Scheda CittàBari
Profilo storico

Dopo la dominazione bizantina, a partire dall'ultimo quarto del IX secolo, anche Bari fu interessata dalla conquista normanna nel 1071. Dopo che per due volte, e per brevissimo tempo, i baresi tentarono di darsi dapprima a Lotario (1137) e poi ai bizantini (1155), la città fu rasa al suolo da Guglielmo il Malo (1156), subendo il divieto di abitare per quarant’anni (Kinnamos [ed. 1836], 140; Romualdus Salernitanus [ed. 1935], 240). La ripresa della città avvenne a partire dalla morte del Malo, avvenuta nel 1166.
Interessante la fase degli interventi federiciani, come l’istituzione della fiera mercantile, l’ampliamento delle fortificazioni, il rinnovamento edilizio e la costruzione di un nuovo porto (Masellis 1977, 191-201). In seguito, sotto gli Angioini, deve essere sottolineata la politica di favoritismi attuata da Carlo d’Angiò nei confronti della basilica di San Nicola, e poi anche da Roberto (Tateo 1990, 96 e 105-110), per giungere infine all’affidamento di Bari stessa, come altre città vicine, a Roberto di Taranto, fratello di Luigi d’Angiò re di Francia dal 1354 al 1364 (Tateo 1990, 114-115). Sotto Ladislao si fecero notare soprattutto le ridefinizioni dei confini del territorio e le concessioni del re, per una ripresa successiva al periodo delle guerre di successione (Tateo 1990, 123-124).
Nel novembre 1463, all’indomani della morte del Principe di Taranto, l’Universitas civitatis si riunì nella chiesa di Santa Maria della Misericordia per deliberare i Capitoli di dedizione da presentare al re Ferrante. La chiesa si trovava nella piazza maggiore, e su di essa dominava la Torre di Sant'Antonio, che i cittadini stessi avevano abbattuto - si legge nei Capitoli - per evitare l’attacco di navi nemiche agli Aragonesi. In realtà, l’Università chiese, nei Capitoli immediatamente successivi, di poter utilizzare le pietre della torre per riparare le mura, e di poter edificare case, magazzini e botteghe nello spazio rimasto inedificato tra la torre e la Becchiera e la Pescheria. Dai Capitoli non è chiaro se il vero motivo della distruzione del Fortino, che probabilmente era stato potenziato dal Principe di Taranto, fosse di tipo strategico, come viene affermato, o anche di tipo simbolico, visto che si richiedeva che non si costruisse altra fortificazione a difesa della città, eccettuate le mura. Nei medesimi Capitoli l’Università chiese una revisione dell’intero ordinamento municipale, sia di competenza universale che regia. Dopo la prima e consueta richiesta, accolta al momento, ma disattesa dopo pochi mesi, della perpetua demanialità, i cittadini chiesero che nessun napoletano potesse ricoprire uffici di capitano o castellano, e che il castellano non esercitasse alcuna influenza nel governo dell’Università; che il capitano, l’assessore e il castellano rimanessero in carica un anno e fossero sottoposti a sindacato; che l’Università potesse imporre dazi e gabelle senza licenza di ufficiali regi; che la Bagliva venisse concessa all’Università; che i baroni del contado non potessero esigere diritti di piazza né altra gabella ai danni dei cittadini baresi; che si eliminasse l’ufficio di protontino (Petroni 1857, 501-505).
Il Banco di Giustizia della Bagliva era stato concesso all’Università nel 1384 da re Ladislao, unitamente alla conferma della consuetudine di eleggere il mastro giurato e il catapano. È probabile che la Bagliva fosse stata acquisita dal Principe di Taranto e, quindi, richiesta nuovamente dall’Università nel 1463.
Si ha notizia della costruzione di edifici dedicati all’esercizio del governo cittadino solo dopo la morte di Isabella d’Aragona. Nei Capitoli presentati nel 1527 a Bona Sforza e Sigismondo, l’Università chiese di edificare, nel luogo "ruinoso" presso la piazza delle case della Baronessa, alcuni "onorevoli" edifici per l’amministrazione della giustizia e la residenza degli ufficiali regi. La città chiedeva, infine, la conferma, già prestata da re Ferrante, dell’uso pubblico dell’area antistante il fortino di Sant’Antonio (Pepe 1900, 206-211).
La prima notizia dell’esistenza di due Universitates, una dei nobili e una del popolo (che nei secolo successivi si sarebbe chiamato popolo primario) risale al 1405, quando re Ladislao dispose che le tasse dovute dalla città fossero pagate a metà dalle due piazze. Come in altre città del Regno, le due Università, la cui distinzione socio-economica era fluida e ardua, per quanto rappresentassero senza dubbio l’oligarchia cittadina, non si configuravano come organi municipali, né come vere e proprie fazioni.
Le due Università ricompaiono in lite nei Capitoli presentati nel 1432 a Giacomo Caldora (Petroni 1857, 469), e in una protestatio del 1450 del sindaco dell’Università del popolo contro il sindaco dell’Università dei nobili, riguardante il diritto di presentare la strennua annuale al Principe di Taranto (Massilla [ed. Bonazzi 1881], doc. II). Ancora nel 1461, la divisione tra le due Università determinò la spartizione proporzionale delle spese per la riparazione delle mura; le due Università, i cui membri sono dettagliatamente elencati, si riunirono il 14 settembre 1465 per deliberare l’elezione degli ambasciatori da inviare a re Ferrante (Massilla [ed. Bonazzi 1881], doc. III).
Nel 1509 i due sindaci delle Università, Federico Dottola per i nobili e Felice Positano di Tramunto per il popolo, si ritrovarono ad agire congiuntamente, garantendo, in qualità di fideiussori, per il debito nei confronti del mercante veneziano Giovanfrancesco de Balio. In quest’anno Isabella d’Aragona, nuova duchessa di Bari, era già intervenuta sull’ordinamento universale e sociale della città stabilendo l’unificazione delle due Università, divise in due piazze, rette da rispettivi sindaci (Petroni 1857, 542; Pepe 1900, 129). La riforma del regime previde anche che il mastro giurato, unico per l’Universitas civitatis, fosse scelto ad anni alterni tra la piazza dei nobili e quella del popolo.
La prima metà del Cinquecento, comunque, ruotò per Bari totalmente attorno alle figure di Isabella d'Aragona e Bona Sforza (Tateo 1990, 152-182).

Cronotassi

1432: Giacomo Caldora

1440: Giovanni Antonio Orsini del Balzo, conquistata dal Caldora insieme a Conversano

1465: Maria Sforza, insieme a Palo e Modugno

1479: Ludovico Maria Sforza (dal 1487 ottiene anche Rossano, Borrello, Rosarno, Longobucco)

1494: Alfonso II confisca gli stati di Ludovico Maria Sforza

1495: Ludovico Maria Sforza recupera Bari

1499: Isabella d’Aragona, come risarcimento vedovile della dote

1524: Bona Sforza, contestata da Francesco di Ludovico Maria Sforza

1558: Filippo II

Corpus normativo

Consuetudines civitatis Bari, attribuite ad un giudice Andrea e ad un giudice Sparano, entrambi baresi, e vissuti nella seconda metà del XIII secolo.

Le Consuetudini baresi anticiperebbero così, di alcuni decenni, anche le Consuetudines Neapolitanae, fatte mettere per iscritto da Carlo II solo nel 1306. Il testo delle Consuetudines, che sarebbero state approvate da re Ruggero il 23 giugno 1132, è tramandato dalle due compilazioni che ne fecero Andrea, che le raccolse dandole l’ordine del Codice Giustinianeo, e Sparano, che le ordinò secondo le leggi longobarde.
Le fonti giuridiche delle Consuetudines sono il diritto romano, quello longobardo e quello bizantino, mentre il diritto franco è richiamato solo in alcuni usi dei nobili.
Il primo commento delle Consuetudines fu curato da Vincenzo Massilla (Commentaria super Consuetudinibus civitatis Bari), che le pubblicò a Padova nel 1550, e in seconda edizione a Venezia nel 1596 (Massa 1903, 17-33).

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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