Scheda CittàBenevento
Profilo storico

Benevento fu un centro dei Sanniti fino al 268 a.C., anno in cui i Romani insediarono una colonia da cui trasse origine il municipium, mutando il nome di Maloenta o Maleventum in Beneventum. Contesa durante il conflitto goto-bizantino, sia per la sua posizione geografica, sia per la rilevanza delle strutture, intorno al 570 fu scelta dai Longobardi come sede del loro vasto ducato meridionale. In seguito al crollo del Regno di Pavia (774), Benevento divenne il principale centro politico dell'Italia longobarda, tanto che il duca Arechi II (758-787) incominciò a qualificarsi come principe. Dopo la Divisio ducatus (849) e la costituzione del principato di Salerno, Benevento fu prima occupata dai Bizantini (891-895), poi da Guido IV, marchese di Spoleto, che la tenne fino all'897.

In seguito alla conquista normanna del Mezzogiorno e alla morte di Landolfo VI († 1077), ultimo principe longobardo, Benevento entrò a far parte, seppur con un ridottissimo territorio, del Patrimonio della Chiesa. Dalla seconda metà dell’XI secolo, quindi, Benevento si configurò come un’enclave pontificia nel Regno di Napoli e tale rimase, salvo brevi interruzioni, nel corso dell’età medievale e moderna, svolgendo un ruolo nuovo e inferiore rispetto al passato, ma sperimentando anche iniziative di tipo comunale, come testimoniano gli statuti del 1202 (Bertelli Buquicchio 1992, 370-385). Fu nel corso del XII secolo che l’Universitas di Benevento iniziò a sperimentare forme originali di organizzazione politica, che hanno fatto pensare alla nascita di un vero e proprio libero Comune (Pontieri 1964, 27-57; Pochettino 1930, 361-374, 402-414). Il rettore pontificio esercitava il potere politico, mentre le magistrature cittadine (giudici e consoli) erano appannaggio delle consorterie locali, che controllavano anche la Chiesa beneventana.

Negli anni di regno di Federico II Benevento fu investita dalle lotte tra Papato e Impero: la città fu conquistata, disarmata e diroccata dall’esercito svevo nel 1230 e nel 1241 (Vergineo 1986, 387). Nel 1256, dopo essere tornata sotto il dominio pontificio, la città si sottomise a Manfredi, cui restò fedele fino alla battaglia di Benevento (1266). Secondo la testimonianza dell’anonimo di San Pietro, il 26 febbraio di quell’anno l’esercito di Carlo d’Angiò, dopo aver sconfitto Manfredi nei pressi di Benevento, saccheggiò la città e distrusse le mura. La vittoria angioina significò per la città il ripristino dell’autorità pontificia e il ridimensionamento dei margini di autonomia dei cittadini, che peraltro furono costretti a giurare obbedienza incondizionata al rettore pontificio. Nel 1281, inoltre, papa Martino IV soppresse la magistratura dei consoli, quindi, di fatto, l’ordinamento comunale. Iniziarono così i duri contrasti tra il rettore pontificio e i cittadini, come quello sorto nel 1289, tra il rettore Giovanni, detto ‘Bocca di porco’, e l’arcivescovo beneventano Giovanni di Castroceli; quest’ultimo, coadiuvato da ventiquattro uomini e sei sindaci, e con la solidarietà della cittadinanza riunita in assemblea, assunse il comando della città contro il potere dispotico del rettore (Borgia 1769, 266-269). Tra gli storici c’è chi ha ritenuto Giovanni di Castroceli il difensore della libertas civium, cioè delle prerogative, dei privilegi consuetudinari e delle libertà di cui godevano i cittadini nei confronti dell’autorità pontificia (Zazo 1958, 1-14). Per riportare in città la pace tra le fazioni, papa Bonifacio VIII emanò nel 1300 ventisette disposizioni che vietavano a tutti i pubblici ufficiali di associarsi e di partecipare alle riunioni; poi, nel 1304, il suo successore, papa Benedetto XI, prestò consenso all’elezione dei nuovi consoli e alla redazione dei nuovi statuti cittadini. Tuttavia, la morte del pontefice e il trasferimento della sede pontificia ad Avignone, fecero svanire le speranze di una tregua nei tumulti contro i rettori. Le lotte cittadine, portate avanti dai clan familiari, dalle consorterie aristocratiche e dalle corporazioni delle arti e dei mestieri, continuarono fino alla metà del Trecento; inoltre, la contestazione al potere del rettore pontificio e il diffuso dilagare della corruzione a tutti i livelli rendevano molto tesi i rapporti politici e sociali in città. Si arrivò così alla ribellione del 1316, capeggiata da Simone Mascambruno, durante la quale i cittadini assaltarono la sede del rettore Ugo de Laysac, incendiando l’edificio e l’archivio. La rivolta fu domata grazie all’intervento del duca di Calabria e la reazione del papa Giovanni XXII fu durissima: scomunicò Simone Mascambruno fino alla terza generazione e lo fece squartare e poi decapitare in piazza davanti ai concittadini (Borgia 1769, 275). Nel 1321, papa Giovanni XXII, due anni dopo aver emanato una costituzione che prevedeva pene severissime contro gli oppositori, fece costruire presso Porta Somma, nell’area dove sorgeva il monastero di Santa Maria, un castello che servisse da dimora sicura per i rettori: sorse così l’attuale Rocca dei Rettori (Borgia 1754, 188-193; Vergineo 1986, 49).

Oltre alla celebre battaglia di Benevento (1266), un altro episodio che coinvolse la città nelle lotte del Regno di Napoli accadde nel 1348, quando il castello di Benevento fu occupato dall’esercito di Luigi d’Ungheria, per ritorsione verso papa Clemente VI, che aveva assolto Giovanna d’Angiò, accusata di essere la mandante dell’assassinio del marito Andrea d’Ungheria. Dieci anni dopo, cioè nel 1358, la regina Giovanna si impadronì di Benevento, dove negli anni 1371 e 1372 convocò due parlamenti nella cattedrale (Vergineo 1986, 388). Nel 1378, inoltre, Benevento fu coinvolta dagli avvenimenti dello scisma della Chiesa e in città si formarono due fazioni politiche che si contesero il potere: la “rosa bianca”, che sosteneva l’antipapa Clemente VII, e la “rosa rossa”, che invece era favorevole al legittimo pontefice Urbano VI. I rapporti fra i beneventani e la Chiesa restarono tesi fino alla fine del Trecento e il ritorno della città sotto l’autorità pontificia (1382) fu soltanto provvisorio. Nei primi due decenni del XV secolo Benevento fu più volte oggetto di scambio tra i sovrani durazzeschi e i pontefici: Ladislao s’impossesso della città nel 1408; poi, nel 1418, la regina Giovanna II la concesse al condottiero Muzio Attendolo Sforza. Il titolo del condottiero su Benevento non fu mai chiaramente definito; egli, pur non essendo il vicario apostolico, esercitava sulla città un governo personale con il consenso del pontefice. Della signoria degli Sforza a Benevento si conserva una «nobile memoria rappresentata dal Leone», che dalla Rocca fu nel 1640 trasferito sulla colonna presso la Porta Somma, come ornamento della strada principale della città (Borgia 1769, 355).

Nel 1440 la città si trovò nuovamente a giocare un ruolo da protagonista nelle lotte di successione per il trono del Regno di Napoli. In quell’anno, infatti, Alfonso d’Aragona sconfisse nelle vicinanze di Benevento l’esercito di Renato d’Angiò. E anche dopo l’entrata vittoriosa a Napoli, il sovrano aragonese, a differenza dei suoi predecessori, preferì conservare il possesso di Benevento, che per la sua posizione era considerata di grande importanza strategica, trovandosi sulla via che collegava la capitale del regno alla Puglia (Borgia 1769, 362). Il pontefice Eugenio IV, che nella lotta alla successione al trono aveva prima sostenuto il sovrano angioino, salvo poi appoggiare quello aragonese, concesse nello stesso anno (1440) i nuovi statuti, di cui si conservano i testi presso la Biblioteca Capitolare di Benevento. Il sovrano aragonese, che risiedette diverse settimane a Benevento, precisamente presso il palazzo arcivescovile, l’11 gennaio del 1441, ricevette il giuramento di ligio omaggio prestato dall’Università di Benevento, mediante i sindaci e procuratori, costituiti dagli otto eletti e da una delegazione del Consiglio dei Quaranta (ACA 2.941, 22v-25v). Nello stesso mese nominò il notaio beneventano Nicola Zuccario regio tesoriere della città e Antonio di Maiorca, abitante in Benevento, regio maresciallo della città (ACA 2.905, 78v-79r). Il 24 settembre 1443, papa Eugenio IV concesse ad Alfonso d’Aragona, vita natural durante, il vicariato sulla città di Benevento, ottenendo in cambio il giuramento di fedeltà. Alfonso fu così «vicarium, rectorem, gubernatorem et administradorem» di Benevento, cioè aveva tutti i poteri di un sovrano pleni iuris, pertanto superiore rispetto a quello dei semplici rettori, che erano stati sempre condizionati o determinati dalla volontà pontificia (Borgia 1769, 368-382; Vergineo 1986, 100). Tra il re e il papa si stabilì così un rapporto omologo a quello già esistente tra i due per il regno: «il papa godeva di un dominium eminens nel regno e su Benevento, mentre il sovrano ne deteneva il dominium directum», cioè aveva la potestà di esercitare il merum et mixtum imperium e quindi di nominare i magistrati, tant’è che nel 1453 nominò Pietro d’Aragona, consigliere reale, nuovo rettore della città di Benevento (ACA 2917, 95r-v; Cuozzo 2006, 155-156; Vergineo 1986, 100).

In seguito alla morte di Alfonso d’Aragona (27 giugno 1458), papa Callisto III si affrettò a nominare rettore di Benevento suo nipote Pietro Ludovico Borgia. Ferrante rispose rapidamente con l’occupazione della città, impegnandosi a restituirla solo a condizione dell’investitura pontificia del regno, la quale gli fu concessa da Pio II il 10 novembre 1458. L’anno successivo la città giurò fedeltà alla Santa Sede e il delegato pontificio Pietro Arcangeli fu nominato governatore di Benevento, titolo che sostituì quello di rettore nei documenti pubblici dell’epoca (Vergineo 1986, 102; Zazo 1976, 5). Con il ritorno di Benevento alla Santa Sede ricominciarono le agitazioni tra le fazioni cittadine, che esplosero con l’arrivo nel regno di Giovanni d’Angiò (1459), favorito da una vasta congiura antiaragonese. L’arcivescovo di Benevento, Giacomo della Ratta, ostile al potere pontificio, se in un primo momento aveva sostenuto Ferrante, promosse azioni popolari volte ad appoggiare il pretendente angioino, provocando la reazione del papa che gli contrappose il cardinale Bartolomeo Roverella come governatore di Benevento (1460). Fu solo grazie alla mediazione del nuovo governatore che si arrivò a un accordo e a calmare i contrasti tra i beneventani, che tuttavia continuavano a essere divisi in due fazioni in lotta tra loro (Vergineo 1986, 104-105). Quando cominciarono i dissidi tra il papa e re Ferrante si accentuarono maggiormente i contrasti tra le due fazioni. Il partito antipontificio sostenne con forza Ferrante, il quale il 13 agosto 1482 fece occupare la città dal suo segretario Nicolò Allegro, appoggiato da una congiura cittadina fomentata da Tirello Mansella, Andrea Mascambruno, Angelo di Vico, Goffredo Pesce, Bartolomeo Vincilao. L’occupazione durò pochi mesi, giacché il 12 dicembre dello stesso anno la città ritornò al pontefice, il quale nominò un nuovo governatore, cui attribuì anche i poteri del castellano. Dieci anni dopo, cioè nel 1492, i contrasti tra le due fazioni riesplosero quando Tirello Mansella, capo della fazione filoaragonese e antipontificia, occupò la città con un seguito di duecento armati, uccidendo il suo antagonista politico, Bartolomeo Capobianco (Vergineo 1986, 107-108; Trinchera 1868, II, n. 172).  

La discesa in Italia di Carlo VIII pose fine al dominio della dinastia aragonese nel Mezzogiorno e alle ingerenze e pretese dei suoi esponenti sulla città. Nel 1495 il sovrano francese attribuì a Benevento gli antichi privilegi legati alla sua condizione di énclave pontificia. Tuttavia, l’anno seguente, nel marzo del 1496, Ferrandino riuscì a impossessarsi di Benevento, dove dimorò per qualche tempo (Zazo 1956, 101). Nel 1497, papa Alessandro VI, confermando a re Federico d’Aragona l’investitura del regno, ottenne in cambio Benevento, che cedette a suo figlio Giovanni, già duca di Gandia, principe di Tricarico e gonfaloniere della Chiesa. Nei primi decenni del Cinquecento la città continuò a essere turbata dalle lotte intestine sorte tra le fazioni della città, cioè tra quella di Castello e quella della Fragola. Nel 1511, per esempio, Sabariani decapitò il governatore e saccheggiò il palazzo; nel 1517 Scantacerro assaltò la Rocca e saccheggiò la città; nel 1526, infine, vi fu il tumulto di Alfonso Mascambruno, a seguito del quale si arrivò ad una tregua tra le due fazioni, che portò alla cosiddetta ‘pace perpetua’, stipulata nel 1530 (Vergineo 1986, 389). Con la nomina a governatore di Ferrante I Gonzaga iniziò per la città un periodo di prosperità e di crescita economica. Il nuovo corso di concordia e di collaborazione fra i governatori pontifici e i cittadini fece sì che fallisse un tentativo di sommossa a opera di un certo Fracasso, di origine plebea, il quale nel 1531 entrò in città con alcuni ribelli per occuparla (Borgia 1769, 486).

Per tutta l’età moderna il distretto di Benevento continuò ad essere considerato dominio della Curia pontificia, ad essa immediate subiectus, quindi non infeudato, ma retto da un governatore di nomina papale. Il governatore, magistratura che nel XV secolo aveva parzialmente sostituito quella del rettore, non doveva essere né cittadino beneventano, né regnicolo, eccetto il caso in cui si fosse trattato di un cardinale. Benevento fu spesso governata da autorevoli prelati, alti funzionari curiali, esperti nelle discipline giuridiche, la cui nomina era disposta mediante un breve pontificio. La prestigiosa sede di Benevento era fra quelle più ambite dagli alti ecclesiastici proiettati verso una carriera brillante. Per quanto riguarda le magistrature e gli organi collegiali di matrice locale, dal Cinquecento il Consiglio cittadino fu composto da quarantotto membri, divisi in quattro gruppi, ciascuno di dodici consiglieri, che rispecchiavano le quattro diverse componenti sociali cittadine: nobili, mercanti, artigiani o artisti e agricoltori. Il Consiglio, ogni quattro mesi, nominava otto consiglieri, due per ciascun ceto, i quali costituivano la magistratura consolare, organo rappresentativo dell’Universitas (Noto 2006, 180).

 

Cronotassi
  • 1077: fine del principato longobardo di Benevento e inizio del dominio pontificio.
  • 1202: compilazione degli statuti cittadini, approvati dal pontefice nel 1207.
  • 1230: Federico II cinge d’assedio Benevento.
  • 1241: L’imperatore assedia e distrugge la città.
  • 1250-56: Benevento torna ad essere dominio della Chiesa.
  • 1256-66: dominazione di Manfredi.
  • 1265: Manfredi convoca a Benevento un parlamento di feudatari.
  • 1266: Battaglia di Benevento e sconfitta di Manfredi; l’esercito angioino mette a ferro e fuoco la città.
  • 1281: Papa Martino IV abolisce gli Statuti.
  • 1316: rivolta di Simone Mascambruno.
  • 1321-39: costruzione della Rocca dei Rettori.
  • 1358: Giovanna I s’impadronisce di Benevento.
  • 1371-72: in cattedrale si tengono due pubblici parlamenti.
  • 1382: Benevento ritorna alla Chiesa.
  • 1408: Ladislao occupa la città e se ne impossessa.
  • 1414: Giovanna II eredita e conserva Benevento.
  • 1418: Giovanna II concede Benevento al condottiero Muzio Attendolo Sforza.
  • 1440: Eugenio IV concede alla città nuovi statuti.
  • 1441 e 1443: Alfonso convoca in città il parlamento generale.
  • 1443-58: vicariato di Alfonso d’Aragona.
  • 1458-59: la città è occupata da Ferrante.
  • 1459: congiura antiaragonese dell’arcivescovo Della Ratta.
  • 1482: congiura filoaragonese di Mansella e Mascambruno; Nicolò Allegro, segretario di Ferrante, occupa la città.
  • 1492: Mansella occupa la città nel nome del partito aragonese.
  • 1495: Carlo VIII consegna Benevento alla Santa Sede.
  • 1496: Ferrandino s’impossessa di Benevento.
  • 1497: papa Alessandro VI concede Benevento al figlio Giovanni, duca di Gandia, principe di Tricarico e Gonfaloniere della Chiesa.
  • 1511: Sabariani decapita il governatore e saccheggia il palazzo.
  • 1517: Scantacerro assalta la Rocca e saccheggia la città.
  • 1526: tumulto di Alfonso Mascambruno.
  • 1528: Benevento è assediata dalla truppe di Carlo V.
  • 1530: fine delle lotte tra fazioni cittadine e stipula della ‘pace perpetua’.
  • 1547: Filippo II attacca la città per ritorsione contro Paolo IV.
  • 1588: Sisto V approva gli statuti cittadini.

(Borgia 1754-1769; Vergineo 1985, 258-259; Vergineo 1986, 387-389; Zazo 1956, 101). 

Corpus normativo

La compilazione dei primi statuti cittadini, originati dalla fusione tra il diritto romano e quello longobardo, risale al 1202, ratificati dal pontefice cinque anni dopo. In essi erano presenti norme che regolavano il notariato della città, in base alle quali i notai venivano nominati dal pontefice. Tra XIII e XV secolo, l’Universitas di Benevento riuscì a tutelare il suo corpus statutario, che tuttavia acquisì una valenza sempre più formale, per effetto della difficile evoluzione dei rapporti col potere centrale. Le continue lotte tra fazioni e gli scontri con il rettore pontificio obbligarono il pontefice a inviare in città, nel 1335, Bertrando de Déaulx, reformator civitatis, con l’incarico di stabilire una rigorosa normativa amministrativa e di controllare l’attività di tutti i funzionari pubblici, cui fu chiesto di non lasciare la città allo scadere del loro mandato, ma di restarvi per almeno venti giorni (Cangiano 1918; Vergineo 1985, 259).

Nuovi statuti furono concessi da papa Eugenio IV, approvati fra il 1431 e i1 1440 (Vergineo 1986, 388-389). Il nuovo ordinamento civico si basava su di un Consiglio composto da dodici membri, tre per ognuna delle quattro classi in cui era divisa Benevento (nobiles, mercatores, artifices o ministeriales, massarii). Le riunioni si tenevano ogni settimana ed erano previste pene pecuniarie per coloro che non vi partecipano. Due dei dodici consiglieri erano delegati a giudicare i ricorsi contro gli abusi dei funzionari pubblici. La partecipazione del rettore alle riunioni consiliari non era necessaria, tuttavia, nessuna deliberazione del Consiglio poteva ritenersi valida senza il suo consenso. Il rettore, nominato direttamente dal pontefice, non poteva assentarsi dalla città senza l'autorizzazione del consiglio e, al termine del suo mandato, doveva rendere conto alla città di quanto aveva fatto per la stessa. Altra figura prevista dagli statuti era quella del castellano, il quale, oltre ad amministrare la sicurezza e la vigilanza della residenza del rettore, sovrintendeva anche all'apertura e alla chiusura delle porte. Il tesoriere, eletto dai cittadini aventi diritto al voto, era investito di numerosi incarichi: si occupava del bilancio finanziario dell’Universitas, redigendo appositi registri d’entrata e d’uscita, curava la manutenzione degli edifici pubblici, esaminava i ricorsi in materia fiscale, pagava gli stipendi ai funzionari pubblici, appaltava le gabelle, etc. Il sindaco, invece, oltre a rappresentare come procuratore l’Universitas nelle cause civili, curava la manutenzione di strade, ponti e mura cittadine (Lonardo 1902, 108; Vergineo 1986, 64-70).

Nel Cinquecento, Papa Paolo III, già arcivescovo di Benevento, oltre a concedere numerosi privilegi alla città, incaricò l’arcidiacono della cattedrale di redigere i nuovi statuti cittadini, poi ratificati con breve apostolico da papa Sisto V nel 1588. I nuovi statuti, per effetto dell’incremento demografico registrato tra XV e XVI secolo, confermarono una serie di riforme, tra cui quella del Consiglio dell’Universitas; l’organo collegiale, che fino alla metà del XV secolo era costituito da dodici membri, nella seconda metà del secolo quadruplicò il numero dei consiglieri, che quindi passarono a quarantotto, dodici per ciascuno dei quattro ceti sociali cittadini (Zazo 1946, 6). Le elezioni erano convocate ogni due anni, agli inizi di maggio, in occasione della festa di San Michele. Il potere esecutivo era affidato a otto consoli, due per ogni ceto; essi erano eletti ogni quattro mesi fra i membri del Consiglio, secondo un meccanismo di rotazione che favoriva l'alternanza al governo di tutti i consiglieri. Il Consiglio, inoltre, eleggeva i funzionari pubblici: il sindaco, il tesoriere, il procuratore fiscale, gli ambasciatori, dodici capitani e due maestri per amministrare l'ospedale dell'Annunziata, uno nobile, l’altro espressione del ceto popolare (ACBn 1588, 5v; Lonardo 1902, 178).

In età moderna il Consiglio cittadino continuò a rappresentare il simbolo della formale autonomia locale, custode geloso delle antiche prerogative cittadine; ma soprattutto fu il luogo nel quale si affermavano le ambizioni dell’élite urbana, luogo di dialettica e contrapposizione fra ceti e scenario di sviluppo delle dinamiche sociali. L’accesso al Consiglio dava la possibilità di partecipare alla spartizione delle magistrature cittadine, la distributio officiorum, quindi di amministrare gli affari politici ed economici della città. Dalla seconda metà del Cinquecento, la dialettica fra ceti s’inasprì per le accresciute ispirazioni del ceto popolare, in particolare dei cittadini viventi more nobilium, in prevalenza mercanti e artigiani; questi, forti delle loro esperienze di liberi professionisti e delle loro accresciute disponibilità finanziarie, riuscirono a entrare a pieno titolo nella gestione economica e amministrativa della città. L’avanzata dei ceti popolari cittadini fu favorita anche da una naturale contrazione del numero delle famiglie nobili, che arrivò a causare problemi per il rinnovo degli organi consiliari (Noto 2006, 181).  

Schedatore

Salvatore Marino

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