XVI secolo

L'elemento significativo del palazzo è il portale, strutturato come un arco centinato inquadrato da paraste. Nei piedistalli sono stemmi abrasi, mentre negli stipiti dell'arco sono inseriti due medaglioni con ritratti simili a quelli del portale della chiesa di Porta Santa.

I capitelli sono diversi fra loro: il capitello destro è composito, mentre più interessante è quello sinistro, che presenta al posto delle volute due pegasi alati, sul modello antico del tempio di Marte Ultore a Roma.

XI-XII secolo: fondazione

1063: ampliamento.

1228: data di morte di Isabella di Brienne, che secondo la tradizione sarebbe sepolta nella cripta della cattedrale di Andria.

1241: data di morte di Isabella di Inghilterra, anche lei, secondo la tradizione, sepolta nella cripta.

1308: Beatrice, ultima figlia di Carlo II d'Angiò, andata in sposa in seconde nozze a Bertrando del Balzo, dona alla cattedrale la reliquia della sacra spina.

1330: morte di Beatrice ed erezione della sua tomba nella cattedrale.

1349: la cattedrale è danneggiata dal passaggio delle truppe ungheresi. Nella stessa occasione sarebbe perito anche l'archivio.

1438: il duca Francesco II del Balzo riscopre le reliquie di san Riccardo (Ughelli 1721, coll. 927-930; D'Urso 1842, 102-103; Schulz 1860, I, 152).

1460-1463: ricostruzione della chiesa per opera di Francesco Antonio Giovannetto, vescovo di Andria e Montepeloso (cfr. Iscrizioni). 

1463-1477: il vescovo Martino de Soto Mayor edifica le cappelle laterali (Ughelli 1721, col. 931; Schulz 1860, I, 150, nota 2).

1477-1495: il vescovo Angelo Florio (+1495) rifà il tetto della la cattedrale, la dota di un nuovo coro ligneo e costruisce la cappella di San Riccardo, presso la quale si fa seppellire (Ughelli 1721, col. 931; Schulz 1860, I, 150-151, nota 2).

1657-1689: il vescovo Alessandro Egizio promuove restauri.

XVIII secolo: restauri.

1799: incendio della sagrestia.

XIX secolo: nuovi restauri e costruzione del portico esterno.

1916: trasferimento del coro ligneo della chiesa di San Domenico.

1965: restauri eliminano decorazioni tardobarocche per riportare alla luce le murature sottostanti.

La cattedrale è strutturata come una basilica a tre navate suddivise da pilastri in muratura lapidea e coperta da capriate lignee. Il transetto molto profondo è suddiviso in due aree da un grande arco a sesto acuto, e ricorda la cattedrale di Venosa.

Alla destra dell'altare maggiore si erge il cappellone di san Riccardo, eretto dal vescovo Angelo Florio (1477-1495).

Al di sotto del presbiterio si sviluppa una cripta a colonne dove, secondo la tradizione, erano state sepolte Iolanda e Isabella, due delle mogli di Federico II.

Iscrizione di Beatrice del Balzo

Iscrizione della contessa Emma

Iscrizione funebre (1463) del vescovo Giannozzi:

"HIC JACET / FR. ANTONIUS DE JOANNOCTO / NOBILIS CIVIS ANDRIENSIS / EJUSDEM CIVITATIS EPISCOPUS AC MONTIS PILOSI / CUJUS INDUSTRIA / HAEC ECCLESIA REFACTA EST" (Ughelli 1721, col. 931; D'Urso 1842, 111; Schulz 1860, I, 150).

Le iscrizioni funebri dei vescovi Martin Soto Mayor (+1477) e Angelo Florio (+1495) sono trascritte in Ughelli 1721, col. 931, e poi in Schulz 1860, I, 150-151, nota 2:

“Martinus tumulo quem reddunt stemmata / Sibiliæ genitus contigit Ausonia / Parteno Vati Franc.... ad sidera notum / Concilia Baucium Andria magna Ducem / Andriæ est effectus Præsul Montisque Pelosi / Condidit in templo multa sacella, latus / Campanilis et arcem hic exit provvidus aere / Atque human superatis extruit sacrarium / Maioris pius aere præsentium opus  / Quippe animam Superis occulto”

“Andrius Antistes hanc Florius Angelus aedem / Ornavit donis muneribusque suis, / Optima Præsulibus tradens exempla futuris / Divino culta quos decet usque frui. / Hic Christum in medii suspendit culmine templi / Sanguine qui lavit crimina nostra suo / Ipse etiam multo præsepia finxit in auro / Nata Redemptoris, quæ pia membra fovent, / Condidit, atque Chori numerosa Sedilia, nec non / Struxit Episcopei diruta tecta sui. / Isque libros plures sericoque auro quoque tecta / Qualia sacra docet pallia multa dedit. / Condidit hic Divi Richardi in honore sacellum, / Corpus ubi atque ossa condita sancta iacent. / Hoc quoque de niveo monumentum marmore factum/ Erexit, sub quo conditus ipse iacet / Est tamen in patrio Pastor bonus factus ovili, / Cuique datum est merito pontificale decus / Sentiat ergo Deum sibi faustum propitiumque, / Tot bona qui templo donat habere Dei / MCCCCLXXXXV”.

Tavola con Redentore (sec. XV), già anta dell'armadio delle reliquie nel Cappellone di san Riccardo (oggi nel Museo diocesano).

La chiesa presenta un coro ligneo a due ordini, con sfingi, grifoni, leoni e draghi trasferito dalla chiesa di San Domenico nel 1916.

La cattedrale è visibile nella veduta urbana inserita ai piedi della figura del Redentore nella pala già utilizzata come anta dell'armadio delle reliquie. 

Altre immagini più tarde sono la Veduta di Pacichelli del 1703 e quella di Orlandi del 1770.

Pianta della cripta in Bernich 1904 e Haseloff 1905.

Bernich 1904: Ettore Bernich, "La cripta del duomo di Andria", Napoli Nobilissima, 13, 1904, 183-186.

Bernich 1911: Ettore Bernich, “Il campanile della cattedrale di Andria”, Apulia, 1911, 228-230.

Damiano Fonseca 2001: Cattedrali di Puglia. Una storia lunga duemila anni, a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Bari 2001.

D’Avino 1848: Vincenzo D’Avino, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili, e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1848, 18-20.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842.

Haseloff 1905: Arthur Haseloff, Die Kaiserinnengraeber in Andria. Ein Beitrag zur Apulischen Kunstgeschichte unter Friedrich II, Rom 1905.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 150-152.

Ughelli 1721: Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, ed. Coleti, VII, Venetiis 1721, 920-935.

1349: distruzione del monumento causata dal passaggio delle truppe al seguito degli ungheresi.

1350: l'orologio viene rifatto da Bertrando del Balzo e sua moglie Margherita de Alneto.

Bertrando del Balzo e sua moglie Margherita de Alneto.

Francesco del Balzo (1410-1482).

La Torre dell'Orologio fatta erigere da Bertrando del Balzo viene spostata dal suo luogo originario, dirimpetto alla chiesa di clausura delle benedettine, al centro della città per cura di Francesco del Balzo nel secolo XV (D'Urso 1842, 92).

1754, conclusione dell'universitas per la riparazione dell'orologio (Ceci 1891, 220):

"Die XIV. mensis Novembris 1754 Andrie — Congregato Consilio huius magnifice Universitatis civitatis Andrie ad sonum campane more solito intus Curiam Ducalem, ubi vulgo dicitur il Largo della Corte in quo universitas et homines ipsius coadunari solent pro actis peragendis etc. cum interventu et assistentia Domini u. i. d. domini Francisci Meliti Locumtenentis eiusdem civitatis, interfuerunt subscripti domini de regimine, facientes maiorem et saniorem partem dicte Magnificie Universitatis immo Corpus Universitatis predicte representantes — Sindaco de Civili: Signor Dottor Vitangelo Iacobbi; Eletti dei Nobili: signor D. Riccardo Topputi, signor D. Domenico Accetta; dei Civili: signor Riccardo Sasso, signor Giacomo Adducario, signor Pasquale Labboria; Eletti del popolo: Mastro Vitantonio Bisanti, Mastro Girolamo Lavelli, Mastro Pasquale de Cicco, Mastro Sebastiano de Cicco, Mastro Pasquale Bilanciano, Riccardo Suriano, Mastro Giuseppe Antolino.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 92.

Ceci 1891: Giuseppe Ceci, "Le istituzioni di beneficenza della città di Andria", Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti, 8, 1891, 75-78, 182-187, 214-220, 282-287.

Del Balzo

Carafa

Secondo D'Urso 1842, 59, sul sito preesisteva un castello, poi ampliato dai Del Balzo e quindi ricostruito dai Carafa. 

Il palazzo presenta attulamente una mole compatta quadrangolare, con ingressi su due lati. Confina con la fabbrica della cattedrale in corrispondenza del presbiterio di quest'ultima.

Il palazzo è ben visibile nella vedute di Andria pubblicate nel 1703 da Pacichelli e nel 1770 da Orlandi.

Porta delle Fornaci, Porta Sant'Andrea

1230: in questo anno Federico II avrebbe fatto il suo ingresso in Andria e sulla porta sarebbe stata apposta l'iscrizione celebrativa.

1593: la porta viene ricostruita.

Federico II

La porta è strutturata come un edificio a tre livelli. Al livello inferiore è il grande arco tagliato nella muraglia bugnata. L'attico al livello superiore è suddiviso in tre campate da quattro paraste tuscaniche, e il terzo è un fastigio. Nelle campate laterali dell'attico sono due stemmi, mentre di quello centrale rimangono soltanto i residui scalpellati.

Iscrizione di Federico II

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 141.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 150.

Santa Maria dell'Umiltà, San Domenico

1398: fondazione del convento e della chiesa.

1459: in occasione del suo passaggio per Andria, re Ferrante d'Aragona sarebbe intervenuto personalmente per facilitare l'acquisizione di una chiesetta dedicata a Santa Colomba, necessaria per l'ampliamento del convento (D'Urso 1842, 107).

1482: costruzione del monumento funebre di Francesco II Del Balzo.

1510: costruzione del portale maggiore (cfr. Iscrizioni).

1765-1773: la chiesa viene completamente restaurata.

Sveva Orsini del Balzo

Francesco II del Balzo

La chiesa si eleva su un'alta scalinata, e alla sinistra si apre il convento, organizzato intorno al chiostro quadrangolare. L'interno è a navata unica, e si presenta nella veste tardo settecentesca. Della costruzione originaria sopravvive parte del finestrone centrale della facciata, riportato alla luce dai restauri recenti.

La chiesa presentava un coro ligneo a due ordini, con sfingi, grifoni, leoni e draghi. Il coro fu trasferito nella cattedrale nel 1916.

Sul portale della chiesa:

"CHRISTIFERE MARIE VIRGINI PRAEDICATORUM ORDINIS PROTECTRICI OPUS DICATUM A. D. 1510. 14 INDICTIONIS."

Scomparso l'epigramma un tempo appeso sopra la sepoltura Del Balzo:

"Ad Excellentissimæ DD. Svevæ Ursini honorem, uxorisque Excellentissimi Ducis Bauci, cuius corpus in hoc Divi Dominici tempio conservatur integrum. / EPIGRAMMA / Hospitii titulum, titulum fundamina Claustri / E Sveva Ursini religiosa trahunt; / Inde monasterii norman, formæque rigorem / Franciscus Baucius Dux dedit ut monacus. / Hic Tertinus erat Fratrum, et ad tertia raptus / Sidera, non obiit, Paulus ut rapitur. / Extasis ætherea est potius dicenda, viator, / Mors sua, sique silet cælitus Harpocrates."

Il monumento funebre di Francesco Del Balzo, secondo le descrizioni, si trovava nel presbiterio. Smontato nel XVIII secolo, il busto che lo coronava è stato trasferito in sagrestia, in una nicchia al di sopra del corpo mummificato del defunto, esposto in una nicchia trasversale protetta da un vetro.

Costruita a fine XIV secolo, la chiesa ha subito un rifacimento totale alla fine del XVIII secolo.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842.

Merra 1896-1897: Emmanuele Merra, “La chiesa e il convento di San Domenico in Andria (ricordi storici)”, Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti, 1896, 285-296; 316-328; 351-367; 1897, 12-18.

1230: data incisa in una porta del chiostro (cfr. Iscrizioni).

1346: altra data incisa (cfr. Iscrizioni).

1618: il chiostro viene ampliato.

1699: viene rifatto il coro.

1765: si inizia la costruzione di un nuovo campanile.

1772: il campanile è completato.

Maestro Bonanno di Barletta esegue interventi al chiostro (1346).

Chiesa a navata unica, con annesso sulla sinistra il chiostro. Della costruzione originaria restano, oltre a parti del chiostro, le due porte della chiesa, quella principale in facciata e quella secondaria sul fianco destro.

In una delle porte nel chiostro sono le iscrizioni:

"Hoc opus factum est in anno Domini MCCXXX"

e 

 "MCCCXLVI Sub Pontificatu Domini, Domini nostri Clementis VI. Papae per Magistrum Bonannum de Barulo".

All'interno della chiesa: "D.O.M. Fratri Angelo Vigenio Andriae Theologo suae memoriae principi, qui S. Nicolaj Provincia iterum gubernata Gymnasio Neapolitano et Patavino scientiis aucto, Bononiam tandem illustraturus Ferraria discedens, currus effracto axe, vigesimo post die obiit aetatis suae… Frater Christophorus Palmerius beneficus Alumnus cum prius Provincialis anno Domini MDLXVI apud Montem Pilosum Patribus ad Provincialia comitia vocatis praefuisset, et nunc anno Domini MDLXXX huius almi Conventus Guardianus iterum ponendum curavit."

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842.

Merra 1894: Emmanuele Merra, “La chiesa di San Francesco in Andria. Cenni storici”, Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti, 1894, 36-41; 67-70.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 153.

Zito 2011: Vincenzo Zito, “Committenza e maestranze nel rinnovo dello skyline urbano in Terra di Bari nel ‘700. La costruzione del campanile di S. Francesco in Andria”, Mediterranea. Ricerche storiche, 22, 2011, 333-346.

San Salvatore, Santi Leonardo e Nicola

XIII secolo: sul sito della precedente casa dei Templari si installano i cavalieri Teutonici. 

1387: il convento e la chiesa passano agli agostiniani.

1463: nuova consacrazione della chiesa.

1770: la chiesa viene completamente restaurata.

La chiesa internamente si presenta nella veste settecentesca, con una navata unica ritmata da altari addossati alle pareti laterali e conclusa da un presbiterio a pianta quadrata. All'esterno invece mostra ancora la facies medievale, soprattutto nel ricco portale con cornice ondulata simile a quella della chiesa di San Francesco sempre ad Andria. Sul sagrato di fornte alla alla facciata sono due colonne isolate. 

Secondo quanto riporta D'Urso 1842, 71, durante i restauri settecenteschi sarebbe stata rinvenuta una iscrizione intagliata in una trave lignea:

"FEDERICO DE ARAGONIA ILLUSTRISSIMO PRINCIPE AC DUCE ANDRIAE IMPERANTE / /

ANTONIO MARULLO NOTAJO NARDO CERECIO AC MARINO DE MRO JOSIANO PROCURATORIBUS".

Sui capitelli del sagrato stemma Del Balzo.

Sul portale due aquile sveve.

Ai due spigoli della facciata sono incastonati tronchi di colonne antiche, che ricordano l'analoga sistemazione nella chiesa di Santa Chiara a Napoli.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 70.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 152-153.

1267: prima fondazione della chiesa, con confraternita addetta alla cura dell'annesso ospedale della Misericordia. Chiesa e ospedale sono di patrocinio civico.

1516: il rinvenimento di una immagine della Vergine ritenuta miracolosa porta alla ricostruzione della chiesa.

1558, ante: si estingue la confraternita della Misericordia.

1563: l'Universitas decide di riunire tutti gli ospedali della città adibiti al ricovero dei pellegrini e degli infermi (con esclusione quindi di quello dell'Annunziata, destinato agli orfani). Tutte le rendite vengono devolute all'ospedale della Misericordia.

1634: l'Universitas affida ospedale e chiesa ai padri di San Giovanni di Dio. 

1809: con la soppressione degli ordini religiosi si chiude anche l'ospedale, e l'edificio viene ceduto a privati. 

Universitas di Andria

Chiesa a navata unica suddivisa in due campate quadrate, ognuna coperta da una volta a ombrello costolonata, e conclusa da un’abside.

La facciata interamente in pietra, articolata soltanto dal portale centrale, strutturato come una edicola inquadrata da paraste corinzie. Al centro delle paraste, come anche sugli stipiti laterali del portale, sono medaglioni con profili di teste all’antica.

Sul portone d'ingresso: 

"Andria non minus fidelis quam benigna" (Ceci 1891, 78, n. 8).

Sotto lo stemma della città:

"IVS PATRONATVS / M.CE VNIVERSITATIS / CIVITATIS ANDRIE A.D. 1523".

Vari stemmi della città sono attestati in diversi punti dell'edificio da Ceci (1891, 78, n. 8).

Nello spigolo dell'edificio adiacente è inserita una colonna antica.

La chiesa sorge sull'area dove in precedenza insisteva una porta urbica, detta "Porta Santa" poiché, secondo la tradizione, sarebbe stata attraversata da san Pietro e da san Riccardo. Accanto alla porta sorgevano i due ospedali di San Riccardo e della Misericordia. Nel 1267 la porta viene eliminata e l'ospedale di San Riccardo trasferito nei pressi del duomo, mentre quello della Misericordia rimane e viene affidato alle cure di una confraternita che ha sede nella nuova chiesa fondata al posto della porta e detta per questo di Porta Santa. 

Schulz (1860, I, 154) , riferisce a un edificio adiacente alla chiesa la facciata bugnata di casa-torre, da lui pubblicata (Atlas, tav. XXVIII, fig. I) e oggi scomparsa.

Ceci 1891: Giuseppe Ceci, "Le istituzioni di beneficenza della città di Andria", Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti, 8, 1891, 75-78, 182-187, 214-220, 282-287.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 77-80.

Gelao 2005: Clara Gelao, Puglia rinascimentale, Milano 2005, 251-252.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 154; V, Atlas, XXVIII/1.

Stemma dell'universitas

Il sedile dei nobili di Andria era collocato sulla piazza fra il palazzo ducale e la cattedrale. Già alla metà del XIX secolo era stato mutato in abitazione privata (D'Urso 1842, 60).

Stando alla veduta di Andria pubblicata da Pacichelli nel 1703, il Seggio era un edificio che si apriva in facciata con un unico grande arco. Dalla Veduta di Andria inserita ai piedi della pala del Redentore, oggi in cattedrale, si intravede invece un coronamento merlato.

Il seggio è visibile nella veduta urbana inserita ai piedi della figura del Redentore nella pala già utilizzata come anta dell'armadio delle reliquie.

Visibile anche nella Veduta Pacichelli del 1703.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 60.

Lenzo 2014: Fulvio Lenzo, Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli (XIII-XVIII secolo), Roma 2014.

XV-XVI secolo

Il sedile è descritto da D'Urso (1842, p. 60, nota 1) nei pressi della porta della Barra, uscendo sulla destra.

Sull'edificio erano gli stemmi della città di Andria e della famiglia Del Balzo.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 60.

Lenzo 2014: Fulvio Lenzo, Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli (XIII-XVIII secolo), Roma 2014.

L'iscrizione, stando a quanto riferito da D'Urso (1842, p. 49), sarebbe stata rinvenuta in cattedrale in occasione di lavori effettuati nel 1779, e quindi trasferita nel palazzo ducale l'anno successivo. 

NON TIMET AERUMNAM, TALEM TIBI VIRGO COLUMNA, / FABRICAT IN COELIS GAUDE COMITISSA FIDELIS / VIR TIBI RICCARDUS TU CONIUX NOBILIS EMMA / ILLE VELUT NARDUS TU SICUT SPLENDIDA GEMMA.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 49-50.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 151.

La lapide è oggi murata nel presbiterio della cattedrale di Andria. Secondo i disegni di Charles Garnier (XIX secolo) l'iscrizione era murata entro una cornice insieme allo stemma della principessa, la cui fattura appare comunque di molto successiva (XVI-XVII secolo).

REX MIHI PATER ERAT CAROLVS, FR(AT)ESQ(VE) ROBERTVS / LOYSIVSQ(VE) SACER, REGIA MATER ERAT / BERTRANDI THALAMOS NON DEDIGNATA BEATRIX / A QVO DEDVCTA EST BAVCIA MAGNA DOMVS / SI TANGVNT ANIMOS HEC NO(M)I(N)A CLARA MEORVM / ESTO MEMOR CINERI DICERE PAVCA VALE 

Carlo II d'Angiò

Roberto d'Angiò

Ludovico di Tolosa

Maria d'Ungheria

Bertrando del Balzo

Beatrice del Balzo

Alfano 1798: Giuseppe Maria Alfano, Istorica descrizione del regno di Napoli, Napoli 1798, 135.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 86.

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 151-152.

Disegni di Charles Garnier

lapide

stemma

L'iscrizione corre sul prospetto esterno di porta Sant'Andrea.

IMPERATOR FEDERICVS AD ANDRIANOS / ANDRIA FIDELIS NOSTRIS AFFIXA MEDVLLIS

Federico II di Svevia, Federico d'Aragona?

Il testo che oggi si conserva sulla porta è incompleto. Secondo lo storico ottocentesco Paolo Gallelli (Gallelli 1819 E ALTRI?), la lacuna si deve ai lavori di restauro della porta effettuati nel 1593, in conseguenza dei quali si persero i due versi conclusivi. Il seguente è il testo completo dell'iscrizione secondo la tradizione locale (FONTI oltre Gallelli? Per caso l'Itinerarium dell'anonimo pugliese?):

Imperator Federicus ad Andrianos

Andria fidelis nostris affixa medullis

Absit quod Federicus sit tui muneris iners.

Andria vale felix omnisque gravaminis expers.

Indagare rapporti con Federico d'Aragona (sulla base di Delle Donne 1998)

Un episodio analogo è nell'iscrizione (1543) di Porta Arpana a Foggia.

La tradizione locale considera i versi di Federico una affettosa risposta ai versi encomiastici fatti recitare da un coro di giovinetti al suo cospetto, durante le feste ad Andria per il suo arrivo:

Rex felix Federici, vieni, Dux noster amatus ;
Est tuus adventus nobis super omnia gratus :
Obses quinque tene nostri pignanimi amoris
Esse tecum volumus omnibus diebus et horis.

I versi sono riportati da Gallelli 1819; D'Urso 1842, 66;

Delle Donne 1998: Fulvio Delle Donne, Città e monarchia nel regno svevo di Sicilia. L'itinerario di Federico II di anonimo pugliese, Salerno 1998.

Gallelli 1919: Paolo Gallelli, Cenno storico sulla città di Andria, 1819, ms. SNSP XXV C 13, cc. 58r - 74v.

Si erge alla destra dell’altare maggiore della Cattedrale di Andria, e custodisce ancora oggi le reliquie del santo protettore della città scoperte nel 1438 nella cripta dell’edificio da Francesco del Balzo, II duca d’Andria. A seguito di tale decisivo evento, se ne decise un totale rifacimento che comportò la decorazione dell’arco che introduce alla parete di fondo della cappella, l’esecuzione di un armadio-reliquiario atto a conservare le preziose reliquie accumulate nel corso del tempo – tra cui la Sacra Spina –, nonché la commissione di due tavole dipinte con il Cristo redentore e la Vergine. Le fonti fanno risalire la ricostruzione e l’abbellimento della cappella all’epoca del vescovato dell’andriese Angelo Florio (1477-1495), che decise poi di farsi seppellire nello stesso cappellone. A Francesco II del Balzo si deve anche l’opera che narra la vita e i miracoli di san Riccardo, che trovano una sorta di corrispondenza nei rilievi dell’arco marmoreo raffiguranti le Storie della vita di san Riccardo. 

Angelo Florio

Francesco II del Balzo

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 114.

La Cattedrale 2009: La Cattedrale di Andria, Andria 2009, 12-13.

Ughelli 1721: Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, VII, Venetiis 1721, 931.

Il dipinto, assai lacunoso, raffigura l’Annunciazione con la Vergine inginocchiata e l’Angelo che appare in volo alla presenza del committente, Vincenzo Carafa.

Originariamente su tavola, le precarie condizioni conservative hanno richiesto un trasporto su tela, avvenuto nel 1972 (Cosattini Bucci, Giove, 25). Proviene dal Santuario di Santa Maria dei Miracoli a Andria, dove era collocato su uno degli altari della cripta, ornato con gli stemmi della famiglia Carafa, è descritto da Merra (1906, 327) il quale rivela l’identità del personaggio inginocchiato sulla base di una lapide riscoperta nel 1885, dove è narrata l’origine della commissione del dipinto, ovvero un voto di Vincenzo Carafa, Priore di Ungheria, nei confronti della Madonna dei Miracoli per averlo fatto guarire da una malattia, sciolto attraverso l’erezione dell’altare e la commissione del dipinto. Vi è riportata anche la data 1590.

Carafa della Stadera

Lapide dedicatoria proveniente dall’altare:

VINCENTIUS CARAFA HUNGARIÆ PRIOR. ORDINIS HIEROSOLIMITANI. FABRITII IIII RUBORUM
COMITIS. ET PRIMI ANDRIÆ DUCIS FILIUS. OLIM DUCTOR ITALORUM PEDITUM TRIUM MILLE
IN EXPUGNATIONE PROVINCIARUM LUSITANIÆ. IN BELLO AUTEM FIANDRIÆ EQUITIBUS DUCENTIS
PRÆFECTUS ET IN REGNO NEAPOLITANO PEDITUM SEX MILLIBUS. ATQ[UE] IN PRESENTI CENTUM EQUI
TUM DUX. ET A REGIS STATUS ET BELLI CONSILIIS. EGROTANS IN IBERIA UBI APUD PHILIPPUM HIS
PANIÆ REGEM NONNULLIS IMPEDIEBATUR NEGOTIIS VOVENS HUIC ANDRIENSI BEATISSIMÆ
VIRGINI DE MIRACULIS. PRO VOTO SALUTEM IMPETRAVIT M.D.XC

(trascrizione da Merra 1906, 327, nota 17)

Gli stemmi del casato erano presenti sull’altare come da E. Merra 1906, 327.

Schedato come “Pittore napoletano del sec. XVI” da Pasquale (1983, 24), che coglie gli echi del cromatismo di Girolamo Imperato, viene inserito nel catalogo di Pompeo Landulfo e Silvestro Buono da Leone De Castris (1988, 744). Recentemente Fontana (2013, 268-270) avanza l’ipotesi di assegnare alla mano del Buono il ritratto del committente mentre l’angelo sarebbe di pertinenza del Landulfo. Abbate (2001, 209) sottolinea la circostanza della provenienza del pittore Landulfo da Maddaloni, centro di pertinenza di uno dei rami della casata: i Carafa di Maddaloni.

Il dipinto non è citato in Giovanni Di Franco, Santa Maria de' Miracoli d'Andria, Napoli 1606 (cfr. Fontana 2013, 269)

https://www.andriarte.it/Biblioteca/Monografie-Merra/00-monografie_andriesi-index.html

https://www.andriarte.it/Miracoli/documenti/nuove_ricerche_sul_santuario-Montepulciano_Zito.html 

Generalmente considerato una committenza dei padri domenicani di Andria, per ricambiare la benevolenza del Duca nei loro confronti. Stando a Riccardo d'Urso (1842, 113), in origine il busto era collocato in mezzo al coro e sarebbe stato spostato nella sagrestia quando nel coro fu costruito l'organo.

Secondo Emanuele Merra (1906) il busto era originariamente situato ai piedi dell'altare maggiore, sul lato sinistro della Cappella di Santa Maria dell'Umiltà, con la seguente iscrizione: "Franciscus Baucius Dux Andriae 1442" (cfr. Pastore, capo VI, 206, 252). Stando allo stesso autore, morto Francesco II del Balzo (1482), il cadavere fu imbalsamato e collocato sotto il busto, mentre sopra vi fu sospesa una tavoletta con il seguente epigramma: "Ad excellentissimae DD. Svevae Ursini honorem, uxorisque excellentissimi Ducis Bauci, cuius corpus in hoc Divi Dominici templo, conservatur integrum. Hospitii titulum, titulum fundamina claustri.

Il corpo di Francesco è ancora visibile in una cassa di legno nella sagrestia; al di sopra si trova una nicchia dove era inserito il suo busto. 

Francesco II del Balzo

Francesco Laurana

Domenico Gagini

Intorno allo scollo della veste, si ripete due volte: "NE QVID NIMIS".

Iscrizione posta vicino alla nicchia con il busto: 

"FRANCISCO EX AVITO AC PRAECLARO MAJORUM SUORUM GENERE DE BAUCIO IN INSIGNIS GENTILITI SIDERE INDICATO / MAGNO REGNI NEAPOLITANI EQUITUM COMITI AC ADRIENSIUM DUCI AMNTISSIMO AMANTISSIMO? ALMO GUILIELMI DE BAUCIO / ET ANTONIAE BRUNFORTAE VIGILEARUM COMITIS FILIO FRANCISCI VERO AVI SUI EJUSQUE CONJUGIS SVEVAE URSINAE / NEPOTI DIGNISSIMO PYRRHI AUTEM ALTAMURENSIUM PRINCIPIS AC VENUSINORUM DUCIS ENGELBERTI ETIAM NOJAE / ET ANTONIAE S. SEVERINAE COMITUM PARENTI OPTUMO / QUOD EXUVIARUM SUARUM SCELETUM IN SUBJECTA HEIC ARCA RECONDITUM EX BENEVOLENTIA SUA / HUIC ORDINIS FF. PRAEDICATORUM FAMILIAE TESTAMENTO RELIQUERIT ALIAQUE BENEFICIA CONTULERIT / QUUM DIEM EXTREMUM OBIIT ANNO REPARATAE SALUTIS MCCCCLXXXII AETATIS VERO SUAE LXXII. / BENEFICENTISSIMO JUSTO AC PIO PRINCIPI / EJUSDEM COENOBJ GRATA FAMILIA UNA CUM EJUS SIMULACRO SUPRAPOSITO IN PERENNE MONUMENTUM / JUSTA PERSOLVENS HOC EPITAPHIUM APPONI CURAVIT".

Sulla scorta di Cornelius von Fabriczy (1907), Adolfo Venturi (1908) lo ha assegnato a Francesco Laurana.

Stefano Bottari (1935) lo ha confrontato con il busto di Pietro Speciale che si staglia sulla facciata di Palazzo Raffadali a Palermo (parte della perduta tomba commissionata da Pietro nel 1463 e destinata alla cappella di famiglia in San Francesco), e lo ha attribuito, per la prima volta, a Domenico Gagini, seguito dal Kruft (1972, 237-238).

Bottari 1935: Stefano Bottari, "Opere d’arte ignote o poco note: per Domenico Gagini", Rivista d’arte, 17, 1935, 77-85 (in partic. 84-85).

D’Elia 1954: Michele D’Elia, Mostra dell’arte in Puglia dal tardo antico al Rococò, Bari 1964, 74-75.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 112-113.

Fabriczy 1907: Cornelius von Fabriczy, "Un busto del Quattrocento in Andria", Rassegna d’arte, 7, 1907, 51-53.

Kruft 1972: Hanno-Walter Kruft, Domenico Gagini und Seine Werkstatt, München 1972, 237-238.

Merra 1906: Emanuele Merra, Monografie andriesi, II, Bologna 1906.

Pastore: Giovanni Pastore, Storia di Andria, ms. conservato presso la Biblioteca comunale di Andria e poi passato nelle mani di Giuseppe Ceci.

Venturi 1908: Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, VI, Milano 1908, 1047.

Fino al 1965 le tavole con il Cristo redentore e con la Vergine hanno funto da ante del prezioso armadio ligneo contenente le reliquie di san Riccardo, custodito all’interno della cappella dedicata al santo nella Cattedrale di Andria. Attualmente esse sono conservate nel Museo diocesano della città.

Dopo una prima attribuzione a Tuccio d’Andria avanzata nel 1954 da Michele D’Elia, lo stesso studioso ha espunto le due opere dal catalogo del pittore pugliese, dirottandole verso un ignoto “Maestro di Andria”, dai modi stilistici più raffinati di Tuccio. Il ripensamento del D'Elia avvenne quando, nel 1969, a restauro ultimato, le tavole esibirono l'altissima qualità d'esecuzione, restituendosi anche nella loro integrità iconografica grazie al disvelamento, in alto, delle testine di serafini, e, in basso, delle interessantissime vedute della città e della campagna andriesi, che in epoca imprecisata erano state nascoste da una doratura che aveva risparmiato le sole figure centrali del Cristo e della Vergine.

Un punto fermo nell'analisi dello stile del “Maestro di Andria” condotta dal D'Elia è costituito dalle chiare affinità che le ante andriesi presentano con il polittico che un ancora anonimo pittore ha eseguito, intorno agli anni settanta del Quattrocento, per la chiesa benedettina dei Santi Severino e Sossio a Napoli. Alla luce di queste considerazioni, per il D’Elia la figura di Tuccio si porrebbe come quella di un collaboratore del più dotato “Maestro di Andria”, cui spetterebbe anche un trittico con la Visitazione tra i santi Bernardino e Francesco conservato nella chiesa di San Bernardino a Molfetta.

A Tuccio, la cui unica opera certa è lo Sposalizio mistico di Santa Caterina con santi, firmata e datata 1487, e destinata alla Cappella di San Bonaventura nella chiesa di San Giacomo a Savona, sia il D’Elia che Clara Gelao (2005) hanno confermato invece la responsabilità del trittico, oggi nella Pinacoteca provinciale di Bari, ma proveniente dalla chiesa francescana di Santa Maria Vetere ad Andria.

Nella bella veduta della città dipinta ai piedi del Cristo è possibile riconoscere la Cattedrale, il seggio dei nobili e la Porta della Barra. Si suole ricondurre la committenza dell’opera al vescovo Angelo Florio, che resse la cattedra di Andria dal 1477 al 1495. Le reliquie di san Riccardo furono rinvenute da Francesco II del Balzo durante il vescovato di Giovanni Dondei (1435-1451): il ritrovamento del corpo del santo vescovo vissuto nella seconda metà del XII secolo avvenne il 23 aprile 1438, e segnò il ravvivarsi del culto del santo, ben presto divenuto patrono della città.  

Angelo Florio

Francesco II del Balzo

Nel 1965, quando furono trasferite a Firenze al fine di essere restaurate, le due tavole erano sovrapposte l’una sull’altra e fungevano da sportelli di un armadio-reliquiario custodito nel Cappellone di San Riccardo.

In tale allestimento, attestato dall’allora soprintendente della Puglia Michele D’Elia, il solo Cristo era visibile, mentre la Vergine era totalmente nascosta. La sovrapposizione dei due dipinti dovette comunque decidersi dopo la metà dell’Ottocento, se Giacinto Borsella nella sua Andria sacra, databile agli anni 1845-56, poté ancora descrivere le due opere come “opposte valve” di un armadio a tre ante (Borsella, 1845-56, 96). Sempre da Borsella sappiamo che l’armadio-reliquiario fu distrutto durante il saccheggio perpetrato dai francesi ai danni della città nel 1799 (“questo armadio preziosissimo soggiacque egualmente al saccheggio del 99”). In questo passo comunque il Borsella non è chiaro, poiché non specifica se quello che sta descrivendo è un nuovo armadio, fatto realizzare e collocato in cappella dopo i drammatici avvenimenti del 1799, oppure quello antico. D'Urso, che scrive nel 1842, e dunque in anni prossimi a quelli di Borsella, ricorda che il saccheggio aveva portato al trafugamento della statua d'argento del Santo, dell'urna contenente la Sacra Spina, nonché delle reliquie dello stesso Riccardo (testa, cuore e pelle), ma non fa alcun riferimento alla distruzione dell'armadio (D’Urso, 1842, 171). 

La notizia che i dipinti fungessero da sportelli dell’armadio-reliquiario è invece piuttosto antica, e si ricava dalla visita ad limina redatta il 10 maggio 1595 dal vescovo Luca Antonio Resta, il quale, in merito alle reliquie presenti in Cattedrale, così scriveva: “[...] reliquie sanctorum, quæ usque ad mille et trecenta ascendunt, decenter et recte servantur tam in icona altaris cum specillis vitreis quam intus sacristiam in thecis argenteis vel ligneis deauratis […]”. Inoltre, da quanto riportato dal prelato, si desume un ulteriore, interessantissimo dettaglio: le tavole non si limitavano a chiudere l’armadio-reliquiario, ma erano esse stesse contenitori di decine e decine di reliquie, che si conservavano appunto in icona altaris. In epoca imprecisata, infatti, sul retro di entrambe le tavole è stata aggiunta una struttura lignea costituita da tanti piccoli contenitori “chiusi da cerchi d’argento che fermano sottili lamine di tartaruga usate come vetri”, secondo le parole del D’Elia che nel 1969b ha potuto così descriverne l’aspetto nel contributo pubblicato a restauro ultimato. Ancora oggi tali incavi ricavati nella parte tergale dei due dipinti sono ben visibili, benché abbiano perso la funzione di reliquiari. Nella stessa occasione lo studioso ha avanzato l’ipotesi, pienamente condivisibile, che le opere fossero nate come vere e proprie pale d’altare (della Cappella di San Riccardo o dell’altare maggiore della stessa Cattedrale), e che dunque esse fossero state riadattate a reliquiari ed ante dell’armadio soltanto in un secondo momento, di certo precedente la visita ad limina del Resta, che già ne attestava, come si è detto sopra, la trasformazione in tavole porta-reliquie.

Da un atto notarile citato nel 1911 dall’erudito locale Michele Agresti risulterebbe che nel 1503 la comunità andriese, afflitta dalla peste, fece voto di rinnovare ed ampliare la Cappella di San Riccardo, se la città fosse stata liberata dall’epidemia. Non vi sono successive testimonianze che attestino l'effettiva ricostruzione della cappella, sul cui arco, nella chiave di volta, campeggia comunque lo stemma dell’Universitas andriese. Ad ogni modo, nel corso del XVI secolo l’arredo del cappellone dovette di certo subire un rinnovamento, se si pensa anche soltanto all’intervento operato nel retro delle due tavole che, come già detto, furono trasformate in dipinti-reliquiari. Potrebbe risalire a questo stesso periodo il rivestimento dorato che ha caratterizzato le due tavole sino al 1965. Da ciò si spiega la definizione di opere dipinte “alla maniera greca” data dagli eruditi otto e novecenteschi alle due tavole, che l'omogeneo fondo oro rese simili ad icone bizantine.

Agresti 1911: Michele Agresti, Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi: dalla origine sino all’anno 1911, Andria 1911, II, 21-24.

Bologna 1955: Ferdinando Bologna, "Il Polittico di San Severino apostolo del Norico", Paragone, 61, 1955, 3-17.

Bologna 1977: Ferdinando Bologna, Napoli e le rotte mediterranee della pittura, Napoli 1977.

Borsella 1845-1856: Giacinto Borsella, Andria Sacra, ms. 1845-1856, a cura di Raffaele Sgarra, 1918, c. 96.

D’Elia 1954: Michele D’Elia, Mostra dell’arte in Puglia dal tardo antico al Rococò, Bari 1964, 70-71.

D’Elia 1969a: Michele D’Elia, "Aggiunte alla pittura pugliese", in Studi di storia dell’arte: bibliologia ed erudizione in onore di Alfredo Petrucci, Roma-Milano 1969, 26-34 (in partic. 29).

D’Elia 1969b: Michele D’Elia, "Tuccio d’Andria e no", Miscellanea di studi storici per le nozze di Gianni Jacovelli e Vita Castano, Fasano, 9-27.

D’Elia 1994: Michele D’Elia, “La pala di Tuccio d’Andria”, in Un’isola di devozione a Savona, a cura di Giovanna Rotondi Terminiello, Savona 1994, 249-252.

D’Elia 2005: Michele D’Elia, "Ancora su Tuccio e il Maestro di Andria", in AA.VV. La Sacra Spina di Andria e le reliquie della Corona di Spina, Fasano, 2005, 404.

D’Urso 1842: Riccardo d’Urso, Storia della città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841, Napoli 1842, 114.

Merra 1906: Emanuele Merra, Monografie andriesi, Bologna 1906.

Piavento 2011: Orso Maria Piavento, "Tuccio d’Andria: ricognizioni e verifiche", Ligures. Rivista di Archeologia, Storia, Arte e Cultura Ligure, 9, 2011, 57-82.

https://www.academia.edu/4093393/Tuccio_dAndria._Ricognizioni_e_verifiche

Il polittico, in origine collocato nella chiesa andriese di Santa Maria Venera, è oggi conservato nel Museo provinciale di Bari. Dopo un'oscillazione attributiva tra i fratelli Bartolomeo e Antonio Vivarini, negli ultimi anni la critica sembra essersi orientata sul secondo. L'opera ha subito di recente un importante restauro.

Gelao 2014: Clara Gelao, Il polittico di Antonio Vivarini. Storia, arte, restauro, a cura di Clara Gelao, Venezia 2014 (con bibliografia precedente).

Scheda sull'opera nel sito della Pinacoteca provinciale di Bari.

Il trittico rappresenta San Francesco d'Assisi affiancato dai santi Michele arcangelo e Antonio da Padova a sinistra, e Bernardino da Siena e Pietro a destra. Anche quest'opera, come il trittico di Andria, era originariamente collocata nella chiesa andriese di Santa Maria Venera. Dismesso il convento francescano nel 1866, essa fu trasferita nel Museo provinciale del capoluogo pugliese nel 1891.

Firmato e datato: "OPVS FACTVM VENETIIS PER / BARTHOLOMEVM VIVARIN/VM DE MURANO 1483".

Il punto di stile dell'opera è molto vicino a quello del polittico che Bartolomeo eseguì nel 1477 per la chiesa  di San Bernardino a Morano Calabro (CS).

Scheda sull'opera nel sito della Pinacoteca provinciale di Bari.

Il trittico presenta a sinistra Santa Caterina d'Alessandria (139 x 49 cm), al centro San'Antonio da Padova (144 x 53 cm), e a destra San Giacomo della Marca con la committente in preghiera (140 x 53 cm).

I pannelli provengono dal convento francescano di Santa Maria Vetere di Andria, e forse facevano parte di un polittico più ampio.

Dopo una vicenda critica complessa, si è assestata l'attribuzione al pittore Tuccio d'Andria (cfr. Clara Gelao 2005-2006, I, 2005, 71-74).

Gelao 2005: Clara Gelao, scheda n. 10, in La Pinacoteca Provinciale di Bari, 2 voll., a cura di Clara Gelao, Roma, 2005-2006, I, 2005, 71-74.