasi didascalica ad indicare i defunti ritratti. Il testo ricorda, infatti, un nucleo familiare afferente alla gens dei Cornelii e appartenente alla tribù Horatia (CIL IX 477); è degno di nota che il padre e i due figli maschi abbiano l'identico cognomen di Cinna, quasi un voler evocare il più famoso Lucius Cornelius Cinna, ricordato in due casi anche nel prenomen. La stessa Annia, inoltre, rimanderebbe alla prima moglie di Lucio Cornelio (Todisco 1996, 47 s.). La gens (un L. Cornelius è ricordato nei Fasti Venosini) doveva rivestire un ruolo politico di primo piano nella Venusia della seconda metà del I secolo a.C.; a questo livello sociale ben si adatterebbe il tentativo dei domi nobiles di evocare nei cognomina illustri omonimie a garanzia di un collegamento con la nobiltà urbana (cfr. Chelotti 2003). Una datazione tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del secolo successivo (entro l'età augustea) si può sostenere su basi tipologiche ed epigrafiche. L'ampia diffusione di tali rilievi in area lucana, sicuramente riferibili all'attività di officine locali, ha consentito al Frenz di distinguere un gruppo tipico del Vallo e uno della zona del Vulture, cui afferirebbero appunto i materiali reimpiegati a Venosa e a Melfi (Frenz 1985, 40-41; in particolare sui materiali venosini: Todisco 1996, 45-57; Giammatteo 2002, 79-81). Evidenti segni di rilavorazione si possono cogliere sui volti delle figure, che risultano assottigliati negli zigomi e nelle guance con la parte inferiore molto allungata e interrotta dal vigoroso taglio orizzontale del mento, mentre le orecchie, a causa della stessa operazione, restano molto sporgenti. Le labbra sottili, gli occhi incisi e cordonati e i nasi affilati sono ugualmente il prodotto dell'intervento dello scalpellino medievale. Dallo spessore del collo si deduce l'impianto originale dei ritratti; forse la figura femminile doveva presentare il capo velato, come fanno supporre la rilavorazione dei capelli e l'evidente gradino che si è venuto a creare tra il lembo del mantello sulla spalla destra e il piano di fondo. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La rilavorazione dei ritratti antichi, in particolare nella serie dei rilievi con personaggi, è attestata a Venosa nel rilievo reimpiegato nel portale sinistro di accesso al transetto dell'Incompiuta e in un altro rilievo, ora conservato nel lapidario della Trinità (Todisco 1996, 48 s, n. VI A4, tav. XXXVIII). Nel caso dell'Incompiuta, dove la stele dei Cinna è in connessione spaziale e simbolica con i quattro busti che campeggiano sul portale del transetto, si tende a rifiutare la soluzione di una interpretatio cristiana alla volta di una connessione tra i ritratti antichi e l'immagine dei duchi normanni, gli illustri antenati di Ruggero II, le cui tombe avrebbero trovato collocazione nella nuova fabbrica, molto probabilmente proprio nel transetto e nella crociera; i sepolcri dei Normanni sarebbero stati quindi significativamente introdotti, per il pellegrino che entrava dal portale di sinistra, dalla successione dei rilievi antichi (De Lachenal 1996, 44, 67; De Lachenal 1998, 309). Seguendo una tale lettura si potrebbe allora individuare nell'Incompiuta un solido legame tra riuso dei ritratti antichi, immagini degli antenati illustri e legittimazione del potere dinastico. Si conosce a Venosa un diffuso ricorso ai rilievi policonici nell'arredo urbano in sistemazioni, sicuramente più tarde dell'Abbaziale Incompiuta, documentate alla fine del Cinquecento da Achille Cappellano e solo in parte oggi conservate (Cappellano [ed. Nigro1985], 40, 42, 43, 83).
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Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 57: "Or nella chiesa non complita, dalla parte di dentro, sopra una porta per la quale si sale per una lumaca, vi si vede una pietra grande con quattro statue scolpite di uomini vestiti della già detta maniera di altri ed a torno di essa vi si legge l'infrascritta discrittione ANNIA CINNA, C. L. CORNELLII F. CINNA | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Cimaglia 1757: Natale Maria Cimaglia, Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensium antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 69 n. 467.
Crudo 1899: Giuseppe Crudo, La SS. Trinità di Venosa. Memorie storiche, diplomatiche, archeologiche, Trani 1899, 428.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, “I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell’abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana”, Bollettino d'Arte, 6, 1996.
Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien, Archeologica, 37, Roma 1985, 112, n. 60.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002.
Kockel 1993: Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz 1993.
Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinum vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes [...], Neapoli 1793, 341.
Mathis 2003: Paola Mathis, "Stele funeraria dei Cinna", in Rilavorazione dell’antico nel Medioevo, a cura di Mario D’Onofrio, Roma 2003, 53.
Nonnis 2004: David Nonnis, "Fonteiorum Sepulcrorum", in Lexicon Topographicum Urbis Romae II, a cura di Margareta Steinby, Roma 2004, 268 s.
Salvatore 1991: Mariarosaria Salvatore, Il Museo Archeologico Nazionale di Venosa, a cura di Mariarosaria Salvatore, Matera 1991, 301, fig. 14.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 46-48, VI A 3, tav. XXXVII (con nota epigrafica di M. Chelotti).
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, a cura di Luigi Todisco, 119-139.
Zanker 1975: Paul Zanker, "Grabreliefs römischer Freigelassener", Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 90, 1975, 267-315.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 15/01/2014 00:55:58 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 01:06:02 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/316 |
Oggetto | Venosa, Abbaziale Incompiuta, rilievo funerario con quattro personaggi | |
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Collocazione attuale | Il rilievo è incassato al di sopra dell’archivolto del portale del braccio sinistro del transetto dell’Abbaziale Incompiuta; in origine era inquadrato da un protiro realizzato con materiali di spoglio. | |
Prima attestazione | Cappellano 1584 (Cappellano [ed. Nigro 1982]) | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | Il rilievo è mancante dell’angolo in alto a sinistra che è stato risarcito al momento del reimpiego, i volti dei personaggi sono stati rilavorati. La superficie è piuttosto consunta.
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Cronologia | 30 a.C. circa | |
Descrizione | Entro una nicchia sormontata da un frontoncino sono stati rappresentati quattro personaggi, nella forma del busto tagliato sopra la vita; il timpano è decorato da un gorgoneion centrale dal quale si sviluppa un tralcio acantino che, con andamento sinusoidale va a campire, su entrambi i lati, lo spazio triangolare di risulta. Il rilievo, appartiene a un tipo di destinazione funeraria, particolarmente diffuso in area irpina e lucana, che sembra configurarsi come una variante, determinata dall’introduzione della cornice architettonica, dei rilievi comunemente denominati “a cassetta” che presentano, invece, la serie dei personaggi inquadrata entro listelli semplici (per le definizioni, riferite in particolare all’Italia meridionale e centrale, cfr. Frenz 1985, 1-8 e 46-49; in generale sulla classe di materiali: Zanker 1975 e, in maniera specifica per l’ambito urbano, Kockel 1993); la presenza dell’edicola si può forse ricondurre all’influenza delle coeve stele funerarie con figura intera o a tre quarti. In genere tali rilievi venivano collocati sulla fronte dei sepolcri (sulla destinazione architettonica: Kockel 1993, 7-9), come ad esibire con orgoglio lo status di civis romanus ottenuto dal defunto; è stato ampiamente dimostrato, infatti, il legame tra questi monumenti e la categoria sociale emergente dei liberti (Zanker 1975). All’interno della nicchia sono ritratte due coppie, formate da un uomo e una donna, evidentemente membri di uno stesso gruppo familiare; gli uomini vestono la toga, panneggiata secondo la tradizione repubblicana e associata al tipico atteggiamento con bracchio cohibito, ma con un sinus leggermente più abbondante rispetto agli esemplari più antichi (in generale cfr. Kockel 1993, 15-25). Le donne sono entrambe velate; in un caso la defunta è ritratta in una variante del tipo detto della Pudicizia, diffusissimo nelle statue funerarie, mentre l’altro personaggio femminile presenta uno schema, anche questo molto consueto ed esemplato sulle figure maschili, che prevede il braccio destro piegato al gomito e accostato al torace per portare la mano a stringere il lembo del mantello sulla spalla opposta (per i tipi femminili cfr. Kockel 1993, 25-31). Il trattamento dei panneggi e l’acconciatura delle figure femminili, con un alto nodus che emerge dal velo, secondo lo schema detto all’Ottavia, poiché caratteristico dei ritratti della sorella di Augusto (cfr. Micheli 2011, 55-56), consentono una datazione del rilievo alla prima età augustea (intorno al 30 a.C.). Alla stessa cronologia riconduce anche la morfologia del girale acantino.
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il rilievo, come è stato ampiamente notato, è stato rilavorato al momento del reimpiego (De Lachenal 1996, 13; Todisco 1996, 137; Mathis 2003); l’intervento dello scalpellino medievale sembra indirizzato a una sorta di restauro filologico del pezzo antico: è stato risarcito l’angolo mancante e sono stati come “rinfrescati” i volti dei personaggi, adeguandoli ai canoni formali vigenti. L’opera in esame e l’elegante protiro che la incorniciava, costituiscono un esempio altamente pregnante del significato ideologico che il riuso dell’antico ebbe nella grande architettura religiosa normanna e, in particolare, nella fabbrica venosina, destinata ad essere il pantheon dinastico degli Altavilla (De Lachenal 1996, 44, 67; De Lachenal 1998; Todisco 1996, 131-139; Giammatteo 2002, 30-32). Nel caso specifico il rapporto con un secondo rilievo con quattro personaggi, sito all’interno del deambulatorio sulla porta della torretta, avrebbe dovuto enfatizzare il ruolo dell’immagine antica nel richiamo a quegli illustri antenati le cui sepolture dovevano essere alloggiate nello spazio sacro; nell’Incompiuta, dunque, il riuso di questa particolare tipologia di rilievi si inserisce in una prospettiva di legittimazione dinastica che risulta completamente differente rispetto alla reinterpretatio in chiave cristiana (come rappresentazione delle immagini dei Santi), in genere evocata per il reimpiego e le rilavorazioni delle stele con ritratti nelle architetture religiose medievali (si veda ad esempio il campanile di Benevento). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano 1584 (ed. Nigro 1985), 58. "Et di sopra vi si vede una pietra con quatro statue della medesma portata, ma senza discrittione." | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
De Lachenal 1995: Lucilla de Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995, 263-266.
De Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, “I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell’abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana”, Bollettino d'Arte, 6, 1996.
De Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, "L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego", Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age, 110, 1998, 299-315.
Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien, Archeologica, 37, Roma 1985, 113-114, n. 62, tav. 28.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002.
Kockel 1993: Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz 1993.
Mathis 2003: Paola Mathis, “Stele funeraria”, in Rilavorazione dell’antico nel Medioevo, a cura di Mario D’Onofrio, Roma 2003, 52.
Micheli 2011: Maria Elisa Micheli, “Comae formatae”, in Comae. Identità femminili nelle acconciature di età romana, a cura di Maria Elisa Micheli e Anna Santucci, Pisa 2011, 49-78.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 53-54, n. VI B 1, tavv. XXX, XL.
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, a cura di Luigi Todisco, 119-139.
Zanker 1975: Paul Zanker, "Grabreliefs römischer Freigelassener", Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 90, 1975, 267-315. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 21/01/2017 16:16:06 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 12:20:47 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/627 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, CIL IX 471 | |
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Collocazione attuale | Venosa, campanile della Cattedrale | |
Prima attestazione | Chigianus I VI 203. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | ||
Cronologia | fine I secolo a.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | L'iscrizione era murata in origine presso la porta della chiesa dell'Annunziata, dove la vedono Chigiano, Paglia, Matal. Lì la vide anche Cappellano alla fine del XVI secolo. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 54. | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 44-45.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 67-68, 471. Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 23/10/2013 19:28:20 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 23:01:24 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/290 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, CIL IX 438 | |
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Collocazione attuale | Venosa, campanile della Cattedrale | |
Prima attestazione | Chigianus I VI 203 f. 46. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | ||
Cronologia | II secolo a.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | Il testo ricorda il tribuno della plebe Quintus Ovius. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Chigiano I VI 203 f. 46: l'iscrizione si trovava in origine in una chiesa diruta fuori Venosa, dove era stata riutilizzata in un altare. | |
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 59 n. 438. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 23/10/2013 19:37:36 | |
Data ultima revisione | 02/02/2017 08:53:15 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/291 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, CIL IX 444 | |
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Collocazione attuale | Il cippo in calcare è murato nel campanile della Cattedrale al di sotto dell’iscrizione CIL IX 471.
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Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | In alto e sui lati il blocco è tagliato seguendo i limiti del testo iscritto.
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Cronologia | ultimo ventennio del I secolo a.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | L’iscrizione ricorda i duoviri iure dicundo, L. Muttienus L. f. e C. Vibius L. f., come committenti, su decreto decurionale, di un intervento di restauro su alcune statue; il testo evidentemente doveva appartenere a un contesto pubblico. I magistrati non figurano negli anni compresi tra il 35 e il 28 a.C., intervallo cronologico cui si riferisce il frammento dei Fasti Venosini tramandato dalla letteratura antiquaria. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | Achille Cappellano, alla fine del XVI secolo, documenta il blocco iscritto reimpiegato in una casa alquanto discosta dalla strada maestra della città di Venosa; il pezzo faceva parte di una piccola collezione privata, composta da tre iscrizioni in latino e ben cinque lapidi in greco (cfr. Venosa, campanile della Cattedrale, CIL IX 479 e CIL IX 469, ora perduta) custodita in un palazzo, purtroppo anonimo, della città della prima età moderna. Anche in questo caso, come per i titoli CIL X, 438, 471, 479, l’iscrizione antica risulta recuperata da un precedente riuso per essere incastonata nel podio del campanile. Tale intervento dovrebbe risalire ai primi anni del XVII secolo, quando il vescovo Perbenedetti completò la torre campanaria (il monumentale podio di base doveva essere stato concluso entro il 1614 come si evince dall’iscrizione incastonata sotto la cornice di chiusura). | |
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 45.
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Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 44-45.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 61 n. 444.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002, 198 n. 2.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 12/01/2017 18:09:30 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 23:19:36 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/625 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, CIL IX 479 | |
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Collocazione attuale | Venosa, campanile della Cattedrale | |
Prima attestazione | L'iscrizione è registrata per la prima volta da Achille Tommaso Cappellano (1584) "in una casa nobile discosto dalla strada maestra", insieme ad altre due iscrizioni latine e cinque iscrizioni greche. | |
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | ||
Cronologia | Prima metà I secolo d.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | L'iscrizione funeraria è relativa al monumento del liberto Antistius Ergasimus e del figlio Comes, morto all'età di sei anni, probabilmente ancora in condizione servile. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | L'iscrizione faceva parte di una collezione di epigrafi custodita in uno dei palazzi in prossimità della strada principale del centro di Venosa decritti da Cappellano. Delle otto iscrizioni presenti l'antiquario riuscì a trascrivere le tre latine (CIL IX 444, reimpiegata poi nel campanile; CIL IX 469, spostata davanti la chiesa di San Francesco e ora perduta) e solo un'iscrizione greca, lapidi che evidentemente erano collocate nell'atrio della casa, mentre le altre, esposte all'interno del palazzo (stando sotto chiave), non furono visionate a causa dell'assenza del proprietario. | |
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 44: "In una casa nobile discosto dalla strada maestra, alquanto di spatio a man sinistra, vi si leggono tre pietre con l'infrascritta discrittione et un'altra scritta in greco. | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 69-70, n. 479.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell’antico a Venosa, Lavello 2002, 109, n. 5 tav. 5. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis, Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 23/10/2013 17:54:26 | |
Data ultima revisione | 29/01/2017 23:28:19 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/289 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, rilievo funerario con due personaggi | |
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Collocazione attuale | Il rilievo è incassato sul lato occidentale del campanile della Cattedrale. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h. 0,25; lungh. 1,35 | |
Stato di conservazione | La cornice è notevolmente lacunosa e mancante dell'angolo superiore sinistro; i volti dei personaggi sono piuttosto abrasi. | |
Cronologia | Prima età imperiale | |
Descrizione | Il rilievo si articola in due nicchie contigue che, delimitate da un ampio listello piatto, inquadrano ciascuna un ritratto femminile. L'opera appartiene alla tipologia dei rilievi "a cassetta" di destinazione funeraria, ampiamente diffusa tra la tarda età repubblicana e il I secolo d.C. sia in ambito urbano (Kockel 1993) che municipale (Frenz 1985). Diverse sono le ipotesi sull'origine di questa modalità di rappresentazione dei defunti: vi è stato individuato un tentativo di imitazione degli armaria domestici in cui tradizionalmente erano disposte le immagines maiorum (Stortoni 2008, 135, con bibliografia precedente), oppure, secono un'altra lettura, l'immagine ridotta al solo busto potrebbe aver rappresentato una versione semplificata e più economica delle statue e delle stele a figura intera, scelta consona alla committenza libertina attestata per un gran numero di esemplari (Zanker 1975; Kockel 1993, 11). Significativi precedenti etruschi (Lo Monaco 1998) potrebbero aver indirizzato l'ordo libertinus verso la scelta di un tale modo di autorappresentazione. Le figure sono ritratte solo nel busto che si estende fino al primo quarto delle braccia, appena sotto la spalla. Le due donne, completamente avvolte in un pensante mantello che copre loro anche il capo, sono rappresentate nel gesto consueto di stringerne, con la mano sinistra, un lembo riportato sulla spalla opposta. Il ritratto di sinistra ha i capelli ben disegnati, divisi da una scriminatura centrale, mentre una ciocca ricciuta incornicia le tempie. Se ne propone una datazione entro il primo trentennio del I secolo d.C. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Frenz 1985: Hans G. Frenz, "Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien", Archeologica, 37, Roma 1985, 111, n. 57.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 112 n. 9, tav. 11.
Kockel 1993: Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz 1993.
Lo Monaco 1998: Annalisa Lo Monaco, "L’ordo libertinus, la tomba, l’immagine: una nota sulla nascita del busto ritratto", Bullettino della Commisione Archeologica di Roma, 99, 1998, 85-100.
Stortoni 2008: Emanuela Stortoni, Monumenti funerari di età romana nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, I, Urbino 2008.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 51 n. 6, tavv. XXVIII s.
Vaccaro, Bonifacio 1983: Antonio Vaccaro, Martino Bonifacio, Venosa ieri e oggi, Venosa 1983, 68, 70.
Zanker 1975: Paul Zanker, "Grabreliefs römischer Freigelassener", Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 90, 1975, 267-315.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 24/10/2013 12:06:10 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 19:44:58 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/294 |
Oggetto | Venosa, campanile della Cattedrale, tabula lusoria | |
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Collocazione attuale | Il blocco è murato nel campanile della Cattedrale. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | Non rilevate | |
Stato di conservazione | La tabula lusoria si conserva solo parzialmente. | |
Cronologia | ||
Descrizione | Sul blocco di calcare è stato inciso il tracciato di un antico gioco da tavolo, conservato per oltre la metà della grandezza originaria. Si tratta di un gioco a schema, una variazione del più semplice tris, ancora oggi noto come mulino e costituito da una tavola articolata in tre quadrati concentrici, uniti da una linea nel punto centrale di ciascun lato così da ottenere un totale di ventiquattro punti di intersezione; il gioco prevedeva l'uso di nove pedine (Fittà 1997, 166). Incisioni dello stesso schema si trovano ad esempio sui marmi utilizzati per le balaustre nelle basiliche romane di San Paolo fuori le Mura e di San Giovanni in Laterano (Fittà 1997, 167 fig. 275). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Fittà 1997: Marco Fittà, Giochi e giocattoli nell’antichità, Milano 1997. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 23/10/2013 20:02:31 | |
Data ultima revisione | 30/01/2017 19:52:59 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/292 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, fregio dorico | |
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Collocazione attuale | Venosa, Cattedrale, murato nel terzo pilastro della navata sinistra ad un'altezza di circa m 4,20. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | calcare | |
Dimensioni | h 0,25; lungh. 0,60 | |
Stato di conservazione | Resecate regulae e guttae; il listello inferiore è diffusamente scheggiato. | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C. | |
Descrizione | Due triglifi inquadrano una sola metopa integra, mentre altre due frammentarie chiudono il blocco. Unico elemento decorativo riconoscibile con certezza è la rosacea a doppia corolla: otto sepali lisci lievemente ad ombrello contengono una corolla di altrettanti petali unguiformi più brevi; il bottone centrale è poco rilevato; nella metopa di sinistra doveva esserci un'altra rosacea di tipo differente, come si deduce dalle digitazioni aguzze dei sepali che ancora si leggono ai margini del blocco. Più complicata resta l'esegesi della decorazione della terza metopa, frammentaria, nella quale si potrebbe individuare o l'infula di un bucranio (Giammatteo 2002) oppure parte di un prefericolo (Todisco 1996). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La morfologia del triglifo, che presenta, invece del capitulum, due risalti in alto e in basso, trova precisi confronti nella metopa con rosetta a girandola reimpiegata nella Cattedrale e nel fregio reimpiegato nel pilastro di sostegno della seconda facciata della Trinità; potrebbe trattarsi della marca di una specifica produzione locale. In generale sui fregi dorici venosini e sulla tipologia di monumenti di appartenenza si vedano: Todisco 1996, 120-122; Giammatteo 2002, 85-89 e le note alla scheda Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 123, n. 34, tavv. 39 s.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 75, VI A15, tav. LVIII.
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, a cura di Luigi Todisco, Bari 2002, 125. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/01/2014 20:20:00 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 00:26:16 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/314 |
Oggetto | Venosa, Cattedrale, metopa con bucefalo | |
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Collocazione attuale | Venosa, Cattedrale, murato poco al di sopra dell'imposta nell'arco nel primo pilastro di sinistra a circa m 5 di altezza. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,35; lungh. 0,40. | |
Stato di conservazione | Parzialmente tagliati i listelli di chiusura e i triglifi laterali, eccetto il primo femore. | |
Cronologia | 40-20 a.C. | |
Descrizione | Il campo della metopa è occupato da una protome bovina di tipo medioitalico. Il bucefalo ha impianto solido, il muso tozzo e arrotondato, gli occhi amigdaloidi con bulbo globulare ben rilevato. Le narici sono segnate da due elementi semilunati; anche le orecchie, del tipo a cucchiaio, rispondono allo schema iconografico convenzionale. Il manto villoso è indicato da grinze intorno alle cavità oculari e sulla sommità del capo con profonde incisioni parallele; la benda, a sezione tubolare sulla fronte, ricade rigidamente ai lati della protome. Dal punto di vista stilistico il bucefalo presenta forti analogie con il fregio reimpiegato nel pilastro di sostegno della facciata duecentesca della Trinità; tuttavia differenze dimensionali, nella tipologia del triglifo oltre che la maggiore accuratezza del rilievo ne fanno escludere l'appartenenza allo stesso monumento. Il medesimo schema della protome si individua, sempre in ambito venosino, nel fregio dorico murato all'esterno dell'abside destra del transetto dell'Incompiuta, che si differenzia per una più elevata qualità artistica. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Il rilievo, come molto probabilmente gli altri fregi dorici reimpiegati a Venosa (Todisco 1996, 66-77), doveva appartenere a un monumento funerario della città antica. La riproposizione dello stesso schema del bucefalo in fregi differenti conferma l'uniformità di provenienza degli spolia e la fioritura a Venosa di determinate architetture funerarie (edicole, altari) nella seconda metà del I secolo a.C., a ridosso della deduzione della colonia triumvirale (sui fregi dorici venosini e sulla tipologia di monumenti di appartenenza si vedano: Todisco 1996, 120-122; Giammatteo 2002, 85-89 e le note alla scheda Venosa, Abbaziale Incompiuta, fregio dorico). La collocazione del frammento sulla sommità del pilastro, in prossimità del punto di innesto dell'arco, potrebbe rappresentare un richiamo al posizionamento dei due blocchi con fregio dorico nell'Incompiuta, incassati nella parete rettilinea a destra dell'abside centrale al di sopra delle semicolonne. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 121, n. 29, tavv. 29, 34.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 71, n. 9, tav. LV.
Todisco 2002: Luigi Todisco, "Sculture venosine", in Scultura antica e reimpiego in Italia meridionale, a cura di Luigi Todisco, Bari 2002, 125.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/01/2014 21:41:52 | |
Data ultima revisione | 01/02/2017 00:38:24 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/315 |
Oggetto | Venosa, fontana angioina, leone di destra | |
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Collocazione attuale | La scultura antica costituisce, con un secondo esemplare del medesimo soggetto, la decorazione della fontana Angioina, costruita per un Privilegio di Carlo d'Angiò nel 1298. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare locale | |
Dimensioni | h 0,93; lungh. 1,50 | |
Stato di conservazione | Una vistosa lacuna interessa la parte superiore della testa e il fianco destro della criniera; manca la parte anteriore della zampa destra e il retro della calotta della protome di ariete; varie lacune nella parte posteriore del plinto, parzialmente resecato nello spessore. | |
Cronologia | Metà del I secolo a.C.- metà I secolo d.C. | |
Descrizione | La fiera è rappresentata in posizione di riposo, accovacciata sulle zampe, con l'anteriore destra piegata e appoggiata sopra una protome di ariete; secondo uno schema consueto il leone volge leggermente il capo e lo sguardo a sinistra, compensando, in una sorta di ritmo incrociato, la posizione della zampa. Lo stato di conservazione non consente di apprezzare il trattamento degli occhi e delle fauci spalancate, tuttavia si riconosce l'impianto piriforme del capo e, intorno a questo, la criniera disposta a raggiera di grosse ciocche parallele con le estremità ricurve, resa poi come una massa consistente sul petto e sul dorso dell'animale, dove le ciocche si fanno più fitte e ondulate (su tale aspetto tipologico e sui modelli di riferimento: Marini Calvani 1980; Stortoni 2008, 130 s.). Colpisce la sapiente resa dell'anatomia che pare differenziare l'esemplare dagli altri della serie venosina: al dettaglio delle linee intercostali si unisce la muscolatura delle zampe possenti, enfatizzata dal movimento del vello. Il pezzo in esame sembra distinguersi dalle altre sculture dello stesso soggetto presenti in città per il trattamento dettagliato della muscolatura e del vello; alcune affinità sono state individuate da Tonia Giammatteo (Giammatteo 2002, 162) con il leone della fontana di Messer Oto e con altri due leoni posti all'ingresso del castello.
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La fontana attuale è opera di un vistoso intervento di restauro e ripristino effettuato nell'Ottocento, quando furono però ricollocati i leoni antichi che appartenevano alla sistemazione originaria. Il ricorso a statue antiche di leoni rappresenta a Venosa una costante nella decorazione delle fontane pubbliche (cfr. Fontana di Messer Oto), cui sembrano essere stati riservati gli esemplari meglio conservati del gran numero di sculture antiche dello stesso soggetto che dovevano essere disponibili in città. A tal proposito, infatti, nella prima metà del Seicento Jacopo Cenna poteva annoverare circa venti esemplari di leoni antichi (cfr. Cenna [ed. Pinto 1902], 217), segnalando però la collocazione precisa solo di quelli della fontana alla porta di sopra (la fontana Angioina), della vigna presso la Chiesa della SS. Trinità e della pubblica piazza (cfr. Giammateo 2002, 160 s., 85, tav. 105).
Per ulteriori riflessioni sui leoni funerari venosini e sul loro reimpiego si rimanda alla scheda Venosa, fontana di Messer Oto, leone. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 38: "La fonte principale, tra le altre cose che l'abbelliscono, é che tiene doi leoni grandi di pietra assai ben fatti, l'uno da un lato, e l'altro da l'altro lato. Un di questi leoni tiene nella sua man destra di sotto una testa di montone fatta di naturale [...]". | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1585): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 38.
Cenna (ed. Pinto 1902): Jacopo Cenna, Cronaca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli con prefazione e note di Gerardo Pinto, 217-218, 295-296.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 162 s., n 87, tavv. 106-109.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, "Leoni funerari romani in Italia", Bollettino d'arte, 65, 1980, 7-14.
Stortoni 2008: Emanuela Stortoni, Monumenti funerari di età romana nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, I-II, Urbino 2008.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 33-34, n. III B e 1, 140-141. | |
Allegati | ||
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Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/06/2014 13:22:08 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 15:49:30 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/375 |
Oggetto | Venosa, fontana angioina, leone di sinistra | |
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Collocazione attuale | Venosa, piazza Castello, sollevato su una sorta di podio a chiudere a sinistra la vasca della c.d. fontana angioina. | |
Prima attestazione | La prima menzione delle sculture antiche poste a decorazione della fontana risale alla descrizione della città redatta da Achille Cappellano nel 1584. | |
Materiale | Calcare locale | |
Dimensioni | h 1; largh. 0,52; lungh. 1,51 | |
Stato di conservazione | La scultura si conserva integralmente; la superficie è dilavata ma i particolari risultano leggibili (una profonda lesione orizzontale corre all'attacco delle zampe posteriori); una lacuna più consistente si registra sul lato destro. Manca il plinto nella parte posteriore sinistra. | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C.- primo quarto del I secolo d.C. | |
Descrizione | La fiera è ritratta nell'atto di sferrare un attacco, con il peso del corpo spostato sulle zampe posteriori tese, la schiena inarcata e la testa avvicinata alle zampe anteriori, piegate, mentre trattiene sotto la destra la preda, una protome di ariete (cfr. schema A in Mansuelli 1956; sulla serie venosina di leoni: Todisco 1996, specialmente 104 s.; Giammatteo 2002, 95 s.); il capo e lo sguardo sono leggermente volti a sinistra. La testa è allungata (piriforme) e le fauci spalancate; risulta ben visibile la linea della dentatura così come il contorno delle cavità orbitali con il solco della palpebra superiore particolarmente accentuato; le pupille sono sporgenti e globulari. La criniera è disposta a raggiera con una sorta di anastolè al centro della fronte e prosegue poi sul corpo con la successione di lunghe ciocche a fiamma, solcate da incisioni molto sintetiche. Rispetto alla ricchezza di dettagli che accentuano la resa espressiva della testa, l'anatomia del corpo è piuttosto sintetica; la coda si avvolge attorno alla zampa posteriore sinistra mentre quella anteriore è sollevata sulla testa di ariete, secondo uno schema ricorrente (Todisco 1996, 105). Si ipotizza per la scultura, come per gli altri leoni venosini, l'appartenenza a un monumento funerario; in questo caso, la lavorazione più corsiva dei lati induce ad escludere una collocazione isolata su un altare, privilegiando una soluzione in cui fosse esaltata la vista frontale della scultura, probabilmente posta su un podio a inquadrare, con il suo pendant, una fronte architettonica, come nel Grande Mausoleo di Aquileia (Gros 2001, 408, fig. 479). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La fontana attuale è opera di un vistoso intervento di restauro e ripristino effettuato nell'Ottocento, quando furono però ricollocati i leoni antichi che appartenevano alla sistemazione originaria. Il ricorso a statue antiche di leoni rappresenta a Venosa una costante nella decorazione delle fontane pubbliche (cfr. c.d. fontana di Messer Oto), cui sembrano essere stati riservati gli esemplari meglio conservati del gran numero di sculture antiche dello stesso soggetto che dovevano essere disponibili in città. A tal proposito, infatti, nella prima metà del Seicento Jacopo Cenna poteva annoverare circa venti esemplari di leoni antichi (cfr. Cenna [ed. Pinto 1902], 217), segnalando però la collocazione precisa solo di quelli della fontana alla porta di sopra (fontana Angioina), della vigna presso la chiesa della SS. Trinità e della pubblica piazza (cfr. Giammateo 2002, 160 s., 85, tav. 105). Per ulteriori riflessioni sui leoni funerari venosini e sul loro reimpiego si rimanda alla scheda Venosa, fontana di Messer Oto, leone. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Cappellano (ed. Nigro 1985), 38: "La fonte principale, tra le altre cose che l'abbelliscono, é che tiene doi leoni grandi di pietra assai ben fatti, l'uno da un lato, e l'altro da l'altro lato. Un di questi leoni tiene nella sua man destra di sotto una testa di montone fatta di naturale [...]". | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985, 38.
Cenna (ed. Pinto 1902): Jacopo Cenna, Cronaca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli con prefazione e note di Gerardo Pinto, 217-218, 280, 295-296.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 161 s., n. 86, tavv. 106-108.
Gros: Pierre Gros, L'architecture romaine, II. Maisons, palais, villas et tombeaux, Paris 2001.
Mansuelli 1956: Guido Achille Mansuelli, "Leoni funerari emiliani", Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 63, 1956, 66-89.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, "Leoni funerari romani in Italia", Bollettino d'arte, 65, 1980, 7-14
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, n. IIIBd1, 30, 105, 140-1, tavv. XXI-XXII. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/06/2014 13:10:56 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 01:38:13 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/374 |
Oggetto | Venosa, fontana di Messer Oto, leone | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Il leone costituisce il coronamento della fontana detta poi di Messer Oto, costruita in città per un privilegio concesso da Roberto d'Angiò (1313-1314). | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,93; largh. 0,62; lungh. 1,61 | |
Stato di conservazione | Un vistoso taglio verticale rivela la mancanza di una consistente porzione sul retro della testa, nel punto di innesto sul dorso, che pare, inoltre, appiattito in seguito a un intervento di rilavorazione. Mancano anche il segmento anteriore delle zampe e la parte del plinto ad esse relativo e una porzione della zampa posteriore destra. Evidenti rilavorazioni interessano il muso e le fauci dell'animale. | |
Cronologia | Metà del I secolo a.C.- metà del I secolo d.C. | |
Descrizione | La scultura, realizzata con il plinto in un unico blocco di calcare, è posta al centro della vasca e sollevata su un podio di forma parallelepipeda, probabilmente ripristinato nei più recenti interventi di sistemazione della fontana trecentesca. La fiera è rappresentata in posizione di riposo, con la testa rivolta a destra e le fauci spalancate; la zampa sinistra era piegata e portata in alto, verisimilmente appoggiata su una testa di ariete; come in altri esemplari venosini si individua anche qui lo schema frequente della coda attorcigliata intorno alla zampa posteriore in corrispondenza della tête coupée (Todisco 1996, 105). La testa, di tipo piriforme (secondo la distinzione tipologica ormai canonica: Mansuelli 1956, Marini Calvani 1980), risulta associata ad una criniera disposta a raggiera che poi si sviluppa sul dorso e sul petto dell'animale in ciocche più lunghe e serpeggianti, alcune delle quali avvolte in un motivo a torciglione. Nel panorama venosino, secondo la tipologia di Luigi Todisco, la scultura trova un solo confronto in un pezzo frammentario (resta solo la testa) ora al Museo archeologico nazionale di Venosa (Todisco 1996, 29 s., n. III Bc 2, tav. XX; per una più recente revisione dei leoni funerari reimpiegati a Venosa si rimanda a Giammatteo 2002, 93-99). Le dimensioni suggeriscono l'originaria destinazione a un monumento funerario di grandezza apprezzabile: probabilmente un monumento a più corpi sovrapposti con la coppia di leoni sul podio ad inquadrare l'edicola, oppure, come unica scultura, a sovrastare un altare. Per la tipologia monumentale di appartenenza si propone una datazione tra la seconda metà del I secolo a.C. e il primo ventennio del successivo. L'uniformità stilistica delle sculture del medesimo soggetto note a Venosa, tutte in collocazione secondaria, ha indotto a prospettare una provenienza e una produzione locale di tali materiali (Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Le profonde rilavorazioni che interessano la protome leonina (la superficie in corrispondenza degli occhi è stata ribassata e contestualmente è stata ridotta la sporgenza delle fauci, in particolare di quella inferiore) attestano la volontà di adeguare il manufatto antico a correnti canoni formali, nell'intento, forse, di risarcire anche lacune preesistenti, come accade nella regolarizzazione della parte in corrispondenza del petto e del dorso. Non si può escludere che il leone funerario, prima della collocazione trecentesca a coronamento della fontana, appartenesse o fosse per lo meno destinato ad altro tipo di sistemazione da ipotizzare verisimilmente nell'ambito dell'architettura della fase normanna della città. La presenza consistente di leoni antichi costituisce, infatti, un tratto caratteristico del reimpiego venosino, come è stato già notato dalle fonti rinascimentali (cfr. Fonti e documenti); Lucilla de Lachenal ha spiegato il fenomeno proponendo una provenienza delle sculture dall'anfiteatro (De Lachenal 1996, 15) in alternativa alla consueta attribuzione di tali opere a monumenti funerari (cfr. Mansuelli 1956; per Venosa almeno Todisco 1996, 96-116; Giammatteo 2002, 93-99). Dall’edificio per spettacoli, preziosa cava di materiale cui il complesso dell'Incompiuta è quasi adiacente, sarebbero stati recuperati sia i grandi blocchi calcarei, messi in opera nell'abbaziale normanna, sia alcune delle numerose statue di leoni variamente riutilizzate in città. In maniera specifica, Lucilla de Lachenal ha proposto di associare le fiere in calcare ai grossi basamenti rettangolari che sono stati individuati in occasione dello scavo dell'anfiteatro, realizzato nel 1935, e che dovevano scandire ingressi della struttura (cfr. anche Pesce 1936, 456). Si rileva però la mancanza di un'uniformità metrologica e tipologica tra i leoni venosini, a meno di non ipotizzare una coppia diversa per ciascun ingresso (facendo riferimento agli abbinamenti individuati in Todisco 1996, 104-108 e in Giammatteo 2002, 97). Inoltre, sebbene nei sistemi decorativi anfiteatrali non manchino sculture a tutto tondo rappresentanti animali feroci ed esotici (cfr. Legrottaglie 2008, tabella 127), chiaro riferimento alla pratica delle venationes, una tale scelta iconografica risulterebbe, nell'anfiteatro di Venusia, una forte anticipazione rispetto alla diffusione di questa tematica che è attestata dalla metà del I secolo d.C. e, con particolare frequenza, solo dall'età flavia (Ead., 119-128). Anche per Venosa, dunque, appare preferibile attribuire le numerose sculture di leoni in calcare, ora tutte in collocazione secondaria, all'ambito funerario, collegandone la diffusione, secondo casi già noti (Pompei, Aquileia, Sepino), a quella di determinate architetture funerarie (altari, edicole o tumuli) che trovarono un particolare sviluppo a partire dalla deduzione della colonia triumvirale (Todisco 1996, 115-116). D’altra parte la concentrazione di sculture di questo soggetto tra gli spolia potrebbe essere il portato, oltre che di un'effettiva disponibilità di leoni antichi nel territorio, di una specifica ricerca del soggetto iconografico che, eletto a simbolo del potere regio degli Altavilla, doveva essere esibito con particolare risalto nelle grandi fabbriche normanne (sul simbolismo del leone e gli Altavilla cfr. Todisco 1987). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | "Un leone di pietra bellissimo, grande, che sopra avanza tutti gli altri che sono nella città", viene descritto da Achille Cappellano a decorazione della fontana, insieme al rilievo con personaggi e iscrizione (CIL IX 588), ora murato nel palazzo antistante. La menzione della statua della fontana di Misser Ote induce inoltre Cappellano a una riflessione critica sulla particolare concentrazione di "tanta quantità di leoni" nella città di Venosa (Cappellano [ed. Nigro 1985], 42, 45-46). Anche Jacopo Cenna sottolinea le dimensioni della scultura, che differenzia per tipologia dalle altre: "un leone grandissimo assai dissimile dagli altri, perchè nell'altri che stanno nell'altra fontana al di sopra nominata, vi stanno tutti con una branca che tiene una testa di castrato sotto; così medesmamente quello che sta in mezzo alla piazza pubblica [...]" (Cenna [ed. Pinto 1902], 281). L'ultima scultura menzionata da Cenna, ora non riconoscibile con sicurezza tra quelle adespote del medesimo soggetto, si individua però in una foto d'epoca (Todisco 1996, tav. LXXV) appoggiata ad una colonna, così come la ritraggono le descrizioni cinquecentesche (Cappellano [ed. Nigro1985], 40): doveva trattarsi di una gogna pubblica sul modello della c.d. Colonna della Giustizia in piazza Mercato a Bari. | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Cenna (ed. Pinto 1902): Jacopo Cenna, Cronaca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli con note e prefazione di Gerardo Pinto, Trani 1902, 280-281.
De Lachenal 1996: Lucilla De Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'Arte, 6, 1996, 1-80.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 137 s., n. 50.
Legrottaglie 2008: Giuseppina Legrottaglie, Il sistema delle immagini negli anfiteatri romani, Bari 2008.
Mansuelli 1956: Guido Achille Mansuelli, "Leoni funerari emiliani", Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung, 63, 1956, 66-69.
Marini Calvani 1980: Mirella Marini Calavani, Leoni funerari romani in Italia, Bollettino d'Arte, 65, 1980, 7-14.
Pesce 1936: Gennaro Pesce, "Venosa (Potenza) - Scavo dell'anfiteatro e restauro della cosiddetta Casa di Orazio", Notizie degli Scavi di Antichità, 12, 1936, 450-461.
Todisco 1987: Luigi Todisco, "L'antico nel campanile normanno di Melfi", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 99, 1987, 123-158.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 28 s., n. B c 1, tavv. XVIII-XX. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 27/05/2014 18:54:35 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 15:50:34 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/364 |
Oggetto | Venosa, Museo archeologico nazionale, capitello corinzio rilavorato | |
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Collocazione attuale | Venosa, Museo archeologico nazionale, inv. 395511 | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Marmo bianco | |
Dimensioni | h 0,98 | |
Stato di conservazione | Il capitello presenta diverse lacune ed è stato ampiamente rilavorato nel Medioevo. | |
Cronologia | prima metà del II sec. d.C.; rilavorato nel XII sec. | |
Descrizione | Il capitello corinzio marmoreo di notevoli dimensioni, originariamente reimpiegato all'interno della "Chiesa Vecchia" della Trinità, poi portato nella Cattedrale e utilizzato come acquasantiera (Giammatteo 2002, 126; Todisco 1996, 89), doveva appartenere ad un edificio pubblico dell'antica Venusia. È stato rilavorato su uno dei due lati in maniera massiccia: l'abaco, privato degli spigoli, appare completamente lisciato (eliminando il consueto canale); il fiorone è stato modificato in una protome; le volute laterali risultano completamente recise, mentre le foglie della seconda corona del calato sono state rilavorate nel profilo, come pure i cauli, il relativo collarino di sepali e lo stelo del fiorone (fine del XII secolo, Bertelli 2003, 117). La prima corolla di foglie acantine è stata del tutto lisciata, e forse già in antico vennero usati dei tasselli riportati per riparare le parti danneggiate; molto accurato è il lavoro di intaglio alla base delle foglie della seconda corona che si innestano, quasi come una palmetta, sulla superficie liscia. Sul lato posteriore, oltre che lo stato di conservazione del pezzo antico, è possibile individuare la traccia dell'intervento di rilavorazione ancora in fieri e non portato poi a conclusione (volute laterali recise, scalpellature evidenti e presenza di tasselli). In base a quanto si riesce ancora a leggere dell'intaglio antico, la modalità di realizzazione della foglia di acanto, con le nervature incise e le zone d'ombra triangolari allungate, la resa del caulo, avvolto in foglioline plastiche con l'orlo ripiegato e chiuso da un collarino di tre sepali con i profili lavorati a punta di trapano, conducono a un orizzonte cronologico che va dalla tarda edtà adrianea alla prima età antonina, trovando confronto, ad esempio, in un gruppo di capitelli ostiensi dalle Terme di Nettuno (cfr. Pensabene 1973, 66-68 nn. 258, 264, 265, 266). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Bertelli 2003: Gioia Bertelli, "Capitello", in Rilavorazione dell'antico nel Medioevo, a cura di Mario D'Onofrio, Roma 2003, 117.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 126 n. 41.
Pensabene 1973: Patrizio Pensabene, Scavi di Ostia VII. I capitelli, Roma 1973.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 89 n. XI.20, tav. LXIX. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 09/11/2013 18:28:25 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 17:09:17 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/296 |
Oggetto | Venosa, Palazzo Lauridia, fregio dorico | |
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Collocazione attuale | Reimpiegato sulla facciata di Palazzo Lauridia in via De Luca. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | h 0,40; largh. 0,48 | |
Stato di conservazione | Consunzione superficiale; rotto in alto a destra. Non è possibile verificare lo stato di conservazione dei listelli di chiusura e la presenza delle guttae. | |
Cronologia | Seconda metà del I secolo a.C. | |
Descrizione | Del fregio dorico si conservano, in maniera parziale, una metopa e un triglifo con capitulum. Il campo figurato è occupato da un'aquila di prospetto con le ali spiegate e il capo leggermente volto a sinistra; nonostante l'anatomia del volatile sia piuttosto sintetica il piumaggio è reso in maniera naturalistica così come dovevano esserlo il capo e il becco, ora le parti più compromesse della figura. La tipologia del fregio e il soggetto della decorazione riconducono a una serie nota di monumenti funerari, caratterizzati dall'uso del fregio dorico in associazione con motivi di armi o più in generale con ornamenta militaria, nonché con più generici temi appartenenti all’ambito rituale (Torelli 1968; Polito 2010; un corpus dei fregi dorici centrointalici è in Maschek 2012). Il rapace, come suggerirebbe anche la basetta sulla quale è posto, potrebbe valere in questo caso non solo come simbolo militare, ma come rappresentazione sintetica dell'insegna più importante esibita in battaglia; questo dettaglio potrebbe, inoltre, indicare il grado rivestito dal titolare del sepolcro, che si qualificherebbe dunque come primipilo (Dobson 1978). In questo caso il motivo dell'insegna figurerebbe abbreviato all'interno del fregio dorico e non come elemento isolato di una serie paratattica di signa o di armi (sui signa militaria da ultimo Töpfer 2011, in particolare sull'aquila cfr. 18-20; sui monumenti funerari dei primipili: Spalthoff 2010, 107-109). Più in generale l’aquila vale come simbolo di vittoria militare per eccellenza; si segnala un'analoga soluzione con aquila entro fregio dorico in un pezzo reimpiegato a Civitatomassa e in uno a Isernia e, con diversa iconografia, in un fregio a Benevento (Maschek 2012, Df 162; Df 18, Df 12), materiali tutti datati tra l'età cesariana e la prima età augustea; nel caso beneventano la presenza del capricorno e della prora nelle altre metope concorrono a confermare l’appartenenza del monumento al contesto delle guerre sociali post-cesariane (Maschek 2012, 158), cronologia che si potrebbe proporre anche per il fregio venosino. Le dimensioni notevoli inducono a prospettare l'attribuzione dell’elemento architettonico a un sepolcro ad altare, in questo tipo di monumenti infatti la partitura decorativa può risultare sovrasviluppata, non dovendo avere funzione strutturale o armonizzarsi con le proporzioni degli altri elementi quali, ad esempio in un monumento a dado, l'edicola superiore (sui rapporti dimensionali, una sintesi in Giatti 2005, 179-181; Tuccinardi 2011, 91, nota 77). | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Nonostante l'impianto molto recente di palazzo Lauridia (XIX secolo), nella cui facciata è reimpiegato il fregio, é molto probabile che questo sia uno dei frammenti ai quali si riferiva Achille Cappellano quando annoverava la presenza a Venosa di «alcune aquile di marmi assai belli in molti lochi», non a caso ricordate accanto ad «alcune teste di tori fabbricate nelle mura», altro motivo tipico della decorazione metopale dei fregi dorici. In particolare Achille Cappellano si è soffermato sulla presenza in una chiesa, che resta però anonima, di un'«[aquila] grandissima in un quadro di marmo ... da 5 palmi» (Cappellano [ed. Nigro 1985], 46). | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Dobson 1978: Brian Dobson, Die Primipilares: Entwicklung und Bedeutung, Laufbahnen und Persönlichkeiten eines römischen Offiziersranges, Köln 1978.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 134, n. 46.
Giatti 2005: Chiara Giatti, "Il Sepolcro Dorico e la Tomba dei Festoni sulla Via Appia: due esempi di ricostruzione ottocentesca", Archeologia Classica, 56, 2005, 155-187.
Maschek 2012: Dominik Maschek, Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr., Wien 2012.
Polito 2010: Eugenio Polito, "Fregi dorici e monumenti funerari: un aggiornamento", in Monumenta. I mausolei romani, tra commemorazione funebre e propaganda celebrativa, cura di Massimiliano Valenti, atti del convegno di studi, Monte Porzio Catone, 25 ottobre 2008, Roma 2010, 23-34.
Spalthoff 2010: Benjamin H. Spalthoff, Repräsentationsformen des römischen Ritterstandes, Rahden 2010.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 72, X A 12, tav. LVI.
Töpfer 2011: Kai Michael Töpfer, Signa Militaria: die römischen Feldzeichen in der Republik und im Prinzipat, Mainz 2011.
Torelli 1968: Mario Torelli, "Monumenti funerari romani con fregio dorico", Dialoghi di Archeologia, 2, 1968, 32-54.
Tuccinardi 2011: Stefania Tuccinardi, "Fregi dorici da monumenti funerari. La documentazione alifana", Oebalus 6, 2011, 69-104.
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Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 20/06/2014 17:18:13 | |
Data ultima revisione | 16/02/2017 13:36:00 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/391 |
Oggetto | Venosa, Palazzo Lioy, rilievo con personaggi | |
---|---|---|
Collocazione attuale | Il rilievo è murato al livello della pavimentazione stradale all'esterno del Palazzo Lioy in Via Vittorio Emanuele II n. 121 sulla piazza della Fontana di Messer Oto. | |
Prima attestazione | Matteo Geronimo Mazza, Silloge, f. 113. | |
Materiale | Calcare locale | |
Dimensioni | h 0,73; larg. 0, 35 | |
Stato di conservazione | Il rilievo è rotto a destra e in basso; non verificabile è ora il listello di chiusura sugli altri due lati. I volti delle figure sono completamente abrasi. | |
Cronologia | Tarda età augustea (Frenz 1985) | |
Descrizione | Il rilievo presenta un personaggio maschile e uno femminile, evidentemente due coniugi, ritratti nel solo busto (si tratta di una tipologia di reperti piuttosto diffusa nei reimpieghi venosini come ad esempio la stele dei Cinna cui si rimanda per le osservazioni generali sulla classe di materiali). Il rilievo doveva essere completato a destra da una terza figura femminile, probabilmente la figlia dei due liberti, ricordata nell'iscrizione accanto ai due genitori, rappresentati sulla parte che ancora si conserva (Giammatteo 2002, 139-140, n. 51B). Nell'ampia fascia sottostante i ritratti è scolpita l'epigrafe CIL, IX, 588: C TVLLIO C L / VETTIA C L SALVI / TVLLIA C F POL / PEQUNIA S FECER. | |
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Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | Secondo la descrizione di Cappellano il rilievo era originariamemte reimpiegato nella fontana di Messer Oto. | |
Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | Mazza, Silloge, f. 113. Cappellano (ed. Nigro 1985), 42. | |
Bibliografia | Cappellano (ed. Nigro 1985): Achille Cappellano, Venosa 28 febbraio 1584. Discrittione della città de Venosa, sito et qualità di essa, a cura di Raffaele Nigro, Venosa 1985.
Cenna (ed. Pinto 1902): Jacopo Cenna, Cronaca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli con prefazione e note di Gerardo Pinto, Trani 1902, 280-281. Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 92, 588.
Cimaglia 1757: (Natale Maria Cimaglia), Natalis Marii Cimaliae antiquitates Venusinae tribus libris explicatae. Asculanensiuum antiquitates et Dauniae Apuliaeque veteris geographia, Neapoli 1757, 220. Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel-und Süditalien, Archaeologica, 37, Roma 1985, 111 -112, n. 59.
Giammatteo 2002: Tonia Giammatteo, Spolia. Il riuso dell'antico a Venosa, Lavello 2002, 138-139, n. 51b. Lupoli 1793: Michele Arcangelo Lupoli, Iter Venusinvm vetustis monumentis illustratum accedunt varii argumenti dissertationes..., Neapoli 1793, 356.
Todisco 1996: Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Roma 1996, 49-50. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis, Stefania Tuccinardi | |
Data di compilazione | 19/03/2013 12:19:31 | |
Data ultima revisione | 02/02/2017 09:11:47 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/270 |
Oggetto | Venosa, via Giordano Bruno, iscrizione | |
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Collocazione attuale | Venosa, via Giordano Bruno n. 9. | |
Prima attestazione | ||
Materiale | Calcare | |
Dimensioni | ||
Stato di conservazione | ||
Cronologia | I secolo d.C. (Chelotti 2003) | |
Descrizione | L'iscrizione, murata al n. 9 di via Giordano Bruno, potrebbe essere considerata un'attestazione della presenza del cognomen Lucullo nell'antica Venusia. Il testo dell'iscrizione, probabilmente funeraria, è il seguente: Q(uintus) Alfius / Q(uinti) f(ilius) Lucullus / Livianus. | |
Immagine | ![]() ![]() | |
Famiglie e persone | ||
Collezioni di antichità | ||
Note | La diffusione del cognomen Lucullus a Venosa, per ora documentato da questa sola epigrafe, potrebbe aver determinato, sulla base di qualche iscrizione poi perduta, la denominazione di “Possessioni di Luccullo” per un’area che, caratterizzata dalla presenza di resti antichi, nel corso del Cinquecento dovette essere al centro degli interessi antiquari locali e teatro di alcuni rinvenimenti archeologici (cfr. Cappellano [Nigro 1985], 35-36 e la sezione antichità della Scheda Città Venosa). Alla fama delle “Possessioni di Lucullo” si deve ricondurre, molto probabilmente, anche l’integrazione “Lucullianorum” che figura nella copia moderna dell’iscrizione del Corrector Apuliae et Calabriae Elio Restituziano, ancora murata nel campanile venosino.
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Fonti iconografiche | ||
Rilievi | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Chelotti 2003: Supplementa italica. 20. Nuova serie, Regio II, Apulia et Calabria: Venusia, a cura di Marcella Chelotti, Roma 2003, 166 n. 58.
Rossano 2004: Maristella Rossano, scheda nel database Eagle n. EDR075503. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 24/10/2013 09:49:21 | |
Data ultima revisione | 31/01/2017 21:01:42 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/293 |
Nome | Venosa | |
---|---|---|
Status amministrativo | Comune in provincia di Potenza | |
Estensione del territorio comunale | 170 kmq | |
Popolazione | 11.863 (ISTAT dicembre 2015) | |
Musei | Museo archeologico nazionale di Venosa | |
Archivi | Archivio storico del Comune | |
Biblioteche | Biblioteca civica mons. Rocco Briscese | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Citta/9 |