Oggetto | Montevergine, Santuario | |
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Tipologia | Chiesa e complesso monastico annesso (esistenti) | |
Nome attuale | Montevergine | |
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Nomi antichi | Monte già designato come Vergine nel 774, nome della catena montagnosa del Partenio; nel sec. XI si trova il toponimo Virgiliano (nella prima biografia di S. Guglielmo): di qui improbabili collegamenti a Virgilio. Flavio Biondo, riferendosi all’Itinerarium Antonini, parla di un tempio dedicato alla dea Cibele su questo monte, che Virgilio avrebbe frequentato per consultare gli oracoli della dea. Il nome Vergine non si riferisce né al culto di Cibele né alla Vergine Maria, ma si riferirebbe alla verginità del monte intatto, quindi forse viene da 'mons virgo' e non 'mons virginis'. | |
Cronologia | 1124: Prima chiesa viene consacrata dal Vescovo di Avellino (esenzione dalla giurisdizione episcopale). 1139 primo documento che parla di un pellegrino, Fulco d’Avellino. 1182 viene consacrata chiesa romanica voluta dall’abate Giovanni da Morcone. 1611 incendio nella foresteria. 1629 cade parte dell’altare maggiore (si voleva disporre di più spazio spostando il coro dei monaci alle spalle dell’altare: si doveva scavare il vano tutto nella roccia, livellare il pavimento della navata eliminando i gradini che salivano al presbiterio anch’esso costruito direttamente sulla roccia e ciò provocò il crollo) 1645 ricostruzione a opera di G.G. Di Conforto | |
Autore | ||
Committente | ||
Famiglie e persone | S. Guglielmo da Vercelli (1085-1142) durante i suoi pellegrinaggi visita il Monte Vergine e si sente ispirato a fissare lì la sua dimora (c. 1114), stabilendo qui la regola benedettina, con alternanza di ascetismo eremitico e la predicazione apostolica. S. Guglielmo muore al Goleto nel 1142 di ritorno dall’ultima visita fatta al re Ruggero II a Salerno (Ruggero II (1130-39). Guglielmo aveva fondato monasteri per tutta l’Italia meridionale creando una solida rete territoriale. Carlo Martello Maria d'Ungheria Filippo di Taranto Luigi III di Capua, committente del tabernacolo eucaristico | |
Descrizione | Si accede alla chiesa da un’ampia scalinata angolare, che dà direttamente nel cortile del monastero (portale in ferro in stile gotico del 1885). L’orografia del luogo non permetteva di giungere alla chiesa di fronte, ma sentieri e pellegrini giungevano come ora al piazzale dei Tigli; lì era l’ingresso al cenobio, si entrava nel cortile della foresteria e qui la scala in angolo consentiva il prosieguo del percorso. Si accede poi a un atrio coperto e alla chiesa, oggi a navata unica e delimitata su ogni lato da tre arcate. La chiesa originariamente aveva tre navate. Nell’atrio della chiesa sono visibili il portale centrale con sezione strombata e colonnine filiformi e il portale laterale sinistro. Dietro l’altare c’è il coro ligneo di Benvenuto Tortelli del 1573 (l'organo è ottocentesco). In origine l’altare maggiore ospitava una tavola reliquario della Madonna di Montevergine (ora nel museo), poi spostata in una cappella laterale, quando su commissione di Maria d’Ungheria o del figlio Carlo Martello viene realizzato un baldacchino cosmatesco (i cui resti si trovano ora nella cappella laterale del Santissimo Sacramento): quattro leoni marmorei stilofori reggono colonne decorate con un’alternanza di rosso e bianco; sull’architrave, oltre due statue che reggono il turibolo e aspersorio, altre otto piccole colonne reggono la cupola. Sotto al baldacchino, la custodia decorata con angeli che sostengono il ciborio, della fine del ‘400 (opera commissionata da Luigi III De Capua). La navata laterale destra è ancora leggibile nella Cappella del Crocifisso (Cappella di Filippo I d’Angiò oggi così denominata per il crocifisso settecentesco), già cappella della Madonna di Montevergine, e nello spazio anteriore a questa che precede la cappella del Sacramento dove sono stati rimontati i resti del grande baldacchino dell’altare maggiore. La Madonna di Montevergine fu commissionata da Filippo di Taranto intorno al 1310. Altre colonnine di reimpiego, forse dallo stesso baldacchino, sono inserite nel monumento di Caterina Valdemonte Lionessa, morta nel 1304 nella parte terminale della navata sinistra, con altri pezzi di scultura gotica trecentesca. La navata laterale sinistra è stata recentemente distrutta per la costruzione della nuova chiesa. Oltre alle tracce delle tre navate restano molti pezzi erratici e singoli episodi di scultura provenienti dalla strutture più antiche. Il chiostro è da confrontare con quello di S. Sofia a Benevento. La foresteria è del 1535 su commissione della contessa di Avellino Maria de Cardona e Francesco d’Este, ma la porta dell’atrio della chiesa vecchia appare opera edificata per la pietà dei fedeli. come si evince dall'epigrafe. La foresteria è un bel corpo di fabbrica a due piani su archi e pilastri che richiamano per proporzioni e disegno il chiostro interno delle monache. Gli ultimi pilastri vicino alla chiesa si intersecano con la scala e sembrano immergersi tra i gradini. | |
Iscrizioni | Sulla porta dell’atrio della chiesa vecchia: “E.PIE./F.O. Sacru – 1560” | |
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | ||
Opere d'arte medievali e moderne | Le testimonianze più antiche sono due capitelli a stampella figurati (ora nel Museo) forse reliquie di un chiostro o di una loggia, noti a Bertaux che li accosta ai capitelli figurati del chiostro di Santa Sofia a Benevento e alla cripta della cattedrale di Sant’Agata dei Goti e propone datazione alla prima metà del XII secoli e riferimenti culturali di area lombarda. Geiss, studiando le sculture di S. Sofia, conclude che c’è una bottega comune con quella di Benevento per parentele iconografiche e stilistiche e data quelle di Benevento tra il 1179 e il 1180 e quelle di Montevergine, intorno al 1182 in base alla consacrazione dell’abbazia. Aceto aggiunge che i monaci di Montevergine tra il 1144 e il 1145 entrarono in possesso della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo a Benevento dove impiantarono monastero. Aceto dice che i capitelli di Sant’Agata non sono precursori (come dice la Geiss) di Benevento e Montevergine ma una derivazione (Aceto 1988). Cristo deposto in legno (in origine policromo di tela e gesso) nel Museo, parte di una più complessa composizione con la Vergine e San Giovanni Evangelista dolenti sul modello del trittico della Deposizione nel duomo di Scala (Aceto 1988). Lettorino: uomo col serpente pertinente a un pulpito; secondo le antiche testimonianze ve ne rano due, andati distrutti insieme a molte tombe nel 1629 a seguito del crollo della volta (Aceto 1988). Pezzi riferibili a un ambone: aquila portaleggio al di sopra dell’uomo col serpente, leoni stilofori che vengono da uno dei due perduti pulpiti e non dal ciborio che invece è di fine duecento. Madonna di Montevergine (ora sull’altare maggiore della nuova chiesa): Filippo di Taranto si fa costruire nei primi anni del Trecento una cappella affrescata da Montano d’Arezzo dove furono sepolti la mogli di Filippo Caterina II di Courtenay (1346) e i figli Maria (1348) e Ludovico (1362) terzo marito della regina Giovanna. Attribuita a Montano d’Arezzo che affresca per Filippo due cappelle, una a Montevergine e l’altra nella sua casa presso il sedile di Montagna (primo decennio del trecento; documento del 1310 [Aceto 1988]). Tombe di Giovanni di Lagonissa, del figlio Carlo e della nuora Caterina figlia del conte guido da Valdemonte, ridotte ora alle sole statue dei gisants (ora nel Museo) che si trovavano in una cappella fondata nel 1299 da Guido da Valdemonte morto nel 1304. Nel 1304 sono sepolti Carlo e Caterina e viene trasferito il corpo di Giovanni; tutte realizzate tra il 1299 e il 1304, hanno in comune, secondo De Castris, una certa calibratura romana arnolfiana (Aceto 1988). Sepolcro di Berterado di Lautrec (1335) e del figlio Giovanni costruito c. 1335: inconsueta forma a capanna, funzionale per sistemare sul coperchio a due spioventi le immagini dei defunti (ora scambiate di posto); rara è la presenza di bassorilievi su tutte le facce della cassa (un precedente è il sarcofago di Caterina d’Austria in San Lorenzo a Napoli). Sarcofago poggiante su due coppie di leoni, era disposto in modo da essere visibile da ogni lato; secondo Aceto è da ricondurre a un anonimo collaboratore Tino (di parere diverso Causa e Negri Arnoldi che prima lo avevano allontanato da Tino) cui si devono ascrivere anche la tomba di Malizia Carafa in San Domenico a Napoli che ripete alla lettera lo schema compositivo, iconografia e lo stile, poi in quella di Bolletto de Planca a Sant’Eligio (1341). (Ora nel museo; Aceto 1988). Statua giacente dell’erudito e letterato Andrea de Candida morto nel 1459, forse di Tommaso Malvito. (Aceto 1988). Tomba di Cassiodoro Simeoni (1518) Altare fatto elevare da Luigi da Capua conte di Atavilla Tavola (1231-99) della Madonna che dà il latte al bambino con dedicante in basso a sinistra, un monaco in vesti bianche, verginiano, forse San Guglielmo da Vercelli (ma non può essere perché era già canonizzato). Data è 1270-80, il monaco è o l’abate Giovanni IV da Taurasi o il suo successore Guglielmo Racco da Mercogliano sotto cui fu eseguita la Madonna di Montevergine. (Ora nel museo; Aceto 1988). Coro ligneo di Benvenuto Tortelli datato 1573 (dietro altare maggiore della basilica vecchia). Sarcofago antico: forse doveva servire come sepolcro di Manfredi. | |
Storia e trasformazioni | Montevergine sembra sia stata una tappa espiatoria nell’itinerario del grande pellegrinaggio in Palestina. Dopo la prima fondazione voluta da S. Guglielmo (1124), il monastero viene rinnovato dall’abate Giovanni da Morcone (1172-1191) che realizza la chiesa romanica a tre navate, consacrata alla presenza di molti vescovi e abati della regione. Per l’altare centrale l’abate fa eseguire una tavola della Madonna (ora nel Museo). Non rimane nulla della basilica romanica antica, risalente al 1126. Ai primi re angioini risale il rifacimento della chiesa di Montevergine tra la fine del XIII secolo e l'inizio del secolo successivo; viene poi ampliata nel lato di ingresso a scapito del cortile antistante la chiesa che accoglieva i pellegrini. Crollata in buona parte nel 1629, la chiesa viene ricostruita su progetto di Gian Giacomo di Conforto a partire dal 1645. | |
Note | Gode il favore dei normanni e degli svevi, che la agevolano per questioni fiscali e giurisdizionali, ottengono franchigia in tutti i passi e piazze del Regno, cosa che aiuta lo sviluppo della loro economia aiutandone la crescita e espansione. Si dice (leggenda del XVII secolo) che Manfredi voleva essere seppellito lì e che il grande sarcofago strigilato fu portato lì per questo. Il periodo di maggiore splendore arriva con gli angioini: Carlo II visita il monastero nel 1306; Filippo di Taranto aiuta l’ampliamento della chiesa e crea la cappella gentilizia per la quale fa dipingere come pala d’altare la cosiddetta “Madonna di Montevergine”, già in situ nel 1298 (vedi cappelle). Diventa commenda nel 1430. Dal 1430 al 1515 furono commendatari cinque cardinali; dal 1515-88 passò nelle mani dei governatori laici dell’Annunziata di Napoli. Un breve di Sisto V del 1588 ridà autonomia alla congregazione virginiana. Un diploma di Alfonso d’Aragona del 1440 dice che l’abbazia aveva perso molte delle sue entrate. Sotto la commenda del cardinale Giovanni d’Aragona (1465-85) ci furono da parte di Ferrante diversi diplomi a favore della congregazione verginiana. Sotto l’altare maggiore del 1480 furono ritrovate le reliquie di San Gennaro. Il 19 ottobre 1485 Oliviero Carafa divenne abate commendatario dell'abbazia di Cava dei Tirreni e di quella di Montevergine, ambedue in seguito unite alla Congregazione di S. Giustina di Padova, succedendo al cardinale Giovanni d'Aragona, figlio del re di Napoli, morto a Roma il 19 dello stesso mese. Conclusasi l'avventura francese in Italia e succeduto sul trono di Napoli a Ferdinando II lo zio Federico, il 13 gennaio 1497 l'arcivescovo Alessandro Carafa compì la solenne traslazione nel Duomo di Napoli delle reliquie di s. Gennaro dall'abbazia di Montevergine. | |
Fonti iconografiche | La situazione cinquecentesca del complesso è documentata dall'affresco nella Galleria delle Carte Geografiche dei Palazzi Vaticani (cfr. Allegati) | |
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Aceto 1988: Francesco Aceto, La scultura dall’età romanica al primo rinascimento, in Insediamenti 1988, 85-116. Mongelli 1958: Abbazia di Montevergine, Regesto delle pergamene, a cura di Giovanni Mongelli, V, Roma 1958, 144-46, 150, 188, 200 ss. Mongelli 1962: Giovanni Mongelli, L’archivio dell’Abbazia di Montevergine, Roma 1962. Pacelli 1988: Insediamenti verginiani in Irpinia: il Goleto, Montevergine, Loreto, a cura di Vincenzo Pacelli, Cava de’ Tirreni 1988. Strazzullo 1996: Franco Strazzullo, Quinto centenario della traslazione delle ossa di San Gennaro da Montevergine a Napoli: 1497-1997, Napoli 1996. Tropeano 1973: Placido Mario Tropeano, Montevergine nella storia e nell’arte: periodo normanno svevo, Napoli 1973. Tropeano 1978: Placido Mario Tropeano, Montevergine nella storia e nell’arte: 1266-1381, Montevergine 1978. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Bianca de Divitiis | |
Data di compilazione | 01/06/2012 09:23:13 | |
Data ultima revisione | 15/11/2016 13:47:50 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/72 |
Oggetto | Montevergine, Museo del Santuario, Tomba di Cassiodoro Simeoni e Beatrice Peri | |
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Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | post 1518 | |
Autore | Cesare Quaranta | |
Descrizione | La tomba a parete raffigura nel clipeo al centro in alto la Vergine col Bambino e nei riquadri laterali i mezzi busti di profilo di Cassiodoro Simeoni (a sinistra) e Beatrice Peri o Pero (a destra); al di sotto di essi i rispettivi stemmi ai lati della grande targa con l'epigrafe. Dall'epitaffio sappiamo che la tomba fu commissionata dai figli di Beatrice e Cassiodoro dopo la morte di questi avvenuta nel 1518 (Beatrice infatti appare nelle vesti di vedova). Si trova oggi installata nel museo del monastero di Montevergine, e non conosciamo l'ubicazione originaria. Da una seconda iscrizione sullo zoccolo in basso si intuisce che fu spostata dal barone Marc'Antonio Belli (?) Simeoni. Pubblicata da Francesco Aceto (1988, 110-113) senza un'attribuzione precisa, ma con un riferimento di ambito cronologico e geografico a Giovan Tommaso Malvito, la tomba è stata restituita su base stilistica al catalogo di Cesare Quaranta da Cava dei Tirreni da Francesco Caglioti (2004, 353, n. 18). | |
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Committente | Giovann'Antonio Simeoni e Giovan Giacomo Simeoni (fratelli) | |
Famiglie e persone |
Cassiodoro Simeoni Beatrice Peri o Pero (moglie di Cassiodoro) Giovann'Antonio e Giovan Giacomo Simeoni (figli di Cassiodoro e Beatrice) Marc'Antonio Belli Simeoni | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | Stemma Simeoni (a sinistra della targa, sotto il profilo di Cassiodoro) Stemma Peri o Pero (a destra della targa, sotto il profilo di Beatrice) inquartato con quello Simeoni | |
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 1988: Francesco Aceto, "La scultura dall’età romanica al primo Rinascimento", in Insediamenti vergininani in Irpinia: il Goleto, Montevergine, Loreto, a cura di Vincenzo Pacelli, Cava de’ Tirreni 1988, 85-116. Caglioti 2004: Francesco Caglioti, “Due Virtù marmoree del primo Cinquecento napoletano emigrate a Lawrence, Kansas. I Carafa di Santa Severina e lo scultore Cesare Quaranta per San Domenico Maggiore”, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 48, 2004, 333-358. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 11/01/2013 00:31:01 | |
Data ultima revisione | 14/11/2016 17:33:46 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/160 |
Oggetto | Montevergine, Santuario, Altare eucaristico di Luigi di Capua conte d'Altavilla | |
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Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | L'altare si trova nell'attuale Cappella del Santissimo Sacramento della chiesa di Montevergine (Aceto 1988, 113). | |
Immagine | ![]() | |
Committente | Luigi III di Capua conte d'Altavilla | |
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | Sulla trabeazione: LOISIUS III DE CAPUA COMES ALTAE VILLAE | |
Stemmi o emblemi araldici | Stemmi della famiglia di Capua | |
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 1988: Francesco Aceto, "La scultura dall’età romanica al primo rinascimento", in Insediamenti vergininani in Irpinia: il Goleto, Montevergine, Loreto, a cura di Vincenzo Pacelli, Cava de’ Tirreni 1988, 85-116. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 11/01/2013 01:13:13 | |
Data ultima revisione | 14/11/2016 17:38:36 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/161 |
Oggetto | Montevergine, Santuario, Baldacchino del ciborio | |
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Materiale | ||
Dimensioni | ||
Cronologia | ||
Autore | ||
Descrizione | Nella navata destra del santuario di Montevergine | |
Immagine | ![]() | |
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | ||
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | ||
Data di compilazione | 12/12/2012 14:11:23 | |
Data ultima revisione | 16/11/2016 16:21:39 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/132 |
Oggetto | Montevergine, Santuario, Pala della Vergine | |
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Materiale | tempera su tavola a fondo oro | |
Dimensioni | 460 cm x 232 cm | |
Cronologia | ||
Autore | Montano d'Arezzo (?) | |
Descrizione | L'enorme pala si trovava originariamente in una grande cappella laterale destra nella chiesa del Monastero di Montevergine, ed è stata poi sistemata sull'altar maggiore della nuova basilica costruita perpendicolare alla navata della vecchia. Una prima, e decisiva, notizia legata alla cappella fu fornita da Giovanni Antonio Summonte e allude a una donazione fatta da Filippo di Taranto al pittore Montano d'Arezzo per aver dipinto la cappella nel suo palazzo e quella in Montevergine. Il documento non esplicita a cosa stesse lavorando Montano: si è supposto però che sia stato lui l'autore della tavola. La bibliografia sulla tavola è molto fitta, non solo perché opera d'arte celeberrima presso gli studiosi di più secoli, ma anche e soprattutto perché icona mariana veneratissima in tutto il Regno, e lo è ancor oggi. La fortuna critica è stata recentemente ripercorsa da Muollo (2012). | |
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Committente | Filippo di Taranto | |
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Gandolfo, Muollo 2014: Francesco Gandolfo, Giuseppe Muollo (a cura di), La Maestà di Montevergine. Storia e restauro,Roma 2014
Muollo 2012: Giuseppe Muollo, "La Maestà di Montevergine di Montano d'Arezzo. Questioni e problemi sull'origine del clipeo. La fortuna critica dell'opera", in Capolavori della terra di mezzo. Opere d'arte dal Medioevo al Barocco, catalogo della mostra (Avellino, Ex Carcere Borbonico, 2012), a cura di Antonella Cucciniello, Napoli 2012, 33-49. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 12/12/2012 14:16:53 | |
Data ultima revisione | 14/11/2016 17:43:30 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/134 |
Oggetto | Montevergine, Santuario, Tomba a baldacchino (cosiddetta di Caterina Filangieri) | |
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Materiale | marmo | |
Dimensioni | ||
Cronologia | fine XIV secolo | |
Autore | ||
Descrizione | La tomba si trova nella navata destra della basilica di Montevergine. Non si conosce la sua collocazione originaria, e pare mancante la copertura del baldacchino. Il monumento funebre non conserva l'epitaffio e secondo una tradizione settecentesca sarebbe quello di Caterina Filangieri, moglie di Sergianni Caracciolo, morta nel 1447. Come ha ben notato Francesco Aceto (1988, 110), però, lo stile non consente in nessun modo una datazione così bassa. L'opera è invece da collocare nell'ultimo trentennio del Trecento. Esso era stato avvicinato al Caracciolo per via dello stemma con il leone rampante che appare sulla fronte del sarcofago (tema araldico quantomai comune). A giudicare dallo stile, paiono appartenere a questo sepolcro un gruppo dell'Annunciazione, oggi nel museo (cfr. Aceto 1988; e da ultimo Francesco Gandolfo in Capolavori 2012, 78-79, n. 11), ma anche una coppia di angeli, rispettivamente con il turibolo e con l'aspersorio, che si trovano impropriamente sul baldacchino dell'altare eucaristico nella Cappella del Santissimo. | |
Immagine | ![]() | |
Committente | ||
Famiglie e persone | ||
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Note | ||
Fonti iconografiche | ||
Fonti e documenti | ||
Bibliografia | Aceto 1988: Francesco Aceto, La scultura dall’età romanica al primo rinascimento, in Insediamenti vergininani in Irpinia: il Goleto, Montevergine, Loreto, a cura di Vincenzo Pacelli, Cava de’ Tirreni 1988, 85-116. Capolavori 2012: Capolavori della terra di mezzo. Opere d'arte dal Medioevo al Barocco, catalogo della mostra (Avellino, ex Carcere Borbonico, 2012), a cura di Antonella Cucciniello, Napoli 2012. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Fernando Loffredo | |
Data di compilazione | 12/12/2012 14:08:23 | |
Data ultima revisione | 14/11/2016 17:47:30 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/131 |