NomeAcerenza
TipoCittà
Luogo superioreBASILICATA
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OggettoAcerenza, veduta urbana (1703)
Collocazionea stampa
Immagine
Materiali e tecnicheincisione (modifica per test Antonio)
Dimensioni
Cronologia1703
Autore
SoggettoAcerenza, veduta urbana
Descrizione
Iscrizioni

in alto, entro un cartiglio svolazzante: "Acerenza".

In basso legenda:

"A. Arcivescovado

B. Porta Venosina

C. Castello

D. Porta maggiore

E. Porta San Rocco

F. Porta di San Canio

G. Porta antica

H. Annuntiata

I. S. Maria delle Nevi

L. Monastero dell'Osservanza

M. Mura della città

N. Mura antiche."

Famiglie e persone
Note
Riproduzioni

A stampa in Pacicchelli 1703.

Fonti e documenti
Bibliografia

Pacichelli 1703: Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, diviso in dodici provincie […], Parte prima, in Napoli, nella Stamperia di Michele Luigi Mutio, 1703.

Allegati
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SchedatoreFulvio Lenzo
Data di compilazione27/05/2013 20:41:58
Data ultima revisione23/09/2023 09:43:39
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OggettoAcerenza, Cattedrale
Tipologiachiesa cattedrale (esistente)
Nome attualeCattedrale di Santa Maria Assunta e di San Canio
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

799: secondo la tradizione, il vescovo Leone II trasferisce da Atella nella Cattedrale le reliquie di san Canio, protettore della diocesi

1080: rinvenimento delle reliquie di san Canio ad opera del vescovo Arnaldo, di origine normanna, che decide di edificare una nuova Cattedrale (fonti: Lupo Protospatario)

1281: Carlo I d'Angiò dà ordine di eseguire le misure della Cattedrale, avendo intenzione di demolirla, per costruire al suo posto una fortificazione, e ricostruirla delle stesse dimensioni in un'altra zona della città più bassa

1456: terremoto che provoca gravi danni all'edificio

1524: prima di quella data, restauro a cura del conte Ferrillo

1850-1889: restauri all'interno a cura dei vescovi Antonio di Macco (1835-1854) e Gesualdo Loschirico (1880-1890) finanziati anche con i proventi della vendita del riccio di pastorale in avorio oggi nel Museo del Bargello di Firenze

1930: terremoto con crollo della cupola ricostruita negli anni successivi

1953: restauro che previsto l'eliminazione della facies barocca (ne resta traccia solo nella cappella nell'abside destra del deambulatorio) e modificato l'accesso al succorpo

Autore
Committente

Vescovo Arnaldo (1066-1101)

Giacomo Alfonso Ferrillo, Conte di Muro e signore di Acerenza

Maria Balsa, moglie di Giacomo Alfonso Ferrillo

Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo, Conte di Muro e signore di Acerenza

Descrizione

La Cattedrale sorge sul punto più alto della città di Acerenza. L'impianto originario risale all'epoca romanica, come confermano la presenza di un deambulatorio con cappelle radiali e tracce di una coppia di torri campanarie ai lati del prospetto (si conserva il campanile di destra, edificato nella forma attuale nel secolo XVI). La chiesa è stata edificata con conci squadrati di grandezza medio-piccola disposti con regolarità, come si può osservare nella parte meglio conservata dell'edificio, in corrispondenza del deambulatorio; le pareti sono cadenzate da paraste e semicolonne (in molti casi, eseguite con pezzi in marmo di reimpiego). All'esterno i fianchi presentano lunghe e strette monofore strombate nel primo livello e ampie monofore lungo le pareti esterne della navata. Le testate del transetto hanno, negli spioventi, una cornice ad ampi archetti gradienti che culmina in una trifora cieca. Il deambulatorio presenta esternamente un'articolata strutturazione, con le pareti delle ampie cappelle radiali cadenzate da semicolonne, tra le quali sono riconoscibili colonne in marmo scanalate a spirale (due nell'abside del transetto destro, le altre nella prossima cappella del deambulatorio) provenienti molto probabilmente da un ciborio altomedievale che ornava la Cattedrale anteriore all'attuale (Rusconi 1971). All'innesto del transetto con il corpo del deambulatorio si trovano le torri scalari, elemento tipico dell'architettura romanica, chiaramente leggibili anche all'interno.

La facciata, a semplici spioventi, è frutto di una radicale ricostruzione cinquecentesca, testimoniata dallo stemma Ferrillo sopra il portale centrale, e presenta un rosone, ampiamente rimaneggiato nel 1928, che un'iscrizione data al 1601. In posizione acroteriale troviamo ancora, nello spigolo sinistro, un leone antico di reimpiego (secondo una consuetudine molto diffusa negli edifici medievali di Basilicata e Puglia), mentre il noto busto, tradizionalmente ritenuto San Canio e segnalato in letteratura da Bernabei 1882 e Lenormant 1883 come ritratto di Giuliano l'Apostata (oggi però ritenuto più giustamente un'opera d'epoca rinascimentale), è conservato nel Museo diocesano. Il portale centrale ha un protiro addossato poggiante su colonne sospese (in origine doveva essere sostenuto, come negli esemplari pugliesi del tipo del portale centrale della basilica di San Nicola di Bari, da animali stilofori), con una ghiera strombata con una teoria di protomi angeliche (come nel portale erratico della Cattedrale di Monopoli; altri conci nel Museo diocesano) chiusa da una cornice in pietra, uno dei cui conci di base è un'iscrizione romana reimpiegata, ancora oggi a bella vista. Il profilo del portale è frutto di una evidente ricomposizione e nelle parti figurate è databile alla fine del XII secolo.

L'interno è diviso in tre navate da semplici pilastri modanati che reggono arcate a tutto sesto. In controfacciata, su alti plinti, quattro colonne con capitelli ionici reggenti un architrave modanato e perlinato potrebbero provenire dall'arredo del coro riallestito con i lavori promossi dal conte Ferrillo e aver fatto parte di un ciborio. Dalla crociera, con copertura recente e retta da quattro pilastri con arcate a tutto sesto, si dipartono i due bracci del transetto con absidi orientate (secondo uno schema diffuso nel mezzogiorno romanico) e il deambulatorio. In questa parte della chiesa le colonne del giro esterno, addossate al muro perimetrale, sono per la gran parte di reimpiego, talune scanalate; i capitelli, ormai illeggibili a causa delle scalpellature dovute ai numerosi restauri nel corso dei secoli, probabilmente in origine avevano forma cubica.

Il giro interno del deambulatorio poggia su larghi e possenti pilastri da cui si aprono arcate strette a tutto sesto e un'evidente risega marca il passaggio dal coro costolonato all'abside. Infatti, il deambulatorio non presenta unità spaziale ma appare, anche all'esterno, composto da coro e abside, ammantati dal giro esterno con cappelle radiali. Le navate, il transetto e la cupola hanno copertura lignea, mentre il deambulatorio è voltato con crociere, costolonate e rette da semicolonne nel giro interno, e vive in quello esterno.

La macchina cinquecentesca del Succorpo ha mutato i rapporti spaziali e volumetrici del deambulatorio ed ha enfatizzato il luogo di deposizione delle reliquie di san Canio, fin dall'origine collocate sotto l'altare maggiore, mostrando il sarcofago (vuoto) che, nel contempo, celebra i committenti e richiama il santo negli attributi presentati dalle due coppie di putti (il bastone pastorale e la tiara, la cornucopia e la croce astile), attraverso un altare-finestra con funzione di fenestella confessionis.

Iscrizioni

Privilegio di papa Gregorio (1578) (nella parete di fondo del transetto sinistro)

Stemmi o emblemi araldici

Stemma Ferrillo in facciata

Stemma Saraceno e stemma della città (presso altare SS. Sacramento e altare Madonna del Rosario)

Elementi antichi di reimpiego

Tronchi di colonne di marmo

Capitello ionico a quattro facce  (altare maggiore)

Leone funerario (acroterio sinistro della facciata)

Puteale strigilato utilizzato come base del fonte battesimale

Iscrizione presso protiro (CIL IX 419)

Iscrizione nell'interno della porta (CIL IX 420)

Iscrizione presso la porta d'accesso al campanile (Bernabei 1882, 384)

Iscrizione reimpiegata come concio di un pilastro della navata

Opere d'arte medievali e moderne

Rilievo in marmo con stemma della famiglia Ferrillo (secolo XVI) in facciata

Pala d'altare con Madonna del Rosario e santi domenicani (Domenico e Tommaso) contornata dai Misteri (1583, attr. Antonio Stabile), racchiusa da una ricca cornice lignea dorata timpanata con stemmi (nel transetto destro)

Frammento di nicchia (a valva di conchiglia), con Annunciazione nei pennacchi (da tabernacolo o pala d'altare) (secolo XV)

Cornice dell'altare del SS. Sacramento in pietra (1570) scolpita con apostoli, profeti con cartigli (a sinistra: Come/detis carnes/ et satura/bimini/ panibus; a sinistra: Panem/ celi/ dedit/ eis) e virtù con iscrizione (Aediculam pani vivo dicatam confratrum et elemosinis pie elargitis rectores effiziendam curavere A.D. 1570) e stemmi, che contiene due dipinti con Deposizione e Ultima cena (secolo XVI) tagliati e adattati alla luce dell'altare (attr. Antonio Stabile)

Affresco della Madonna in trono col Bambino (secoli XV-XVI) nella parete perimetrale interna del deambulatorio, tagliato per l'apertura di una monofora

Affresco con San Pietro con Vangelo aperto ("Tu es Petrus..."), identificato dalla scritta inferiore come San Canio Acherontino, sul perimetro esterno del giro interno del deambulatorio (secc. XV-XVI)

Affresco con Vergine in trono sul terzo pilastro destro del deambulatorio (ante 1524), attribuito a Bartolomeo Guelfo da Pistoia

Affreschi (secolo XVI) negli intradossi delle arcate del deambulatorio

Affresco con San Pietro Martire (fine secolo XV) nella parete interna del deambulatorio (tagliato dal nuovo piano del succorpo)

Affresco con Santo vescovo con bacolo pastorale, da identificare con il patrono Canio (il bastone ricorda il riccio pastorale in avorio, del sec. XIV, già conservato in Cattedrale e ora a nel Museo del Bargello a Firenze), nella parete interna del giro interno del deambulatorio (secolo XIV-XV)

Pilastro scolpito con motivi vegetali e animali dalla balaustrata del coro (1524 circa)

Cappella seicentesca nell'abside maggiore con altare con statua dell'arcangelo Michele

Quattro colonne su pilastri con capitelli ionici dall'antica balaustra del coro in controfacciata

Storia e trasformazioni

L'edificio, sorto tra i secoli XI e XII, ha subito interventi in età angioina e radicali restauri agli inizi del XVI secolo, dopo il terremoto del 1456 che aveva provocato gravi danni soprattutto alla facciata e al corpo delle navate, come testimoniano fonti coeve. La chiesa ha subito ulteriori pesanti interventi nei secoli XIX-XX, in conseguenza di terremoti (1851 e 1930 in particolare), nonché della volontà di abbellire l'interno (lavori ottocenteschi) o di ripristino della condizione originaria (restauri novecenteschi), per cui oggi la lettura della storia dell'organismo architettonico è molto compromessa.

Note
Fonti iconografiche

La Cattedrale è visibile nella Veduta di Acerenza di Cassiano da Silva del 1696 pubblicata da Pacichelli nel 1703.

Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Aceto 1995: Francesco Aceto, "La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo", in Acerenza, a cura di Antonio Vaccaro, Venosa 1995, 25-48.

 

Belli D'Elia, Gelao 1999: Pina Belli D'Elia, Clara Gelao, La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, Venosa 1999.

 

Bernabei 1882: Felice Bernabei, "Acerenza", Notizie degli Scavi di Antichità, 10, 1882, 383-385.

 

Bertaux 1897: Émile Bertaux, "I monumenti medievali del Vulture", Napoli nobilissima, 6, 1897, Supplemento, xxii-xxiii.


Bertaux 1904: Émile Bertaux, L'art dans l'Italie meridionale, Paris 1904, 326-331, 467-468.

 

Catalano 2015: Lara Catalano, "Portali scolpiti nella Basilicata normanno-sveva", in Il potere dell'arte nel Medioevo, a cura di Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Carlo Constantini, Roma 2015, 193-206.

 

Ciotta 1983: Gianluigi Ciotta, "La Cattedrale di Acerenza", Storia Architettura, 2, 1983, 1-16.


Garzya Romano 1988: Chiara Garzya Romano, La Basilicata La Calabria, (Italia romanica, 9), Milano 1988, 75-100.


Giganti 2002: Antonio Giganti, La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo, Potenza 2002.

 

Grillo 1994: Antonio Grillo, Acerenza: i portali, la Cattedrale, il convento delle Monache, Rionero 1994.

 

Lenormant 1883a: François Lenormant, "Premier rapport a M. Le Ministre de l'Instruction Publique sur une mission archéologique dans le Midi de l'Italie", Gazette Archéologique, 8, 1883, 49-55.

 

Lenormant 1883b: François Lenormant, A travers l'Apulie et la Lucanie, Paris 1883, I, 279-286.

 

Lotti 1983: Leonardo Lotti, La Cattedrale di Acerenza, Andria 1983.

 

Muscio 1957: Canio Muscio, Acerenza, Napoli 1957.


Muscio 2008: Canio Muscio, La basilica romanica di Acerenza (sec. 11), Grotta di Castro 2008.

 

Rusconi 1971: Antonio Rusconi, "Il ciborio longobardo della Cattedrale di Acerenza", in Atti del II Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1971, 423-436.

 

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, voll. 4, Dresden 1860, I, 316-319.


Zecchino 2004: Francesco Zecchino, "Architetture franco-normanne con deambulatorio e cappelle radiali in Italia meridionale", in Medioevo, Mezzogiorno, Europa, a cura di Giancarlo Ardenna e Hubert Houben, voll. 2, Bari 2004, II, 1161-1175.

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SchedatoreAntonio Milone
Data di compilazione27/05/2013 20:46:05
Data ultima revisione06/12/2022 12:50:04
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OggettoAcerenza, Cattedrale, campanile
TipologiaCampanile
Nome attuale
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1554: data inscritta nella pietra angolare di calcare bianco del basamento scarpato.

1555: data nell'iscrizione nel primo registro

Autore

Pietro di Muro: sulla base di un'iscrizione frammentaria nel campanile, Pietro di Muro è stato identificato come l'architetto del campanile                                               

Committente

Giovanni Michele Saraceno, resse l'Archidiocesi di Acerenza e Matera dal 1531; dal 1551 con il titolo di Cardinale

Famiglie e persone

Giovanni Michele Saraceno

Pietro di Muro

Descrizione

Il campanile è situato in corrispondenza dello spigolo sud-ovest della Cattedrale di Acerenza. L'attuale campanile fu costruito nel 1555, sostituendo in parte o in toto uno dei due campanili originari, crollato durante il terremoto del 1456. L'altro campanile nell'angolo nord ovest, rimasto impompiuto, è stato abbattuto nel 1922. Il campanile, poggiante su un basamento a scarpa, si articola in tre ordini divisi da cornice a toro. Nel registro inferiore sono collocate tre stele funerarie e una fronte di sarcofago di eroti e un bucranio, insieme all'iscrizione relativa all'Ordo archeruntinus (CIL, IX, 417) situato in origine nel paramento murario del primo registro. Il basamento a scarpa era forse ricoperto da bugne di rivestimento, di cui restano solo alcuni esemplari in calcare bianco. Non si può escludere che il materiale di spoglio e le bugne provengano dalla precedente torre medievale. Nella parte superiore del primo livello si apre una finestra con stipiti modanate, e coronate da una cornice composta da due pezzi, una modanata a cui si sovrappongono dei mensoloni; ai lati della finestra sono due acquasantiere rette da mani. Immediamente sopra l'apertura una cornice racchiudeva in origine tre stemmi. Restano al centro lo stemma del cardinale Giovanni Michele Saraceno, accopagnato da un'iscrizione datata 1555, con al lato lo stemma della città di Acerenza. Manca invece il terzo stemma.

Il campanile può essere confrontato con quello della Cattedrale di Venosa, realizzato nel XVI secolo, con un grande ricorso al reimpiego di spolia antiche, come iscrizioni e stele funerarie. Un caso simile potrebbe essere anche il campanile della Cattedrale di Melfi, dove alcuni degli elementi antichi di reimpiego potrebbero essere stati inseriti in occasione del restauro rinascimentale, e ancora con la torre campanaria della chiesa di S. Anselmo a Vietri di Potenza.

Iscrizioni

Iscrizione con stemma del cardinale Giovanni Michele Saraceno: IOANES MICHAEL SARRACENVS / S S R E PRESB CAR ARCHIEP ACH/ ERONTINUS EREXIT MDLV.

Iscrizioni del mastro fabbricatore del campanile: MASTR(O) (PIE)TRO DE M(VRO). L'iscrizione è integrata.

Stemmi o emblemi araldici

Iscrizione con stemma del cardinale Giovanni Michele Saraceno, con a lato lo stemma della città di Acerenza; sull'altro lato doveva esserci uno stemma simmetrico.

Elementi antichi di reimpiego

Rilievo funerario con un togato.

Rilievo funerario con due togati.

Frammento di rilievo funerario.

Fronte di sarcofago con eroti sul lato sud-ovest.

Bucranio

Iscrizione Ordo Acheruntinus (CIL, IX, 417)

Opere d'arte medievali e moderne

Schulz notava resti di affresco medievale raffiguranti San Cristoforo (1835).

Storia e trasformazioni

La parte terminale con parapetto che cinge una terrazza non fa parte della struttura originale. Dalla veduta di Cassiano de Silva (1696) pubblicata da Pacichelli appare invece coronato da un'alta piramide, che trova riscontro nelle foto di fine Ottocento.

Note
Fonti iconografiche

Veduta di Acerenza di Cassiano de Silva del 1696, pubblicata da Pacichelli nel 1703.

Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Belli D'Elia, Gelao 1999: Pina Belli D'Elia, Clara Gelao, La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, Venosa 1999.

 

Bernabei 1882: F. Bernabei, "Acerenza", Notizie degli Scavi di Antichità, 10, 1882.

 

Bertaux 1897: E. Bertaux, "I monumenti medievali del Vulture", Napoli nobilissima, 6, 1897, Supplemento, xxii-xxiii.

 

Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie meridionale, Paris 1904, 326-331, 467-468.

 

Ciotta 1983: G. Ciotta, "La cattedrale di Acerenza", Storia Architettura, 2, 1983, 1-16.

 

Garzya Romano 1988: C. Garzya Romano, La Basilicata La Calabria, (Italia romanica, 9), Milano 1988, 75-100.

 

Giganti 2002: Antonio Giganti, La Cattedrale di Acerenza nel Medioevo, Potenza 2002.

 

Lenormant 1883a: F. Lenormant, "Premier rapport a M. Le Ministre de l'Instruction Publique sur une mission archéologique dans le Midi de l'Italie»", Gazette Archéologique, 8, 1883, 49-55.

 

Lenormant 1883b: Francois Lenormant, A travers l'Apulie et la Lucanie, Paris 1883, I, 279-286.

 

Lotti 1983: L. Lotti, La cattedrale di Acerenza, Andria 1983.

 

Muscio 1957: C. Muscio, Acerenza, Napoli 1957.

 

Muscio 2008: Canio Muscio, La basilica romanica di Acerenza (sec. 11), Grotte di Castro 2008.

 

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, voll. 4, Dresden 1860, I, 316-319.

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SchedatoreBianca de Divitiis
Data di compilazione27/01/2015 13:59:39
Data ultima revisione21/12/2018 15:04:21
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/837
OggettoAcerenza, Cattedrale, Cripta Ferrillo
Tipologiacappella
Nome attuale
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1524: completamento della cappella

10 agosto 1526: il testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo rappresenta la testimonianza più antica sulla cappella (Dentamaro 2011) – vd. scheda sul “Cassone di San Canio”.

27 novembre 1543: visita pastorale del cardinale Giovanni Michele Saraceno, arcivescovo di Acerenza e Matera

 

Per tutte le testimonianze successive pertinenti alla cripta, e spesso intrecciate con quelle inerenti al “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Autore
Committente

Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa, conti di Muro Lucano

Famiglie e persone

Committenti: Giacomo Alfonso Ferrillo (figlio di Matteo Ferrillo), II conte di Muro Lucano, e Maria del Balzo (o Maria Balsa), sua moglie, discendente da una famiglia di origini francesi e più in particolare da un ramo della famiglia trapiantatosi nel Suditalia dopo aver dominato la Serbia.

 

Pietro di Muro Lucano: architetto che firma il campanile della Cattedrale nel 1555; a lui alcuni studiosi hanno ricondotto anche la messa in opera della cappella.

Descrizione

Situata al di sotto dell’altare maggiore della Cattedrale di Acerenza, la cripta fu commissionata da Giacomo Alfonso Ferrillo, signore di Acerenza, e da sua moglie, Maria Balsa, come si evince dall’epigrafe incisa in uno dei plinti alla base delle colonne del vano, in cui i due coniugi vengono ricordati anche per aver restaurato la Cattedrale (vd. Iscrizioni in questa scheda), che era crollata parzialmente nel 1456 a seguito di un violento terremoto.

Lo spazio ipogeo seminterrato, ricavato da uno scavo sotto il preesistente presbiterio, doveva probabilmente essere destinato, secondo la volontà dei mecenati, a custodire le spoglie del protettore della città, san Canio, giunte ad Acerenza nel 700 d.C. per intercessione del vescovo Leone (Ughelli, VII, 1659, col. 10).

L’impresa è ricordata nella visita pastorale effettuata da monsignor Giovanni Michele Saraceno nel novembre del 1543 (in Gelao 1999, 212, 217) e poi nel Liber piorum legatorum del 1559, entrambi conservati nell’archivio della Cattedrale. Nella seconda fonte in particolare si parla delle cattive condizioni in cui versava la Cattedrale prima che s’intrapendessero i lavori (ridotta quasi al suolo a partire dall'innesto del transetto con la navata: "a cruce citra semidirutam, soloque aequatam" [Gelao 1999, 196]); si specifica il costo dei lavori (sedicimila ducati) e si puntualizza che i Conti di Muro fecero erigere il Succorpo. 

La cappella si presenta come uno spazio quadrangolare scandito in tre navate da quattro colonne marmoree, coperto con una volta a crociera depressa che si articola in nove volticine a vele ribassate affrescate a monocromo da un anonimo pittore del primissimo Manierismo meridionale.

Le colonne, che sono di spoglio, poggiano su piedistalli parallelepipedi; le facce di quest’ultimi sono ornate con rilievi e iscrizioni. I capitelli delle colonne, in stile composito, sono sormontati da mensole a tronco di piramide rovesciata scolpita a fogliami, e da tronchi di trabeazione completa arricchiti da teste di cherubini e animali.

Le pareti laterali del vano sono divise in tre moduli di identiche dimensioni da paraste scanalate e rudentate, addossate alle pareti e anch’esse poggianti su piedistalli aventi la stessa altezza dei piedistalli delle quattro colonne centrali (le lesene su alti piedistalli e specchiature si ritrovano nel portale dell'Annunziata di Genzano di Lucania). Le prime due sezioni delle pareti laterali, a partire dall’entrata, sono decorate con affreschi (a sinistra: Santa Margherita e il drago e l’Adorazione dei Magi; a destra: Sant’Andrea e San Matteo); l’ultimo modulo di ogni parete è invece occupato, da una parte e dall’altra, da finestre strombate che, affacciandosi sul deambulatorio, danno luce alla cappella. Le paraste sono sormontate da una trabeazione continua, con un fregio ornato da motivi vegetali, mascheroni, cherubini, stemmi delle famiglie Ferrillo e Balsa, teste maschili e femminili.

A tal proposito è interessante la testimonianza di Marco Antonio Terminio (1581, cc. 26v-27r), il quale scriveva a proposito di Giacomo Alfonso: “fu cavaliero di gentilissimi costumi, affabile, huomo di bona legge et più che mediocremente letterato, et grandissimo antiquario, il quale in più lochi delle terre sue fe’ depingere in guisa di medaglie alcune teste di suoi antecessori”.

In corrispondenza della navata centrale si apre, nella parete di fondo della cripta, una piccola abside rettangolare, coperta a botte e riccamente decorata, dov’è collocato il sarcofago che accolse, secondo la tradizione, le spoglie di san Canio (o Canione), patrono di Acerenza. Tale spazio è stato oggetto di pesanti rimaneggiamenti, non sempre documentati, e dunque non è facile risalire alla sua conformazione originaria. Ciò che spicca è però il fatto che la Cassa di San Canio, diversamente da tutta la decorazione scultorea presente nella cappella (dalle paraste, alle zoccolature, al fregio della trabeazione) è in marmo e non in pietra calcarea. Si tratta quasi sicuramente di un prodotto realizzato a Napoli (da uno scultore di primo Cinquecento, di cui non conosciamo il nome), su commissione di Giacomo Alfonso e di sua moglie Maria, e poi trasportato ad Acerenza. All’interno della piccola abside, i due pannelli con le figure a rilievo di angeli adoranti dovevano probabilmente far parte di un ciborio.

Nella cripta, secondo il gusto antiquario dell’epoca, compaiono molte grottesche e motivi iconografici che mescolano indifferentemente la tradizione cristiana e quella classica.

Il precedente più immediato cui si ispirarono i Ferrillo fu il Succorpo di San Gennaro, nel Duomo di Napoli (1496-1508). Dal modello napoletano la cripta di Acerenza riprende la divisione in tre navate e la scansione delle pareti laterali con lesene, ma se ne differenzia per le dimensioni più ridotte, l’ornato meno ricco, e soprattutto per la copertura che non ripropone il soffitto in ricchissimo marmo a cassettoni che poggia su colonne snelle, ma è fatto da volte a crociera affrescate a fingere il marmo che poggiano su colonne nane. Anche il pavimento non era quello dispendiosissimo che Oliviero Carafa fece realizzare a Napoli.

La cappella, frutto di un progetto organico e aggiornato (forse proveniente da fuori?), fu realizzata da maestranze locali, molto probabilmente le stesse impegnate nel rifacimento della Cattedrale. Ciò sembra desumersi da alcune soluzioni formali e scelte iconografiche che vengono ripetute tanto nella chiesa superiore quanto in quella inferiore (si notino ad es. il trattamento delle foglie dei capitelli, come pure la scelta di ripresentare la leggenda di Barlaam sull’albero della Vita, la sirena a doppia coda, il centauro che suona uno zufolo).  

Iscrizioni

Epigrafe incisa su un lato del plinto di colonna nella cripta:

“+ IACOBVS · ALFON/SVS · FERRILLVS ·/ MILES · PARTHENO/PEIVS · ET · MARIA ·/ BALSA · CONIUX ·/ MURI · COMITES / ECCLESIA(M) · SE/MIDIRVTA(M) · ET · SACELLVM · HOC / EREXERE · ANNO / SALVTIS 1524”.

(L’epigrafe constituisce una prova incontrovertibile per attribuire definitivamente la committenza a Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa).

 

Nell’architrave modanato dei due portali d’ingresso è incisa la data di conclusione dei lavori: “ANNO DOMINI” (portale di sinistra)

“MCCCCCXXIIII” (portale di destra)

 

I piedistalli presentano iscrizioni a carattere escatologico:

“ECCE AGNVS DEI”;

“+ PIA PRECE PA/TIENTIA FO/RTI PVRA FIDE / COELV(M) PARAT/VR”;

“+ VANE PETIS / QVOD NEGAS”;

“+ ORA CREDE / ITERA ET FE/RES”.

 

Nella vasca dell’acquasantiera (su di essa ricompare la data 1524 e lo stemma Ferrillo-Balsa):

“SI CREDIS · VNDA / LAVAT”.

 

Schulz (1860, 319) citava un’altra lapide all’ingresso della lapide, ritenuta dispersa, di cui trascriveva così il titulus inciso: “IOANNES MICHAEL ARRAGON. SS. R. E. PRESB. CARD. ACHERVNTINVS EREXIT. MDIV”. La stessa iscrizione fu riportata da Bertaux (1897, XXIII) – che la diceva “incastrata all’ingresso” [della cripta] –, ma con data “MDXXIV” (Bertaux 1897, XXIII). Lo studioso identificava il cardinale menzionato nell’epigrafe con un membro della famiglia Ferrillo, un certo Giovanni Michele Ferrillo (che non sembra essere mai esistito), attribuendogli la commissione della cripta. Clara Gelao (1999), recuperando un’ipotesi di Nuccia Barbone Pugliese (1982, 179, nota 6), ha ritenuto l’iscrizione menzionata da Schulz e Bertaux come il frutto di un’erronea trascrizione dell’epigrafe murata nel campanile, datata 1555, in cui è citato il cardinale Saraceno.

Stemmi o emblemi araldici

Gli stemmi di Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa ricorrono nella decorazione della cripta.

Stemma Ferrillo: uno scaglione (rosso su campo d’oro) caricato in capo da tre stelle (d’oro in campo azzurro).

Stemma di Maria Balsa: inquartato; nel primo e nel terzo quarto è una testa di lupo; nel secondo e nel terzo quarto è una stella a 16 punte.

Elementi antichi di reimpiego

Fusti e basi delle colonne poste al centro della cappella.

Opere d'arte medievali e moderne

Sarcofago in marmo: collocato nella nicchia della parete di fondo all’interno di uno spazio voltato a botte, decorato con gli stemmi dei committenti. Il sarcofago potrebbe essere stato realizzato fuori dal cantiere della cripta e probabilmente a Napoli, capitale del Regno. Nuccia Barbone Pugliese (1982, 174) lo ha ricondotto alla bottega di Tommaso Malvito; Clara Gelao (1999, 232), accogliendo l’attribuzione di Francesco Abbate (1992, 17) lo ha ritenuto opera di Francesco da Milano.

Affreschi della volta: Luigi Gino Kalby (1975) ha attribuito gli affreschi al pittore lucano Giovanni Todisco di Abriola (documentato tra il 1545 e il 1566), ma secondo la Barbone Pugliese (1982) l’anonimo frescante di Acerenza rivelerebbe una cultura vicina a quella di Giovan Filippo Criscuolo. Anna Grelle Iusco (1981/2001) li ha datati al 1524, avvicinandoli invece al “Maestro di Barletta”. 

Quattro affreschi nelle pareti laterali, la cui paternità è stata variamente assegnata a Giovanni o a Girolamo Todisco (Kalby 1975, 58, nota 137; Gelao 1999, 238; Grelle Iusco 1981, 109; Grelle Iusco 1981/2001, 58, nota 137; Barbone Pugliese 1999, 178). Nella parete sinistra si susseguono (spalle all’entrata) Santa Margherita (o Marina d’Antiochia) e il drago e un’Adorazione dei Magi; sulla destra Sant’Andrea e San Matteo apostolo.

Storia e trasformazioni

Rimane aperta la questione dell’assetto iniziale dell’ambiente, e in particolare del vano absidale, nonché quella della destinazione delle reliquie di san Canio, essendo il sarcofago vuoto. Per tutte le testimonianze pertinenti alla cripta, utili a ricostruirne la storia, intrecciata con quella del “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Note

In origine si accedeva alla cripta da due rampe strette che fiancheggiavano lo scalone centrale, ascendente, che immetteva nel coro; la balaustra di recinzione del coro dava visibilità alla cripta dalla navata. A séguito di un restauro avvenuto negli anni cinquanta del Novecento, l’accesso alla cripta è stato garantito da due rampe all’altezza del transetto, che hanno ostruito i due portali d’ingresso della cappella. 

Fonti iconografiche
Piante e rilievi

Pianta della cripta pubblicata in Nuccia Barbone Pugliese 1982, 168.

Fonti/Documenti

10 agosto 1526: il testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo rappresenta la testimonianza più antica sulla cappella (Dentamaro 2011) – vd. “Fonti e documenti” nella scheda sul Cassone di San Canio.

 

27 novembre 1543: Santa Visita di Giovanni Michele Saraceno – vd. “Fonti e documenti” nella scheda sul Cassone di San Canio.

 

Per tutte le testimonianze successive pertinenti alla cripta, e spesso intrecciate con quelle inerenti al “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Bibliografia

Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, 17 e fig. 18.

 

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La Cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. III, 21, 1982, 168-182.

 

Bertaux 1897: Émile Bertaux, “I monumenti medievali della regione del Vulture”, supplemento a Napoli nobilissima, 6, 1897, XXIII.

 

Dentamaro 2011: Antonella Dentamaro, Ricerche su Jacopo della Pila e i suoi committenti, tesi di laurea magistrale (relatore prof. Francesco Caglioti), Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 2010-2011, 142 e nota 242.

 

Gelao 1999: Clara Gelao, “I lavori in Cattedrale nella prima metà del Cinquecento”, in La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, a cura di Pina Belli D’Elia e Clara Gelao, Venosa 1999, 232, 238.

 

Grelle Iusco 1981: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, Roma 1981, 109.

 

Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001, 263, nota di aggiornamento 74/3, e 271, nota di aggiornamento 83/1-2.

 

Kalby 1975: Luigi Gino Kalby, Classicismo e maniera nell’officina meridionale, Salerno 1975, 58, nota 137.

 

Lenormant 1883: A travers l’Apulie et la Lucanie. Notes de voyage par François Lenormant, I, Parigi 1883, 282.

 

Schultz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien von H.W. Schulz nach dem Tode des Verfassers, herausgegeben von Ferdinand von Quast, 2 voll., I, Dresden 1860, 316-319.

 

Terminio 1581: Marco Antonio Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli, in Venetia, 1581, cc. 26v-27r.

 

Ughelli 1659: Ferdinando Ughelli, Italia sacra [...], VII, Romae 1659, coll. 9-10, 96-97.

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SchedatoreBianca de Divitiis, Michela Tarallo
Data di compilazione20/05/2013 10:08:49
Data ultima revisione30/01/2017 12:19:47
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/403
OggettoAcerenza, seggio
Tipologiaedificio pubblico: sedile
Nome attualeAssociazione Nazionale Combattenti e Reduci
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

Le forme architettoniche e l'iscrizione in facciata riportano a una datazione di età aragonese. Il riferimento al regno di Ferrante, iniziato nel 1458, e alla demanialità della città, attestata fino al 1479 (Giustiniani 1797-1805, I, p. 28), attestate dallo stemma con iscrizione nella facciata, consentono di circoscrivere l’edificazione a questo intervallo di tempo.

Autore
Committente

Universitas di Acerenza.

Famiglie e persone
Descrizione

L'edificio consta di un solo vano coperto da volta a botte poggiante sui muri laterali. In facciata sono i resti tamponati di una grande arcata un tempo aperta, e ai lati due finestre trabeate probabilmente più tarde. Al di sopra del portale è una lapide in marmo con stemma e iscrizione.

Iscrizioni

In facciata, su lapide marmorea sotto lo stemma della città:

"[…]VETVS AC FLORIDA / [FI]DES ACHERON[N]TI/[N]A PER REGEM FER/[D]INANDUM COR/[O]NATA" (cfr. Orlandi 1770-1775, I, p. 4). 

Stemmi o emblemi araldici

In facciata è una lapide in marmo bianco con lo stemma della città sormontato da una corona e con iscrizione (cfr. supra, Iscrizioni).

Elementi antichi di reimpiego
Opere d'arte medievali e moderne
Storia e trasformazioni
Note
Fonti iconografiche
Piante e rilievi
Fonti/Documenti
Bibliografia

Giustiniani 1797-1805: Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, 10 voll., in Napoli, presso Vincenzo Manfredi, 1797-1805.

 

Lenzo 2014: Fulvio Lenzo, Memoria e identità civica. L'architettura dei seggi nel Regno di Napoli (XIII-XVIII secolo), Roma 2014.

 

Orlandi 1770-1775: Cesare Orlandi, Delle città d’Italia e sue isole adiacenti, 5 voll., in Perugia, nella stamperia Augusta presso Mario Riginaldi, 1770-1775.

Link esterni
SchedatoreFulvio Lenzo
Data di compilazione27/05/2013 15:34:49
Data ultima revisione22/01/2017 23:07:32
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/416
OggettoAcerenza, Cattedrale, altare del SS. Sacramento
Collocazione originaria
Materialepietra
Dimensioni
Cronologia1570
Autoreignoto scalpellino operante nel terzo quarto del XVI secolo
Descrizione

L’edicola è addossata alla parete di fondo del braccio sinistro del transetto della Cattedrale di Acerenza. Fu innalzata nel 1570, come si ricava dall’iscrizione che corre in alto, appena al di sotto della trabeazione.

Due pilastri, che poggiano su due dadi e che sostengono un’alta trabeazione, inquadrano un’arcata a tutto sesto impostata su pilastrini. Nella parete di fondo dell’edicola formata dall’arco è collocata una grande tavola, raffigurante su due registri sovrapposti il Compianto sul Cristo morto (nel basso) e l’Istituzione dell’Eucarestia. Su tutta la struttura architettonica si affastellano personaggi, temi e scene di ispirazione eucaristica, insieme ad un ricco repertorio decorativo.-

Iniziando dall’alto, la trabeazione, chiusa tra due plinti aggettanti sui quali sono raffigurati i busti dei Santi Pietro (a sinistra) e Paolo (a destra), presenta in successione, scolpite ad altorilievo e a figura intera, le quattro Virtù cardinali: Giustizia, Fortezza, Temperanza e Prudenza. Più sotto è l’archivolto, decorato da sei testine di cherubini la cui sequenza è interrotta, al centro, da una testa alata a tre facce, simbolo della Santissima Trinità. Negli spazi di risulta tra l’arco e la trabeazione si inseriscono due profeti: a sinistra è il profeta David, il quale srotola un cartiglio di cui mostra la scritta: COME/DETIS/ CARNES/ ET SATVR/ABIMINI/ PANIB(US) (“Mangerete le carni e sarete saziati di pani”; Esodo, cap. 16, v. 12); a destra compare invece l’anonimo profeta autore del Libro della Sapienza, che sfoggia un cartiglio con il versetto: PANEM/ CELI [sic] /DEDIT /EIS (“Ha dato loro un Pane del Cielo”; cap. 16, v. 20).

Se la lettura dei rilievi è fin qui chiara, meno perspicua è l’identificazione dei soggetti e degli episodi raffigurati nei pilastrini interni posti a sostegno dell’arcata, e in quelli esterni che reggono la trabeazione. Per quanto riguarda il pilastrino interno destro, partendo dal basso troviamo, entro ovali generati da un nastro che si avvolge su sé stesso: un mascherone, la Creazione di Adamo, la Creazione di Eva e la Tentazione di Adamo ed Eva (Mario Festa [1995] ha voluto interpretare il mascherone come “Dio creatore”, ma la l’identificazione, come puntualizzato da Clara Gelao [1999], è senz’altro da scartare, visto che la testa in questione è fornita di vistose corna). Sul lato sinistro, il pilastrino simmetrico sfoggia in sequenza, sempre partendo dal basso: il Sogno di Elia (secondo Festa) o “un riempimento di carattere grottesco, alla stregua del simmetrico mascherone” (secondo la Gelao); l’Istituzione dell’Eucarestia (? così propone il Festa, vedendovi una stilizzazione dell’Ultima Cena, e in particolare del momento in cui Gesù spezzò il pane per gli apostoli; anche la Gelao sembra accettare la lettura); l’Incontro con i discepoli ad Emmaus (? Festa - Gelao); un fiore a cinque petali (il Festa ha voluto vedervi il simbolo della Trinità, ma, come giustamente notato dalla Gelao, il concio di coronamento, che appare ritagliato, non sembrerebbe pertinente al pilatro originale).

Passando alle figurazioni scolpite sui pilastri esterni, la lettura data dalla Gelao sembra da prediligersi rispetto a quella offerta dal Festa. Mentre quest’ultimo ha voluto attribuire un significato a ciascun motivo decorativo presente sulla superficie dei due pilastri, la studiosa ha ritenuto che un riferimento eucaristico sia ravvisabile solo per le figurazioni scolpite nel tratto superiore dei pilastri (la Crocifissione a destra, e la Resurrezione a sinistra) e per pochi altri particolari, quali l’uva o le particole con i monogrammi YHS e MA (Gesù e Maria), attribuendo tutte le altre figurazioni alla fantasia tipica delle decorazioni “a grottesche”, che proliferano senza un preciso filo conduttore, e che, al contrario, esplodono quasi come “un gioco d’artificio fine a sé stesso”.

Nei dadi dei pilastri sono scolpiti due stemmi: a destra è riconoscibile lo stemma di Acerenza (sormontato da una corona ducale, con al centro due mani che si stringono, dalla cui unione spunta una rosa; non si scorgono qui le lettere “M. F.” [Maxima fides], che pure fanno parte dello stemma della città); a sinistra è quello che senza incertezze è riconosciuto come lo stemma di Sigismondo Saraceno, arcivescovo di Acerenza dal 1557 al 1585, e ritenuto per questo l’ideatore del programma iconografico.

In realtà l’identificazione dello stemma non appare convincente. Lo stemma dell’arcivescovo Sigismondo Saraceno, riportato (anche) da Ferdinando Ughelli (VII, 1659, col. 96) raffigura una testa di moro bendata, mentre qui, nel dado sinistro, è inciso un leone in atto di mangiare la coda controrivoltata. Quest’ultima è l’arme che, notoriamente, appartiene alla famiglia Pappacoda. Si potrebbe ipotizzare che la madre del vescovo appartenesse al casato dei Pappacoda (?): purtoppo le verifiche non hanno risolto questo piccolo enigma.

Immagine
CommittenteConfraternita del Santissimo Sacramento
Famiglie e persone
Iscrizioni

Sulla trabeazione:

ÆDICVLAM HANC PANI VIVO DICATAM CONFRATRVM ELEMOSINIS PIE ELARGITIS RECTORES EFFITIENDAM CVRAVERE. A. D. 1570.

 

Nei cartigli dei profeti posti nei pennacchi dell’arcata:

COME/DETIS/ CARNES/ ET SATVR/ABIMINI/ PANIB(US)  [profeta a sinistra]

PANEM/ CELI [sic] /DEDIT /EIS  [profeta a destra]

Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Festa, Ianniello 1995: L’edicola del SS. Sacramento nella Cattedrale di Acerenza, testi di don Mario Festa, disegni di Margherita Ianniello, Lavello 1995.

 

Gelao 1999: Clara Gelao, “La Cattedrale nella seconda metà del Cinquecento”, in La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, a cura di Pina Belli D’Elia e Clara Gelao, Venosa 1999, 250-271.

 

Ughelli 1659: Ferdinando Ughelli, Italia sacra [...], VII, Romae 1659, coll. 96-97.

Allegati
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SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione28/02/2015 14:18:40
Data ultima revisione09/02/2023 00:39:46
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/503
OggettoAcerenza, Cattedrale, busto
Materialepietra calcarea
Dimensionih: 68 cm; larghezza (base): 58 cm
Cronologia1510-1524
Autoreanonimo scultore locale attivo nel primo ventennio del XVI secolo
Descrizione

Il busto, in pietra calcarea, è scolpito in un unico blocco. Evidenti sono le tracce di erosione della superficie, senz’altro imputabili alla precedente collocazione. Infatti il pezzo, che oggi si conserva nel Museo del Duomo, fino all’inizio del secolo scorso si trovava in cima alla facciata della Cattedrale di Acerenza, dove ora è una croce (Bernabei, 1882; nell’articolo di Delbrück, del 1903, è attestata la sistemazione in facciata attraverso tre fotografie Moscioni).

Il tronco della figura è tagliato in maniera netta a metà delle braccia, che aderiscono al corpo. La parte posteriore del busto, solo sbozzata, è parzialmente cava.

Il personaggio, che dimostra all’incirca quaranta-cinquant’anni, è ritratto voltato alla propria sinistra. Il viso presenta un’impalcatura ossea robusta; la fronte è larga, le arcate orbitarie poco pronunciate, gli zigomi poco sporgenti. Gli occhi, il naso e la bocca presentano tratti e dimensioni regolari. Le guance e il collo, ad eccezione del mento, sono ricoperti da una barba folta, ottenuta attraverso l’impiego vistoso del trapano. La capigliatura, corta, segue le forme della calotta cranica, anch’essa piuttosto regolare; le ciocche che ricoprono la parte superiore del cranio sono a chiocciola, mentre quelle che scendono sulla fronte e sulle tempie, più accurate, sono allungate, a fiamma. Le due diverse tipologie di ciocche appaiono come divise dalla corona d’alloro, legata dietro alla nuca con un nodo, dal quale ricadono, libere, le due estremità.

L’abbigliamento è costituito da una corazza e da un mantello. La corazza, del tipo a scaglie, presenta spallacci in forma di piastre metalliche: quella di sinistra è ornata con un mascherone a rilievo; in quella di destra non vi è invece alcuna decorazione. La clamide, che attraversa il petto diagonalmente, si finge fermata con una fibbia piatta e rotonda sulla spalla sinistra.

A partire dal 1882 il busto è stato oggetto di numerose riflessioni, e i suoi studiosi si sono divisi seguendo essenzialmente tre orientamenti: c’è chi ha ritenuto il pezzo tardo-antico, chi lo ha considerato come opera di età federiciana e chi, in ultimo, ne ha proposto una datazione in epoca rinascimentale. Il dibattito non ha interessato soltanto la cronologia del manufatto ma anche l’identità del personaggio, che è stato variamente interpretato come Giuliano l’Apostata, san Canio (patrono della stessa Cattedrale), un imperatore romano (non identificato), san Pietro, Federico II di Svevia, fino ad arrivare ai meno inverosimili Galvano Lancia e Manfredi di Sicilia. Una sintesi delle diverse ipotesi avanzate dagli studiosi (vd. Fonti e documenti in questa scheda) è stata tracciata da Luigi Todisco (1986), il quale sembra aver fornito anche l’interpretazione più lucida e condivisibile del busto (sia per la cronologia che per l’identità del personaggio) tra tutte quelle che si sono avvicendate dall’Ottocento in poi. Ponendo l’accento sulla figura di Giacomo Alfonso Ferrillo conte di Muro Lucano, che si rese promotore insieme alla moglie Maria Balsa, entro il primo quarto del XVI secolo, di una significativa opera di ricostruzione della Cattedrale di Acerenza, Todisco, anche sulla base dei caratteri stilistici, ha proposto di identificare l’effigiato nello stesso Ferrillo, ipotizzando nel busto l’opera di un anonimo maestro lucano degli anni venti del Cinquecento.

In séguito al terremoto del 1456 il Duomo di Acerenza versava in condizioni disastrose; dal Liber piorum legatorum – 16 giugno 1559 – apprendiamo che i due coniugi finanziarono sia il rifacimento della chiesa superiore, quasi completamente rasa al suolo dall’ingresso fino al transetto, sia la realizzazione (ex novo) dell’intero Succorpo. Un’epigrafe incisa su un plinto della cripta permette di datare la fine di tutti i lavori (costati sedicimila ducati) al 1524. Nell’ambito del massiccio restauro rientrò anche la facciata della Cattedrale, nella quale ancora oggi può osservarsi, a suggello dell’impegno profuso dai committenti, lo stemma della famiglia Ferrillo, scolpito entro una lastra marmorea al di sopra del portale. Pur non pronunciandosi sulla fattura del busto, Nuccia Barbone Pugliese (1982) ha ipotizzato che esso fosse sistemato nel punto più alto del prospetto della Cattedrale in occasione di quei lavori condotti nei primi decenni del XVI secolo. Todisco, riagganciandosi alla Barbone Pugliese, e ricordando anche gli interventi sull’edificio patrocinati più tardi dall’arcivescovo Giovanni Michele Saraceno, riguardanti il campanile, e conclusisi nel 1555 (come attesta un’epigrafe ancora oggi nel prospetto della torre), ha tratto questa conclusione: “È del tutto verosimile, quindi, che la sistemazione della scultura [del busto] all’esterno della chiesa, nel luogo ove oggi è visibile una croce in pietra, sia avvenuta negli anni immediatamente successivi al 1524 quando fu portato a termine il rifacimento della facciata o, meno probabilmente, più tardi al massimo di un trentennio, in connessione con la ristrutturazione del campanile completata nel 1555” (Todisco, 1986, 49-50). Sempre Todisco, sulla base di tali presupposti, e in considerazione degli interessi antiquari del Ferrillo (comprovati dal Terminio e anche dalle scelte operate nella cripta), dell’analisi stilistica del busto, nonché dell’uso delle immagini di fondatori e benefattori laici nei prospetti delle chiese beneficate, uso attestato fin dal Medioevo, si è spinto ad ipotizzare che il busto possa rappresentare lo stesso Giacomo Alfonso Ferrillo, nelle vesti ideali di un imperatore romano o di un miles Parthenopeius (secondo una scelta iconografica ben precisa).

Alla ricostruzione offerta da Todisco, e alle conclusioni tratte dallo studioso, è possibile aggiungere qualche considerazione.

Il taglio del busto, insieme al fatto che esso è cavo nel retro (secondo una prassi solita, volta ad alleggerire il blocco), lascia supporre una collocazione del pezzo fin dalle origini leggermente “alta”; la forma “piatta” dell’opera e la natura sommaria e abbozzata del retro consentono di pensare a una sistemazione originaria all’interno di una nicchia.

È possibile immaginare il busto eseguito dalle stesse maestranze attive per Giacomo Alfonso Ferrillo nel Succorpo, e negli stessi anni (ante 1524) – come sembrerebbe dimostrare anche il dettaglio del mascherone sullo spallaccio sinistro della figura, motivo che si ripete all’interno della cripta –, ed è possibile pensare che esso fosse collegato fin dalle origini con la Cattedrale. Il Conte di Muro potrebbe aver commissionato un proprio ritratto idealizzato – da collocarsi all’interno del Duomo (chiesa superiore), entro una nicchia, accompagnato eventualmente da un’iscrizione –, allo scopo di perpetuare il proprio nome e di legarlo alla Cattedrale in qualità di suo “(ri)fondatore”/restauratore.

La morte di Giacomo Alfonso Ferrillo († 11 aprile 1530; vd. scheda sul sarcofago di San Canio) coincise quasi con l’elezione del nuovo arcivescovo di Acerenza e Matera (1531-1556) nella persona di Giovanni Michele Saraceno, il quale si pose per certi versi sulla stessa linea del Ferrillo, rendendosi promotore, come il Conte di Muro Lucano, di un programma teso a rivalutare il mondo classico e le antichità, essendo l’esecutore dei lavori del campanile e dei reimpieghi di spolia nelle sue cortine murarie. Egli detenne il governo della diocesi fino al 1556; con le sue dimissioni, in quell’anno, subentrò il nipote Sigismondo (1556-1585), appena ventiseienne.

A questo punto è necessario ricordare che i due arcivescovi Saraceno ebbero come stemma personale una testa di moro attortigliata (il primo inquartata con fasce, il secondo una testa di saraceno “pura”). E sembra di rilevare una certa ostentazione dello stemma, in particolare da parte di Sigismondo, nelle opere da lui commissionate e negli edifici di propria pertinenza. Basti pensare, a tal proposito, a questo esempio materano (Acerenza e Matera, come ricordato, appartenevano alla medesima diocesi): nell’architrave del portale della chiesa di Santa Maria della Palomba (che l’arcivescovo Saraceno aggregò al Capitolo della Cattedrale) sono scolpiti alcuni simboli arcivescovili (una mitra, un pastorale) e, insieme, una testa di moro a bassorilievo.

C’è da chiedersi, dunque, se la stessa volontà di ostentazione araldica da parte del Saraceno junior (e forse anche del Saraceno senior) non possa essere stata alla base di quell’operazione che avrebbe condotto il busto dall’interno all’esterno della Cattedrale, sul punto più alto della facciata. Una volta morto il Ferrillo, Giovanni Michele, oppure più verosimilmente il nipote Sigismondo (che avrebbe potuto operare dopo la morte anche di Maria Balsa), avrebbe provveduto a collocare il busto in facciata, rispondendo a una doppia esigenza: richiamare le origini antiche della città, ma soprattutto utilizzare il busto come elemento immediatamente riconoscibile del proprio casato. Insomma, c’è da chiedersi se il busto non possa essere diventato col tempo una sorta di versione “tridimensionale” dello stemma Saraceno. A quell’altezza, nessuno si sarebbe accorto della corazza, mentre la barba, i capelli e quella sorta di fascia in testa avrebbero potuto facilmente richiamare la testa di un moro, di un saraceno.

Immagine
CommittenteGiacomo Alfonso Ferrillo (?)
Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note

Il primo a considerare il busto è stato nel 1882 Felice Bernabei, che lo ritenne un ritratto di Giuliano l’Apostata (332-363 d.C.) sulla base di alcune iscrizioni onorarie (CIL, IX, 417, 419, 420), delle quali però solo una è riconducibile con certezza all’imperatore. Bernabei attestava inoltre la scultura sulla sommità della facciata della Cattedrale.

L’anno successivo François Lenormant interpretava quei blocchi calcarei iscritti come parte di basi di statue e collegava una delle iscrizioni dubbie con il busto, proponendo l’integrazione “IVLIANO”. Sulla base di questa considerazione riconosceva nel busto l’unica parte superstite di una statua marmorea di dimensioni colossali dedicata a Giuliano, del IV secolo d.C., che sarebbe stata posizionata nella facciata della chiesa durante il periodo medievale, quando il ritratto sarebbe stato identificato con l’effigie di san Canio, patrono di Acerenza e titolare della chiesa.

Nel 1901 Salomon Reinach e Gaetano Negri, e subito dopo Luigi Correra (1902) accettarono, seppur con qualche riserva, l’identificazione con l’Apostata; nello stesso periodo Etienne Michon evidenziava la diversità dei tipi monetali e delle immagini riferibili a Giuliano, retrodatando la scultura dalla tarda epoca imperiale a quella adrianea.

Nel 1903 Richard Delbrück spostò la datazione dell’opera dal periodo romano a quello medievale avanzato, considerandola come un prodotto della plastica dell’Italia meridionale del XIII secolo, confrontabile con i busti capuani della Porta di Federico II.

Se Friedrich Philippi e Julius Reinhard Dietrich (1903) cercarono di ripristinare la cronologia romana, Reinach (1903) optò per l’ipotesi medievale, anche se non federiciana. La datazione medievale fu ripresa anche da Émile Bertaux (1903), Adolfo Venturi (1904), Pietro Toesca (1927), Franz Kampers (1929) e Wolfgang F. Volbach (1930). Sempre nel 1903 Ernest Babelon ritenne il ritratto di epoca adrianea, come Michon (1901), ipotizzando tuttavia una sua manipolazione tra Medioevo e Rinascimento e una sua “estrazione” da una primitiva statua colossale.

Nel 1930 Roberto Andreotti adduceva nuovi argomenti a sostegno dell’identificazione del ritratto con l’Apostata e proponeva, sulla base dello stile, una datazione prossima al IV secolo d.C. La sua tesi sarebbe stata ripresa, anni dopo, da Nicola Forenza (1937), da Emilio Magaldi (1947) e da Ferdinando Bologna (1950).

Nel 1939 Harald Keller, seguito diversi anni dopo da Adriano Prandi (1953), avanzò l’ipotesi che il busto fosse composto da una testa tardoantica innestata su un busto medievale. Se Hans Wentzel (1955) lo riteneva opera del XIII secolo ispirata all’antico, nello stesso anno Guido von Kaschnitz-Weinberg ne precisò la datazione ad un periodo non anteriore al 1250, riconoscendovi un ritratto di Galvano Lancia, signore di Tolve (vicino Acerenza) e collaboratore di Manfredi. Kaschnitz-Weinberg fu anche l’unico a puntualizzare che il busto era stato spostato dalla sommità della facciata del Duomo in un locale dell’edificio.

Nel 1959 Klaus Wessel riconosceva nel busto il re Manfredi; nel 1962 Andreotti ribadiva l’identificazione con Giuliano; Pierre Lévêque (1963) vi vedeva un ritratto medievale; Bologna (1969) ritornava all’ipotesi di un pezzo antico rilavorato, trovando eco nel 1978 in Gian Lorenzo Mellini.

Nel 1972 Raissa Calza, nel datare la scultura al XIII secolo, pretese che il busto fosse stato collocato sulla facciata della chiesa nel 1504, e identificato con San Pietro.

Helmut Buschhausen (1974, 1978) vi riconobbe un’opera federiciana all’antica, soffermandosi sull’uso di quel periodo – anche in Italia meridionale – di collocare statue di laici all’esterno di edifici religiosi.

Carl Arnold Willemsen (1977) escluse l’identificazione con Federico, proponendo quella con Manfredi o Galvano Lancia.

A seguito della datazione di Clara Gelao (1982) al II-III secolo d.C., Nuccia Barbone Pugliese (1982) ha ipotizzato che il busto sia stato collocato in cima alla facciata della chiesa in occasione dei restauri d’inizio Cinquecento.

Nel 1986 Luigi Todisco ha riaperto la questione nei termini che vengono sostanzialmente accolti nel paragrafo “descrizione” di questa scheda. 

Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Alföldi 1962: Andreas Alföldi, “Some Portraits of Julianus Apostata”, American Journal of Archaeology, 66, 1962, 403.

 

Andreotti 1931: Roberto Andreotti, “L’iconografia dell’imperatore Giuliano”, Bullettino del Museo dell’Impero Romano, 2, 1931, 47-58.

 

Babelon 1903: Ernest Babelon, “L’iconographie monétaire de Julien l’Apostat”, Revue Numismatique, 7, 1903, 158-163.

 

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. 3, 21, 1982, 181, n. 19.

 

Belli D’Elia 1972: Pina Belli D’Elia, “Un nuovo documento federiciano a Bitonto”, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina 1972, I, 557, n. 9.

 

Bernabei 1882: Felice Bernabei, “Acerenza”, Notizie degli scavi di antichità, 1882, 383-385.

 

Bertaux 1903: Émile Bertaux, L’art dans l'Italie méridionale, Paris 1903, I, 326; II, 732.

 

Bologna 1950: Ferdinando Bologna, “Per una revisione dei problemi della scultura meridionale dal IX al XIII secolo”, in Sculture lignee della Campania, cat. mostra, Napoli 1950, 29.

 

Bologna 1969: Ferdinando Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, e un riesame dell’arte in età fridericiana, Roma 1969, 33.

 

Buschhausen 1974: Helmut Buschhausen, “Das Alterbildnis Kaiser Friedrichs II.”, Jahrbuch des Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, 70, 1974, 24.

 

Buschhausen 1978: Helmut Buschhausen, “Probleme der Bildniskunst am Hof Kaiser Friedrichs II.”, in Staufer Zeit. Geschichte Literatur Kunst, Stuttgart 1978, 233-236.

 

Calza 1972: Raissa Calza, Iconografia imperiale romana. Da Carausio a Giuliano (287-363 d.C.), Roma 1972, 377-378, n. 263.

Correra 1902: Luigi Correra, “Un ritratto autentico di Giuliano l'Apostata”, Emporium, 89, 1902, 400-402.

 

Delbrück 1903: Richard Delbrück, “Ein Porträit Friedrich's II. von Hohenstaufen”, Zeitschrift für bildende Kunst, 38, 1903, 17-21.

 

De Lorenzo 1906: Giuseppe De Lorenzo, Venosa e la regione del Vulture (la terra di Orazio), Bergamo 1906, 45-52.

 

Dietrich 1903: Julius Reinhard Dietrich, “Das Porträt Kaiser Friedrich's II. von Hohenstaufen”, Zeitschrift für bildende Kunst, 38, 1903, 246-255.

 

Fittschen 1985: Klaus Fittschen, “Sul ruolo del ritratto antico nell’arte italiana”, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore Settis, II, Torino 1985, 385.

 

Forenza 1937: Nicola Forenza, Giuliano l'Apostata, il pastorale e Urbano VI nella Cattedrale di Acerenza, Molfetta 1937, 3-13.

 

Grelle Iusco 1981: Anna Grelle Iusco, Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, Roma 1981, 26.

 

Gelao 1982: Clara Gelao, “Nuova ipotesi sul busto di Acerenza”, Basilicata, 4, 1982, 29-36.

 

Kampers 1929: Franz Kampers, Kaiser Friedrich II., der Wegbereiter der Renaissance, Leipzig 1929, 43-44.

 

Kaschnitz-Weinberg 1955: Guido von Kaschnitz-Weinberg, Bildnisse Friedrichs II. von Hohenstaufen, Römische Mitteilungen, 61-62 (1953-1954), 44-49.

 

Keller 1939: Harald Keller, “Die Entstehung des Bildnisses am Ende des Hochmittelalters”, Römisches Jahrbuch für Kunstgeschicte, 3, 1939, pp. 270-271.

 

Lenomart 1883: François Lenormant, A travers l'Apulie et la Lucanie. Notes de voyage, I, Paris 1883, 271-273.

 

Lévêque 1963: Pierre Lévêque, "De nouveaux portraits de l’empereur Julien", Latomus, 22, 1963, 79.

 

Magaldi 1947: Emilio Magaldi, Lucania romana, I, Roma 1947, 323-324.

 

Mellini 1978: Gian Lorenzo Mellini, “Appunti per la scultura federiciana”, Continuità, 179, 1978, 253, n. 28.

 

Michon 1901: Etienne Michon, "La prétendue statue de Julien l'Apostat au Musée du Louvre", Revue Archéologique, s. III, 39, 1901, 258-265.

 

Molajoli 1934: Bruno Molajoli, “Una scultura frammentaria di Castel del Monte”, Bollettino d’Arte, s. 3, 28, 1934, 122.

 

Negri 1901: Gaetano Negri, L’imperatore Giuliano l'Apostata. Studio storico, Milano 1901, XV-XX.

 

Philippi 1903: Friedrich Philippi, “Das Porträt Kaiser Friedrich's II”, Zeitschrift für bildende Kunst, 38, 1903, 86.

 

Picard 1934: Ch. Picard, “Bulletin archéologique”, in Revue des Études Latines, 12, 1934, 204, nota 9.

 

Picard 1935: Ch. Picard, “Bulletin archéologique”, in Revue des Études Latines, 13, 1935, 170.

 

Prandi 1953: Adriano Prandi, “Un documento d’arte federiciana. Divi Friderici Caesaris imago”, Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, n.s., 2, 1953, 289-291.

 

Ranaldi 1964: Francesco Ranaldi, L’archeologia del Potentino, in AA.VV., Basilicata, Milano 1965, 96-99.

 

Reinach 1901: Salomon Reinach, “Un portrait authentique de l’Empereur Julien”, Revue Archéologique, 38, 1901, 350-355.

 

Reinach 1903: Salomon Reinach, “Le buste d’Acerenza”, Revue Archéologique, s. IV, I, 1903, 279. 

 

Terminio 1581: Marco Antonio Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli, in Venetia, 1581, cc. 26v-27r.

 

Todisco 1986: Luigi Todisco, “Il busto della Cattedrale di Acerenza”, Xenia Antiqua, 12, 1986, 41-64.

 

Toesca 1927: Pietro Toesca, Il Medioevo, II, Torino 1927, 905.

 

Venturi 1904: Adolfo Venturi, Storia dell'arte italiana, III, Milano 1904, 539-540.

 

Wentzel 1955: Hans Wentzel, “Antiken-Imitationen des 12. und 13. Jahrhunderts in Italien”, Zeitschrift für Kunstwissenschaft, 9, 1955, 32-33.

 

Wessel 1959: Klaus Wessel, “Bildnisse des Königs Manfred von Sizilien?”, Staatliche Museen zu Berlin, Forschungen und Berichte, 2, 1958, 47.

 

Willemsen 1977: Carl Arnold Willemsen, Die Bildnisse der Staufer, Göppingen 1977,28-29.

 

Wolbach 1930: Wolfgang F. Volbach, Die Bildwerke des Kaiser-Friedrich-Museums. Mittelalterliche Bildwerke aus Italien und Byzanz, Berlin-Leipzig 1930,70.

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SchedatoreBianca de Divitiis, Francesco Caglioti e Michela Tarallo
Data di compilazione22/05/2013 13:42:29
Data ultima revisione30/01/2017 15:53:21
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/247
OggettoAcerenza, Cattedrale, cripta, affreschi alle pareti laterali
Collocazione originaria
Materialeaffresco
Dimensioni
Cronologia
Autore(assegnati dalla critica a Giovanni o a Girolamo Todisco)
Descrizione

I quattro affreschi, dipinti alle pareti laterali della Cripta Ferrillo nella Cattedrale di Acerenza, appaiono difficilmente giudicabili a causa delle precarie condizioni in cui ci sono pervenuti. Essi sono stati assegnati da Luigi Gino Kalby (1975, 58, nota 137) e da Clara Gelao (1999, 238) a Giovanni Todisco di Abriola (o Giovanni Sabatani), fecondo pittore lucano attivo negli anni centrali del Cinquecento.

Anna Grelle Iusco (1981, 109; 1981/2001, 271, nota di aggiornamento 83/1-2) ha voluto riconoscervi invece lo stile di Girolamo Todisco, figlio o nipote di Giovanni, che operò nei primi decenni del Seicento, anche nel Materano.

Sulla stessa scia si è posta Nuccia Barbone Pugliese (1999, 178), che ha proposto di attribuirli “a quei frescanti di cultura attardata, operanti agli inizi del ’600 in Basilicata”.

Nella parete sinistra si susseguono (spalle all’entrata) Santa Margherita (o Marina d’Antiochia) e il drago e un’Adorazione dei Magi; sulla destra Sant’Andrea e San Matteo apostolo.

Immagine
Committente
Famiglie e persone
Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note

Sulla base di una santa visita reperita presso l’Archivio diocesano di Acerenza, Nuccia Barbone Pugliese riporta la notizia secondo cui l’affresco raffigurante San Matteo e quello con l’Adorazione dei Magi furono ridipinti e sostituiti rispettivamente con un San Martino e un San Nicola intorno al 1650, quando gli altari cambiarono patronato (Barbone Pugliese 1982, 178 e nota 42). Gli attuali soggetti sarebbero stati riscoperti, come scrive la studiosa, solo alla fine del Novecento. Purtroppo non è stato possibile effettuare tale controllo archivistico e leggere la Visita in questione, a cura dell’arcivescovo Giovan Battista Spinola.

Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La Cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. III, 21, 1982, 168-182 (in partic. 178).

 

Gelao 1999: Clara Gelao, “I lavori in Cattedrale nella prima metà del Cinquecento”, in La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, a cura di Pina Belli D’Elia e Clara Gelao, Venosa 1999, 238.

 

Grelle Iusco 1981: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, Roma 1981, 109.

 

Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001, 271, nota di aggiornamento 83/1-2.

 

Kalby 1975: Luigi Gino Kalby, Classicismo e maniera nell’officina meridionale, Salerno 1975, 58, nota 137.

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SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione26/01/2017 01:45:53
Data ultima revisione28/01/2017 15:38:12
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/684
OggettoAcerenza, Cattedrale, cripta, affreschi della volta
Collocazione originaria
Materialeaffresco
Dimensioni
Cronologiaanni venti del Cinquecento
Autoreanonimo pittore del primo Manierismo meridionale
Descrizione

Essendo stata scavata in uno spazio in qualche modo delimitato, al di sotto del preesistente presbiterio della Cattedrale di Acerenza, la Cripta Ferrillo non poté svilupparsi in altezza, ma la decorazione pittorica del soffitto pare superare abilmente tale limite. La copertura, a crociera, si articola in nove piccole volte ribassate affrescate da un anonimo pittore del primo Manierismo meridionale. Su uno sfondo azzurro, e all’interno di finte cornici, campeggiano entro medaglioni “scorciati” le mezze figure dei quattro Evangelisti, dei Padri della Chiesa e quelle dei fondatori degli ordini francescano e domenicano (per l’appunto, San Francesco e San Domenico), accompagnate dai teologi Sant'Antonio e San Tommaso. Al di sopra dell’architrave, tutt’intorno, corrono le figure a metà degli Apostoli. Si tratta di una decorazione eseguita ad affresco e con la tecnica del monocromo (o grisaglia), ad imitazione del marmo: una scelta che riflette da un lato la volontà di armonizzare, con una certa eleganza e gusto, la decorazione del soffitto a quella delle pareti (in pietra calcarea), e che dall’altra tradisce l’ispirazione al modello napoletano (cioè al Succorpo di San Gennaro, con il ricchissimo soffitto in marmo), tradotto, qui ad Acerenza, in una tecnica meno dispendiosa, che simula soltanto la scultura.

Luigi Gino Kalby (1975) ha attribuito gli affreschi al pittole lucano Giovanni Todisco di Abriola (documentato tra il 1545 e il 1566), ma secondo Nuccia Barbone Pugliese (1982) l’anonimo frescante di Acerenza rivelerebbe una cultura vicina a quella di Giovan Filippo Criscuolo. Rintracciando riscontri puntuali nelle tavole del soffitto della Cappella dell’Immacolata nell’Annunziata di Gaeta, opera firmata nel 1531 da Giovan Filippo Criscuolo, la studiosa ha ipotizzato che l’autore degli affreschi acheruntini conoscesse direttamente i dipinti del Criscuolo o che avesse operato nella bottega del maestro nativo di Gaeta. Anna Grelle Iusco (1981/2001) li ha datati al 1524, avvicinandoli invece al “Maestro di Barletta”. 

Immagine
CommittenteGiacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa, conti di Muro Lucano
Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo

Maria Balsa (Del Balzo)

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La Cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. III, 21, 1982, 168-182 (in partic. 177-178).

 

Barbone Pugliese 1995: Nuccia Barbone Pugliese, “La Cripta della Cattedrale”, in Acerenza, a cura di Antonio Vaccaro, Venosa 1995, 49-64 (in partic. 63-64).

 

Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001, 263, nota di aggiornamento 74/3, e 271, nota di aggiornamento 83/1-2.

 

Kalby 1975: Luigi Gino Kalby, Classicismo e maniera nell’officina meridionale, Salerno 1975, 58, nota 137.

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SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione01/03/2015 13:40:01
Data ultima revisione26/01/2017 09:35:21
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/504
OggettoAcerenza, Cattedrale, frammento di parasta
Collocazione originaria
Materialepietra calcarea
Dimensionih: 67,5 cm; larg.: 34,5 cm circa; profondità: 21 cm circa
Cronologiaprimo quarto del XVI secolo (ante 1524)
Autoreignoto (stessi maestri scalpellini che hanno lavorato nella cripta della chiesa)
Descrizione

Questo frammento di parasta, adibito a leggio in una data imprecisabile, si trova all’interno della Cattedrale di Acerenza. La decorazione, con forme vegetali e figure animali, scolpita soltanto su una faccia del pezzo, rivela l’appartenenza di quest’ultimo alla cripta della chiesa. Evidentemente siamo di fronte a quel che rimane di una parasta destinata inizialmente alla cripta e poi rimasta inutilizzata. I caratteri stilistici del frammento, che trovano un confronto diretto con le decorazioni che incrostano le pareti e i plinti delle colonne della cripta, consentono una datazione del frammento agli stessi anni di realizzazione del Succorpo (primo quarto del XVI secolo – ante 1524 [data della fine dei lavori nello spazio ipogeo seminterrato]).

Immagine
CommittenteGiacomo Alfonso Ferrillo e Maria del Balzo (o Balsa), conti di Muro Lucano
Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo, conte di Muro e signore di Acerenza

Maria Balsa, moglie di Giacomo Alfonso Ferrillo

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia
Allegati
Link esterni
SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione29/05/2013 17:04:29
Data ultima revisione26/01/2017 18:32:56
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/271
OggettoAcerenza, Cattedrale, pala della Deposizione
Collocazione originaria
Materialeolio su tavola
Dimensioni
Cronologiaanni '60 del '500 (ante 1570)
AutoreAntonio Stabile
Descrizione

La pala, attribuita al pittore lucano Antonio Stabile, è collocata all’interno dell’edicola marmorea eretta dalla Confraternita del SS. Sacramento nel 1570 e posizionata nella parete di fondo del braccio sinistro del transetto della Cattedrale di Acerenza.

A ben vedere, ci troviamo di fronte a due tavole dipinte giustapposte (manomissione avvenuta forse nell’Ottocento? Si veda al riguardo Clara Gelao 1999, alla quale si rimanda anche per la storia critica dell’opera), raffiguranti una Deposizione (nel basso, a pieno campo) e un’Ultima Cena (entro una tavola centinata). Le due tavole appaiono legate all’Altare del SS. Sacramento sul piano tematico, e dunque sembra ragionevole che anch’esse (o potremmo dire anch’essa, trattandosi di una pala ‘unica’), così come l’altare entro cui sono inquadrate, furono commissionate dalla Confraternita del SS. Sacramento.

Com’è stato già osservato (Gelao 1999, 268; Villani s.d., 1-2), lo stile dell’opera richiama fortemente la Deposizione eseguita dallo Stabile nel 1569 per il polittico della SS. Trinità di Tramutola, in provincia di Potenza (polittico replicato con piccole varianti anche nella tavola di uguale soggetto oggi nel Museo provinciale di Potenza). Ciò indicherebbe il ricorso, da parte dell’artista, agli stessi cartoni preparatori per opere di identico soggetto. Proprio il legame con il polittico di Tramutola potrebbe suggerire, – osservandone la parte centrale –, l’impaginazione primitiva dei due soggetti acheruntini (Compianto e Ultima Cena). In origine essi dovevano forse essere separati da una cornice intermedia, oltre che perimetrale, ed è possibile che siano stati assemblati nella forma attuale al momento dell’erezione della mensa sottostante, ottocentesca, in marmi policromi. Il posizionamento del ciborio, al di sopra della mensa, potrebbe aver reso necessaria la sopraelevazione della pala e, contestualmente, la rimozione della cornice (la stessa ipotesi è stata avanzata da Clara Gelao [1999]).

Come nel polittico di Tramutola, anche nel dipinto di Acerenza ritornano le espressioni languide dei dolenti, bloccati in una drammaticità contenuta e introversa. Il dipinto appare permeato da un’atmosfera di fissità e ‘sospensione’, amplificata sia dall’uso del colore (‘metallico’ in certi punti, e steso adoperando tinte giustapposte, come se si trattasse di una vetrata) sia da uno scarso rigore prospettico.

Immagine
CommittenteConfraternita del Santissimo Sacramento
Famiglie e persone
Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici
Note

La tavola conserva, lungo il margine inferiore, uno spezzone della cornice originale, in legno intagliato e dorato.

Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Gelao 1999: Clara Gelao, “La Cattedrale nella seconda metà del Cinquecento”, in La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, a cura di Pina Belli D’Elia e Clara Gelao, Venosa 1999, 250-271 (in partic. 263-268).

  

Miraglia 1992: Antonella Miraglia, Antonio Stabile. Un pittore lucano nell'età della Controriforma, Potenza 1992, 39-43.

 

Villani s.d.: Rossella Villani, “L’attività di Antonio Stabile negli anni Settanta”, in Conoscere la Basilicata. Pittura Murale in Basilicata, a cura di Rosa Villani: www.old.consiglio.basilicata.it/conoscerebasilicata/cultura/pittura/pittura.asp

 

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SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione25/01/2017 11:53:58
Data ultima revisione25/01/2017 16:02:05
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/683
OggettoAcerenza, Cattedrale, polittico della Madonna del Rosario
Materialeolio su tela
Dimensioni
Cronologia1583
AutoreAntonio Stabile
Descrizione

Il maestoso polittico, collocato nel transetto destro della Cattedrale di Acerenza, reca nel centro una grande tela raffigurante la Madonna del Rosario, circondata da quindici riquadri con i Misteri del Rosario e sormontata da un timpano con la tradizionale iconografia della SS. Trinità (di autore ignoto). La Madonna, assisa su un trono a baldacchino, regge con il braccio destro il Bambinio, su di lei seduto, mentre con l’altra mano dona la corona del Rosario a San Domenico, ritratto genuflesso ai suoi piedi (alla destra dell’osservatore). Sull’altro lato, specularmente, pure inginocchiato, è San Tommaso d’Aquino. In alto due cherubini reggono la corona della Vergine e recano coroncini di rosari; in basso, si intravvede una folla di fedeli adoranti. Il polittico conserva la sua carpenteria in legno dorato e intagliato, formata da due colonne tortili che sorreggono in alto il timpano e poggiano su uno zoccolo ligneo, alle cui estremità sono dipinti lo stemma della città (sulla sinistra) e quello dell’arcivescovo Saraceno (sulla destra).

L’opera, che è datata 1583, è ascritta solidamente al pittore Antonio Stabile (Miraglia 1992).

Immagine
CommittenteL'Universitas di Acerenza e l'arcivescovo Sigismondo Saraceno.
Famiglie e persone
Iscrizioni

In alto, sotto il timpano, corre l’iscrizione:

"DEIPARAE VIRGINI SACRATIS(SIMI) ROSARI IMAGINEM SIC ORNATV DECORE CONFRAT. SOTIETAS [sic] COM. AERE ADDIXIT".

 

In basso, al centro della tela: 1583

Stemmi o emblemi araldici

Nella cornice, in basso, alle estremità sinistra e destra compaiono rispettivamente gli stemmi della città di Acerenza (sormontato da una corona ducale, con al centro due mani che si stringono, dalla cui unione spunta una rosa) e dell’arcivescovo Sigismondo Saraceno.

Note
Fonti iconografiche
Fonti e documenti
Bibliografia

Grillo 1995: Antonio Grillo, Percorsi di una Cattedrale. 1444-1995, Lavello 1995, 28.

 

Miraglia 1992: Antonella Miraglia, Antonio Stabile. Un pittore lucano nell'età della Controriforma, Potenza 1992, 120.

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SchedatoreMichela Tarallo
Data di compilazione29/09/2015 01:39:27
Data ultima revisione24/01/2017 20:00:46
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/547
OggettoAcerenza, Cripta Ferrillo, cassone di San Canio
Collocazione originaria
Materialemarmo
Dimensionilarg.: cm 201 (senza zoccolo: cm 198); h sarcofago: cm 59,5; h coperchio: cm 30; profondità: cm 63-64
Cronologiaante 1524
Autoreambito di Francesco di Cristoforo da Milano
Descrizione

Nella parete di fondo della cripta della Cattedrale di Acerenza, in asse con l’ingresso, un angusto vano quadrangolare, che funge come da piccola abside dell’intero ambiente, custodisce, quasi come uno scrigno, un grande sarcofago di marmo, tradizionalmente conosciuto come “cassone di San Canio”. È infatti qui che si ritiene fosse un tempo conservato il corpo del santo martire Canio o Canione, patrono di Acerenza e di Calitri, nonché titolare, insieme alla Vergine assunta, della Cattedrale di Acerenza.

La storia del sarcofago sembrerebbe dunque strettamente intrecciata a quella delle sacre spoglie e legata all’assetto originario della cripta, la cui forma attuale non corrisponde a quella primitiva (cfr. Gelao 1999).

Clara Gelao nel 1999 ha raccolto in un saggio tutte le più antiche testimonianze da lei rintracciate riferibili alla sepoltura di san Canio; alle voci messe insieme dalla studiosa se ne aggiungono qui altre (vd. Cronologia in questa scheda). Anche alla luce della nuova documentazione permangono però alcune questioni irrisolte.

La Gelao ha indicato come “la più antica” attestazione sul Succorpo e sulla sepoltura del santo quella contenuta nella santa visita compiuta il 27 novembre 1543 da Giovanni Michele Saraceno, arcivescovo di Acerenza e Matera, ma il ritrovamento del testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo (10 agosto 1526; vd. qui Fonti e documentiad annum) consente di anticipare quella data di 17 anni, arrivando in definitiva quasi all’anno di esecuzione del Succorpo stesso. Non si parla delle spoglie di san Canio, ma il documento risulta interessante per altre ragioni. Innanzitutto nell’atto è detto esplicitamente che a quella data la cripta, di cui il secondo Conte di Muro fu committente insieme alla moglie, era ultimata; inoltre apprendiamo che il Ferrillo esprimeva la volontà di essere sepolto “ante aram subcorporis”. La precisazione, fatta dal Ferrillo di proprio pugno, consente di stabilire che il Succorpo fu dotato di un altare fin dalle origini. Non sappiamo a chi fosse dedicato tale altare, ma dalla visita pastorale del 1590 (vd. Cronologia) risulta che esso fosse tra i tre altari più importanti della Cattedrale (insieme all’altar maggiore, dedicato a San Canio, e all’altare di San Mariano, nella cappella centrale del deambulatorio). Questo dato, insieme alle numerose testimonianze esplicite che si rincorrono a partire dal 1650, lascerebbe aperta l’ipotesi che l’unico (? vd. Cronologia, 1853) altare marmoreo della cripta fosse fin dall’inizio dedicato sempre a san Canio, sotto la cui protezione evidentemente desiderava porsi il Ferrillo, in perfetta analogia con l’esempio del cardinale Oliviero Carafa e del Succorpo del Duomo di Napoli, cui la cripta di Acerenza si rifà anche strutturalmente (a Napoli è palese il binomio “committente” [Carafa] - “Santo” [Gennaro, anche in quel caso patrono della città]).

La casistica insegna come l’espressione “ante aram”, in casi del genere, ovvero riferita al luogo di seppellimento, e in presenza di una cappella o comunque di un vano circoscritto, indichi perlopiù una sistemazione terragna per il defunto, ai piedi dell’altare. Ammettendo una sepoltura pavimentale per il Ferrillo, si potrebbe dunque concludere che il sarcofago fu pensato fin da subito come contenitore delle reliquie di san Canio, oppure, più verosimilmente, come suo cenotafio. Infatti, nonostante che nella fronte e nel coperchio siano scolpiti gli stemmi Ferrillo e Del Balzo (ramo di Montenegro), il sarcofago esibisce con insistenza anche i simboli dell’autorità arcivescovile. Superata l’erronea convinzione che il sarcofago fosse commissionato da un Giovanni Michele Ferrillo vescovo (mai esistito), allo stato attuale delle conoscenze la soluzione più plausibile sembra quella qui proposta.

La carenza delle fonti documentarie lascia aperto il problema topografico del sarcofago, e ciò a maggior ragione perché la piccola abside in cui esso è inserito è, con evidenza, frutto di uno o più interventi che ne hanno modificato il primitivo assetto.

Nella fronte del sarcofago, al centro, due spiritelli stanti e vestiti affiancano lo stemma Ferrillo, circondato da una folta corona fogliacea, arricchita con bacche, ghiande e pigne; dagli stessi spiritelli si diparte, a destra e a sinistra, con cadenza ritmica, un festone vegetale che viene sollevato da due putti apteri e nudi angolari (uno per ciascun angolo). I due segmenti di festone fanno da appoggio a due coppie di figure maschili stanti e abbracciate, ciascuna delle quattro recante un’insegna arcivescovile: pastorale, mitria e croce astìle, cui viene aggiunta una cornucopia. Le due figure al di sopra dello spezzone di festone sinistro sembrano richiamare, sia perché nude, sia nell’aspetto più infantile dei volti e dei corpi, gli spiritelli angolari del sarcofago; la coppia al di sopra dello spezzone destro richiama invece nell’abbigliamento (un sottile peplo smanicato e arricciato in vita) e nell’aspetto più adulto dei volti e dei corpi i due spiritelli centrali reggistemma. Ciò che non è rispettato, in questa sorta di curiosa ripetizione, è la riproduzione delle ali, variata, sembrerebbe di proposito, nelle due coppie di creature angeliche (una volta con ali e una volta senza). I due putti che reggono lo stemma, la corona in cui questo è racchiuso, i festoni e i due putti angolari sono scolpiti ad altorilievo.

La collocazione dell’urna non permette di verificare immediatamente cosa sia scolpito nei fianchi. Nuccia Barbone Pugliese (1982) ha scritto che “la decorazione si sviluppa, ma con minor impegno, anche sui lati corti, dove è scolpito solo a metà un grosso fiore umbonato”: e questa osservazione si può precisare qui aggiungendo che la metà scolpita di ciascun fiore è quella verticale di ogni fianco verso il fondo, mentre la metà anteriore risulta non solo non scolpita, ma curiosamente senza alcun rilievo e scabra.

Il coperchio a spioventi del sarcofago è oggi posto su di esso con un lieve ma fastidioso decentramento verso destra, tale da far venire sulle prime il sospetto, infine del tutto ingiustificato, che esso non sia nato per l’urna attuale. Su di esso compaiono entro tre clipei, alternati a motivi a candelabre, gli stemmi Ferrillo (al centro) e Balsa (ai lati), scolpiti a sottosquadro. I due clipei estremi della lastra, tagliati a metà sia a sinistra che a destra, ospitano invece nel campo un grande fiore per ciascuno. Alla testata sinistra – pressoché invisibile – di tale copertura è scolpita grossamente una corona di alloro con nastri pendenti in basso: e si può supporre ragionevolmente che lo stesso partito si trovi alla testata destra, oggi non verificabile per l’assoluta mancanza di spazio tra essa e il muro contiguo della scarsella.

Come già notato dalla Barbone Pugliese, il coperchio e il sarcofago sono lavorati solo nella metà anteriore: ciò suggerisce che fin dall’inizio il sarcofago fosse “addossato ad una struttura e posto ad un’altezza tale da poterne apprezzare soltanto la parte anteriore e, forse, parte delle facce laterali”.

Come pure è stato detto, il sarcofago rivela la cultura antiquaria del committente (Marco Antonio Terminio dipinse il Ferrillo come un “cavaliero di gentilissimi costumi, affabile, huomo di bona legge, e più che mediocremente letterato, e grandissimo antiquario”; 1633, 86). Non solo l’intera impostazione figurativa, ma vari singoli dettagli comprovano gli interessi archeologici del Ferrillo, che dobbiamo immaginare direttamente coinvolto e partecipe nella scelta dei temi e del repertorio figurativo da impiegare nella cassa come pure nell’intero Succorpo. Il motivo della piccola basetta al di sopra dei festoni, pronta ad accogliere figurette minori, si ritrova, insieme all’impianto figurativo, nel Sarcofago di Caius Bellicus Natalis Tebanianus, che è il più antico sarcofago romano databile con una certa esattezza (87-110 d.C.; Camposanto monumentale di Pisa; famiglia De Natale Sifola), o ancora, ad es., nel sarcofago marmoreo di epoca adrianea (117-138 d.C.), ritrovato in Via Labicana a Roma, e attualmente nel Museo Nazionale della Capitale (n. inv. 106429), e in quello del Louvre con il mito di Atteone.

Diversamente dalle sculture della cripta, eseguite in loco da maestranze locali, è probabile che l’opera, anche per la sua importanza, fosse commissionata a Napoli e qui realizzata da uno scultore “di non comuni capacità, che nella plastica cupa e sontuosa delle corone e dei festoni, nell’espressività ridente e birichina degli spiritelli contrapposta alla severa classicità degli angeli, nei morbidissimi trapassi chiaroscurali delle vesti [...], mostra di padroneggiare il repertorio figurativo classico in un’accezione schiettamente «lombarda»” (Gelao 1999, 231). È palese uno scarto qualitativo tra i rilievi del sarcofago e quelli della cripta, che denotano un linguaggio più rozzo e artigianale. Inoltre non è da sottovalutare la notizia che Giacomo Alfonso Ferrillo nel 1526 risiedeva a Napoli (“in platea ditta de Vico Frigido, regionis sedilis Montanee, civitatis Neapolitane”; Dentamaro 2011, 142).

Nuccia Barbone Pugliese ha ritenuto il “cassone di San Canio” un prodotto della bottega malvitesca (Barbone Pugliese, 1982, 174). Successivamente Francesco Abbate (1992, 33 nota 65) ha proposto di assegnare l’opera a Francesco di Cristoforo da Milano (figura ancora non del tutto chiara), ravvisando una vicinanza tra il sarcofago in esame e il sedile funerario di Jacopo Rocco nella chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli (1992, 17 e fig. 19). Clara Gelao, accogliendo l’attribuzione di Abbate, ha voluto accostare i putti dell’urna Ferrillo a quelli reggifestone che compaiono nel riquadro frontale inferiore destro dell’Altare Miroballo in San Giovanni a Carbonara (sempre a Napoli), riquadro pure attribuito da Abbate (1992, 17 e fig. 18) a Francesco da Milano. I putti di Acerenza, tuttavia, sembrano discostarsi dalla maniera di questi due esempi specifici. 

Immagine
CommittenteGiacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa, conti di Muro Lucano
Famiglie e persone

Giacomo Alfonso Ferrillo († post 1526, ante 1530): figlio di Matteo Ferrillo, I conte di Muro, e di Maria Anna de’ Rossi. Suoi fratelli furono Ferdinando, Giovanni Antonio, Diana (moglie di Barnaba Caracciolo dal 1488) e Clemenza (che sposò nel 1491 Giovanni Antonio Poderico). Morti prematuramente sia Ferdinando che Giovanni Antonio, l’eredità di Matteo Ferrillo passò a Giacomo Alfonso. Quest’ultimo sposò Maria Balsa, dalla quale ebbe tre figli: Guglielmo, premorto al padre (Della Marra 1641, 78, 276-277), Isabella (che sposò Luigi Gesualdo) e Beatrice (che sposò Ferrante Orsini).

 

Maria Balsa († 16 giugno 1559): figlia di Goiko (o Coico) Balsic, signore di Misia, e di Comita Comnico. Ebbe due fratelli maschi, morti in Ungheria. Le notizie su di lei provengono, sembrerebbe, da una fonte attendibile, essendo a lei contemporanea: Giovanni Musachi 1510 (ed. Hopf 1873, 270-340). La data di morte si ricava dal Liber piorum legatorum del 1559 presso l’Archivio diocesano di Acerenza (cfr. Barbone Pugliese, 1982, 181, nota 18).

Su san Canione (oltre alle fonti già citate in Fonti e documenti):

Cioffari 1997, 5-10.

Vuolo 1995.

www.santiebeati.it/dettaglio/90990

Iscrizioni
Stemmi o emblemi araldici

Stemma Ferrillo: uno scaglione (rosso su campo d’oro) caricato in capo da tre stelle (d’oro in campo azzurro).

Stemma di Maria Balsa (è lo stemma della famiglia dei Balsichi o Balsidi, ovvero Balsic-Balsa, ramo montenegrino dei Del Balzo): inquartato; nel primo e nel terzo quarto è una testa di lupo; nel secondo e nel terzo una stella a 16 punte.

Note

La qualità dell’opera appare compromessa dal cattivo stato di conservazione in cui essa ha a lungo versato. A tal proposito si può ricordare che, a causa del colore verdastro assunto dal marmo per l’umidità, François Lenormant, nel 1883, credette che il sarcofago fosse in bronzo, e lo attribuì a Giovanni da Nola, all’epoca uno dei pochi nomi di spicco riemergenti nel panorama scultoreo napoletano (“Par-dessous règne une crypte qu’ont fait refaire et décorer en 1523 Giacomo Alfonso Ferrillo, comte de Muro, et sa femme Marie de Baux. C’est une œuvre exquise comme architecture et comme sculpture. Les ornements en grotteschi couvrant les voûtes et les pilastres, les chapiteaux des colonnes et surtout le beau bas-relief de bronze placé au-dessus de l’autel, ont la grâce pleine de morbidesse, la suavité charmante et la souple élégance de Giovanni da Nola” (I, 1883, 282).

Fonti iconografiche
Fonti e documenti

Si riportano di séguito le testimonianze note e quelle rintracciate in occasione della compilazione di questa scheda, relativamente al Succorpo, alle spoglie di san Canio e agli altari dedicati al santo all’interno della Cattedrale di Acerenza.

Accanto alle date si precisa, entro parentesi quadre, le testimonianze che integrano la bibliografia precedente (Gelao-Barbone Pugliese).

 

10 agosto 1526. [testimonianza nuova] Giacomo Alfonso Ferrillo, alla presenza del notaio Giovanni Battista Romano di Napoli, compila “de sua mano” il proprio testamento. Da esso apprendiamo che il Conte di Muro stabiliva di essere sepolto nel Succorpo di Acerenza (“ante aram”), a quella data – come viene esplicitamente detto – già ultimato:

“[...] cuicumque Acherontina civitas obvenerit, subcorpus seu sacellum sub maiori ara ecclesie completo proque missa qualibet die ibi celebranda quatuor sacerdotibus singulis ducatos duodecim annuatim dari iubeo, quousque proventus emat perpetuos ad ecclesiam predittam ipsis sacerdotibus assignandos iuxta meas ordinationes distribuendas. Corpus meum ante aram subcorporis in Acherontina civitate humi sepelliens relinquo” (il documento è stato ritrovato e trascritto nelle righe che qui si riportano da Antonella Dentamaro nella sua tesi di laurea [relatore prof. Francesco Caglioti], a.a. 2010-11, 142).

 

27 novembre 1543. Santa Visita di Giovanni Michele Saraceno: “[nel giorno 27 novembre, il reverendo Giovanni Michele Saraceno...venne nel mattino...] et primo altare maius, in quo reconditur sacrum corpus dicti sancti Canionis martiris, prout fuit sibi relatum ab omnibus, cum illud non potest videri ex quo est suptus altare fabricatum; postea accessit ad subcorpus constructum per illustrem quondam dominum Jacobum Alfonsum comitem Muri, in quo dictus reverendissimus dominus archiepiscopus invenit infrascripta bona, videlicet [...]” (Archivio diocesano di Acerenza, Inventario di tutti i beni mobili ed immobili [...], c. 114r, 1543, in Gelao 1999, 212, 217).

 

1590. Una (anonima?) relazione del 25 giugno, pubblicata da Antonio Grillo (1995), recita: “...quale chiesa contiene tre navi, cioè una grande, che è quella di mezo, et due piccole, cioè una dalla banda destra, et l’altra dalla banda sinistra de detta nava, con una croce et uno carracò [deambulatorio] de volta di lamia verso levante, ove stanno tre altari magiori, cioè uno che si scopre al’intrare de detta chiesa, intitulato l’altare de Santo Canione, ove risiede il Santissimo Sacramento; l’altro allo Succorpo, che resiede sotto il coro de detto altare magior; un altro da dietro detto carracò, ove al continuo si celebrano messe, intitulato de Santo Mariano, con la sacrestia accanto de detto altare” (Grillo 1995, in Gelao 1999, 218 e nota 83).

 

1592. [testimonianza nuova] Paolo Regio scrive: “Così havendo conosciuto quel vescovo [Elpidio, vescovo di Acerenza] il transito di san Canio, venne al luogo [Atella] ove quel sacro corpo giaceva, et con il suo clero et popolo fedele gli fabricò il sepolcro et construsseli la chiesa al suo nome dicata. Poscia, con il tempo essendo quasi oscurata la memoria di così glorioso martire, fu quella rinovata nei fedeli da Arnaldo arcivescovo, l’anno della salute MLXXX, collocandolo in un sepolcro di marmo nel suo domo [sic] arcivescovale, come hora si vede, et componendoli l’officio proprio da recitarsi nella sua festività et in tutta l’ottava seguente nella città di Cirenze et per la provincia [...]. Celebrasi la festività di questo santissimo martire in Cirenza a’ XXV di maggio, nel cui giorno alcuna volta appaiono uscire dal sasso del suo sepolcro goccie di manna bianchissima et dolcissima; sì come nell’istessa chiesa vi è un’altra arca marmorea, presso la sacristia, ove si conserva il suo bacolo pastorale, che per un picciolo buco si può toccare con il dito da persone che siano confessati et contriti de’ loro peccati, essendo agli altri prohibito; il che solamente si osserva ne’ giorni solenni o nella festività del santo istesso [...]” (1592, 472-473; la pagine dedicate a san Canio sono inserite all’interno della vita di sant’Ireneo).

 

1613. [testimonianza nuova] Filippo Ferrario, riprendendo e citando Paolo Regio, nel Catalogo dei santi d’Italia scrive a proposito di san Canio: “postea anno salutis 1080 ab Arnaldo episcopo in cathedralem ecclesiam translatum [il suo corpo], in marmoreo mausoleo conditum est” (1613, 312).

[riferimento alla cassa nel Succorpo]

 

1650 circa? Da una santa visita citata (ma non trascritta) dalla Barbone Pugliese, compiuta dal vescovo Giovanni Battista Spinola (1648-1665), si evince che all’interno del Succorpo dovevano esserci più altari (“Gli affreschi di San Matteo e della prospiciente Adorazione dei Magi vennero ridipinti e sostituiti con nuove immagini, rispettivamente un San Martino e un San Nicola, intorno al 1650, allorché gli altari cambiarono patronato, e vennero riscoperti solo alla fine del secolo scorso”; Barbone Pugliese, 1982, 178 e nota 42).

 

1659. Ferdinando Ughelli: “...locum quoque subterraneum, cryptam seu subconfessionem vocant, in qua tria altaria, in quorum medio iacere dicunt corpus divi tutelaris Canionis, ibi reconditum a Leone laudatissimo eius urbis episcopo, anno Domini 799. Eius translationis festus dies celebratur 11 Martii festivitatis, vero 15 Maii, in qua die, quod mirum est dictu, ex lapideo loculo liquor pretiosus emanare solet dulcis et omnibus imfirmitatibus salutaris” (VII, Roma 1659, col. 10).

 

1688. [testimonianza nuova] Negli Acta Sanctorum il padre bollandista Daniel Papebroch collaziona le informazioni da più fonti: oltre a citare l’Ughelli, riporta alcune notizie da una fonte locale (acheruntina), dalla quale si evince che nel 1682 esistevano nella Cattedrale due altari dedicati a San Canione: “unum in crypta sub choro, continens ipsius sancti corpus, alterum in ecclesia ad dextrum latus sacristiæ, cum pulcherrima illius statua capsaque marmorea”.

“[...] Hactenus Ughellus, cui adstipulatur Nicolaus Palma, archidiaconus et vicarius generalis Acheruntinus, sub officii sui sigillo et manus propriæ subscriptione anno MDCLXXXII nobis missa; addens, præter statuam istam haberi etiam argenteum brachium, cui nihilominus inclusa sit pars aliqua corporis [ejusdem duo ibidem altaria]: neque solis duobus quæ dixit Ughellus festis annue celebrandis contentos Acheruntinos, officium etiam facere de s. Canione sub ritu semiduplicis die XXV cujusvis mensis. Tum vero præter altare majus, in quo servantur duæ jam dictæ sancti Canionis lipsanothecæ, statua item argentea sancti Oliverii Martyris, Ughello Livarii, de quo agendum XXVII Novembris, et brachium sancti Antonii Abbatis argento inclusum. Duo ejusdem sancti Canionis ibidem esse altaria: unum in crypta sub choro, continens ipsius sancti corpus; alterum in ecclesia ad dextrum latus sacristiæ, cum pulcherrima illius statua capsaque marmorea; cujus operculum, firmissime cum ipsa ferruminatum, mensæ usum habet ad missæ sacrificium, intus continens pastoralem sancti Canionis baculum, de quo seorsum aliquid in Appendice post Acta dicendum. Ipsa Acta, quæ Ughellus edidit, accepimus sub fidei publicæ attestatione signata hoc modo: Nos infrascripti, archidiaconus, cantor, canonici, presbyteri, [Acta indidem accepta ex ms.] Capitulum et clerus Metropolitanæ Ecclesiæ civitatis Acheruntiæ, fidem fecimus, supradictam vitam, martyrium, gesta, et miracula gloriosi martyris divi Canionis episcopi, cujus corpus requiescit sub altari majori dictæ Metropolitanæ Ecclesiæ, fundatæ sub titulo ejusdem S. Canionis, extractam esse [...]” (Acta Sanctorum, VI, 1688, 27).

 

1703: Giovanni Battista Pacichelli ripropone la descrizione dell’Ughelli (1703, 268). (“Vi è il sotterraneo, che chiaman Sagra Confessione, con tre altari, nel primo de’ quali dicono che il vescovo Leone del 799 chiudesse il corpo che vi si adora del sudetto santo martire protettore. Si venera egli al quintodecimo di maggio, nel qual giorno sgorgano le sue ossa un dolce e salubre liquore, usato proficuamente ne’ morbi […]”).

 

1721: esce la seconda edizione dell’Ughelli (e la situazione appare immutata rispetto a quella descritta nella princeps).

 

Anteriore al 1737 è la testimonianza [nuova] di Francesco Orlandi (che sembra ripetere le informazioni dell’Ughelli): “Basilica metropolitana satis magnifica atque nobilis structuræ deiparæ Virgini in Cælum assumptæ et divo Canioni episcopo et martyri consecrata est [...]. In crypta ejus subterranea, quam Subconfessione vocant, tria erecta sunt altaria, in quorum medio reconditum ferunt corpus sancti Canionis episcopi et martyris” (Firenze 1737, p. 1959).

 

1761. [testimonianza nuova] “Sotto alla medesima [cattedrale superiore di Acerenza] vi è un’altra chiesa sotterranea, con tre altari; e nel primo di essi dicesi che il vescovo Leone nel 799 vi rinchiudesse il corpo del mentovato santo martire, il quale nel giorno della sua festa, ch’è ai quindici di maggio, dicesi che tramandi dall’ossa una specie di liquore, o sia manna, utile a parecchie infermità” (Lo stato presente di tutti i paesi [...], Venezia 1761, 292).

 

1770. Risale a quest’anno la testimonianza del canonico Carlo Lavinia: “Vien questo [tempio] formato da una nave maggiore con due minori; e nel capo della maggiore da man dritta e da man manca si sporge altra simile nave, con due cappelloni del Santissimo Sagramento e della Beatissima Vergine del Rosario, e forma una perfetta croce in cima a cui è situato il superbo coro con altar maggiore, sotto il quale vi sta un Succorpo, sostenuto da quattro colonne di diversi marmi fini. In questo luogo sta riposto il corpo del ridetto san Canio, e, al di sotto di detto altare, il quale è concavo ed in giro, vi scaturisce un liquore portentoso [...]. In giro poi del detto coro e succorpo, in figura centinata vi sono lamie continue; e tre cappelloni, in uno de’ quali vi sta l’altare di San Mariano martire. È il suo corpo al di sotto [cioè di questo altare] in cassa di marmo, con cristallo al di sopra [...]. In un altro cappellone vi sta altro altare del ridetto San Canio, formato in una cassa di marmo, e, al di dentro, vi si conserva un bastone di legno del nominato santo [...]” (Delle città d’Italia [...], I, Perugia 1770, 6, anche in Gelao 1999, 223-225).

 

30 maggio 1779. [testimonianza nuova] Il notaio Francesco Paolo Saluzzi attesta il miracolo del bastone e della manna con queste parole: “Nella città d’Acerenza, capitale nella provincia di Basilicata, al dì 30 maggio del corrente anno 1779 [...] si aprì la portellina dell’altare di detto santo [S. Canio martire] con due chiavi, in cui sta riposto il sagro bastone, qual altare [è?] concavo di marmaro, che da detto buco visibile e palpabile, lumatasi la candela per osservare il sagro bastone non si vidde [...]. [...] non si distancò il popolo e Capitolo intero di trattenersi in chiesa sino alle ore tre della notte, sempre in orazioni, colla recita di litanie e suoni di campane, suono d’organo, campanelli, pianti in rendimento di grazie al Signore di un sì potente miracolo del nostro protettore glorioso san Canio; e nello stesso punto si vidde il Succorpo, ove giace il corpo di detto glorioso santo, bagnate le mura e le colonne tutte, di marmi, di preziosa manna, e continuandosi le fervorose preghiere e rendimento di grazie si osservò il volto del glorioso santo sudato” (ASP, vol. 3406, cc. 58r-59v. La cronaca notarile è stata trascritta e pubblicata online da Valeria Verrastro nel 1998).

 

1848. Il vicario generale di Acerenza, Francesco Saverio Girardi, nel volume Cenni storici delle chiese arcivescovili...”, del 1848, si sofferma sulla Cattedrale di Acerenza: “Un soccorpo di elegantissima struttura, sostenuto da 4 colonne di finissimo marmo, sito sotto il presbiterio, forma il miglior ornamento di questo tempio. Il lavoro del cornicione di esso soccorpo [è] in marmo bianco di struttura piuttosto composta; i fregi di foglia e frutta di olive, il pavimento pure di marmo, nonché l’altare di mezzo, formano l’ammirazione degli osservatori”. E, in nota, aggiunge: “Il corpo di tal santo vescovo [Canio] essendo stato scoperto fra le rovine della distrutta Atella da Leone arcivescovo di Acerenza (nel 1299), questi arricchì di tanto tesoro la città nostra, la quale [...] elesse Canio a suo patrono. Vuolsi per tradizione che le reliquie di lui fossero dapprima collocate in una cassa di marmo lavorata, che sta nel Soccorpo della cattedrale. Presentemente tale cassa è vuota, e con buone ragioni si crede che il corpo di san Canio fosse stato chiuso nel muro dell’altare a lui dedicato nel Soccorpo medesimo. Nell’altare poi del santo, che sta nel circolo della cattedrale, dentro il vuoto del muro dell’altare medesimo, si conserva un pezzo del bastone che esso santo usava nei suoi viaggi [...]” (Girardi 1848, 6, anche in Gelao 1999, 225-226).

 

1853. Filippo Cirelli: “Al di sotto del presbiterio vi ha un soccorpo di elegantissima struttura [...]. Gira tutt’all’intorno di questa cripta un cornicione, anch’esso di marmo, nel fregio del quale sono scolpiti a rilievo ornati raffiguranti rami di olivo; e di marmo son pure il pavimento ed un ricco altare posto nel mezzo, dedicato al protettore San Canio. Non così dei due altari che veggonsi ne’ laterali, i quali sono di legno, e s’intitolano uno a San Nicola, a San Martino l’altro” (VI, Napoli 1853, 126).

 

1866. [testimonianza nuova] Giuseppe Cappelletti: “Per la vastità e per la magnificenza [la Cattedrale di Acerenza] sarebbe la migliore basilica di tutte le convicine province, ma oggigiorno è ridotta a così deplorabile stato di deperimento da poterla dire poco men che rovinosa [...]. Ha un sotterraneo con tre altari; in quello di mezzo riposa il corpo del santo martire protettore. Di esso si celebra la traslazione agli 11 di marzo, la solennità a’ 25 di maggio, nel qual giorno stilla prodigiosamente ogni anno dall’urna marmorea, che ne chiude le spoglie, un fluido dolce e salutevole ad ogni genere di malattie” (vol. XX, Venezia 1866, 419).

 

1883. Lenormant (vd. Note in questa scheda).

Bibliografia

Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, 33 nota 65.

 

Acta Sanctorum 1688: Acta Sanctorum, Maii [...], tomo VI, Anversa 1688, 27 (autore “D[aniel] P[apebroch]”).

 

ADA 1543: Archivio diocesano di Acerenza (ADA), Inventario di tutti i beni mobili ed immobili [...], c. 114r, 1543, in Gelao 1999, 212, 217.

 

ADA 1559: Archivio diocesano di Acerenza (ADA), Liber piorum legatorum, 1559 (cfr. Barbone Pugliese, 1982, 181, nota 18).

 

ASP 1779 (ed. Verrastro 1998): Archivio di Stato di Potenza (ASP), Archivi notarili, Distretto di Potenza, I versamento, notaio Francesco Paolo Saluzzi di Acerenza, vol. 3406, cc. 58r-59v. La cronaca notarile è stata trascritta e pubblicata da Valeria Verrastro, Il “Miracolo del bastone” in una cronaca notarile del 1779, in Itinerari del sacro in terra lucana. Basilicata regione, 1998, 109-114, rintracciabile online

 

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. 3, 21, 1982, 168-182.

 

Cappelletti 1866: Le chiese d’Italia, dalla loro origine sino ai nostri giorni. Opera di Giuseppe Cappelletti prete veneziano, vol. XX, Venezia 1866, 419.

 

Cioffari 1997: Gerardo Cioffari, “San Canio nelle fonti e nella critica storica”, Il Calitrano, n.s., 5 (luglio-agosto 1997), 5-10.

 

Cirelli 1853: Filippo Cirelli, “Acerenza”, in Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato [...], VI, Napoli 1853, 126.

 

Della Marra 1641: Ferrante della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, Napoli 1641, 78, 276-277.

 

Dentamaro 2011: Antonella Dentamaro, Ricerche su Jacopo della Pila e i suoi committenti, tesi di laurea magistrale (relatore prof. Francesco Caglioti), Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 2010-11, 142 e nota 242.

 

Ferrario 1613: Catalogus sanctorum Italiæ [...] authore Philippo Ferrario, Milano 1613, 312.

 

Gelao 1999: Clara Gelao in La Cattedrale di Acerenza. Mille anni di storia, a cura di Ead. e Pina Belli D’Elia, Venosa 1999, passim.

 

Girardi 1848: Francesco Saverio Girardi, “Acerenza (chiesa metropolitana)”, in Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, raccolti, annotati, scritti per l’abate Vincenzio D’Avino, Napoli 1848, 6 (anche in Gelao 1999, 225-226).

 

Grillo 1995: A. Grillo, Percorsi di una Cattedrale [...], Lavello 1995, 24-26 (anche in Gelao 1999, 218 e nota 83).

 

Lenormant 1883: A travers l’Apulie et la Lucanie. Notes de voyage par François Lenormant, I, Parigi 1883, 282.

 

Lo stato presente 1761: Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo [...] volume XXIII, continuazione dell’Italia o sia descrizione del Regno di Napoli, Venezia 1761, 292.

 

Musachi 1510 (ed. Hopf 1873): Giovanni Musachi, Breve memoria de li discendenti de nostra casa Musachi [1510], in Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues, publiées avec notes et tables généalogiques par Charles Hopf, Berlino 1873, 270-340.

 

Orlandi 1737: Orbis sacer et profanus, pars secunda Europam complectens. Volumen tertium [...] auctore padre Francisco Orlendio ordinis prædicatorum magistro [...], opus postumum, Firenze 1737, p. 1959.

 

Orlandi 1770: Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie, sacre e profane, compilate da Cesare Orlandi [...], I, Perugia 1770, 6 (anche in Gelao 1999, 223-225).

 

Pacichelli 1703: Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva [...]. Parte prima […], in Napoli, 1703, 268).

 

Regio 1592: Dell’opere spirituali di mons. Paolo Regio vescovo di Vico Equense [...], parte prima [...], Napoli 1592, 472-473 (le pagine dedicate a san Canio sono inserite all’interno della vita di sant’Ireneo).

 

Terminio 1633: Marco Antonio Terminio, Apologia dei tre seggi illustri di Napoli, Napoli 1633, 86.

 

Ughelli 1659: Ferdinando Ughelli, Italia sacra [...], VII, Roma 1659, col. 10.

 

Vuolo 1995: Antonio Vuolo, Tradizione letteraria e sviluppo cultuale. Il dossier agiografico di Canione di Atella (secc. X-XV), Napoli 1995.

Allegati
Link esterni

www.santiebeati.it/dettaglio/90990 (per San Canio o Canione di Atella).

SchedatoreFrancesco Caglioti e Michela Tarallo
Data di compilazione28/02/2015 12:57:29
Data ultima revisione27/01/2017 21:51:25
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/502
OggettoAcerenza, campanile della Cattedrale, due frammenti di sarcofago con eroti atleti
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

I frammenti sono posizionati nel campanile della Cattedrale in quarta assise sopra lo zoccolo e tra loro contigui.

Prima attestazione
MaterialeMarmo bianco
DimensioniA) h 0,555; largh. 0,42; B) h 0,545; largh. 0,715
Stato di conservazione

Superficie molto corrosa; le lastre sono rotte su entrambi i lati e presentano diverse lacune e una profonda frattura orizzontale. 

CronologiaFine del II secolo d.C.- inizio III d.C.
Descrizione

I due frammenti, non contigui e giustapposti nel reimpiego, appartengono alla fronte di uno stesso sarcofago. Il campo figurato del primo (frammento A) è inquadrato, sul fianco sinistro, da un listello liscio leggermente curvato nella parte superiore cui segue un'erma, elementi che ne lasciano intuire la collocazione all'estremità della lastra; in basso e in alto chiudono la composizione due listelli lisci.

Gli eroti alati, dalle forme paffute, sono colti in un momento della vita di palestra: si può riconoscere una coppia impegnata in uno scontro di lotta (frammento B), seguita forse da un atleta vincitore che si incorona, figura cui si potrebbe riferire la palma che si legge ancora sul margine della lastra (meno probabile la soluzione con atleta incoronato da un arbitro; cfr. il sarcofago di Milano, collezione Torno, Bonanno Aravantinou 1982, D10, fig. 9); nell'altro frammento si conserva un erote, purtroppo molto mutilo, per il quale si può ricostruire un atteggiamento simile ai precedenti (le gambe discoste, il peso del corpo spostato sulla gamba sinistra portata in avanti, il torso e la testa di profilo) e supporne l'appartenenza a una seconda coppia (per i vari tentativi di restituzione del sarcofago cfr. Alvino 1976, fig. 1). 

Le dimensioni ricostruibili, attribuendo i due frammenti alla fronte del sarcofago, risultano decisamente maggiori di quelle consuete per queste piccole casse marmoree decorate da eroti, generalmente destinate a bambini. Lo stato di conservazione della superficie non consente di valutare, ai fini della datazione, il trattamento dei capelli e le modalità di resa dei volumi; tuttavia le proporzioni degli eroti, nonchè l'ordito della composizione, permettono di avvicinare il frammento acheruntino a un sarcofago conservato agli Uffizi (Mansuelli 1958, 227, n. 242) e a un coperchio al Museo nazionale romano (Bonanno Aravantinou 1982, 72, D17), comunemente datati tra la fine del II e il III secolo d.C.

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note
Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Alvino 1976: Giovanna Alvino, "Tentativo di ricostruzione di un sarcofago con scene di palestra", Archeologia Classica, 28, 1976, 257-266.

 

Bonanno Aravntinou 1982: Margherita Bonanno Aravantinou, "Un frammento di sarcofago romano con fanciulli atleti nei Musei Capitolini. Contributo allo studio dei sarcofagi con scene di palestra", Bollettino d'Arte, 67, 1982, 67-84.

 

Kock, Sichtermann 1982: Guntram Koch, Hellmut Sichtermann, Römische Sarkophage, München 1982, 212, nota 57.

 

Mansuelli 1953: Guido Achille Mansuelli, Galleria degli Uffizi. Le sculture 1, Roma 1958.

 

Todisco 1986: Luigi Todisco, "Il busto della cattedrale di Acerenza", Xenia, 12, 1986, 50-51, fig. 10.

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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione15/03/2014 20:31:22
Data ultima revisione01/02/2017 11:08:08
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/328
OggettoAcerenza, campanile della Cattedrale, frammento di rilievo funerario
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

Il rilevo è riutulizzato nella torre campanaria della Cattedrale, murato in quarta assise e contiguo ai frammenti di sarcofago con eroti atleti.

Prima attestazione
MaterialeCalcare
Dimensioni
Stato di conservazione

Il rilievo è stato tagliato su tre lati, e solo in alto conserva il listello di chiusura originario. Il volto del personaggio è fortemente abraso; inoltre si registra un'ampia lacuna nella parte sinistra della fronte.

CronologiaUltimo trentennio del I secolo a.C
Descrizione

Di un rilievo funerario con busto di defunta o, meno probabilmente, di una stele con figura intera, resta solo la testa di un personaggio femminile con il capo velato. Il rilievo, in forte aggetto, è chiuso in alto da un listello che sembra modanato.

La donna porta pendenti alle orecchie ed è ritratta nel gesto consueto di incrociare il braccio destro sul petto e stringere con la mano, sulla spalla opposta, un lembo del mantello riportato sul capo (in generale si veda Kockel 1993, 15-31). Lo stesso schema si trova ad Acerenza in un secondo rilievo riutilizzato nel campanile.

I tratti del volto sono abrasi e lo stato di conservazione non permette di definire con sicurezza la tipologia dell'acconciatura; tuttavia la distanza tra la fronte e il velo farebbe intuire la presenza di una sorta di nodus, secondo una tipologia di acconciatura detta all'Ottavia, dalla sorella di Augusto, caratteristica anche dei ritratti giovanili di Livia (cfr. Micheli 2011, 55-56). Questo elemento potrebbe contribuire alla datazione del rilievo entro l'ultimo trentennio del I secolo a.C.

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note
Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien, Archeologica 37, Roma 1985.

 

Kockel 1993: Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz 1993.

 

Micheli 2011: Maria Elisa Micheli, “Comae formatae”, in Comae. Identità femminili nelle acconciature di età romana, a cura di Maria Elisa Micheli e Anna Santucci, Pisa 2011, 49-78.

 

Todisco 1986: Luigi Todisco, "Il busto della cattedrale di Acerenza", Xenia, 12, 1986, 50.

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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione15/03/2014 21:00:29
Data ultima revisione01/02/2017 11:10:13
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/331
OggettoAcerenza, campanile della Cattedrale, fregio dorico
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

Acerenza, campanile della Cattedrale; il fregio è murato nello spigolo al di sotto del toro del primo ordine.

Prima attestazione
MaterialeCalcare
DimensioniNon rilevate
Stato di conservazione
CronologiaSeconda metà del I secolo a.C.
Descrizione

Del fregio dorico si conservano due metope, delle quali una molto frammentaria, intervallate da triglifi con capitulum (Maschek 2012, tav. 44.2, tipo 2B; per la classe di materiali Torelli 1968, Joulia 1988, Maschek 2012).

La decorazione figurata pare restituire la sequenza canonica di bucefali e rosette con il secondo elemento qui appena leggibile (rosetta con quattro petali e doppia corolla). La protome taurina presenta le forme piene tipiche dell'arte italica e, secondo l'iconografia tradizionale, è completata da una benda che corre sulla fronte e che dovrebbe essere fermata all'altezza delle corna dell'animale; gli occhi sono amigdaloidi e contornati dalle grinze del vello, mentre le orecchie hanno la canonica forma a cucchiaio.

Conformemente agli altri fregi noti per questa tipologia, ne è ipotizzabile l'attribuzione a un monumento funerario, forse di tipo ad altare o a edicola, del quale poteva decorare sia il dado di base sia, con soluzione molto meno diffusa, l'edicola di coronamento (per le tipologie architettoniche di riferimento una sintesi è in Tuccinardi 2011, 91; per la connotazione storico-politica della diffusione del fregio dorico cfr. Maschek 2012, 230-237).

Riflessioni sulla tipologia del monumento di appartenenza e sulla diffusione della classe di materiali inducono a prospettarne una datazione tra la metà del I secolo a.C. e l'età augustea.

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note
Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Inedito?

 

Joulia 1988: Jean-Claude Joulia, Les frises doriques de Narbonne, Collection Latomus, 202, Bruxelles 1988.

 

Maschek 2012: Dominik Maschek, Rationes decoris. Aufkommen und Verbreitung dorischer Friese in der mittelitalischen Architektur des 2. und 1. Jahrhunderts v. Chr., Wien 2012, 287, Df 86, tav. 20, 3.


Torelli 1968: Mario Torelli, "Monumenti funerari romani con fregio dorico"Dialoghi di Archeologia, 2, 1968, 32-54.

 

Tuccinardi 2011: Stefania Tuccinardi, "Fregi dorici da monumenti funerari. La documentazione alifana", Oebalus, 6, 2011, 69-104. 

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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione23/02/2015 22:14:52
Data ultima revisione01/02/2017 11:19:10
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/503
OggettoAcerenza, campanile della Cattedrale, rilievo funerario
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

Acerenza, campanile della Cattedrale. Murato nel primo ordine del campanile sulla stessa assise del rilievo funerario con defunta. 

Prima attestazione
MaterialeCalcare
Dimensioni
Stato di conservazione

Lacunoso nella parte superiore del frontoncino; la superficie è molto consunta; mancano completamente i volti dei personaggi.

CronologiaSeconda metà del I secolo a.C. (30 a.C. ca.)
Descrizione

Il rilievo, di destinazione funeraria, appartiene al tipo con uno o più ritratti inseriti entro una cornice a cassetta ed effigiati in forma di busto o di mezza figura tagliata all'altezza delle anche. Questa modalità di rappresentazione del defunto sulla tomba ha avuto ampia diffusione in ambito urbano e municipale (in particolare per l'Italia centrale e meridionale cfr. Frenz 1985, mentre per l'Italia settentrionale cfr. Pflug 1989; per i materiali urbani cfr. Kockel 1993) e risulta generalmente legato a una committenza di estrazione libertina (Zanker 1975; Lo Monaco 1998).

Nel caso specifico, alla consueta forma a cassetta, costituita da listelli di chiusura lisci sui quattro lati, si sostituisce una cornice architettonica, con frontone triangolare campito da una rosetta a cinque petali, sostenuto da pilastrini con semplificati capitelli di tipo a lira. All'interno della piccola edicola sono rappresentati a mezza figura un uomo e una donna, probabilmente due coniugi.

Secondo gli schemi tradizionali l'uomo veste la toga, l'abito del cittadino, accomodata attorno al corpo in modo che il braccio destro sia bloccato nel risvolto della stoffa, che viene poi riportata sulla spalla opposta secondo una moda di tradizione repubblicana (cfr. Pallium-typus in Goette 1990, 24-26; per la toga nei rilievi funerari con personaggi Kockel 1993, 15-25); il braccio sinistro, invece, è tenuto lungo il corpo e piegato al gomito, mentre la mano dovrebbe stringe un lembo della toga. La donna è avvolta in un pesante mantello (palla) che le vela anche il capo; la mano destra, con il braccio portato verso il petto e piegato al gomito, ne stringe un lembo che sale sulla testa, mentre l'altro braccio, sempre piegato e tenuto prossimo al fianco, ne sostiene l'estremità opposta (Kockel 1993, 31-32).

Lo stato di conservazione non permette di definire con sicurezza l'acconciatura della defunta, tuttavia l'alta sagoma che si nota tra il velo e la fronte lascerebbe supporre la presenza di un nodus molto sviluppato, sul modello delle mode degli anni trenta del I secolo a.C. Un confronto, per la cronologia, potrebbe essere individuato nel rilievo urbano dei Furii (Kockel 1993, 133-134, G 10, tav. 44), ora ai Musei Vaticani, che fornisce anche un buon riscontro per la modalità di trattare il panneggio; questo particolare, infatti, nell'opera in esame pare discostarsi dalla modalità più diffusa nello stesso ambito territoriale, caratterizzata da pieghe molto sintetiche tra loro parallele (cfr. il rilievo con defunta), conservando invece un aspetto più mosso.

La conformazione della piccola edicola trova confronto, anche nella tipologia dei semplificati capitelli a lira e nella decorazione del frontone, in un gruppo di materiali omogenei, molti dei quali sono stati reimpiegati nella Rocca dei Rettori a Benevento e già individuati da Frenz che esclude però una peculiarità irpina del tipo (Frenz 1986, 46-49, Giebelreliefs, tavv. 38-44).

Pare inoltre significativo, al fine di sostenere una provenienza locale del rilievo, che gli stessi elementi di confronto si individuino in due stele con frontone triangolare provenienti dalla necropoli di Potentia (Di Noia 2008, 72-75, nn. 12-13, fig. 11), caratterizzate però da una resa più banale delle figure.

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note
Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Di Noia 2008: Annarita Di Noia, Potentia. La città romana tra età repubblicana e tardo antica, Potenza 2008.

 

Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien, Archeologica 37, Roma 1985.

 

Goette 1990: Hans Rupprecht Goette, Studien zu römischen Togadarstellungen, Mainz am Rhein 1990.

 

Kockel 1993:  Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz am Rhein 1993.

 

Lo Monaco 1998: Annalisa Lo Monaco, "L’ordo libetinus, la tomba, l’immagine: una nota sulla nascita del busto ritratto", Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, 99, 1998,  85-100.

 

Pflug 1989: Hermann Pflug, Römische Porträtstelen in Oberitalien: Untersuchungen zur Chronologie, Typologie und Ikonographie, Mainz 1989.

 

Todisco 1986: Luigi Todisco, "Il busto della cattedrale di Acerenza", Xenia, 12, 1986, 41-64.

 

Zanker 1975: Paul  Zanker, Grabreliefs römischer Freigelassener, Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 90, 1975, 267-315.

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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione15/03/2014 20:44:49
Data ultima revisione01/02/2017 11:25:01
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/330
OggettoAcerenza, campanile della Cattedrale, rilievo funerario con defunta
Luogo di provenienza
Collocazione attuale

Acerenza, campanile della Cattedrale. Murato nel primo ordine sulla stessa assise dell'altro rilievo funerario con coppia di defunti.

 

Prima attestazione
MaterialeCalcare
Dimensioni
Stato di conservazione
CronologiaTardo-augusteo/tiberiano
Descrizione

Il rilievo, di destinazione funeraria, rappresenta la defunta, secondo uno schema diffuso, nel solo busto ed entro una cornice modanata (Kastentypus; cfr. Frenz 1985, 1-8; per l'ambito urbano: Kockel 1993). La donna è avvolta in un pensante mantello e porta la mano destra al petto, con il braccio piegato al gomito, a stringerne il lembo accomodato sulla spalla opposta. Il gesto è evidentemente ricalcato dallo schema tipico delle statue in toga di età tardorepubblicana, le quali però rappresentavano il braccio piegato e stretto nella toga (bracchio cohibito). In questo caso, come nelle coeve statue maschili, il panneggio è sistemato più morbidamente (per il modello della toga: Kockel 1993, 15-25). Il braccio sinistro è portato lungo il fianco e piegato al gomito; la mano sembra stringere un oggetto, forse un melograno o, molto probabilmente, un lembo del mantello.

Il volto è evidentemente rilavorato: sulla superficie originaria lisciata, probabilmente anche al fine di mitigare il cattivo stato di conservazione dell'opera antica, sono state ottenute delle labbra serrate, ed è stato appena accennato l'impianto del naso e nuovamente inciso il contorno degli occhi. Contestualmente dovevano essere state ridisegnate, mediante incisioni, le ciocche molto sintetiche della scriminatura centrale dei capelli, mentre sulle orecchie e sulle tempie pare conservarsi ancora l'impianto originario del ritratto e dell'acconciatura. Anche il volume del collo è stato ribassato e diminuito.

L'acconciatura antica, cui doveva comunque appartenere il motivo della scriminatura centrale, incorniciata da due morbide bande di capelli, rimanda a una moda diffusasi tra la tarda età augustea e la prima età di Tiberio, quando questo modo di portare i capelli, molto sobrio, fu adottato anche dall'imperatrice (Bartman 1999, 112-117); al medesimo orizzonte cronologico conduce anche la tipologia del panneggio. Si propone, dunque, una datazione del rilievo entro il primo trentennio del I secolo a.C. (età tiberiana).

Immagine
Famiglie e persone
Collezioni di antichità
Note

La presenza di rilievi funerari di tipo a cassetta, reimpiegati nel campanile di Acerenza, è solo segnalata da Frenz, che tuttavia ne propone l'associazione a una serie omogenea di rilievi appartenenti allo stesso ambito regionale, corrispondente al territorio di Potenza (Frenz 1985, 36-40). 

Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Bartman 1999: Elizabeth Bartman, Portraits of Livia. imaging the imperial woman in Augustan Rome

Cambridge 1999.

 

Frenz 1985: Hans G. Frenz, Römische Grabreliefs in Mittel- und Süditalien, Archeologica 37, Roma 1985.

 

Kockel 1993: Valentin Kockel, Porträtreliefs römischer Grabbauten, Mainz 1993.

 

Todisco 1986: Luigi Todisco, "Il busto della cattedrale di Acerenza", Xenia, 12, 1986, 41-64.


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SchedatoreStefania Tuccinardi
Data di compilazione15/03/2014 20:37:39
Data ultima revisione19/01/2017 15:51:45
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/329
OggettoAcerenza, Museo diocesano, CIL IX 417
Collocazione attuale

Museo diocesano di Acerenza

Prima attestazione

Il blocco iscritto risulta murato nel registro inferiore del campanile della Cattedrale di Acerenza almeno dal 1554, ma potrebbe essere stato già inserito nel paramento del precedente campanile medievale.

MaterialeCalcare
Dimensioni
Stato di conservazione

Manca l'angolo inferiore destro, mentre la superifcie è diffusamente erosa.

CronologiaIV sec. d.C.
Descrizione

"REPARATORI ORBIS/ ROMANI D. N. CL./ IULIANO AUG. AETERNO/ PRINCIPI/ ORDO ACHERUNT."

Immagine
Famiglie e persone

Claudio Giuliano Augusto (Apostata)

Cardinale Giovanni Michele Saraceno

Collezioni di antichità
Note

Conservata attualmente nel Museo diocesano di Acerenza, l'iscrizione era in origine murata nel paramento murario del registro inferiore del campanile della Cattedrale, dove tutt'ora si riconosce il vuoto lasciato dalla sua rimozione. L'epigrafe, dedicata dall'Ordo Acheruntinus all'imperatore romano, è stata utilizzata a partire dalla fine dell'Ottocento per dimostrare che il busto collocato in cima alla facciata della Cattedrale (e anch'esso ora nel Museo) poteva identificarsi con Giuliano l'Apostata.

Fonti iconografiche
Rilievi
Fonti e documenti
Bibliografia

Belli D'Elia, Gelao 1999: Pina Belli D'Elia, Clara Gelao, La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, Venosa 1999, 188-189, fig. 5.


Bernabei 1882: Felice Bernabei, "Acerenza", Notizie degli Scavi di Antichità, 10, 1882, 384.


Todisco 1986: Luigi Todisco, "Il busto della cattedrale di Acerenza", Xenia, 12, 1986, 50.

Allegati
Link esterni
SchedatoreBianca de Divitiis
Data di compilazione28/01/2015 11:14:39
Data ultima revisione19/01/2017 16:00:36
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Reperto Archeologico/486