NomeCosenza
TipoCittà
Luogo superioreCALABRIA
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OggettoCosenza, pianta della città
CollocazioneRoma, Archivio Generale Agostiniano, Carte Rocca
Immagine
Materiali e tecniche
Dimensioni
Cronologia
Autore
Soggetto
Descrizione
Iscrizioni
Famiglie e persone
Note


Riproduzioni
Fonti e documenti
Bibliografia

Muratore, Munafò 1991: Nicoletta Muratore, Paola Munafò, Immagini di città raccolte da un frate agostiniano alla fine del XVI secolo, Roma 1991.

Allegati
Link esterni
Schedatore
Data di compilazione02/11/2014 18:33:11
Data ultima revisione20/02/2017 22:13:31
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OggettoRoma, base di Iulius Agrius Tarrutenius
CollocazioneNapoli, Biblioteca Nazionale, ms. XIII.B.7, p. 156
Immagine
Materiali e tecnicheDisegno a penna
Dimensioni
CronologiaXVI secolo
Autore

Pirro Ligorio

SoggettoBase di statua iscritta; CIL VI 1735
Descrizione

Il disegno rappresenta una base di statua dedicata a Giulio Agrio Tarrutenio Marciano, prefetto di Roma e di Costantinopoli, da parte del senato con il consenso dell'imperatore.

L'iscrizione (CIL VI 1735), ora perduta, era sicuramente nota almeno dalla metà del 1500, quando fu trascritta da Pighius, mentre la base, completa del suo testo, fu disegnata da Pirro Ligorio (Orlandi 2008, 140, fig. IV).

La particolare fortuna dell'epigrafe presso gli antiquari cosentini era dovuta alla presenza nella dedica dell'espressione nobilissimus ordo consen[su principis], che ben di prestava ad essere integrata come nobilissimus ordo consentinorum.

Occorre segnalare che nel manoscritto napoletano delle iscrizioni ligoriane il disegno, con una corretta distribuzione del testo in quindici righe, presenta - in corrispondenza della tredicesima riga - un emendamento di mano del Ligorio recante l'integrazione ordo consentinorum (Orlandi 2008, 140 fig. IV).

Da questa lettura, attestata per ora a partire dall'antiquario napoletano, derivò appunto la notizia, riportata per primo da Gabriele Barrio (Aceti 1737, 81), dell'esistenza a Roma di una statua donata dai cosentini al prefetto Giulio Agrio; Sertorio Quattromani, nelle annotazioni al Barrio (Barrio [ed. Aceti 1737], 81), poteva inoltre precisare che l'iscrizione, piuttosto usurata, era ancora esistente a Roma e che gli fu mostrata da Giovanni Domenico Sorrentino, mentre nella sua Historia di Cosenza, tuttora manoscritta, il Quattromani, evitando di inserire la trascrizione del testo antico perché molto usurato, afferma di aver visto il reperto nella «casa che fu del Cardinal della Valle» (Quattromani ms., f. 21v).

Piuttosto che la falsa attribuzione della dedica all'ordo della Cosentia romana, pare meritevole di interesse che la prima occorrenza dello scioglimento ordo consentinorum si trovi in Ligorio e poi, a pochi anni di distanza, in Gabriele Barrio (1571) e in Sertorio Quattromani (sulla datazione dell'opera di Quattromani: Campennì 2008, 271).

Questa circostanza potrebbe essere stata determinata dagli stretti legami con Roma e con Napoli che avevano i due letterati cosentini che, inoltre, ebbero l'occasione di frequentare assiduamente la Biblioteca Vaticana.

Finora il passaggio della base di statua nella collezione della Valle, non riportato nel CIL, è stato censito solo dalla Historia del Quattromani, mentre Ligorio vide l'iscrizione nell'orto di Sant'Alessio sull'Aventino. 

Iscrizioni

CIL VI 1735

Famiglie e persone

Gabriele Barrio

Sertorio Quattromani

Famiglia Della Valle

Note
Riproduzioni

Orlandi 2008, 140, fig. IV.

Fonti e documenti
Bibliografia

Campennì 2008: Francesco Campennì, "Dalla patria alla nazione. La costruzione dell'identità regionale nella letteratura storica calabrese del XVI e XVII secolo", in L'Acropoli, IX, 2008.

 

Barrio (ed. Aceti 1737): Thomae Aceti academici Consentini, ex Vaticanae Basilicae clerici beneficiati, in Gabrielis Barrii Francicani De antiquitate et situ Calabriae libros quinque, nunc primum ex autographo restitutos ac per capita distributos, prolegomena, additiones, et notae quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattrimani patricii Consentini, Romae, 1737, ex Typographia S. Michelis ad Ripam, sumptibus Hieronymi Mainardi.

 

Orlandi 2008: Libri delle iscrizioni latine e greche, Edizione Nazionale delle Opere di Pirro Ligorio (Napoli, Volume 7), a cura di Silvia Orlandi, Roma 2008, 140, fig. IV.

 

Quattromani ms.: Sertorio Quattromani, Istoria della città di Cosenza di Sertorio Quattromani, Biblioteca Civica della città di Cosenza, ms. 20187.

Allegati
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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione24/11/2015 23:38:03
Data ultima revisione13/02/2018 11:00:27
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OggettoCosenza, Archi di Ciaccio
Tipologiapassaggio urbano voltato
Nome attualeArchi di Ciaccio
Immagine
Nomi antichi

Archi di Ciaccio

Cronologia
Autore
Committente
Famiglie e persone

Il nome deriva dalla presenza nei pressi, della residenza della famiglia Ciaccio (ora Contestabile Ciaccio).

Descrizione

Le arcate costituiscono un passaggio voltato dal sesto ribassato che segnavano l'ingresso nella parte alta della città, in un punto di snodo tra il corso principale, l'antica via consolare che conduce verso la parte bassa di Cosenza e la confluenza dei due fiumi, e l'asse principale della parte vecchia (la Giostra) che conduce al castello. Simbolo dello snodo è l'ampia piazza, che in età moderna era denominata Capo-piazza e conteneva le sedi amministrative del governo in città (prima del trasferimento a Palazzo Arnone) e sorgeva nei pressi della residenza di Pompeo Sersale, il palazzo più in vista della città tra Quattro e Cinquecento, dove fu ospitato Carlo V. Gli archi, con un doppio passaggio, erano il confine meridionale della città murata e in origine dovevano presentare più monumentali con quattro fornici aperti (oggi ne resta uno solo). Le arcate, dal profilo ribassato, testimoniano un'origine quattrocentesca ma, come mostrano gli stipiti, i capitelli modanati e le cornici, devono risalire, per l'esecuzione, al primo Cinquecento.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

Le arcate, in origine quattro, come rivelano i resti dei piedritti di almeno altre due, oggi sono inglobate in edifici privati e delle due realizzate, una sola è percorribile con la bella volta ribassata in conci di calcare. Il passaggio monumentale nel secolo XVI perse importanza come l'intera area in cui sorgeva, dapprima centro amministrativo del potere centrale in città in collegamento con il castello; infatti l'apertura e la nuova importanza data a Corso Telesio finì per porre in subordine questa entrata monumentale alla città, lasciata incompleta e quasi del tutto ostruita.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 62-64.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Cosenza 2014, 220-222, 236-239, 511-513.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:22:56
Data ultima revisione20/03/2017 11:49:33
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OggettoCosenza, castello
Tipologiacastello
Nome attualeCastello
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1184: con il terremoto ingenti danni al complesso fortificato.

1239: lettera di Federico II che ordina al Secreto di Messina i restauri al castello di Cosenza.

1254: un incendio danneggia il castello e la cinta muraria.

1427-1433: restauri al castello per trasformarlo in residenza reale per Luigi III d’Angiò.

sec. XV, fine: nuovi interventi all’edificio.

1586: il castello perde la sua funzione di fortezza cittadina.

1613: restauri per il crollo di alcune volte del lato orientale.

1656: una delle torri angolari utilizzata quale santabarbara esplode e non sarà più ricostruita.

1659: crollo di una parte della cinta muraria del castello.

1758-1761: cessione del castello alla curia che vi interviene per trasformarlo in sede del seminario.

Autore
Committente

Federico II ordina il restauro dell'edificio intorno al 1239.

Luigi III d'Angiò fa accomodare una parte del castello per la sua residenza (1427-1433).

Famiglie e persone
Descrizione

Il castello, posto su di un pianoro scarpato frutto di interventi artificiali, domina il colle Pancrazio sul cui versante si sviluppa la città di Cosenza. Dopo le notevoli perdite e i radicali cambiamenti, l'edificio conserva l'aspetto ricevuto con gli interventi promossi da Federico II che fece elevare quattro torri, di cui due ottagonali (se ne conserva una; l'altra andò distrutta e non più ricostruita dopo un'esplosione nel 1656) e due quadrate con fascia basamentale in bugnato, secondo forme e tipologie frequenti nei castelli voluti dall'imperatore nel secondo quarto del secolo XIII. L'edificio centrale, che fu impiegato anche come residenza ha pianta quadrata e conserva, in un passaggio voltato con crociere archiacute, una decorazione con gigli di Francia relativa alla permanenza del re Luigi III d'Angiò nel castello (1427-1433). Notevoli, inoltre, i piedritti con capitelli della c.d. sala d'armi, riferibili ancora all'età federiciana anche per confronti con elementi analoghi in altri castelli di Federico. Delle fasi successive, sono visibili i resti delle trasformazioni in età moderna e, in particolare, dell'ala adattata per ospitare il seminario nel secolo XVIII.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici

Nel corridoio voltato c.d. 'Passaggio angioino", stemmi con gigli di Francia fatti apporre al tempo della residenza nel castello di Luigi III d'Angiò.

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

Non si conservano tracce evidenti della presenza di una fortificazione sul colle Pancrazio che domina la città prima dell'età medievale ma di certo fortificazioni dovevano essere state presenti nell'età antica (a difesa della città) e nell'alto medioevo. Dopo i danni al complesso, probabilmente di età normanna, con il terremoto del 1184 che colpì anche la vicina area episcopale (con Cattedrale e curia), lavori significativi di ripristino se non una vera e propria ricostruzione fu effettuata per volontà di Federico II. Nonostante la città, nel corso del tardo medioevo, si sia gradualmente spostata con il suo baricentro sull'antica via consolare, il castello conservò un ruolo significativo testimoniato dalla scelta di Luigi III d'Angiò di sceglierlo per la sua residenza, apportandovi cambiamenti. Il complesso fu poi in relazione alle sedi governative in città, perdendo nel 1586 la sua funzione di fortezza cittadina e divenendo carcere fino a quando non fu completato il Palazzo regio. I terremoti e gli incidenti determinarono notevoli danni all'edificio che a metà Settecento fu consegnato alla curia che ne adattò una parte per il seminario. Da allora l'area non ha ricevuto ulteriori destinazioni, tantomeno si sono registrati interventi edilizi o radicali restauri fino al nostro tempo.

Note

Alla storia del castello è associabile il presunto ritrovamento nelle fondamenta del monastero delle Cappucinelle, sito nella parte alta della città nei pressi della fortificazione, dell'iscrizione latina, perduta, che menziona la "brettiam arcem", secondo Sertorio Quattromani ritrovata su un “sasso antico” scavato nelle fondamenta della chiesa di Santa Croce delle Donne Cappuccine e per “inavertenza” risotterrato. Tale 'invenzione' cinquecentesca sarebbe stata tesa a creare un legame temporale ideale tra il castello medievale e moderno e una presunta fortificazione antica nello stesso luogo.

Fonti iconografiche
Piante e rilievi

Disegno del 1638 (Rubino, Teti 1997, 19) mostra l'edificio nell'assetto del tempo, con la cinta con le quattro torri di età federiciana, di cui due ottagonali (oggi se conserva una sola) e due qudrangolari con parte inferiore con bugnati, e la parte centrale residenziale, con una loggia con colonnato frutto di interventi di età rinascimentale.

Fonti/Documenti
Bibliografia

 

 

Cuozzo 2007: La Platea di Luca Arcivescovo di Cosenza (1203-1227), a cura di Enrico Cuozzo, Avellino 2007.

 

Cuozzo 2009: Errico Cuozzo, “Cosenza medievale. Una città riprogettata negli anni di Federico II di Svevia”, in Anna Laura Trombetti Budriesi (a cura di), Cultura cittadina e documentazione: formazione e circolazione di modelli, Atti del convegno (Bologna, 12-13 ottobre 2006), Bologna 2009, 351-359.

 

De Sanctis: Aldo De Sanctis, “L'osservazione e la misura nel rilevamento del castello di Cosenza”, in Castelli in terra, in acqua e... in aria. Colloqui internazionali castelli e città fortificate: storia, recupero, valorizzazione, Atti del convegno (Pisa maggio 2001) a cura di Fabio Redi, Pisa 2002, 470-476.

 

Frugali (ed. Galli 1934): Pietro Antonio Frugali, Notamento di alcune cose che sono state, e avendole raccolte da diverse parti non sono poste ad ordine ma confuse, edizione in Edoardo Galli, Cosenza seicentesca nella Cronaca del Frugali, Tivoli 1934.

 

Paolino 1995: Francesca Paolino, “Contributo per la storia di architetture di età federiciana a Cosenza”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 5, 1995, 9, 141-154.

 

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Maria Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 24-30.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 354-378.

Link esterni
SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:29:23
Data ultima revisione20/03/2017 11:59:33
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/822
OggettoCosenza, Cattedrale
Tipologiachiesa cattedrale (esistente)
Nome attualechiesa cattedrale di santa Maria Assunta
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1184: distruzione della primitiva cattedrale, posta nei pressi del castello.

1222: consacrazione della nuova chiesa ad opera di Federico II che dona la stauroteca.

1343-1347: spostamento e consacrazione dell'altare maggiore ad opera dell'arcivescovo Orsini (Frugali [ed. Galli 1934]).

1479: spese sostenute per ordine del re per il restauro della cattedrale.

1545: commissione del soffitto ligneo ad opera del vescovo Gaddi a due artisti fiorentini (l'opera fu restaurata nel 1696 dall'arcivescovo Caracciolo).

1569: nuova consacrazione dell'altare maggiore (Frugali [ed. Galli 1934]).

1587-1591: mons. Pallotta sostituisce l'abside con un coro più ampio.

1589: erezione dalla cappella della Compagnia della Morte presso il duomo, collocata nell’arco tra la Porta del Cementario e l’altare privilegiato.

1593: Consacrazione dell'altare maggiore da parte di mons. Giovanbattista Costanzo (1591-1617).

1595:  l'arcivescovo fa rimuovere il fonte battesimale, che viene venduto a Orazio Telesio che lo porta nei suoi possedimenti a Campagnano, e fa collocare il nuovo sotto la Cappella della Madonna.

1598: i sindaci commissionano a Nicolò Ciolli e Marco Antonio Grasso (scalpellini fiorentini) e Andrea Maggiore (scultore fiorentino) un pulpito per la Cattedrale.

1599: eliminazione sedili nel prospetto anteriore della chiesa (Frugali [ed. Galli 1934]).

1601: viene commissionata ad Andrea Maggiore la Cappella Bernaudo da realizzarsi al posto della Cappella della Madonna del Piliero.

1603: lavori per la cappella di Muzio De Matera eseguiti da Andrea Maggiore.

1603: spostamento di un'icona mariana eseguita “secondo l'immagine di S. Maria Maggiore di Roma” dal suo luogo originario “al pilastro di sopra” presso una nicchia all'esterno per cura degli orefici della città e doppio spostamento dell'Icona del Piliero presso il "pilastro di sotto" e, poi, in un baldacchino alle spalle dell'altare maggiore (Frugali [ed. Galli 1934]).

1606: lavori per “magnificare et abbellire” la Cappella del SS. Sacramento e nuovo sedile a sinistra della porta maggiore.

1607: mons. Giovanni Battista Costanzo (1591-1617) colloca la Madonna del Piliero nell'attuale cappella della navata sinistra.

1617-1639: al tempo dell'arcivescovo Santoro si realizzarono le "intempiature" delle due navate minori.

1638-1654: crollo del campanile presso la porta piccola a causa del terremoto e ricostruzione a cura dell'arcivescovo Sanfelice, inserendovi le campane della vecchia torre (datate 1634 e 1638).

1759: consacrazione dell'altare maggiore a completamento dei radicali interventi di restauro promossi dall'arcivescovo Capece Galeota.

1831: restauri alla facciata con 'ripristino' delle forme medievali.

1891-1905, 1928-1934, 1939-1948: restauri alla cattedrale.

Autore
Committente

Luca Campano, arcivescovo di Cosenza (1203-1224).

Famiglie e persone
Descrizione

La cattedrale medievale, sorta agli inizi del sec. XIII al centro dell'asse cittadino principale, domina e costituisce il baricentro urbanistico e visuale della città di Cosenza, affacciando sulla Piazza maestra. La facciata e l'interno si mostrano oggi in una veste neo-medievale, frutto dei restauri del 1831 e del 1899 e del secolo successivo.

I portali archiacuti, semplicemente modanati danno accesso alle navate separate da pilastri con capitelli decorati con forme corinzie molto semplificate con soluzioni astratto-geometriche, rivelando una soluzione architettonica e stilistica esemplate sui modelli cistercensi, ordine da cui proveniva il vescovo committente dell'edificio, Luca Campano. Lungo la navata laterale di sinistra si apre la barocca cappella che conserva sull'altare la veneratissima icona della Madonna del Piliero, dipinto dei secc. XIII-XIV, dapprima collocato presso un pilastro (da cui il nome), qui trasferita nel 1607. Svetta sul coro un crocefisso ligneo di età moderna, ivi collocato di recente ma che proviene da una delle cappelle della chiesa, qulla del Crocefisso della famiglia Telesio (dove fu sepolto probabilmente il filosofo Bernardino Telesio). In corrispondenza della navata sinistra si conserva l'unica cappella voltata dell'edificio, con costoloni e archi acuti, databile all'età angioina. Resti della struttura medievale sono visibili all'esterno nelle due absidi minori con monofore archiacute.

Nella parte absidale, recenti restauri hanno valorizzato il c.d. 'Tragitto' un passaggio sospeso su arcate (realizzato nel 1660 con integrazioni nel 1826) che permetteva il collegamento coperto tra il Palazzo arcivescovile e la Cattedrale.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego

Sarcofago antico

Opere d'arte medievali e moderne

Tomba di isabella d'Aragona.

Crocefisso ligneo del coro (sec. XV) (dalla cappella Telesio).

Resti del pavimento intarsiato (sec. XIII).

Resti di affreschi sui pilastri (Angelo annunciante, sec. XIV).

Bartolomeo Bendini, genero di Bartolomeo della Scala, toscano, realizza, a metà del secolo XVI un altare in Duomo, al centro del quale avrebbe dovuto campeggiare una pala scolpita in tufo di Castelfranco con “la imagine dela Madonna et de tutti i santi… de mezzo relevo”.

Nel 1599 Giovanni Paolo D'Aquino fa eseguire nel fondo della 'cappellaccia' un dipinto per la sua sepoltura con la Vergine e i santi San Francesco da Paola e San Tommaso d'Aquino.

Giovanni Maria Bernaudo nel 1602 fa realizzare ad Andrea Maggiore la cappella di famiglia, ubicata presso l'icona della Madonna del Piliero (si conserva il disegno dell'altare).

Tommaso e Muzio de Matera fanno realizzare ad Andrea Maggiore la cappella di famiglia, posta accanto alla porta maggiore (si conserva il disegno dell'altare maggiore).

Storia e trasformazioni

La cattedrale, come si evince dai documenti medievali e, in particolare, dalla Platea dell'arcivescovo Luca (1203-1224), in origine era nei pressi del castello, insieme al palazzo arcivescovile e, dopo la distruzione in conseguenza del terremoto del 1184, venne ricostruita nel cuore del centro storico di Cosenza, lungo il corso principale, unica chiesa a sorgere sull'asse viario. La scelta dové essere determinato da un mutamento radicale dell'assetto urbanistico della città, non più arroccata sul colle del castello ma distribuita sul versante in posizione baricentrica anche rispetto ai casali e ai colli che la circondano.

L'edificio attuale, che prospetta su un'ampia piazza (la Piazza maestra), oggetto di notevoli interventi di risanamento idrogeologico già nel secolo XIV ad opera della città e, in particolare della famiglia Castiglione Morelli (Sambiasi 1639, 117), si presenta in una veste neo-medievale frutto dei restauri dei secoli XIX-XX. la consacrazione risale al 1222 (la raffigurazione di un edificio ecclesiastico sul sigillo del vescovo Luca su un documento del 1209 non presenta una veduta della cattedrale del tempo ma una rappresentazione canonica di una chiesa).

Dell'edificio originario, a tre navate con transetto e absidi e con facciata tripartita, si conservano i portali del prospetto, i pilastri che dividono le navate e resti che affiorano nell'area presbiteriale (segno di lavori protrattisi fino all'età angioina). Nel corso dell'età moderna abbiamo assistito a ripetuti interventi all'arredo interno, sia nel coro che nelle parti adibite al rito dell'intera chiesa, all'apertura e al rifacimento di cappelle di famiglie e relative tombe, agli spostamenti di opere di rilievo, come l'icona della Madonna del Piliero o del fonte battesimale, erezioni di altari e immagini devozionali pressi i pilastri, come testimoniano due epigrafi (una del 1611). Nel 1545 l’arcivescovo fiorentino Taddeo Gaddi incaricò i fiorentini Bartolomeo della Scala e il salernitano Agostino de Giorno della realizzazione del soffitto ligneo di navata centrale e navate laterali (secondo la Cronaca Del Bosco su suggerimento dell'imperatore Carlo V durante la visita alla città del 1535). L’arcivescovo Evangelista Pallotta (1587-91) sostituisce l’abside maggiore con un coro più ampio. Nel 1598 i sindaci del sedile dei Nobili e di quello degli Onorati, rapresentanti della città, s’impegnano con Vincenzo Bombini, finanziatore, e Nicolò Ciolli e Marco Antonio Grasso (scalpellini fiorentini) e Andrea Maggiore (scultore fiorentino) per l’erezione di un pulpito di pietra misca con “cappella di sotto” all’interno della Cattedrale, con armi della città.

Radicali interventi furono realizzati ai tempi dell'arcivescovo Capece Galeota (1748-1764), che determinarono un riallestimento dell'interno, provocando, tra le altre cose, l'occultamento dell'altare-tomba di Isabella d'Aragona. I restauri per il ripristino delle condizioni originari dell'edificio iniziano a partire dal primo Ottocento: nel 1831 si realizza il prospetto neo-medievale (rimosso a metà del sec. XX); a fine Ottocento nuovi interventi, così come ulteriori interventi furono effettuati per cancellare la veste barocca intorno al 1950.

Note

La chiesa conteneva numerose cappelle. Nella navata destra: di San Filippo Neri (famiglia Bosco); Santa Maria della Neve (ebdomadari del Capitolo); Immacolata (Mirabelli Centurione); Sant’Elena, (Bombini); San Bruno (De Matera: costruita nel 1603 accanto alla porta maggiore); Crocifisso (Telesio; qui vi era sepolto il filosofo con l’epigrafe THYLESII TEGIT OSSA LAPIS. DA LILIA BUSTO VIVIT UBI VICTI GLORIA ARISTOTELIS). In quella di sinistra: San Bonifacio (Castiglione Morelli); San Francesco di Paola (Ferrari Epaminonda); Santo Stefano (Andreotti); Santa Maria delle Grazie (Arnedos); cappella Bernaudo, fatta realizzare nel 1602 e posta presso l'icona della Madonna del Piliero. Abbiamo anche le cappelle della famiglia Cavalcanti (San Giovanni e/o Santa Maria del Carmine), Donati (1520 e D'Aquino (1599). Vi era inoltre, l’Arciconfraternita della Misericordia o dei Bianchi, fondata nella prima metà del 500 dai nobili del sedile chiuso, quella dell'Assunta (fondata intorno al 1600 e modificata nel 1651) e la cappella della Compagnia della Morte (eretta nel 1589), collocata nell’arco tra la Porta del Cementario e l’altare privilegiato.

Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Borretti 1964: Mario Borretti, Documenti per la storia delle arti in provincia di Cosenza durante il Viceregno (1503-1734), in Atti del terzo congresso storico calabrese, (19-26 maggio 1963), Napoli 1964, 503-520.

 

Cavalcanti 2009: Silvio Umberto Cavalcanti, Si chiamavano Cavalcanti, s.l., 2009.

 

Fazio, Chinigò 2010: Anna Maria Letizia Fazio, Lucia Chinigò, “Committenze e maestranze tra il XVI e il XX secolo attraverso le fonti dell'Archivio di Stato di Cosenza”, Esperide, 2010, 5-6, 182-206.

 

Frugali (ed. Galli 1934): Pietro Antonio Frugali, Notamento di alcune cose che sono state, e avendole raccolte da diverse parti non sono poste ad ordine ma confuse, edizione in Edoardo Galli, Cosenza seicentesca nella Cronaca del Frugali, Tivoli 1934.

 

Galli 1934: Edoardo Galli, "Il sarcofago del duomo di Cosenza", Bollettino d'Arte, 8, 1934, 356-363.

 

Gattuso 2011: Caterina Gattuso, “Per la tutela del duomo di Cosenza”, Arkos, n.s., 26, 2011, 6-16.

 

Hoby (ed. Powell 1902): Thomas Hoby, The travels and life of sir Thomas Hoby written by himself 1547-1564, edizione a cura di Edgar Powell, London 1902.

 

Leone 2000: Giorgio Leone, “Grandi Tesori d'arte. Percorsi critici per una storia dell'arte nella città di Cosenza”, in Cosenza nel secondo millennio, Atti del corso di storia popolare, Cosenza 2000, 105-184.

 

Licursi 2013: Esterpaola Licursi, Le pergamene dell’Archivio capitolare di CosenzaCosenza 2013.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 5-48.

 

Palmieri 1999: Luigi Palmieri, Cosenza e le sue famiglie, attraverso testi, atti e manoscritti, Cosenza 1999.

 

Paolino 1995: Francesca Paolino, “Contributo per la storia di architetture di età federiciana a Cosenza”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 5, 1995, 9, 141-154.

 

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 30-40.

 

Santagata 1983: Giuseppe Santagata, Il duomo di Cosenza, Cosenza 1983.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 407-428.

 

Tucci 2002: Vincenzo Antonio Tucci, "Gli antichi sedili dei governanti nel duomo di Cosenza attraverso un documento del XVIII secolo", Rivista storica calabrese, n.s., 23, 2002, 303-322.

 

Link esterni
SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:09:02
Data ultima revisione20/03/2017 12:08:50
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/815
OggettoCosenza, Palazzo Arnone
Tipologiapalazzo pubblico
Nome attualePalazzo Arnone (Galleria Nazionale della Calabria)
Immagine
Nomi antichi

Palazzo dei Presidi, Tribunale e Regia udienza, Grande archivio generale di giustizia

Cronologia

1523: secondo una tradizione infondata si dà inizio alla costruzione del palazzo della Regia Udienza.

1542, post: nomina da parte del viceré don Pedro de Toledo (1532-1553) del governatore don Rodrigo de Mendoza (che muore intorno al 1550) committente del nuovo palazzo della Regia Udienza.

1545: commissione per opera del tesoriere Bartolo Arnone per il portale d'ingresso del palazzo regio di località Triglio agli scultori fiorentini Bartolomeo Della Scala e Bartolomeo Bendini con gli stemmi reali, del viceré (ancora presenti) e del governatore Rodrigo de Mendoza.

1554: iscrizione su tomba di Bartolo Arnone che menziona la costruzione del palazzo.

1555: petizione dei cosentini per chiedere al viceré che i fondi della gabella della seta siano utilizzati per il palazzo regio anziché per le fortificazioni di Crotone.

1558: atto di compravendita tra Fisco e Ascanio Arnone per ducati 8000 del Palazzo Arnone per essere trasformato in Regio Palazzo e cessione del costruendo palazzo regio (iniziato da don Rodorico de Mendoza) agli Arnone.

1558, post: accuse ad Ascanio di frode con sequestro beni e deportazione e acquisizione del Palazzo Arnone già costruendo palazzo regio.

1582: bando emanato per la costruzione delle nuove carceri (ancora nel castello) a cura del procuratore del reggente "in curia nostra solita domini Bartoli Arnonis in platea magna Cosentina iusta sedile ipsius civitatis".

1583: divisione della Calabria in due province e conseguente ridimensionamento del ruolo amministrativo di Cosenza e delle sue sedi amministrative.

1599: bando di gara per lavori al palazzo della Regie Carceri e Regio Palazzo (lavori affidati al m° di Cava Adante Cafaro, capo mastro fabricatore); i lavori servivano a completare il palazzo imperfetto.

1605: lavori al Regio palazzo per esecuzione di una loggia (“gallaria superiore ove si passiggerà”).

1613: bando per lavori al Regio Palazzo affidati ad un maestro Giacomo Belsito di Rogliano con l’impegno della corte di fornire pietra da taglio.

1638: danni al palazzo regio con il terremoto.

1647: realizzata una loggia nell’ala di destra.

1649: Francesco Capecelatro, preside di Calabria citeriore, fa eseguire lo stemma dipinto dell'androne e un'iscrizione in marmo.

sec. XVIII: completato il sistema di barbacani di rinforzo del prospetto e allungamento dei bracci della costruzione nella parte retrostante.

1732-34: incendio con perdita della documentazione.

1854: Crollo del quarto piano (non più ricostruito) per il terremoto.

1980: Consegna al Ministero dei Beni Culturali (Mibact).

Autore
Committente

Francesco Capecelatro, committente dello stemma nell'androne (1649)

Famiglie e persone

Bartolo (regio questore della provincia, sepolto in una tomba in San Francesco d'Assisi nel 1554)  e Ascanio (regio tesoriere) Arnone.

don Rodrigo de Mendoza, già reggente della Vicaria (1541-1542) e governatore della Calabria (1543?-1550 circa), promotore della costruzione del palazzo regio.

Descrizione

L'edificio domina sull'intera area della città, di recente urbanizzazione nella prima età moderna, alla destra del fiume Crati di fronte al centro storico. L'edificio conserva nel prospetto la facies rinascimentale con la lunga facciata, su tre ordini di finestre squadrate, caratterizzata da contrafforti in pietra con gli stemmi vicereali di don Pedro de Toledo (1545) e fiancheggiata, sulla destra, da un torre angolare scarpata (rimaneggiato nel Seicento con l'inserzione di una loggia, poi tompagnata di cui si conservano tracce) con il portale oggi decentrato per l'ampliamento dei complesso dopo la destinazione a sede degli uffici fiscali e giudiziari della provincia di Calabria Citra, di forme rinascimentali, con vittorie alate nei pennacchi (1545: si conservano erratici frammenti degli stemmi posti in origine presso l'arcone). L'androne, con triplice fornice (settecentesco) e sedili presenta nella volta lo stemma vicereale (1649) e introduce allo scalone, alla cui sommità troviamo l'iscrizione che ricorda l'intervento dei fratelli Arnone per il completamento dell'edificio. Nella parte interna si notano i corpi aggiunti dei prolungamenti realizzati a più riprese tra Sei e Settecento per adattare l'edificio alle nuove funzioni amministrative di tribunale e carcere (oggi l'edificio ospita la Galleria Nazionale della Calabria).

Iscrizioni

Sulla sinistra scalone d’accesso ai piani superiori, in un cartiglio fiancheggiato da stemmi della famiglia Arnone:

Bartolus Arnonus in Brutiis Caesaris q(ue)s/tor palatiu(m) quo animo posuit quaq(ue) impe(n)sa vides Ascanius frater ac ide(m) Caesaris te/saurarius q(ui) no(n) i(n)cepta modo peregit/ veru(m) iactis ad altiora gradib(us) totu(m)/ opus ut ab Apelle relictu(m) absolvit.

Il Preside di Calabria Citeriore, Francesco Capecelatro, fece apporre un'epigrafe marmorea a ricordo delle rivolte da lui sedate nella regione nel 1648 (1649, perduta).

Stemmi o emblemi araldici

Sui contrafforti ai lati del portale d'ingresso:

stemmi del vicerè don Pedro de Toledo (1545).

Sulla volta dell'androne:

Stemma della corona di Spagna (Filippo IV),  e del vicerè conte de Oñate e del Preside di Calabria Citeriore (1649).

Si conservano erratici e mutili due frammenti di stemma forse in origine presso il portale d'ingresso e realizzati nel 1545:

uno stemma della corona di Spagna;

una stemma della famiglia Mendoza.

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Nel 1545 fu commissionato a Bartolomeo Della Scala, Bartolomeo Bendini (fiorentini) e a Carlo Mannarino (di Catanzaro) il portale del costruendo palazzo regio in località Triglio. Entro il portale dovevano trovar posto anche due stemmi reali (se ne conserva parte di uno solo) e altrettanti stemmi di Rodrigo de Mendoza, governatore vicereale della Provincia di Calabria (anche di questi se ne conserva uno, molto rovinato); sono ancora integri i due stemmi del viceré don Pedro de Toledo, posti sui contrafforti ai lati del portale d'ingresso.

Storia e trasformazioni

Nell'area, ricca di insediamenti monastici sorti nel primo Cinquecento, la tradizione storiografica cosentina vuole che intorno al 1523 si sia dato inizio al palazzo regio e, più  o meno contemporaneamente, la famiglia Arnone, con i suoi due principali esponenti del tempo, Bartolo (sepolto nel 1554 nella tomba collocata nella chiesa di San Francesco d'Assisi), seguito dal fratello Ascanio, abbia intrapreso la realizzazione di un grandioso palazzo. Tuttavia il palazzo regio, la cui committenza è del governatore don Rodrigo de Mendoza non può essere antecedente al 1536 (nomina di Diomede Carafa a governatore) ed è probabilmente successiva al 1542, quando Mendoza fu reggente della Vicaria per il biennio 1541-1542 (dovrebbe essere morto intorno al 1550). Inoltre, non è sicura nemmeno la presenza del palazzo della famiglia Arnone nel luogo del palazzo regio. Anzi, i documenti finora pubblicati e trascritti parzialmente sembrano da intendersi in questo modo: Bartolo Arnone in quanto tesoriere (come il fratello Ascanio che gli succede alla sua morte intorno al 1554) si occupa della costruzione in località Triglio del palazzo regio (come conferma la sua partecipazione alla commissione dello stemma nel 1545), mentre il fratello Ascanio nel 1558 realizza quel che sembra non una vendita ma uno scambio con il Fisco: per 8000 ducati egli vende il palazzo di famiglia al fisco e si impegna per 1000 a costruire le carceri; ne dovrebbe ricevere altri 6000 ma questi vengono ridotti a 4000 per la cessione ad Ascanio del palazzo dell'udienza in costruzione "allo quale terreno et fabrica detto magnifico Ascanio sui heredi ce possa fabricar a suo mo' et arbitrio". Infatti, il regio palazzo, probabilmente anche per la morte del suo promotore, era rimasto interrotto come testimonia la petizione dei cosentini del 1555. Quindi il governo acquisisce il palazzo Arnone, quello menzionato nella lapide della tomba di Bartolo e che diventa sede del governo regio, come rivela il bando del 1582 per le nuove carceri nel castello (quelle promesse da Ascanio non furono mai realizzate, anche perché sembra che successivamente gli siano stati confiscati tutti i beni) emanato "in curia nostra solita domos domini bartoli Arnonis in platea magna cosentina iusta sedile ipsius civitatis", quindi presso il palazzo di Bartolo Arnone nella piazza cittadina presso il sedile (la sede amministrativa in precedenza era nel centro storico di Cosenza, presso il Palazzo Sersale e gli Archi di Ciaccio, mentre le carceri si trovavano nelle disagiata sede del castello). Ascanio, nel frattempo, impossessatosi del costruendo palazzo regio ebbe il tempo di completarlo lasciando a testimone l'iscrizione che loda il fratello, iniziatore come tesoriere dell'opera e lo stesso Ascanio, che aveva terminato l'edificio "ut ab Apelle relictum". Solo alla fine del Cinquecento, allontanati gli Arnone e ripreso il possesso dell'ex costruendo regio palazzo, si pose mano al suo ampliamento con le carceri e gli altri locali a servizio dell'amministrazione della Calabria Citra. La presa di possesso definitiva determinò la realizzazione del Palazzo dei Presidi, che in varie fasi, tra la fine del Cinquecento e il Settecento, assumerà le forme e le dimensioni attuali, conservando dalla facies originaria la forma del prospetto con il portale e l'androne (con l'aggiunta settecentesca della triplice arcata) con la scala e il bastione angolare (modificato nel Seicento con la realizzazione di una loggia). Nei secoli successivi ci furono ulteriori modifiche fino al recente restauro per destinare l'ampio edificio a sede della Galleria Nazionale di Cosenza.

Note
Fonti iconografiche

Veduta di Cosenza dalle carte di Angelo Rocca, redatta tra il 1584 ed il 1585, nella quale il Palazzo eretto sul colle del Triglio viene indicato come "Palazzo dila Corti".

Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Abita 2007: Salvatore Abita, "Le opere", Bollettino della Galleria Nazionale di Cosenza, n. 0, marzo 2007, 37.

 

Banchini 1994: Roberto Banchini, “Disegni di monumenti calabresi nell'Archivio di Stato di Roma”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 14, 2004, 27-28, 235-242, 240-241.

 

Capecelatro 1854: Francesco Capecelatro, Diario di F.C. contenente la storia delle cose avvenute nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650, voll. 3, Napoli 1854, III, 525.

 

Cipolla-Ianni 2007: Sara Cipolla, Paolo Ianni, "Iscrizioni e stemmi di Palazzo Arnone", Bollettino della Galleria Nazionale di Cosenza, n. 0, marzo 2007, 25-36.

 

De Marco 1992: Giuseppina De Marco, Cosenza cinquecentesca nella carta della Biblioteca Angelica, Cosenza 1992, 136.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, "Il regio palazzo dei tribunali", Cronaca di Calabria, 39, 1933, n. 22.

 

Morrone Naymo 2013: Marilisa Morrone Naymo, "Segni di famiglie spagnole in Calabria, in La cultura ispanica nella Calabria del Cinque-Seicento. Letteratura, storia, arte, a cura di Donatella Gagliardi, Soveria Mannelli 2013, 271-292, 284-288.

 

Mussari 1995: Bruno Mussari, “Il Regio Palazzo di Cosenza”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 5, 1995, 10, 101-114.

 

Mussari 1996: Bruno Mussari, “Maestranze toscane nella Cosenza del XVI secolo. Bartolomeo Della Scala e Bartolomeo Bendini”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 6, 1996, 11-12, 17-30.

 

Mussari, Scamardì 1994: Bruno Mussari, Giuseppina Scamardì, “Pro Civitate Cosentia. Fides damni pro causa terremoti. Note sul patrimonio architettonico danneggiato dal sisma del 1638”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 4, 1994, 7, 143-148.

 

Paolino 1989: Monica Paolino, “Disegni calabresi inediti del secolo XVI”, Controspazio, 1989, 4, 74-77.

 

Terzi 2007: Fulvio Terzi, "Il Palazzo dei Presidi o Palazzo Arnone", Bollettino della Galleria Nazionale di Cosenza, n. 0, marzo 2007, 9-20.

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SchedatoreAntonio Milone, Paola Coniglio
Data di compilazione05/10/2014 19:32:02
Data ultima revisione20/03/2017 13:26:53
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OggettoCosenza, Palazzo Bombini
Tipologiapalazzo
Nome attualeResidenza universitaria Palazzo Bombini
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

sec. XVI: edificazione.

Autore
Committente
Famiglie e persone
Descrizione

Il palazzo sorge nei pressi del Lungo Crati e del corso Telesio, nell'area di Palazzo Gaeta. L'edificio che oggi ospita residenze universitarie e presenta un aspetto complessivamente ottocentesco, conserva una parte più antica nel pianterreno con un paramento murario a pietre lisce ben connesse con aperture a tutto sesto che fanno immaginare una destinazione commerciale dei vani terranei in corrispondenza della strada e del fiume.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

L'edificio presenta il pian terreno in pietre lisce e con aperture centinate che fanno supporre una destinazione commerciale di quella parte dell'edificio e un'origine cinquecentesca in un'area da sempre destinata ad attività economiche e residenziali. L'edificio, in seguito, ha subito notevoli trasformazioni e oggi si presenta, nei piani superiori, in un aspetto ottocentesco recentemente ripristinato con la destinazione dell'edificio a residenza universitaria.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia
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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:33:06
Data ultima revisione20/03/2017 13:57:39
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OggettoCosenza, Palazzo Cavalcanti
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo Cavalcanti
Immagine
Nomi antichi

Casa Parisio

Cronologia

1594: l'edificio, noto come Casa Parisio, è abitato dalla famiglia Buglio.

1768: acquisto da parte di Daniele Cavalcanti.

Autore
Committente
Famiglie e persone
Descrizione

Il palazzo che sorge ad angolo di due strade perpendicolari al corso principale della città, su cui prospetta la facciata lunga dell'edificio, è posto nella parte terminale dell'asse più importante del centro cittadino e conserva, dell'aspetto cinquecentesco, parti significativi del prospetto che permettono di confrontarlo con le soluzioni architettoniche coeve del Regno e, in particolare, del Rinascimento napoletano espresso nelle realizzazioni mormandee.

La facciata presenta tracce della divisione per piani con una cornice a toro che corrisponde ai gruppi angolari con paraste che inquadrano e inglobano una colonna angolare, elemento già presente nell'architettura medievale ripreso nell'età moderna e che rappresenta l'elemento più significativo della struttura (paraste analoghe si riscontrano nei chiostri coevi dei conventi di S. Francesco di Paola e di San Domenico, sempre a Cosenza). I due cantoni smussati sono scanditi dalla successione di cornici riquadrate e fregio dorico terminale e, al secondo livello, racchiude lo stemma familiare, posto ad angolo, secondo una consuetudine del tempo.

Iscrizioni

Sul portale d'ingresso di Via Liceo: iscrizione della famiglia Cavalcanti (1772).

Stemmi o emblemi araldici

Nel pilastro angolare, cartiglio con stemma nobiliare dei Parisio.

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

L'edificio, risalente al secolo XVI, è ubicato nella parte superiore del corso cittadino principale e prospetta di fronte dal Palazzo dell'Arcivescovado (già dei Cicala). Il palazzo subì diversi avvicendamenti della proprietà nel Cinquecento: noto coma Casa Parisio a fine secolo ed abitato dalla famiglia Buglio (imparentata, sembra, con i Parisio), era stato acquistato da Camillo Sersale intorno al 1560 dal precedente proprietario, Giovanni Andrea Sambiase. Il grande edificio subisce un riadattamento con l'acquisto nel 1769 da parte dei Cavalcanti, come testimonia anche l'epigrafe posta sul portale d'ingresso di via Liceo (1772).

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 51-54.

 

Canonaco 2009: Brunella Canonaco, “La composizione urbana della città di Cosenza tra XVI e XVII secolo”, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 795-803, 800-801.

 

Canonaco 2012: Brunella Canonaco, Note sull'architettura civile in Calabria: il palazzo del Contestabile Ciaccio a Cosenza, Roma 2012, 45-47.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 513-514.

 

Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria", in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319, 313-314.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:33:41
Data ultima revisione30/12/2018 21:35:51
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OggettoCosenza, Palazzo De Matera
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo De Matera
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1520: data sul portale d'ingresso del palazzo.

Autore
Committente

Geronimo Lemos alias Matera (1520): questo personaggio “antiquissimus nostrae civitatis” appare quale testimone diretto a proposito del saccheggio del 1461 e cultore delle patrie memorie nei Commentaria Brutiorum antiquitatum di Bernardino Bombini, giureconsulto e patrizio cosentino di metà 500.

Angelo de Matera.

Famiglie e persone

La famiglia originaria della Spagna, il cui nome era Lemos, poi trasformato in (de) Matera, come testimonia anche l'epigrafe del 1520 sul portale, intorno al 1510 donò il fondo per la costruzione della chiesa e del monastero dei Minimi a Cosenza.

Descrizione

La residenza di famiglia sorge a ridosso dell'asse viario principale della città, nella sua parte alta, aprendosi il prospetto su uno slargo in corrispondenza della via. L'edificio, di grandi dimensioni dalla pianta quadrangolare su tre piani con cortile interno, conserva l'impianto originario ma, nel prospetto, il solo portale d'ingresso, raggiunto da una doppia rampa ascendente che dà imponenza all'andito ed è arricchita da un'iscrizione che ricorda il committente, risale al secolo XVI. L'elemento più significativo è il portale, che si presenta in calcare locale, con un profilo a tutto sesto (con chiave di volta figurata con protome di putto) e con cornice architravata decorata da una scritta, mentre lo stemma di famiglia si ripete per tre volte, nelle due versioni più antiche entro clipeo a ghirlande nei pennacchi e, in posizione dominante, sopra la cornice, in forme tardo-cinquecentesche.

Iscrizioni

Sulla cornice del portale:
HIERONYMUS LEMUS ALIAS MATERA PATRICIUS COSE(N)TINUS SIBI ET AMICIS MDXX.

Sulla rampa d'accesso, in corrispondenza del portale:

ANGELUS E MATERA HUNC QUEM ASPICIS ADVENA/ NOMINE [SU...ESU] CONDIDIT AERE SUO.

 

Stemmi o emblemi araldici

Stemmi di famiglia in due forme: entro clipei e con scudo con elmo

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

Il palazzo risale al primo Cinquecento e conserva l'impianto originario e i volumi ma dell'apparato decorativo primitivo sembra sopravvivere solo il portale d'ingresso.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Aggarbati 2002: Il recupero di Corso Telesio a Cosenza. Porgetto, documentazione e rilievi, a cura di Fabrizio Aggarbati, Cosenza 2002.

 

Canonaco 2012: Brunella Canonaco, Note sull'architettura civile in Calabria: il palazzo del Contestabile Ciaccio a Cosenza, Roma 2012, 45.


Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria", in  La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319, 309-310.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:34:30
Data ultima revisione21/03/2017 11:50:17
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OggettoCosenza, Palazzo dell'Arcivescovado
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo dell'Arcivescovado
Immagine
Nomi antichi

Casa Cicala

Cronologia

1521: data sullo stemma angolare del palazzo.

1523: acquisto dal palazzo da parte dell'arcivescovo Russo Theodoli.

1578: i Gesuiti sono accolti nel palazzo dall'arcivescovo Pallotta.

1811-1819: sede dell'Intendenza della provincia di Calabria Citra.

Autore
Committente
Famiglie e persone

Famiglia Cicala, costruttori del palazzo agli inizi del secolo XVI.

Descrizione

Il palazzo presenta un ampio prospetto, allungato e con due ali perpendicolari che formano una corte interna caratterizzata, nel piano superiore, da una loggia che richiama il passaggio sospeso ad arcate, realizzato in età moderna, per mettere in comunicazione la cattedrale e la sede della curia. La facciata, ormai poco caratterizzata dopo i numerosi e radicali inteventi, conserva il grande portale con conci in bugnato, elemento probabilmente dell'assetto cinquecentesco originario dell'edificio.

Iscrizioni

Stemma della famiglia Cicala con iscrizione:

"Marchio?/ A.D. MDXXI".

Stemmi o emblemi araldici

Stemma della famiglia Cicala (murato nel pilone angolare dell'edificio).

Stemma vescovile sul portale di ingresso.

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

Il palazzo, costruito dalla famiglia Cicala e terminato nel 1521, fu venduto all'arcivescovo nel 1523. L'edificio sorge nella piazza alle spalle della Cattedrale, lungo il corso principale della città, e appariva già nel 1590 in precarie condizioni, quando subì interventi a cura di mons. Pallotta, che fece edificare il braccio sospeso con arcate (riattato intorno al 1660 e completato nel 1826) e collocò nel grande edificio il seminario. L'edificio, di notevoli dimensioni con corte interna, ha ricevuto diverse destinazioni nel corso della sua storia che ne hanno determinato radicali trasformazioni, per cui dell'assetto originario resta il portale e l'impianto: sede della curia, ospitò al loro arrivo i Gesuiti; fu anche seminario e, nel Seicento, Tribunale dell'Inquisizione. Nel XIX secolo fu alienato e destinato, nel decennio francese, a sede dell'intendenza per ritornare alla curia, che oggi vi risiede, con l'archivio e il museo diocesano (con il tesoro della Cattedrale).

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Aggarbati 2002: Il recupero di Corso Telesio a Cosenza. Porgetto, documentazione e rilievi, a cura di Fabrizio Aggarbati, Cosenza 2002, 114-116.

 

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 50-51.

 

Tucci 2007: Vincenzo Antonio Tucci, “La relazione ad limina di monsignor Giovanni Evangelista Pallotta (1590)”, Rogerius. Bollettino dell'Istituto della biblioteca calabrese, 10, 2007, 51-66.


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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:30:01
Data ultima revisione21/03/2017 11:51:47
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/823
OggettoCosenza, Palazzo di Gaspare Sersale
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo di Gaspare Sersale
Immagine
Nomi antichi

Palazzo Sersale

Cronologia

1493: data impressa sullo stemma del portale del palazzo.

1535: Gaspare Sersale ospita nella sua residenza Carlo V di passaggio a Cosenza.

1590 circa: mons. Pallotta acquista il palazzo per inglobarlo nel monastero di Santa Maria delle Vergini.

Autore
Committente

Gaspare Sersale

Famiglie e persone

Sersale

Descrizione

Il palazzo, sorto a fine Quattrocento in un'area del centro storico a carattere residenziale (più tardi vi sarà edificato, accanto, il monastero delle Vergini), conserva il suo aspetto originario, rappresentando uno degli esempi di palazzo rinascimentale meglio conservati dell'intero Regno. L'impianto è quadrangolare, con un ampio androne che introduce alla piccola corte con scala. La facciata, in un elegante paramento a pietre lisce e ben connesse, si presenta profilata da una cornice che disegna i rapporti tra il portale centrale e le finestre e le aperture laterali, seguendo e correggendo il naturale declivio della strada. Il portale centrale, di grandi dimensioni con arco ribassato e sovrastato dallo stemma riquadrato, dialoga con i portali minori del lato sinistro, anch'essi ad arco ribassato, e con le finestra quadrangolari del lato sinistro, in un tentativo di dissimulare, con la variatio, la dissimetria della facciata. Il secondo ordine, anch'esso racchiuso da una cornice marcapiano, contiene finestre riquadrate con mensole angolari con decorazioni vegetali naturalistiche ancora di stampo tardo-gotico. Il piano nobile, chiuso dalla cornice sommitale, presenta quattro finestre con mensole, una delle quali in corrispondenza diretta con il portale d'ingresso. Completano l'apparato decorativo protomi leonine agli angoli delle cornici che si intersecano profilando i diversi ordini e le linee verticali di facciata.

Iscrizioni

Sulle cornici dello stemma sopra il portale di facciata:

bordo superiore:

MCCCCLXXXXIII/ NUMQUAM TARDA FUIT/ MEI OFFICII CURA;

bordo inferiore:

GASPAR SERISALIS SELLIE/ DOMINUS A FUND(AMENTIS) ME FE/CIT FACTAMQ(UE) CONSERVAV(IT).

Stemmi o emblemi araldici

Stemma della famiglia Sersale (1493).

Elementi antichi di reimpiego

Da un inventario del 1607 risultano antichità conservate all'interno del palazzo.

Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

L'edificio sorge nella parte alta della città presso gli archi di Ciaccio, accanto al monastero delle Vergini, cui preesisteva, in un'area residenziale, dove erano presenti altri palazzi, tra cui la residenza de Matera. L'edificio si conserva, soprattutto nel prospetto, nella sua veste originaria, con minimi cambiamenti. Il palazzo è legato alla storia cittadina, sia perché di proprietà di una delle famiglie principali di Cosenza, originari di Sorrento ma a Cosenza dal tardo medioevo, sia soprattutto perché ospitò Carlo V nel suo passaggio in città, evento che segnò il destino del capoluogo calabro. Intorno al 1590, l'arcivescovo di Cosenza, mons. Pallotta, acquisisce il palazzo per inglobarlo nel vicino monastero delle Vergini, del quale seguirà il destino con l'alienazione nel 1808 e la destinazione ad orfanotrofio.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi

Rilievi in Rosi 1987.

Fonti/Documenti
Bibliografia

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 67-71.

 

Rosi 1987: Massimo Rosi, Rilievi mormandei, Napoli 1987.

 

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Maria Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 42.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 520-523.

 

Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319, 310-311.

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Data ultima revisione21/03/2017 11:56:16
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OggettoCosenza, Palazzo di Pompeo Sersale
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo di Pompeo Sersale
Immagine
Nomi antichi

Palazzo Spiriti, Palazzo Telesio

Cronologia

1592: data contenuta nello stemma di facciata con nome del committente (Pompeo Sersale).

Autore

Andrea Maggiore, scultore carrarese, cui è stato attribuito lo stemma in facciata (1592).

Committente

Pompeo Sersale (1592)

Famiglie e persone

Spiriti

Telesio

Sersale

Descrizione

Il palazzo, costruito da Pompeo Sersale a fine Cinquecento, si trova sul tratto finale del corso principale della città, e rappresenta uno degli esempi meglio conservati tra le residenze tardorinascimentali della città. Il palazzo, di notevoli dimensioni e molto più ampio del corrispondente Palazzo di Gaspare Sersale di fine Quattrocento, domina sulla strada e sulla prospiciente piazza, dove in origine sorgeva il giardino cintato del palazzo. Il prospetto richiama nella partitura degli ordini, nella forma e dimensione del portale centrale, nella realizzazione dello stemma, la residenza Sersale più antica in una sorta di emulazione con il modello e di rispetto delle forme quattrocentesche che sembrano rappresentare ormai una tradizione familiare (lì era stato ospitato Carlo V nel 1535). L'edificio, infatti, presenta una base con un forte bugnato che contorna l'edificio con una cornice marcapiano su cui poggiano le finestre quadrangolari e che si interrompe in corrispondenza del portale dal semplice profilo a tutto sesto e riquadrato, sormontato dallo stemma che riprende quello del Palazzo di Gaspare Sersale ma con un aggiornamento stilistico attribuibile alla mano dello scultore carrarese Andrea Maggiore, attivo a Cosenza negli anni finali del secolo XVI. Il prospetto presenta un doppio ordine: i primi due piani sono riquadrati con cornici e paraste con capitelli, secondo le forme dell'antico Palazzo di Gaspare Sersale, mentre i due piani superiori sono caratterizzati dal più aggiornato ordine gigante con paraste, balconi e bugnati piatti a scandire l'intera facciata. L'ampio portale introduce ad un alto androne caratterizzato da sedili laterali con pilastrini e dallo stemma nella volta (come nel coevo Palazzo Arnone) che si apre sull'ampio cortile che conserva ancora i locali di servizio e di deposito con gli ingressi dalle arcate a tutto sesto e conduce alla doppia scala aperta monumentale che fiancheggia l'androne.

Iscrizioni

Iscrizione presso lo stemma sul portale:

sul bordo superiore:

".../ LUMINA CLAUDITUR";

alla base dello stemma sul portale:

"POMPEIUS/ SIRISALIS/ MDLXXXXII".

Stemmi o emblemi araldici

Stemma con iscrizione sopra il portale d'ingresso (1592).

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

Il palazzo domina la parte terminale del corso principale e rappresenta il più significativo esempio di architettura residenziale tardorinascimentale in città. Il prospetto si conserva quasi integralmente nella sua veste originaria mentre l'area ha subito notevoli cambiamenti a partire dalla scomparsa del giardino del palazzo presente a fine Cinquecento. Meno conservato è l'interno che presenta, della situazione originaria solo l'androne, il pianterreno del cortile e l'impianto delle scale.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

 

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 54-55, 143-145.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 538-539.

 

Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319, 311-313.

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Data ultima revisione21/03/2017 12:02:51
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OggettoCosenza, Palazzo Di Tarsia
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo Di Tarsia
Immagine
Nomi antichi

Palazzo Di Tarsia, Casa di Pilato

Cronologia

sec. XVI:  edificazione del palazzo.

1587: restauri all'edificio a cura di Tiberio Di Tarsia con la decorazione di erme.

Autore
Committente
Famiglie e persone

Di Tarsia

Descrizione

Il palazzo sorge nella parte bassa del centro storico cittadino, tra il corso principale e il lungo Crati e l'edificio si trova proprio a ridosso, con una facciata sulla strada e il cortile su cui si apre un secondo prospetto e che giunge verso il fiume. Il palazzo sorgeva nei pressi di quello della famiglia Gaeta. L'edificio, notevolmente rimaneggiato, conserva del suo aspetto cinquecentesco il portale d'ingresso, dal profilo a tutto sesto e la modanatura omogenea di stipiti e conci e, nei pennacchi, due clipei di foggia rinascimentale, con festoni che racchiudono due teste all'antica con elmi e corazze, databili al XVI secolo e attribuibili ai lavori svolti da Tiberio Di Tarsia che decorò "hermis" il palazzo restaurato. La tradizione locale vi riconosce Marte e Minerva, numi tutelari del presunto proprietario, il letterato e feudatario Galeazzo Di Tarsia. Il prospetto sulla strada conserva anche la cornice modanata del primo livello, posto sulla linea dei davanzali delle finestre a segnare l'ampiezza dell'edificio e che sembra conservarsi anche per il livello superiore, sia pure ormai quasi illeggibile per le notevoli trasformazioni e per il degrado dell'architettura e delle parti decorative dell'intero edificio.

L'ampio androne che segue il declivio naturale, apparendo più come passaggio che come ingresso di palazzo, presenta un arcone terminale che si apre sulla corte, la quale presenta un prospetto posteriore altrettanto significativo, con un clipeo analogo a quelli di facciata, resto di una decorazione forse più ampia in origine, e la scala con le aperture con balaustre secondo stilemi cinquecenteschi. Tale decorazione fa supporre una doppia prospettiva dell'edificio, dalla strada e dal fiume.

Iscrizioni

Nel cortile (rimossa intorno al 1758: De Tarsia [ed. Spiriti 1758], 202):

DOMUM HANC TIBERIUS DE TARSIA BELMONTIS ALIORUMQUE OPPIDORUM DOMINUS RESTAURAVIT VERVIS HERMISQUE DECORAVIT ANNO D(OMINI) 1587.

Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

L'edificio, tra i più notevoli della parte bassa della città nel quartiere mercantile e residenziale tra il Crati e il corso principale, viene tradizionalmente considerato la 'casa di Pilato', in ragione della leggenda che vuole la legione presente a Gerusalemme ai tempi della passione di Cristo originaria della Calabria. La credenza deve essere stata corroborata dalla presenza dei clipei con teste all'antica che sono il tratto più significativo dell'edificio e del suo apparato decorativo e che pongono il palazzo tra i più significativi esempi di arte rinascimentale in Calabria. Dalla documentazione conservata non è chiaro nemmeno a chi sia appartenuto originariamente l'edificio: alla famiglia Gaeta o ai Di Tarsia. In un sonetto di Galeazzo di Tarsia in cui si piange la morte di un Prospero, si menziona la sua abitazione sulle rive del Crati: "Mira Basento, e il suo fratel che frange/a pie' la riva ove il tuo albergo siede" non scioglie l'enigma, avendo le due famiglia i palazzi vicino al fiume e vivendo un Prospero ai tempi di Galeazzo in entrambe le compagini (un fratello di Galeazzo si chiamava Prospero). Tuttavia, sappiamo che il palazzo della famiglia Di Tarsia fu restaurato nel 1587, come ricordava una lapide esposta nella corte del palazzo che menzionava il restauro e la decorazione con erme ad opera di Tiberio Di Tarsia (erosa fu rimossa intorno al 1758: Di Tarsia [ed. Spiriti 1758], 202). Il palazzo oggi si presenta in condizioni precarie di conservazione ed è solo ricostruibile la facies cinquecentesca, che traspare dagli elementi del portale e delle cornici dei prospetti, mentre il resto dell'edificio è ormai preda di interventi casuali che hanno snaturato l'origine aulica della sua architettura (nel maggio 2015 è crollato un palazzo a pochi metri dal prezioso portale del palazzo).

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 35.

 

De Frede 1962: Carlo De Frede, “Il poeta Galeazzo di Tarsia signore feudale di Belmonte”, Archivio storico per le province napoletane, s. III, 2, 1962, 7-107.

 

De Frede 1991: Carlo De Fede, Galeazzo di Tarsia. Poesia e violenza nella Calabria del Cinquecento, Napoli, 1991.

 

Di Tarsia (ed. Spiriti 1758): Le rime di Galeazzo Di Tarsia cosentino signor di Belmonte, edizione a cura di Salvatore Spiriti, Napoli 1758, 201-202.

 

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Maria Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 42.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 536-538.

 

Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:23:48
Data ultima revisione21/03/2017 12:07:57
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OggettoCosenza, Palazzo Giannuzzi Savelli
Tipologiapalazzo
Nome attualePalazzo Giannuzzi Savelli
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1598: Pietro Venneri compra l'edificio da Pompeo Sersale.

1769: acquisto da parte della famiglia Giannuzzi Savelli.

Autore
Committente
Famiglie e persone

Giannuzzi Savelli

Descrizione

Il palazzo sorge nel centro cittadino, a ridosso della piazza della Cattedrale, lungo il corso principale. Il complesso, che attualmente ingloba anche il palazzo della famiglia Andreozzi Loria, è ubicato tra la piazza e la retrosante Via del Seggio (Padolisi), costituendo uno snodo monumentale tra gli assi principali della città. L'attuale edificio si presenta in una forma frutto degli interventi successivi all'acquisto dei Giannuzzi Savelli (1769), testimoniati dall'apposizione dello stemma con iscrizione sopra il portale quattrocentesco ad arco ribassato che costituisce uno degli ingressi antichi al complesso e introduce alla corte interna, secondo il tipo schema dei palazzi durazzesco-catalani del Regno. In origine il palazzo sorgeva accanto al Seggio dei nobili che successivamente sarà inglobato nella struttura senza lasciare traccia. Della fase più antica, relativa al secolo XV, si conserva, oltre al portale, la membratura di facciata, con cornici a toro di andamento verticale che scandiscono il prospetto con un disegno riquadrato e con terminazioni con capitellini e con decorazione floreale sommitale e la presenza di una rara edicola dal profilo mistilineo. Inoltre, presso un altro degli ingressi, oggi murato, si conserva un tondo con cornice vegetale tipicamente rinascimentale, che conteneva al centro uno stemma con cartigli.

Iscrizioni

Iscrizione sul portale d'ingresso che ricorda Domenico Giannuzzi Savelli (sec. XVIII).

Stemmi o emblemi araldici

Tondo con stemma con cartiglio (sec. XV-XVI).

Stemma della famiglia Giannuzzi Savelli (sec. XVIII).

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Tondo con festoni e stemma (sec. XV-XVI).

Storia e trasformazioni

L'attuale palazzo, sorto nel cuore della città, a ridosso della via del Seggio, della Piazza maggiore e del Corso Telesio, è il frutto della fusione di più nuclei abitativi, già articolati nel secolo XVI: nel 1598 un documento parla di un "palatium cum pluribus membris et apartamentis". Esso infatti ingloba, nel prospetto lungo il corso, ciò che resta del Seggio e unisce il palazzo Giannuzzi Savelli (nel sec. XVI della famiglia di Pompeo Sersale) e quello Andreozzi Loria. L'edificio, che conserva significative parti dell'assetto quattrocentesco come il portale d'ingresso con androne e le membrature del prospetto lungo il corso, ha subito radicali interventi con l'acquisto nel 1769 da parte di Domenico  Giannuzzi Savelli (menzionato nell'iscrizione posta sul portale), quando tutto il complesso fu omologato secondo i canoni dell'architettura residenziale del tempo.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Aggarbati 2002: Il recupero di Corso Telesio a Cosenza. Porgetto, documentazione e rilievi, a cura di Fabrizio Aggarbati, Cosenza 2002, 111-113.

 

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 42-45.

 

Canonaco 2012: Brunella Canonaco, Note sull'architettura civile in Calabria: il palazzo del Contestabile Ciaccio a Cosenza, Roma 2012, 45-47.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 523-525.

 

Valtieri 2009: Simonetta Valtieri, “La Calabria nel Rinascimento e il Rinascimento in Calabria, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia arte architettura e urbanistica, a cura di Alessandra Anselmi, Roma 2009, 303-319, 310.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:27:06
Data ultima revisione21/03/2017 12:18:16
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OggettoCosenza, Palazzo Tropea
TipologiaPalazzo
Nome attualeCasa Tropea
Immagine
Nomi antichi

Palazzo Tropea

Cronologia

secc. XVI-XVII: costruzione dell'edificio.

Autore
Committente
Famiglie e persone

Famiglia Tropea

Descrizione

L'edificio sorge presso il corso principale cittadino, all'altezza della piazza della Cattedrale, nei pressi dell'antico seggio, da cui è diviso solo dalla strada. Sorto in un'area di densa urbanizzazione storica, presenta uno stretto fronte angolare caratterizzato dal paramento murario in pietra liscia e perfettamente connessa che si eleva su tre livelli ed è chiuso da cornice modanata, spezzata per la presenza di un balcone architravato, decorato con elementi classicheggianti di stampo rinascimentale, con mensole a strigili e fregio con racemi che, tuttavia, per le soluzioni stilistiche palesate, sono da collocare già nel secolo XVII e da attribuire alle maestranze roglianesi.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni

L'edificio ha subito nel tempo radicali trasformazioni e l'innalzamento ma conserva della facies tardorinascimentale il prospetto angolare con un'apertura ad arco ribassato (oggi ridotta) e il balcone decorato.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Maria Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 61, 63.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:28:19
Data ultima revisione20/03/2017 11:58:10
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OggettoCosenza, San Domenico
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (esistenti)
Nome attualeChiesa di San Domenico
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1241: fondazione del convento di San Domenico a Cosenza.

1449: Antonio Sanseverino dona i terreni per la costruzione dell'attuale complesso monastico.

1517: data di una campana della chiesa di San Domenico.

1558: lite per un dipinto di Pietro Negroni (Deposizione) perduto.

1572: è in costruzione il dormitorio.

1576: Maria Guerrera fa costruire una cappella in onore del marito presso la sacrestia affidando i lavori al maestro Matteo Belsito di Rogliano e Nunzio Tiano da Paterno.

1580: Giovanni Domenico Bonamanu, napoletano, e Fabio Olivieri, cosentino, si impegnano per l'esecuzione del soffitto ligneo a lacunari che deve essere più bello di quello della cappella del Rosario.

1586: costruzione dell'organo della chiesa di San Domenico (come quello dell’Annunziata di Catanzaro).

1600: impegno di Fabrizio Garofalo per cappella per Santo Di Martino.

1601: Fabrizio Garofalo si impegna per la realizzazione nell'area del giardino della cappella Sersale intitolata a San Raimondo e a S. Caterina da Siena, con lapidi e stemmi.

1607: esecuzione della custodia lignea del SS. Sacramento da parte del maestro napoletano Federico Ferraro su commissione dell'arcivescovo Costanzo.

1612: data incisa sul portale ligneo di facciata.

1616-1633: esecuzione del coro ligneo con 52 stalli per una spesa di duc. 1500 ed esecuzione a cura di m° Fabrizio Volpe da Paterno (lavoro sospeso per la morte del maestro e ripreso nel 1633 con altri intagliatori di Paterno e Rogliano) (ricostruito con i frammenti in situ mentre altre parti sono emigrate al Museo Civico di Washington, nel 1911).

1630: Cesario De Simone ordina la costruzione di una cappella nel convento di san Domenico dedicato alla Madonna del Carmine con dipinto del medesimo soggetto.

1630: Concessione ai confratelli di una parte del giardino per l'erezione della cappella della Congrega del Rosario.

1680: si esegue il pavimento della Congrega SS Rosario con riggiole bianche, nere e gialle realizzate dal m° Gregorio Iannone di Squilace.

1758: lavori in stucco alla cupola della chiesa.

 

Autore
Committente

Antonio Sanseverino, duca di san Marco e figlio di Covella Ruffo, dona i terreni per la costruzione (1449).

Famiglie e persone
Descrizione

Il complesso monastico, di origine medievale ma realizzato nell'aspetto attuale a metà Quattrocento, rappresenta uno dei monumenti più significativi della città, centrale nelle vedute cittadine posto com'è alla confluenza dei due corsi d'acqua, Crati e Esaro, di fronte all'altro notevole complesso di San Francesco di Paola, posti fuori delle mura, nella parte bassa della città cui è collegata fin dal medioevo da un sistema di ponti. La facciata è dominata dall'arcone del portale centrale archiacuto cui risponde una coppia di cappelle dall'ornato e dall'architettura rinascimentale (probabilmente cinquecentesche), il cui insieme ricorda il prospetto del San Domenico napoletano. Domina la facciata un ampio rosone tardo-gotico nello spirito dell'architettura del Regno del secolo XV. L'interno è frutto delle modifiche settecentesche, cui è riferibile l'ampia cupola del coro, uno degli elementi più caratterizzanti del complesso nel panorama cittadino. Si conserva, dell'assetto orginario, l'abside quadrata del coro con volta a crociera e bifora polilobata, le cui forme ritroviamo in alcune delle cappelle della chiesa.

Nel corridoio che conduce alla struttura ottagona si nota una volta a botte con lacunari a fioroni di stampo classicheggiante, riferibile ad interventi cinquecenteschi, cui sono da riferire le partiture con paraste delle due edicole-cappelle che fiancheggiano il portale in facciata e di un ambiente dell'interno con volta ribassata ad unghia (sotto una delle arcate modanate troviamo la data 1574 che possiamo riferire ad interventi nelle zone laterali e degli ambienti della sacrestia). L'architettura più interessante del complesso è l'aula ottagonale in comunicazione, attraverso portali ad arco acuto, con il coro e con le cappelle laterali, la cui funzione originaria non è chiara: il richiamo più diretto è la cappella di ser Gianni Caracciolo, posta a ridossa dell'altare maggiore della chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara e forse possiamo pensare ad una destinazione quale sepoltuario di una famiglia importante, se non proprio dei promotori della costruzione, i Sanseverino (è presente un ambiente ipogeo ottagono per le sepolture). Nel lato sinistro si apre la cappella del Rosariello, ambiente con abside quadrata con volta a crociera e monofore, associabile alla costruzione quattrocentesca e forse prima sede della Congrega del Rosario, oggi ospitata nella prossima cappella seicentesca. Del monastero si conserva il chiostro con arconi a tutto sesto su pilastri ottagoni e con i portali di accesso con sesto ribassato secondo stilemi durazzesco-catalani a mostrare la commistione di modi diffusa nel Regno nel secolo XV; al centro la vera da pozzo a pianta ottagonale con stemmi di famiglie cittadine, databile ai secc. XVI-XVII.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici

Stemma Sanseverino sul portale d'ingresso ad arco ribassato del chiostro (sec. XV).

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Altare con statua della Madonna della Febbre.

Dipinto di Pietro Negroni con Deposizione (1558: perduto).

Dipinto con Ascensione (1578 firmato Tommaso da Napoli).

Storia e trasformazioni

Il complesso domenicano a Cosenza risale al 1241 quando, con bolla pontificia, papa Gregorio IX autorizzava l’arcivescovo di Cosenza a concedere ai domenicani la chiesetta di S. Matteo, extra moenia, nel luogo denominato “Rivocati”. Nel 1448 iniziò la costruzione dell'attuale monastero per volontà di Antonio Sanseverino, duca di San Marco e conte di Tricarico, che in quell’anno donò alcune sue terre al domenicano Paolo di Mileto proprio per l’edificazione della chiesa e del monastero confinanti con un proprio palazzo (che verrà inglobato successivamente nel monastero). Dalla Cronaca del Bosco (cc. 54r e segg.) apprendiamo l’esistenza di due iscrizioni all’interno del convento datate 1441 e 1449; la prima registrava il consenso di Gregorio IX alla cessione di San Matteo; la seconda lapide, posta “accanto l’arco tra la scala e il finestrone del primo dormitorio del convento”, registrava invece la posa della prima pietra per mano di Antonio Sanseverino, avvenuta il 5 maggio 1449. La chiesa fu ultimata dopo oltre due decenni e consacrata l’8 maggio del 1468 da Pietro Parrense, vescovo di Ruvo e vicario generale di Cosenza.

Nella prima metà del Cinquecento il monastero e la chiesa di San Domenico formavano uno dei centri più fiorenti di Cosenza e fu scelto come sede di uno “Studium Generale” istituito nel 1525 (nel monastero ha dimorato Tommaso Campanella). Il complesso subì numerosi interventi nel corso del tempo e la chiesa, in particolare, fu riallestita all'interno in nuove forme agli inizi del Settecento. Dopo la promulgazione delle leggi eversive del 1866 il convento fu chiuso e la chiesa affidata dal Comune. Dopo i danni per incuria e per destinazione impropria e a causa di terremoti e alluvioni, il complesso venne restaurato intorno al 1930. Dopo la guerra e i danni nuovi restauri furono effettuati e i domenicani vi fecero ritorno nel 1957.

Note

Nella chiesa furono sepolti il vescovo Senatore Martirano (m. 1349) e l'umanista Giovanni Crasso (maestro di Aulo Giano Parrasio): "icon depicta cum epigraphe: CULMEN AD EMPYREUM CRASSUM DUM SCANDERET ARAS/ CONDIDIT HAS CAELEBS QUAE SUA MEMBRA TEGAT". La famiglia Donati vi possiede una cappella dedicata a Tutti i Santi nella quale Antonio chiede di essere sepolto nel 1606 in un sarcofago “con uno coverchio di marmo” con le armi, il nome e “qualche bello distico”. Thomas Hoby, che visita la città nel 1550 ricorda “on this side the river there is a greate churche of S.t Dominik wherein is this epitaff upon a tumbe: Hoc sita Petri Rodorici membra sepulcro/ ultima praeclarum quem tulit Esperia/ Praetor erat Calabris vita, set febribus ante/ Heu quam Praetura munera functus obijt./ Quo pietate prior nemo et ferventior aequi;/ Famam orbs, ossa solum, spiritus astra colit" (si deve trattare della tomba del governatore vicereale di Cosenza, Rodrigo di Mendoza, in città già nel 1545, di cui si sono perse le tracce, promotore della costruzione del Palazzo della Regia udienza).


Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia
Link esterni

Barrio (ed. Aceti 1737): Gabriele Barrio, De situ et antiquitate Calabriae, edizione a cura di Tommaso Aceti, Napoli 1737, 107.

 

Dionesalvi 1932: Ruggero Dionesalvi, La chiesa di San Domenico e l'Arciconfraternita del S.S. Rosario di Cosenza. Brevi cenni storici raccolti per i fedeli devoti, Napoli 1932.

 

Esposito 1975: Guglielmo Esposito, San Domenico di Cosenza, 1447-1863. Vita civile e religiosa nel Meridione, Pistoia 1975.

 

Hoby (ed. Powell 1902): Thomas Hoby, The travels and life of sir Thomas Hoby written by himself 1547-1564, edizione a cura di Edgar Powell, London 1902.

 

Martelli 1956: Gisberto Martelli, "Chiese monastiche calabresi del secolo XV", Palladio, 6, 1956, 41-53, 42.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 94-97, 128-141.

 

Mormone 1983: Raffaele Mormone, “La chiesa di San Domenico a Cosenza. Problemi di critica storica e di restauro”, Rivista storica calabrese, 4, 1983, 445-461.

 

Paolino 2000: Francesca Paolino, Cappelle gentilizie e devozionali in Calabria. 1550-1650, Reggio Calabria 2000, 53-86.

 

Paolino 2002: Francesca Paolino, Architetture degli ordini mendicanti in Calabria nei secoli XIII-XV, Pescara 2002, 194-222.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 457-491.

 

Tucci 2007: Vincenzo Antonio Tucci, “La relazione ad limina di monsignor Giovanni Evangelista Pallotta (1590)”, Rogerius. Bollettino dell'Istituto della biblioteca calabrese, 10, 2007, 51-66.

SchedatoreAntonio Milone, Michela Tarallo
Data di compilazione05/10/2014 19:35:16
Data ultima revisione21/03/2017 12:32:37
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OggettoCosenza, San Francesco d'Assisi
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (esistenti)
Nome attualeChiesa di San Francesco d'Assisi
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

secc. XII-XIII: presenza di un cenobio benedettino su cui si insedia un primo nucleo di francescani.

1276: i francescani prendono possesso della struttura.

1434: ritorno dei minori osservanti nel convento e completamento della struttura.

1505: data del coro ligneo.

1518: Angelo Donati commissiona a Pietro di Michele, pittore veneto un dipinto di Tutti i Santi per la cappella di famiglia (la cornice deve essere come quella di sir Bernardino Cavalcanti).

1521: Aulo Giano Parrasio dispone nel testamento l'esecuzione di una cona marmorea con Madonna e Santi presso la quale siano deposte le sue ossa.

1563 o 1565: commissione dell'organo al maestro Giustino de Palma di Napoli e figlio.

1594: data incisa sul campanile.

1597: Michele e Rinaldo Di Florio si impegnano per la realizzazione della cappella per Isabella Arduino che deve sorgere "appresso alla cappella de li Mantuni vicino la cappella de li Costi, di quella fattura ed modo et conforme la cappella di lo quondam Iovan Battista Di Spirito".

1600: completamento del campanile con posa della “palla con San Michele Arcangelo”.

1633: inventario delle tele: Madonna, S. Caterina d'Alessandria, S. Elisabetta, S. Margherita.

1638: erezione  della nuova cappella della Vergine per cura del commissario Angelo Cavalcanti.

1657: nuova costruzione della cappella dell'Immacolata in sostituzione dell’altare maggiore eseguita dal maestro di Rogliano Domenico Giovanni Mangerio con il dipinto collocato in un altare con colonne, opera di stucco (nuovi lavori nel 1719 in occasione del rifacimento dell’intera chiesa).

1713: lavori di abbellimento all'interno (incarico agli architetti cosentini Bova).

1724: un esponente della famiglia Guzzolini effettua un sopralluogo nella cappella di famiglia intitolata a Sant'Antonio da Padova, con cupola dipinta e la lastra tombale con stemma (quella ancora esistente di Cesare Parisio).

1854: terremoto danneggia il frontespizio e le strutture del monastero con successiva ricostruzione.

Autore
Committente
Famiglie e persone
Descrizione

La chiesa e il convento hanno subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli. Mentre l'attuale navata centrale affiancata da cappelle è il frutto di un radicale rifacimento di età moderna, la chiesa originaria si sviluppava sull'asse dell'attuale transetto. Infatti, nel fianco destro esterno è visibile, all'altezza presbiterio, un varco archiacuto da porre in relazione con il primitivo impianto, mentre le monofore visibili lungo il muro perimetrale del fianco sinistro potrebbero riferirsi ad ambienti dell'originario monastero. L'arco trionfale, come i pilastri e le arcate di alcune delle cappelle laterali, mostra elementi decorativi di stampo rinascimentale, databili al secolo XVI. A sinistra del maggiore vediamo un altare in pietra di forme rinascimentali attribuito alla famiglia Tarsia. Il coro conserva tracce della struttura tre-quattrocentesca nei pilastri con colonne e capitelli ornati di elementi vegetali e nella crociera costolonata e gli stalli lignei datati 1505 (qui Parrasio voleva essere sepolto in una cona marmorea, come si legge nel suo testamento del 1521); le superfetazioni barocche sono riferibili all'intervento del 1657 con la trasformazione della navata con coro in cappella dell'Immacolata. La cappella di santa Caterina, sede della confraternita donata dalla famiglia Migliarese, appare innestata sulla navata quattrocentesca e presenta un portale 'roglianese' da collegare alla sua edificazione a fine Cinquecento. Del monastero si conserva il chiostro con arcate acute su pilastri, presso un cui angolo si innesta il campanile completato nel 1594, mentre nell'area sono visibili tracce di insediamenti precedenti dall'età romana al secolo XIII.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Statua della Madonna in marmo.

Coro ligneo (1505).

Tomba di Bartolo Arnone (1554: scomposta).

Tomba di Fabio Teodori (1570: nel chiostro, scomposta).

Statua in pietra di San Francesco d'Assisi (Minicucci).

Urna del frate Giovanni da Castrovillari fatta eseguire dal frate Tiburzio De Rose (1619).

Lastra tombale pavimentale di Cesare Parisio (1641).

Storia e trasformazioni

Il notevole complesso sorge nella parte alta del centro storico, ai piedi del castello nell'area a ridosso della città altomedievale, dove era insediata probabilmente anche la Cattedrale e il palazzo arcivescovile. Con il terremoto del 1184 l'area venne spopolata e verosimilmente i francescani all'arrivo in città alla metà del XIII secolo utilizzarono strutture monastiche in disuso per impiantarsi. Dal 1276 l'ordine prende ufficialmente possesso della struttura e a partire dal 1434 (quando gli osservanti subentrano ai conventuali) assistiamo ad una complessiva ricostruzione del complesso, trasformando la chiesa originaria addossata al lato meridionale del chiostro. Al secolo successivo sembra riferibile un nuovo intervento che ha dato vita all'attuale chiesa a tre navate, inglobando la vecchia navata con il coro (che conserva gli stalli lignei del 1505) e le cappelle o ambienti laterali: a questa fase è riferibile il nuovo organo (1563 o '65) e il completamento del campanile (1600). Dopo la fine del Seicento, l'interno della chiesa venne completamente riallestito e, in conseguenza delle distruzioni del terremoto del 1854, fu rifatta la facciata e di nuovo restaurato l'interno.

Note

Nel testamento del 1521 Aulo Giano Parrasio esprime la volontà di essere sepolto nel convento di San Francesco dei frati minori a Cosenza nella "tribona maiore" della chiesa e predispone una somma affinché "sende facza una cona alo altare maiore de dicto convento iusta la imagine de Nostra Dopna cum suo figliolo in braczo d'altro canto santo Girolimo in habito de cardinale e dallaltro sancto Francisco et supra la imagine dela Madonna Nostro Signore dissiso dela croce in bracza de sua sanctissima matre et alli anguli la Nunziata et lo angelo et lo resto delo ornamento secundo parerà ad essi et insuper quele vulimo che siano de marmore bono et fino lavorate in Fiorenza nela quale cona se ponano le mie ossa". Dell'opera, di cui non sappiamo se sia stata realizzata o meno, non sono state finora rintracciati frammenti; tuttavia, come si evince dalla lastra tombale di Cesare Parrasio (1641), la famiglia di Rogliano aveva un luogo di sepoltura o cappella nella chiesa dove giaceva "totius Parisiae gentis gloria".

La cappella Arnone (dove era conservata la tomba di Bartolo del 1554) si trovava presso il fonte battesimale, nel coro, nella parete a destra dell’ingresso che conduce al vasto ambiente retrostante la tribuna in uno spazio compreso tra la porta che dava l’accesso alla Cappella di Santa Caterina e la porta d’ingresso al coro (il vano esiste ancora oggi, benché abbia subito numerose trasformazioni nel corso dei secoli).

Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Frugali (ed. Galli 1934): Pietro Antonio Frugali, Notamento di alcune cose che sono state, e avendole raccolte da diverse parti non sono poste ad ordine ma confuse, edizione in Edoardo Galli, Cosenza seicentesca nella Cronaca del Frugali, Tivoli 1934.

 

Lepore 1959: U. Lepore, "Per la biografia di Aulo Giano Parrasio", Biblion, 1, 1959,26-44, 40 doc. 6.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 104-116.

 

Mussari 2002: Bruno Mussari, "I monumenti sepolcrali", in Storia della Calabria nel Rinascimento. Le arti nella storia, a cura di Simonetta Valtieri, Roma 2002, 945.

 

Naldi 2002: Riccardo Naldi, Andrea Ferrucci. Marmi gentili tra la Toscana e Napoli, Napoli 2002, 20.

 

Paolino 1991: Francesca Paolino, “Note sulla chiesa e il convento di San Francesco d'Assisi a Cosenza”, Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico [PAU], Università degli Studi di Reggio Calabria, 1, 1995, 2, 48-58.

 

Perfetti 1978: Mario Perfetti, "Armi e cappelle gentilizie delle famiglie nobili dei Casali di Cosenza", Calabria Nobilissima, 30, 1978, 70/71, 88-108.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 386-398.

 

Tucci 2007: Vincenzo Antonio Tucci, “La relazione ad limina di monsignor Giovanni Evangelista Pallotta (1590)”, Rogerius. Bollettino dell'Istituto della biblioteca calabrese, 10, 2007, 51-66.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:36:36
Data ultima revisione21/03/2017 12:54:50
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OggettoCosenza, San Francesco di Paola
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (esistenti)
Nome attualeChiesa di San Francesco di Paola
Immagine
Nomi antichi

Chiesa di Santa Maria di Loreto

Cronologia

1510: fondazione del convento ad opera dei padri minimi su terreni concessi dalla famiglia de Matera.

1543: si livella il terreno antistante il monastero su ordine del preside Andrea Manriquez.

1539: Stefano Gentile di Genova fa costruire una cappella per Paolo Navone ai maestri Giovanni Battista e Domenico Gregorio Florio da Paterno sul lato a sinistra della tribuna.

1551: Pietro Negroni firma e data la tavola con Madonna e Santi della chiesa.

1565: fondazione della congrega di sant'Omobono e del SS. Salvatore.

1583: Marco Antonio Donati commissiona cappella nella chiesa.

1593: committenza a Raimo Bergantino di Carrara di una Madonna di marmo con stemma e epitaffio della famiglia Gaeta da consegnare al porto di San Lucido per la chiesa di San Francesco di Paola.

1593: concessione ai fratelli Filippo e Francesco Garritano per volontà testamentaria del padre Paolo di una cappella ad uso di sepoltura, posta sopra l'arco maggiore, a destra della porta del chiostro: si concede loro una porzione di suolo e per l'arredo si realizzerà una lastra di marmo per la sepoltura e un dipinto dell'Immacolata Concezione.

1601: Bernardo Costanzo deve eseguire l'arredo ligneo della sacrestia.

1602: lo scultore Antonio Grasso deve eseguire una sepoltura nella cappella Garritano con lo stesso materiale del fonte battesimale della Cattedrale.

1604: commissione del soffitto ligneo con stemmi della famiglia Gaeta per volontà testamentaria di Ferrante di Gaeta.

1611: commissione ai maestri locali (Belsito di Rogliano) del dormitorio all'interno dell'edificio, vicino alla chiesa del Salvatore e sopra il chiostro.

1854: il terremoto provoca danni alla facciata, al campanile e alle parti alte del convento.

1867: consegna della chiesa alla Arciconfraternita del Suffragio (eretta presso la chiesa di San Gaetano).

1929: ritorno dei padri minimi alla chiesa di San Francesco di Paola.

Autore
Committente
Famiglie e persone

La famiglia De Matera concede i terreni su cui sorgerà il complesso monastico.

Gaeta.

Descrizione

Il complesso monastico rappresenta uno dei monumenti più significativi della città, posto nel punto di confluenza tra Crati e Esaro, di fronte al monastero di San Domenico, entrambi a guardia quasi del centro storico. Il complesso sorto in località Triglio, area di insediamenti monastici e residenziale posta sulla riva destra del Crati di fronte alla città, rivela ampie dimensioni, con la chiesa, il chiostro, la congrega del Salvatore. La chiesa, a navata unica, presenta la facciata, in forme sobriamente rinascimentali frutto dei restauri dopo il terremoto del 1854 e la parete esterna in pietra in corrispondenza delle cappelle extramurali di sinistra, con paraste e cornice di stampo classicheggiante. Al prospetto si affianca, a sinistra, il campanile, più tardo, e a destra l'ingresso al convento e la congrega. Nell'interno, radicalmente modificato nel Settecento, si conservano tracce dell'impianto originario: a destra della porta d'ingresso troviamo il sepolcro cinquecentesco di Ottavio Gaeta e, lungo il fianco sinistro, due cappelle extraperimetrali, comunicanti, entrambe con copertura cupoliforme: una a pianta circolare (la cupola), l’altra a pianta ottagonale (probabilmente della famiglia Gualtieri) dove si conserva il dipinto di Pietro Negroni, forse nella sua collocazione originaria. La pala dell'altare maggiore è un dipinto quattrocentesco, attribuito a Cristoforo Faffeo, proveniente probabilmente da una chiesa preesistente all'insediamento dei frati minimi. Il chiostro si conserva nella sua formulazione cinquecentesca, con colonne che sostengono arcate a tutto sesto ed un secondo ordine a loggia, con la decorazione ad affresco nelle lunette del perimetro. Nel retro, verso nord, sorge un corpo avanzato a pianta quadrangolare scarpata, con loggia superiore tompagnata, di realizzazione cinque-seicentesca, che chiude il complesso. Accanto al monastero sorge la congrega del SS. Salvatore, fondata nel 1565, che conserva il portale ad arco riquadrato (1703) secondo la consueta soluzione dei maestri roglianesi attivi in città tra XVI e XVIII secolo e, all'interno, una decorazione ad affresco risalente al 1660.

Iscrizioni

Iscrizione del 1785 che ricorda la tomba di Pietro Cappello, napoletano, incaricato a Cosenza da Carlo V (1530).

Lapide di Muzio De Gaeta (1645).

Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Tomba di Ottavio Gaeta

Dipinto di Pietro Negroni con Madonna e Santi

Due lastre tombali pavimentali con figure di guerrieri poste presso lapide di Muzio De Gaeta (Minicucci).

 

Storia e trasformazioni

Il monastero, fondato nel 1510 sul luogo in cui esisteva la chiesetta di santa Maria di Loreto, sorse su terreni donati dalla famiglia De Matera nella località Triglio area suburbana ma in una posizione di grande importanza, posto com'è alla confluenza dei due corsi d'acqua di Cosenza. Il complesso fu eretto non senza difficoltà ma prima della metà del Cinqucento doveva essere già pienamente operante per la presenza di dipinti e monumenti sepolcrali. Nel 1565 viene eretta accanto al complesso monastico la congrega dei sarti di sant'Omobono e del SS. Salvatore. Nel Seicento si ampliò e completò l'impianto del convento mentre nel Settecento venne completamente riallestito l'interno della chiesa. Ulteriori interventi risalgono al XIX secolo quando il monastero fu soppresso e destinato a uffici pubblici e la chiesa fu affidata alla Confraternita del Suffragio che curò anche il restauro dopo i danni all'esterno e agli interni con i terremoti del 1854 e del 1908.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Banchini 2002: Roberto Banchini, "L'architettura dei francescani e dei minimi di San Francesco da Paola", in Storia della Calabria nel Rinascimento. Le arti nella storia, a cura di Simonetta Valtieri, Roma 2002, 583-726, 667-671.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 83-86, 141-151.

 

Paolino 2000: Francesca Paolino, Cappelle gentilizie e devozionali in Calabria. 1550-1650, Reggio Calabria, 2000, 37-51.

 

Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014, 441-448.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:39:46
Data ultima revisione21/03/2017 13:25:41
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OggettoCosenza, San Gaetano
TipologiaChiesa (con complesso monastico annesso non più esistente)
Nome attualeChiesa di San Gaetano
Immagine
Nomi antichi

San Giuseppe

Cronologia

1624: Cesare Firrao principe di Sant'Agata promuove la venuta dei teatini a Cosenza.

1626: solennizzazione della presenza dei teatini.

1652: erezione della Congrega del Suffragio presso la casa pia dei teatini.

1783: i teatini abbondonano la città: il monastero viene alienato e nella chiesa si insedia la parrocchia dei santi Stefano e Lorenzo (distrutta da una piena del Crati).

Autore
Committente

Cesare Firrao, patrizio cosentino che promosse la venuta dei teatini in città.

Famiglie e persone
Descrizione

La chiesa è edificata nel quartiere Triglio, area di là del Crati, sede di insediamenti monastici in età moderna, nei pressi di Palazzo Arnone, sede degli uffici amministrativi e giudiziari della provincia di Cosenza dal Cinquecento. I padri si insediarono presso la chiesa dei Santi Leonardo e Niccolò che riadattarono consacrando l'altare a San Giuseppe e costruendo una cappella per san Gaetano. Dell'edificio originario si conserva il portale in pietra, con arco a tutto sesto inquadrato e decorazione scolpita attribuibile alle maestranze roglianesi, come rivela la commistione di elementi rinascimentali e la conservazione di tipologie ancora medievali. Degna di nota, per l'architettura e la decorazione esterna in pietra, la cappella di destra della chiesa, a pianta quadrata con cornice profilata su cui poggia il tamburo esagonale con paraste e finestre con timpano dalle centine alternativamente spezzate, su cui svettano gli spicchi della calotta estradossata.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Il colonnino del fonte battesimale, in marmo bianco, che reca la data 1823, deve essere stato eseguito nel sec. XVII, come rivela l'adattamento della nuova data incisa (Minicucci 1933).

Storia e trasformazioni

All'arrivo dei teatini a Cosenza, gli fu concessa la chiesa dei santi Leonardo e Niccolò (posta nei pressi del Palazzo regio) dai confratelli dell'antica congregazione del Crocefisso. I padri nel 1626 solennizzarono il loro insediamento con la consacrazione dell'altare a san Giuseppe celebrando la festa del beato Andrea Avellino (in questa occasione donò loro un gonfalone riccamente eseguito il principe Cesare Firrao). Nel 1652 presso la pia casa dei teatini fu eretta la Confraternita del Suffragio che possedeva in comune con la chiesa il campanile. Dell'impianto originario si conserva il portale di facciata mentre la chiesa e il campanile sono stati oggetti di continue modifiche e riadattamenti fino al Novecento. Alle spalle della chiesa sorge l'Oratorio del Suffragio, fondato nel 1652.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 49-54, 87-93.

 

Russo 1958: padre Francesco Russo, Storia dell'arcidiocesi di Cosenza, Napoli 1958, 219-220.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:38:59
Data ultima revisione21/03/2017 13:38:00
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OggettoCosenza, Sant'Agostino
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (esistenti)
Nome attualeChiesa di Sant'Agostino
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1426: gli agostiniani fondano il loro convento a Cosenza nei quartiere dei Pignatari.

1521: il convento aderisce alla congregazione dei rifomati zumpani.

1582: la confraternita del Carmine muta nome in Santa Maria del Soccorso.

1586: commissione dell'organo.

1640: incendio danneggia la chiesa.

1699: la confraternita di Santa Maria della Consalazione costruisce la cappella della Madonna del Soccorso nella chiesa (nel 1700 viene collocato il pulpito ligneo per la cappella).

1753: riallestimento dell'interno.

1810: definitiva soppressione del convento trasformato in carcere.

Autore
Committente

Francesco de Vuono de Panetteri (committente del portale di facciata) (sec. XV).

Famiglie e persone
Descrizione

Il complesso monastico sorge nel secolo XV nel quartiere dei Pignatari, sulla riva destra del Crati, in corrispondenza del ponte che collega alla città, nei paraggi di Palazzo Arnone in un'area a vocazione produttiva. La chiesa presenta un portale archiacuto con decorazione scolpita vegetale e un'iscrizione che lo fanno datare al secolo XV e i resti dell'articolata facciata con colonne addossate e un rosone. L'interno, a navata unica e nella veste settecentesca, conserva tracce della forma originaria nelle monofore archiacute e possiede, a sinistra, la cappella che è la chiesa della congregazione della Consolazione, edificata a fine Seicento (nello spazio aperto posteriore si conserva un portale cinquecentesco, probabilmente ingresso originario della congrega del Carmine, poi di Santa Maria del Soccorso). Del monastero, oggi adibito a museo archeologico, si conserva il chiostro con arcate a tutto sesto su tre livelli, con loggia superiore.

Iscrizioni

Sulla ghiera del portale di facciata (in gotica minuscola, sec. XV):

"FRANCISCUS DE VUONO DE PANETTERI HOC OP(US) FIERI FECIT".

Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Statua della Madonna della Febbre con piedistallo con data "MDLXVII" e scene istoriate: al centro Madonna con bambino e giovane inginocchiato (cm 24x26); a sinistra, monaco e chiesa con campanile (16x26); a destra, vescovo con bastone e veduta di città con porta (16x26).

Storia e trasformazioni

Il complesso monastico viene fondato nel secolo XV e di questa fase sopravvivono i resti del portale archiacuto (con l'iscrizione quattrocentesca) e delle decorazioni in facciata (con tracce del rosone) come le arcate del chiostro. Al complesso sono annessi due congreghe, quella di Santa Maria del Carmine (che muterà poi in Santa Maria del Soccorso) e quella di Santa Monica o della Consolazione (entrambe confluiranno in quella della Consolazione, la cui cappella fu costruita a sinistra della chiesa nel 1699). Ai tempi di Urbano VIII (1623-1644) il frate cosentino Daniele Buglio offre una donazione per dotare di un ospedale la struttura conventuale. Dopo l'incendio del 1640 la chiesa viene restaurata nell'arredo e nell'allestimento interni intorno alla metà del Settecento così come è giunta fino a noi con l'adiacente congrega della Consolazione. Soppresso dapprima nel 1783 e poi definitivamente nel 1810, il monastero viene adibito a carcere (vi verranno imprigionati i fratelli Bandiera) e, solo negli ultimi anni, destinato a museo archeologico.

Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Edizioni Domenico Chiappetta, Cosenza 1933, 173-175.

 

Russo 1958: padre Francesco Russo, Storia dell'arcidiocesi di Cosenza, Napoli 1958, 122-123.


Terzi 2014: Fulvio Terzi, Cosenza. Medioevo e Rinascimento, Pellegrini, Cosenza 2014,434-440.

 

Tucci 2007: Vincenzo Antonio Tucci, “La relazione ad limina di monsignor Giovanni Evangelista Pallotta (1590)”, Rogerius. Bollettino dell'Istituto della biblioteca calabrese, 10, 2007, 51-66.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:40:34
Data ultima revisione21/03/2017 13:41:04
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OggettoCosenza, seggio
Tipologiaedificio pubblico: sedile
Nome attuale(distrutto)
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1472: il seggio è citato negli statuti concessi da Alfonso duca di Calabria.

Autore
Committente
Famiglie e persone
Descrizione

A Cosenza esisteva un seggio, adesso scomparso, nella piazza della Cattedrale (Giustiniani 1797-1805, IV, p. 143). Il sedile è oggi completamente obliterato dalle costruzioni più tarde che l’hanno inglobato, ma è raffigurato nella veduta tardo cinquecentesca di Cosenza oggi alla Biblioteca Angelica di Roma (Bancone Nuova Serie 56, 56; riprodotta in Muratore, Munafò 1991, 139), dove figura in legenda al n. 19 come «segio». Poco più di un secolo dopo compare anche nella veduta di Cosenza pubblicata da Pacichelli (1703, II, tav. a fronte p. 6), identificato dalla lettera «H». Da queste rappresentazioni si deduce che si trattava di un edificio a due piani con una arcata chiusa in basso da una bassa recinzione al cui centro si apriva una porta; sul fianco era una seconda arcata che ospitava la fontana. Secondo una descrizione di metà Settecento, il seggio era coperto da «una gran volta a spicoli di figura quadrangolare», possedeva all’interno «alquanti poggioli da sedere» ed era chiuso da «una balaustrata di pietra» (Memorie sedile Cosentino 1757, 50). Probabilmente si trattava dello stesso edificio esistente già nel 1472, quando viene citato negli statuti concessi da Alfonso duca di Calabria (cfr. infra, Fonti e documenti). Nei pressi del seggio era collocato il patibolo per le esecuzioni capitali (Andreotti 1869, 207).

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni
Note
Fonti iconografiche

Anonimo, Veduta di Cosenza (Roma, Biblioteca Angelica, Bancone Nuova Serie 56, 56; riprodotta in Muratore, Munafò 1991, p. 139). Il seggio è indicato con il n. 19 della legenda. Accanto è la fontana (n. 44).

Piante e rilievi
Fonti/Documenti

Domenico Arena, Libro della vera origine, ed aumento delle famiglie nobili del Sedile di Cosenza e delli nobili fuori di esso, ms.1660 ca., Biblioteca Civica di Cosenza, ms. 34856 (cit. in Covino 2013, 88 nota 65).

Gli statuti concessi da Alfonso di Calabria nel 1472 precisavano che «item si ordina, e comanda, che ciascuna sera, more solito, lo dicto Mastrogiurato debba far sonare la campana, e sonata trovarsi in piazza al Seggio co suoi Comestabili, quali debbiano spettare avanti al dicto Seggio» (Memorie sedile Cosentino 1757, 52).

Bibliografia

Andreotti 1869: Davide Andreotti, Storia dei cosentini, 2 voll., Napoli 1869.

 

Caputo 1621: Agostino Caputo, De regimine Reipublicae, Neapoli, apud Lazarum Scoriggium, 1621.

 

Covino 2013: Luca Covino, Governare il feudo. Quadri territoriali, amministrazione, giustizia. Calabria Citra (1650-1800), Milano 2013.

 

De Sanctis 1996: Aldo De Sanctis, Cosenza: 1584-1962: evoluzione e figuratività dello spazio costruito, Cosenza 1996.

 

Giustiniani 1797-1805: Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, 10 voll., in Napoli, presso Vincenzo Manfredi, 1797-1805.

 

Lenzo 2014: Fulvio Lenzo, Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli (XIII-XVIII secolo), Roma 2014.


Memorie sedile Cosentino 1757: Memorie dell’antichissimo Sedile della nobiltà Cosentina scritte in confutazione di taluni che ne ambiscono immeritevolmente gli onori, s.l., s.n., 1757. 

 

Muratore, Munafò 1991: Nicoletta Muratore, Paola Munafò, Immagini di Città raccolte da un frate agostiniano alla fine del XVI secolo, Roma 1991.

 

Pacichelli 1703: Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie, 3 voll., in Napoli, nella stamperia di Michele Luigi Mutio, 1703.

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SchedatoreFulvio Lenzo
Data di compilazione04/04/2014 16:08:10
Data ultima revisione21/03/2017 13:46:33
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OggettoCosenza, Vergini
TipologiaChiesa e complesso monastico annesso (trasformato)
Nome attualemonastero delle Vergini
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1515: bando per la costruzione del monastero sul sito del Palazzo Favaro e della scuola giudaica.

1588: mons. Pallotta acquisisce case private adiacenti al monastero per inglobarle nel complesso ecclesiastico.

1808: Alienazione del convento e destinazione ad orfanotrofio.

Autore

Domenico La Cava e Pietro Celestre, capomastri e partitarii della costruzione del monastero (secondo documentazione tramandata da Muzio de Matera).

Committente
Famiglie e persone

Juliella, figlia del poeta e nobile cosentino Galeazzo di Tarsia vi fu rinchiusa per un breve periodo.

Descrizione

La chiesa e il complesso monastico, sorti a partire dal 1515 per opera del maestro Domenico La Cava, capomastro della Val di Crati (forse originario dell'omonima città campana, fucina di costruttori per l'intero Regno), sono ubicati in un'area ricca di residenze familiari (in primis palazzo Sersale), in parte alienati per la costruzione, in parte acquisite successivamente. Il prospetto è una parete che chiude il cortile d'ingresso con un significativo portale a bugne databile ai secc. XV-XVI ma con un impianto ancora romanico. La facciata della chiesa è più tarda con il portale ligneo seicentesco. La chiesa è a navata unica con altari e con l'arcone presbiteriale resto dell'impianto originario di primo Cinquecento; tra gli altari il secondo altare a destra conserva un dipinto con l'Annunciazione del secolo XVI (l'altro altare conserva un dipinto della Madonna del Pilerio). Il chiostro, di pianta quadrangolare, reca colonne con capitelli ionici e arconi a tutto sesto di forme tardo rinascimentali.

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne

Dipinto con l'Annunciazione (secolo XVI).

Dipinto della Madonna del Pilerio (secc. XVI-XVII).

Storia e trasformazioni

Il complesso monastico, sorto accanto al palazzo di Gaspare Sersale, venne realizzato intorno al 1515 unendo diversi conventi femminili cistercensi: Santa Maria della Motta, Santa Maria de medio Domini Aegidii e quello benedettino di Santa Maria delle Fontanelle di Mendicino, prendendo il nome di Santa Maria delle Vergini. Al tempo di mons. Pallotta (1590 circa), furono alienate e inglobate alcune case private che sorgevano accanto al complesso monastico. Il complesso conserva, della fase più antica, l'impianto, il prospetto con il portale con bugne, mentre ai decenni tra XVI e XVII secolo devonorisalire il portale lingeo all'ingresso, il chiostro, gli adattamenti con l'annessione del palazzo Sersale. La chiesa all'interno si presenta in una veste settecentesca. Con la soppressione del 1808 i locali furono destinati ad orfanotrofio e oggi ospitano l'Istituto delle Figlie di Sant'Anna. Nel monastero fu rinchiusa per poco tempo, Juliella, figlia del nobile cosentino e letterato Galeazzo di Tarsia.

Note

Tra gli altari e le cappelle di diritto patronato, i Migliarese detenevano il secondo altare a destra, con altare in legno dorato, che conserva un dipinto con l'Annunciazione del secolo XVI.

Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Canonaco 2007: Brunella Canonaco, Cosentia. Il progetto della antica città calabra attraverso i documenti di archivio e le vedute storiche, Soveria Mannelli 2007, 65-69, 141-143.

 

Cozzetto 2005: Fausto Cozzetto, "Il monastero di S. Chiara a Cosenza. Sodalizio urbano e proiezioni nell'hinterland", in La città e il monastero. Comunità femminili cittadine nel mezzogiorno medievale, Atti del convegno di studi (Campobasso, 11-12 novembre 2003) a cura di Elisa Novi Chavarria, Napoli 2005, 105-122.

 

de Lauro 1660: padre Gregorio de Laude, alias de Lauro, Magni, diuinique prophetæ beati Ioannis Ioachim abbatis sacri cisterciensis ordinis monasterii Floris, et Florensis ordinis institutoris, Hergasiarum alethia apologetica, siue mirabilium veritas defensa auctore reuerendissimo patre D. Gregorio de Laude, alias de Lauro..., Neapoli, apud Nouellum de Bonis typograph. archiep., 1660, 212.

 

Manfredi 1844: Pasquale Manfredi, Saggio sulla topografia antica, sugli antichi abitatori, su le vicende e stato attuale della città di Cosenza, Cosenza 1844, 88 nota 121.

 

Minicucci 1933: Cesare Minicucci, Cosenza sacra. Notizie storiche sulle chiese e confraternite, sui conventi e monasteri della città di Cosenza. Cronaca dei vescovi ed arcivescovi della chiesa cosentina, Cosenza 1933, 67-71.

 

Rubino, Teti 1997: Gregorio E. Rubino, Maria Adelaide Teti, Cosenza, Roma-Bari 1997, 79-81.

 

Tucci 2007: Vincenzo Antonio Tucci, “La relazione ad limina di monsignor Giovanni Evangelista Pallotta (1590)”, Rogerius. Bollettino dell'Istituto della biblioteca calabrese, 10, 2007, 51-66.

Link esterni
SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione05/10/2014 19:41:10
Data ultima revisione20/03/2017 13:56:12
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/833
OggettoCosenza, Cattedrale, sarcofago con Meleagro alla caccia calidonia
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

Il sarcofago si conserva nella Cattedrale di Cosenza in fondo alla navata destra.

Prima attestazione
Materialemarmo bianco (proconnesio)
Dimensionih 0,70; lungh. 2,15; sp. 0,70
Stato di conservazione

La cassa presenta un ottimo stato di conservazione, mentre manca, a causa del reimpiego, il coperchio originale.

CronologiaIII secolo d.C. (Koch 1975, 136)
Descrizione

La cassa rettangolare, scolpita su tre lati, presenta sulla fronte uno degli episodi più noti del mito di Meleagro: la caccia al cinghiale Calidonio (Bochicchio 2007).

La scena figurata è dominata dall'impresa della caccia e il personaggio di Meleagro, nell'atto di infliggere al cinghiale il colpo mortale, è posto al centro della composizione; al ritmo più disteso della porzione sinistra corrisponde un affollamento e una maggiore concitazione delle figure su quella destra, fatto che rivela l'originaria dipendenza da uno schema bipartito, come accade nel  "gruppo principale" della serie dei  sarcofagi con la caccia calidonia, individuato da Koch (Koch 1975, 7-16). Come è stato dimostrato, nel corso del III secolo d.C., la sola rappresentazione della battuta di caccia divenne invece preminente rispetto alla scena con la preparazione dell'impresa (Valbruzzi 1998).

Dell'episodio del discorso di Oineus, re di Calidon e padre di Meleagro, dubbioso sulla partecipazione di Atalanta all'impresa, resta solo la figura del re, barbato e immediatamente distinguibile dall'abito e dallo scettro, che è rappresentato come prima figura a sinistra in atteggiamento interlocutorio, mentre sullo sfondo si apre un'arcata, probabilmente allusiva all'ambientazione nel palazzo. Seguono poi, diretti verso l'azione, Orcus, armato di scure, e una figura femminile, Diana con faretra e chitone altocinto, accompagnata da una cagna (sulla tradizione iconografia di Atalanta/Diana si veda Valbruzzi 1998, 123-124, nota 40); uno dei Dioscuri, distinguibile dal copricapo (pileus), come un vero e proprio aiutante del giovane eroe, sostiene il giavellotto di Meleagro, che, coperto dalla sola clamide, affibbiata sulla spalla destra, carica il colpo decisivo.  Segue, secondo uno schema canonico che sembra restituire alla composizione parte della profondità originaria, Atalanta leggermente arretrata e posta in diagonale rispetto al giovane, mentre il primo piano è occupato dalla mole del cinghiale e da un altro cacciatore che, in perfetta simmetria con la postura di Meleagro, ma rappresentato di spalle, chiude il gruppo. Arretrato e in diagonale rispetto a questo, un secondo cacciatore barbato funge da pendant alla figura di Atalanta. La composizione termina con una figura maschile stante, anche questa in nudità eroica, appoggiata alla lancia che, piantata a terra, viene impugnata all'estremità e stretta tra braccio e avambraccio; la lancia è stata ricavata dallo spigolo del sarcofago cosicché una porzione del braccio del cacciatore è stata scolpita sul fianco destro della cassa.

Entrambi i lati brevi si presentano interamente campiti da un grifone accovacciato.

Lucia Faedo ha attribuito il sarcofago a una bottega periferica senza poterlo collegare con certezza, a causa dell'isolamento stilistico, a un ambito regionale specifico (Faedo 1994); infatti l'estrema semplificazione delle figure e la rappresentazione esclusivamente di profilo di tutti i personaggi non trovano, al momento, confronti  nel gruppo dei sarcofagi con Meleagro e il cinghiale calidonio.

Lo schema ioconografico potrebbe essere collegato a una cassa all'Ashmolean Museum, proveniente da Napoli e di fattura locale (è stato dimostrato che almeno quattro esemplari con caccia calidonia diffusi in Campania potrebbero essere associati all'attività di un'unica bottega, cfr. Valbruzzi 1998, 123). Nel confronto con il sarcofago di Oxford si individuano come elementi comuni, oltre alla banalizzazione delle figure, la pesantezza delle anatomie e dei panneggi e, soprattutto dal punto di vista compositivo, l'assenza di uno dei Dioscuri, che nel cartone originario doveva essere rappresentato sullo sfondo, come se fosse affiancato o appena arretrato rispetto al gemello intento a sostenere l'attacco di Meleagro.

Occorre specificare, però, che uno schema analogo, e con uno solo dei Dioscuri, si ricostruisce anche per un notevole esemplare ora a Francoforte e di inequivocabile produzione urbana (purtroppo mutilo nella porzione che qui interesserebbe, Koch 1975, 95-96, n. 30), che si data bene all'età gallienica grazie al ritratto del defunto e che potrebbe fornire un parametro di datazione anche per l'esemplare di Cosenza.

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note

Il sarcofago è stato scoperto negli anni trenta del secolo scorso in occasione di lavori di restauro della Cattedrale; la cassa, che era stata riutilizzata per una più tarda sepoltura e chiusa superiormente da grosse tegole, si trovava sigillata al di sotto della pavimentazione sveva e orientata verso l'altare (Galli 1934).

L'opera d'arte antica più significativa che la città abbia fino ad oggi restituito è stata collegata sin dalla scoperta, ma senza alcuna base documentaria, alla tomba di Enrico VII, lo sfortunato erede di Federico II che sappiamo dalle fonti coeve sepolto nella Cattedrale di Cosenza (molti dubbi su questa attribuzione erano stati avanzati già in Willemsen, Odenthal 1967, n. 47, successivamente anche in Paoletti 1994, 543 nota 63 e Faedo 1994, che comunque riferisce il pezzo a un reimpiego normanno).

La tomba di Enrico VII era stata innalzata in cornu evangeli, vicino alla porta che consentiva di raggiungere dalla Cattedrale il vicino sepolcreto; nel 1574 Andrea Acquaviva, committente di una serie di interventi nell'edificio, avrebbe fatto rimuovere la tomba e collocare i resti del giovane sovrano in una cassetta di ferro che pare negli anni successivi, in attesa di trovare una collocazione consona, fu dispersa (Cappelli 1940, 268).

Sappiamo dalla descrizione di Bernardino Bombini che il corpo di Enrico era stato deposto in un pulchro et antiquissimo tumulo (Bombini 1558, 31), si può ipotizzare forse un monumentum assimilabile alle tombe sveve della Cattedrale di Palermo che doveva essere stato esposto all'interno della Cattedrale e dunque difficilmente riconducibile all'inumazione nel sarcofago di Meleagro; d'altra parte questa identificazione non si concilierebbe con la notizia della rimozione della tomba voluta dall'arcivescovo Acquaviva.

Da ricordare che recenti analisi sui resti scheletrici all'interno del sarcofago sembrerebbero aver individuato nell'inumato una particolare patologia che dovette comprometterne l'andatura, conformemente a quanto sappiamo di Enrico VII che sarebbe stato claudicante (Fornaciari, De Leo 2001, 13-15).

Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Bochicchio 2007: Leonardo Bochicchio, "Dal mito al simbolo: osservazioni sui sarcofagi di Meleagro di età tetrarchica", in Lo sguardo archeologico: i normalisti per Paul Zanker, Pisa 2007, 97-110.

 

Bombini 1598: Commentaria Bruttiorum Antiquitatum Bernardini Bombini U. J. D. Cosentinj, Archivio Storico della città di Cosenza, Fondo manoscritti ms. B1.

 

Cappelli 1940: Biagio Cappelli, "La tomba di Enrico di Hohenstaufen", Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 10, 1940, 267-271.

 

Faedo 1994: Lucia Faedo, "Aspetti della cultura figurativa in età romana", in Storia della Calabria antica. Età italica e romana, a cura di Salvatore Settis, Reggio Calabria 1994, 595-652.

 

Fornaciari, De Leo 2001: Gino Fornaciari, Pietro De Leo, L'impronta indelebile: Enrico VII di Svevia e Gioacchino da Fiore alla luce delle indagini paleopatologiche, Soveria Mannelli 2001.

 

Galli 1934: Edoardo Galli, "Il sarcofago del duomo di Cosenza", Bollettino d'Arte, 8, 1934, 356-363.

 

Koch 1975: Guntram Koch, Die antiken Sarkophagreliefs, 12, 6. Die Mythologischen Sarkophage. Meleager, Berlin 1975, 137, n. 157.

 

Paoletti 1994: Maurizio Paoletti, "Occupazione romana e storia delle città", in Storia della Calabria antica. Età italica e romana, a cura di Salvatore Settis, 467-558.

 

Valbruzzi 1998: Francesca Valbruzzi, "Su alcune officine di sarcofagi in Campania in età romano-imperiale", in  Akten des Symposiums '125 Jahre Sarkophag-Corpus' (Marburg, 4-7 Oktober 1995) a cura di Guntram KochMainz 1998, 117-128.

 

Valbruzzi 2012: Francesca Valbruzzi, "Modi di produzione dei sarcofagi romani nelle officine campane", in  Akten des Symposiums Sarkophage der römischen Kaiserzeit. Produktion in den Zentren, Kopien in den ProvinzenLes sarcophages romains. Centres et périphéries (Paris, 2-5 November 2005), a cura di Guntram Koch, François Baratte, Mainz 2012, 69-78. 

 

Willemsen, Odenthal 1967: Carl Arnold Willemsen, Dagmar Odenthal, Calabria. Destino di una terra di transito, Bari 1967.

Allegati
Link esterni
SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione03/11/2015 21:06:24
Data ultima revisione13/02/2018 09:09:01
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/541
NomeCosenza
Status amministrativocomune capoluogo di provincia
Estensione del territorio comunale37,86 Kmq
Popolazione70.068 (ISTAT febbraio 2015)
MuseiMuseo dei Brettii e degli Enotri - ex Museo Civico Archeologico, Museo Diocesano
ArchiviArchivio di Stato
BibliotecheBiblioteca Nazionale, Biblioteca Provinciale, Biblioteca Diocesana
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Citta/48