Profilo storico | Tra basso e medioevo e prima età moderna emerge una continua infeudazione della città. Raramente fu parte del demanio regio, fu invece quasi costantemente dominio di signori, per via di assegnazioni regie o conquiste nell’ambito dei vari rivolgimenti dinastici. Giuseppe Coniglio indica come periodo più alto della storia cittadina la fase normanna, in particolare quella del conte Gilberto, tra 1160 e 1169, un personaggio che godeva di grande prestigio presso la corte di Sicilia e il cui accrescimento del potere nella contea di Gravina potrebbe collegarsi alle necessità militari dei normanni nel contesto dei conflitti con i bizantini tra 1155 e 1156, quando la Terra di Bari fu teatro di scontri rilevanti (Nardone ed. 1979, V-VIII). Dopo Gilberto e in seguito alla dominazione dei De Say del Piemonte, in epoca federiciana la contea passò al demanio regio. Federico II dispose la costruzione di un maniero in città, definito in alcuni documenti palazzo regio e in altri castello (Nardone 1934, 19-28). Destinò inoltre Gravina a sede di Curia Generale per Puglia, Basilicata e Capitanata (Nardone ed. 1979, 73). A partire da questa fase il centro si sviluppò non poco a livello agricolo. Un documento angioino del marzo 1268, in cui Carlo I richiedeva alle comunità approvvigionamenti di grano per l’esercito regio, mostra che Gravina doveva partecipare per il 15% del totale di tutta la provincia di Terra di Bari (Filangieri 1950, 221). I decenni delle guerre tra angioini e ungheresi, in particolare a cavallo della metà del secolo XIV, risultarono molto difficili per la città, coinvolta in conseguenti scontri di fazione interni che determinarono grossi squilibri, problemi demografici e continui passaggi del territorio gravinese sotto il dominio dell’una o dell’altra parte in causa. Alcuni episodi interessanti da menzionare mostrano la forte divisione della cittadinanza in momenti particolarmente accesi. All’inizio del 1349, ad esempio, il contrasto vedeva protagonisti Maria d’Angiò, vedova del duca Carlo di Durazzo, in contrapposizione con il re d’Ungheria che aveva dato in feudo Gravina a Stefano di Lomith, suo luogotenente. Maria, una volta che Stefano partì per impegni militari con gli ungheresi, destituì il governatore nominato da quest’ultimo, ovvero Niccolò d’Angelo, sostituendolo con Pietro Sanfelice, il quale fu costretto a dimettersi per manifesta inadempienza al ruolo. La cittadinanza scelse come successore al governatorato Angelo di Gualtiero, della nobile famiglia Alchimia. Il quale, nel mezzo dei due fuochi, preoccupato inoltre dal ritorno in Italia con le armi di Stefano, fu spinto a convocare la cittadinanza stessa in pubblica piazza, che si pronunciò a favore degli ungheresi. I capi gravinesi della locale fazione angioina, i giudici Angelo di Petrillo e Gargano, si rianimarono nei giorni seguenti. Il 9 febbraio 1349, tuttavia, la comunità si sottopose volontariamente al ritorno del dominio del re d’Ungheria, per evitare gravi conseguenze (Nardone ed. 1979, 130-135). Nel corso di quell’anno gli scontri proseguirono. La città tornò rapidamente nelle mani angioine, anche grazie alle gesta militari del conte Roberto Sanseverino. Nel 1350, nonostante gli ultimi tentativi dei fuoriusciti di parte ungherese, la nuova situazione fu sancita anche dal trattato di pace concluso tra il re d’Ungheria e la regina Giovanna I (Nardone ed. 1979, 150). Attorno al 1380 Gravina passò nelle mani degli Orsini del Balzo principi di Taranto. Essi, nella persona di Raimondo, approfittarono delle lotte di successione al trono di Napoli tra angioini e durazzeschi per inserirsi nell’area pugliese, usurpando con la forza terre che già appartenevano a Carlo III dopo la morte di Giovanna, con l’appoggio di Ludovico d’Angiò. Successore di Raimondo, dopo la sua morte nel 1406, fu Giovanni Antonio Orsini, anche se per diversi anni solo nominalmente. Era infatti ancora minorenne e inoltre, insieme alla madre e ai fratelli, subì una prigionia imposta dalla regina Giovanna II, riuscendo ad ereditare i possedimenti paterni solo dal 1420. Tuttavia, nel caso gravinese, proprio attorno al 1420 la contea era già nelle mani degli Orsini di Roma, della linea di Bracciano. Nell’ambito della ribellione di Attendolo Sforza alla stessa Giovanna II, la regina decise di attrarre dalla propria parte questa casata, nella persona di Francesco Orsini. Prima gli concesse la grazia, con diploma del maggio 1420, poiché era reo di essersi impadronito di troppe terre di sua spontanea iniziativa. Poi, dopo una decisiva vittoria nei confronti dello Sforza, creò Francesco Orsini conte di Gravina (Nardone ed. 1979, IX e 154-156). Francesco si dedicò in particolare a dare nuova stabilità ad un centro che nei decenni precedenti era stato a lungo travagliato dalle lotte di fazione legate alle guerre di successione regie. Tornò a svilupparsi in maniera rilevante l’economia, anche grazie agli interventi di Alfonso il Magnanimo, che nell’ottobre del 1436 concesse l’esenzione di dazi e gabelle per i quattro giorni precedenti e i quattro successivi alla fiera di S. Giorgio. Tale provvedimento fu confermato poi da Ferrante nel 1468. Cosa ancor più importante, a livello stavolta politico, fu l’elevazione nel 1444 di Gravina a ducato. Dopo essere divenuto re, Alfonso volle premiare i vari baroni che lo avevano aiutato ad ottenere il trono. Tra questi proprio Francesco Orsini, cui non solo venne riconfermato il possesso della città e del suo territorio, ma venne insignito del titolo di duca, con il privilegio del mero et mixto imperio, che voleva dire giurisdizione civile e penale di primo grado rispetto ai suoi sudditi (Nardone ed. 1979, IX e 159-166). Il Quattrocento, tuttavia, fu per Gravina un secolo complicato a livello demografico. La popolazione locale fu colpita da diverse calamità: la peste endemica e il disastroso terremoto del dicembre 1456, con il crollo della Cattedrale di epoca normanna. Il secolo seguente portò una ricrescita notevole sotto l’aspetto della demografia. Figura di particolare rilievo in questo periodo fu il duca Ferdinando Orsini, detto anche d’Aragona. Gravina era infatti passata al regio demanio nel 1500 quando il duca Francesco II, padre di Ferdinando, si era dato clandestinamente alla fuga per unirsi ai principi di Marca e Romagna contro le mire minacciose di papa Alessandro VI. Morto Francesco II, nell’ambito di tali scontri, nel 1505 Ferdinando fu inserito tra i baroni del regno di Napoli condonati per aver parteggiato per Luigi XII di Francia, su intercessione di papa Giulio II e su grazia di re Ferdinando il Cattolico d’Aragona. Così l’Orsini poté ereditare il ducato gravinese. Ciò spiega, peraltro, l’apposizione del patronimico d’Aragona al suo nome. Alla fine del 1519, poi, lo stesso Ferdinando ufficializzò tramite privilegio il disciplinamento delle antiche consuetudini di Gravina sulla base anche delle nuove norme politico-amministrative introdotte dagli aragonesi, legate queste soprattutto alla nomina del sindaco (Nardone ed. 1979, 205-212). Altro episodio interessante risale al 1529: Ferdinando fu accusato dal potere centrale, insieme ad altri, di essere ribelle, di aver cioè favorito i recenti successi francesi, nel corso della fase finale delle Guerre d’Italia. Egli, come tutti gli imputati, fu privato dei possedimenti territoriali. Gravina tornò nel demanio regio, ma già nel 1533 il duca riconquistò i propri titoli per effetto della grazia concessa dall’imperatore Carlo V, su intervento anche del pontefice Clemente VII (Nardone ed. 1979, XI-XII e 216-217). Gli Orsini di Roma continuarono a tenere Gravina fino agli inizi del secolo XIX. |
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Cronotassi | Gilberto d’Aigle (1160-1169)
I De Say del Piemonte (1169-1223)
Demanio regio federiciano (1223-1250)
Manfredi di Svevia (1250-1266)
Demanio regio a cavallo svevi e angioini (1266-1271)
Ludovico de Bellojoco (1271-1282)
Burcardo de Montmorency (1283-1289)
Giovanni di Monfort (1289-1300)
Elisabetta, figlia di re Carlo I d’Angiò (1300-1302)
Pietro, figlio di re Carlo II d’Angiò (1302-1306)
Giovanni, figlio di re Carlo II d’Angiò (1306-1334)
Agnese di Durazzo (1334-1335)
Carlo duca di Durazzo (1335-1345)
Maria d’Angiò (1345-1355)
Demanio regio (1355-1358)
Luigi di Durazzo (1358-1362)
Giovanna di Durazzo (1362-1380)
Raimondo Orsini del Balzo (1380-1406)
Giovanni Antonio Orsini del Balzo (1406-1420, ma solo nominalmente)
Francesco Orsini (1420-1450)
Antonio Orsini (1450-1457)
Alessandro Orsini (1457-1458)
Rinaldo Orsini (1458-1468)
Giacomo Orsini (1468-1472)
Raimondo Orsini (1472-1488)
Francesco II Orsini (1488-1500)
Demanio regio (1500-1505)
Ferdinando Orsini d’Aragona (1505-1529 e 1533-1549)
Demanio regio (1529-1533)
Antonio Orsini d’Aragona (1549-1553)
Felicia di Sanseverino, vedova di Antonio (1553-1570)
Ferdinando II Orsini (1570-1583)
Costanza di Gesualdo, vedova di Ferdinando II (1583-1585)
Michele Antonio Orsini (1585-1627) |
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Corpus normativo | Nel 1091 il normanno Unfrido, signore di Gravina nella parte finale del secolo XI, concesse una serie di privilegi alla chiesa principale della città perché vi si potesse ripristinare la sede vescovile rimasta soppressa nella capitolazione ai saraceni un secolo prima. Questi privilegi rappresentano una sorta di prima testimonianza scritta del corpus normativo locale medievale. Le varie concessioni che mirano allo sviluppo agricolo e edilizio sono ricche di formule giuridiche riscontrabili solo nell’antico diritto romano. Gravina, infatti, osservò sempre quest’ultimo, accogliendo soltanto alcune istituzioni del diritto franco con l’arrivo dei normanni (Drago Tedeschini 2012, n. 1; Nardone ed. 1979, 34-39). Degli usi civici cittadini si ha testimonianza anche nella documentazione ufficiale del passaggio della città sotto il dominio di Giovanni di Monfort, nel 1289, in cui si rileva la prescrizione della più rigorosa osservanza di tali usi, probabilmente a causa del fatto che in precedenza non erano stati rispettati in maniera adeguata (Archivio della Regia Zecca di Napoli, vol. 9, n. 825; Nardone ed. 1979, 95). Inoltre attraverso un privilegio del 1328, concesso dal conte Giovanni d’Angiò su proposte avanzate dalla comunità gravinese nella persona del sindaco Nicola De Vito, è possibile prendere conoscenza della politica cittadina in merito alle gabelle. Alla fine del 1519, poi, risale un privilegio del duca Ferdinando Orsini che disciplinava ufficialmente le antiche consuetudini di Gravina legate in particolare alla nomina del sindaco cittadino, sulla base tuttavia anche delle nuove norme politico-amministrative introdotte dagli aragonesi. La nomina del sindaco era annuale, veniva scelto tra i migliori e più facoltosi cittadini del luogo, per elezione del popolo e senza l’intervento del duca. Chiuso il mandato non poteva più essere rieletto. Annualmente, poi, si nominavano anche i dodici ordinati, coloro che dovevano coadiuvare l’operato del sindaco, selezionati tramite elezione soprattutto tra i membri più anziani delle differenti famiglie del posto, con spazio a pochi giovani che potevano così apprendere il mestiere. Accanto ad essi altri ventiquattro cittadini venivano eletti, con le medesime modalità, per partecipare ai consigli generali e per svolgere mansioni di ulteriore ausilio a sindaco ed ordinati. I consigli generali si tenevano nella piazza maggiore, vi partecipavano tutti i cittadini maschi maggiorenni, tranne ammalati e condannati. Le votazioni avvenivano o per acclamazione o per votazione segreta tramite bossoli bianchi e neri. Competenze primarie di tale assemblea erano le nomine dei suddetti principali ufficiali cittadini (Nardone ed. 1979, 108-111 e 205-212). Delle antiche consuetudini gravinesi si è occupato Manzella nelle sue Observationes de jure civico Gravinensi, scritte nel 1686. Opera rimasta manoscritta fino a quando si iniziò a farne una traduzione, parziale, nel 1894 a cura della direzione del giornale La Ginestra. |
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