Scheda Città | Matera | |
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Profilo storico | Nell’Alto Medioevo la città fu annessa al ducato di Benevento (664) e poi al principato di Salerno. Ludovico II imperatore la riconquistò ai Saraceni (867) e poco dopo l’imperatore d’Oriente, Basilio I il Macedone, la fortificò e ne fece uno dei principali capisaldi dei possessi bizantini nell’Italia meridionale, contro le milizie imperiali di Ottone II, i Longobardi e i Saraceni, che la rioccuparono nel 937 e nel 994. Nel 1061 si ribellò al governo greco e fu occupata dai Normanni di Roberto Loffredi, i cui discendenti la tennero fino al 1133. Da allora la città passò alternativamente dalle dipendenze dirette della corona alla condizione di dominio feudale. Nei secoli XIV e XV, la posizione geografica di Matera, tra Jonio e Vulture, quindi a confine tra Puglia e Basilicata, la rese molto ambita sia dalle famiglie Sanseverino, sia dagli Orsini. Se i Sanseverino furono signori della Basilicata centro-meridionale, dalla valle del Basento fino all’estrema linea del Pollino, quindi signori delle valli dell’Agri e del Sinni, gli Orsini, invece, furono signori della valle del Bradano, principi di Taranto e signori di Altamura, Gravina, Irsina e molte altre terre contermini, fino ad Acerenza e al Vulture. Gli Orsini, pertanto, trovavano strategicamente importante estendere il loro dominio su Matera, che collegavano direttamente a Taranto attraverso l’altro territorio tradizionalmente ad essi assegnato, la contea di Montescaglioso. Fu così che Matera passò continuamente tra le mani dei Sanseverino, degli Orsini e della Corona. Nel 1363, ad esempio, Filippo II principe di Taranto e re d’Albania sottopose Matera nel suo demanio (Volpe 1818, 132); poi, nel 1371, la città fu tolta con forza ai Sanseverino, conti di Tricarico, per essere temporaneamente assegnata ai Del Balzo Orsini e al principato di Taranto. Nel 1382 fu sotto il controllo di Giacomo Del Balzo Orsini, principe di Taranto, ma nel 1398 la contea di Matera fu nuovamente devoluta al regio demanio. Nel 1404 re Ladislao imprigionò undici esponenti della famiglia Sanseverino; tra essi vi era Gaspare Sanseverino, conte di Matera. Nel 1419, Giovanna II, pur reintegrando Matera nel regio demanio, affidò il governo della città ai Sanseverino (Fonseca-Demetrio-Guadagno 1999, 26). Nel 1440 era conte di Matera Filippo Sanseverino, signore delle terre di Roseto, Nocara, Canne, Nova Siri (ACA, 2906, 5r-v). Nel 1463, la città era nel regio demanio e Ferrante prestò assenso alla richiesta dei materani di restarvi per sempre. Tuttavia, nel 1495, la città fu concessa in feudo a Gilberto di Brunswich, che fu anche duca di Lecce (Fonseca-Demetrio-Guadagno 1999, 26). Pur se contesa e spesso posseduta dai Sanseverino e dagli Orsini, la città riuscì più volte ad affrancarsi e assumere il titolo di città regia, consentendo così, anche attraverso nuovi statuti civici, la crescita e la formazione di una più autonoma classe dirigente locale. Nacque così a Matera un ceto urbano forte e dinamico, che già nella seconda metà del XV secolo esprimeva sindaci e amministratori tra le famiglie che a lungo eserciteranno il potere locale e domineranno nell’economia della città. Una città libera, florida e popolata, quale era Matera tra fine Quattrocento e inizi Cinquecento, non accettò di buon grado l’infeudazione al napoletano Giancarlo Tramontano, tanto più che il nuovo signore non vantava né il prestigio degli Orsini, né altre eventuali caratteristiche che in qualche modo attenuassero la sua estraneità all’ambiente locale. Il nuovo conte di Matera, difatti, ottenuto l’infeudamento della città, si scontrò subito con l’ostilità dei materani. Il banchiere Giancarlo Tramontano, figlio a sua volta di un banchiere reale, era da considerarsi esponente della ‘borghesia loricata’, cioè un borghese conte, piuttosto che un vero e proprio conte. A Matera continuò a svolgere le sue attività commerciali, organizzando carovane di mercanzie e investendo in lana pettinata e in metalli ferrosi, suscitando così le apprensioni degli imprenditori locali, i quali temevano di essere schiacciati da un concorrente così facoltoso. Il conte, inoltre, pretese maggiori contribuzioni in denaro, necessarie sia per la sua vita dispendiosa che per colmare il grosso deficit della sua attività imprenditoriale. Accadde così che a un’ennesima imposizione fiscale del conte, indebitatosi oltre modo con un mercante catalano, il popolo materano rispose con la rivolta. Erano i giorni successivi al Natale del 1514, quando il conte fu assalito e travolto mentre usciva dalla cattedrale e assassinato nella via adiacente, che da allora si chiamerà, come ancora oggi si chiama, ‘Via del Riscatto’. Non furono mai trovati i colpevoli, né assassini, né mandanti, e gli unici nomi che compaiono fra gli indiziati sono Tassiello di Cataldo e Cola di Salvagio; la leggenda popolare vuole che a compiere il delitto sia stato uno schiavone, ossia un serbo-croato (Di Pede s.d., 9-21; Giura Longo 1987, 375-376). Dopo l’assassinio del conte Tramontano (1514), la città, prima di ripassare definitivamente al regio demanio, fu per qualche tempo riconsegnata agli Orsini, i quali, forse resi edotti del caso, favorirono in qualche modo il processo di formazione di una locale classe dirigente, scegliendo proprio tra i materani più illustri i propri rappresentanti, che curassero in loro vece i loro interessi e amministrassero per loro conto i beni loro rinvenienti per effetto del riconquistato dominio feudale sulla città (Giura Longo 1987, 376). Negli anni successivi, la città fu prima concessa (1519) ad Antonio de Ascrata, signore di Montagne, con tutte le giurisdizioni (Giustiniani 1803, V, 413); poi, nel 1521, Antonio de Ascrata la vendette a Ferrante Orsini, duca di Gravina, che la perse nel 1528 per poi riaverla nel 1533. Nel 1577, infine, Matera rientrò nel regio demanio impegnandosi a versare 48.000 ducati al fisco (Giura Longo 1987, 384). | |
Cronotassi |
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Corpus normativo | Nel 1464 furono approvati gli statuti civici dell’Universitas di Matera. Con i capitoli concessi da Ferrante veniva conferita alla città una certa autonomia giuridica. Il mastro giurato, ad esempio, doveva essere di parte aristocratica, mentre il mastro d’atti doveva essere espresso direttamente dai cittadini. Con i capitoli, inoltre, venivano contenuti i poteri del capitano e si definivano norme precise sull’elezione dei consiglieri. Essi erano eletti nel numero di dieci per la parte aristocratica e altrettanti per quella popolare. Nel 1466, inoltre, Ferrante riconobbe la funzione del Sedile (Fonseca-Demetrio-Guadagno 1999, 37).
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Schedatore | Salvatore Marino | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Istituzioni/14 |