NomeSanseverino, famiglia
Altri nomi

Sanseverinus, de Sancto Severino

Titoli

Conti di Marsico e Sanseverino, Principi di Salerno

Principi di Bisignano, duchi di San Marco, conti di Corigliano

Data e luogo di nascita

XI secolo

Data e luogo di morte
Città

Agropoli, Mercato San Severino, Marsico, Salerno

Bisignano, Corigliano

Cenni biografici

Il capostipite della famiglia è individuato nel miles normanno Troisio o Turgisio, giunto in Italia meridionale al seguito di Roberto il Guiscardo intorno agli anni ’40 dell’XI secolo. Il fratello Angerio, da cui discenderebbe la famiglia Filangieri, è detto originario della Bretagna (Portanova 1975, 111), mentre studi di onomastica hanno individuato nel toponimo Troyes, nella Champagne, il luogo di origine eponimo di Troisio (Natella 1985, 29).

Nei documenti, Troisio (Ammirato 1580, 5, cit. in Portanova 1975, 320) è designato de loco Rota, mentre a partire dal 1098 i suoi figli si qualificano già come de castro S. Severini de loco Rota. Dopo il 1105 il toponimo Rota non viene più menzionato, e già dalla seconda generazione essi si designano come signori del castrum S. Severini. La devozione locale e il toponimo derivato dal santo del Norico sono legati alla traslazione delle reliquie del santo presso il monastero benedettino di Napoli, detto poi dei SS. Severino e Sossio, avvenuta nel 902. I discendenti di Troisio, come altre famiglie normanne, adottarono, dunque, il culto già presente localmente «per radicare il loro potere presso le popolazioni assoggettate e per legittimare sé stessi attraverso una devozione tradizionale, utilizzata come elemento di continuità» (Corolla 2007, 39), rendendo il santo anche eponimo della stessa famiglia.

Il titolo comitale associato al feudo di Marsico venne concesso da Federico II a Tommaso II Sanseverino intorno al 1240, e già confiscato nel 1246 a seguito della rivolta baronale contro l’imperatore, e poi restituito da Manfredi. La concessione della contea di Marsico, avvenuta dietro rinuncia della baronia di Sanseverino, creava il primo e duraturo nucleo patrimoniale della casata. Su questo possedimento, e non più su quello eponimo, fu fondata l’appartenenza al medesimo lignaggio anche quando, a partire dai figli di Tommaso III Sanseverino, che recuperò anche la baronia di Sanseverino, si formeranno linee cadette derivate. La spartizione tra l’erede di primo letto, cui andarono i feudi antichi, e i figli di secondo letto, che ereditarono i feudi nuovi, era accompagnata dall’affermarsi della consuetudine, frutto di accordi presi tra i vari lignaggi, secondo cui ogni maschio Sanseverino potesse pretendere legittimamente la successione di un ascendente, in mancanza di eredi diretti (Pollastri, 238-239). Una consuetudine familiare che avrebbe ricevuto la ratifica con un decreto di Giovanna II del 1418, con cui si accoglieva lo ius more francorum che impediva alle donne, anche se primogenite, di ereditare.

Il processo di consolidamento della propria identità familiare viene portato a compimento nel corso del XIV secolo: un gruppo di uomini del medesimo sangue e del medesimo nome, gerarchicamente ripartiti in base al loro grado di parentela, attorno al capofamiglia che rappresenta l’erede diretto dell’antenato comune e che è portatore del titolo comitale. Questa concezione di domus si sviluppa sia con la ricerca dell’antenato comune fondatore e con il consolidamento dell’eredità per via strettamente agnatica, sia con l’accumulo di feudi e uffici a partire dal primo periodo angioino. Il clan comincia a replicarsi su se stesso con matrimoni incrociati tra cugini, o con altre poche famiglie regnicole secondo la regola dello scambio (Pollastri 1991). Nel 1326, inoltre, Tommaso III viene insignito dell’ufficio di Gran Connestabile, seguito, nel 1256, dalla carica di Strategoto di Salerno, e i Sanseverino vengono annoverati tra le sette grandi casate del regno.

Durante lo scontro tra gli angioini e il ramo ungherese dei Durazzo, tutti i rami Sanseverino (Montescaglioso,  Marsico, Mileto, Corigliano) coordinati dalla linea di Montescaglioso, si mantennero fedeli alla casata regia francese. In questa occasione, dal ramo di Marsico si staccò la linea dei conti di Caiazzo che, con Leonetto, si sarebbe imparentata con gli Sforza di Milano.

La salita al trono di Ladislao segnò la prima importante spaccatura all’interno del clan sanseverinesco, in cui la linea dominante dei Montescaglioso rimase a capo della fazione angioina di Luigi II, mentre i Marsico con Luigi Sanseverino patteggiarono con il re durazzesco (Natella 1985, 85). L’adozione di Alfonso d’Aragona da parte di Giovanna II portò i Sanseverino a schierarsi quasi naturalmente per l’aragonese nella guerra contro Renato d’Angiò.

La fedeltà aragonese dei Sanseverino di Marsico, divenuti con Roberto principi di Salerno, rimase salda - se si esclude la brevissima defezione di quest’ultimo dopo la sconfitta di Sarno (7 luglio 1460) - fino al 1485, quando con Antonello tutta la casa Sanseverino, ad eccezione di Guglielmo conte di Capaccio, si ribellò alla monarchia, e poi di nuovo nel 1497, dopo la ritirata francese dal regno.

Già in occasione della ribellione contro re Federico, nel 1497, il fronte sanseverinesco non si era rivelato compatto, sfaldandosi per le progressive capitolazioni del Conte di Conza, il Conte di Capaccio, il Principe di Bisignano e il Conte di Lauria. Nell’ultima guerra mossa alla monarchia spagnola coordinata da un Sanseverino, Ferrante, i collegati con cui il principe di Salerno stabilì contatti furono principalmente potenze e famiglie extraregnicole.

 

- Linea dei principi di Bisignano e duchi di San Marco

Il capostipite del ramo dei Sanseverino principi di Bisignano e duchi di San Marco è identificato in Giacomo (1290 circa; † 1348), figlio di terzo letto del conte di Marsico, Tommaso, e di Sveva d’Avezzano, figlia ed erede di Grimaud de Bethzan conte di Tricarico. Nel corso del XIV secolo la famiglia si produsse in un articolato sistema di lignaggio grazie al quale le unioni endogamiche e matrimoni combinati con altre casate baronali regnicole potessero prevenire la devoluzione dei beni familiari alla Corona per estinzione o per ribellione. Particolarmente significativo è il caso delle contee di Altomonte e Corigliano che, pervenute a Venceslao Sanseverino, conte di Tricarico, maritali nomine (aveva infatti sposato nel 1374 Margherita di Sangineto), gli furono dapprima confiscate per la sua ribellione ai Durazzo e in seguito recuperate attraverso un accordo matrimoniale con Antonio Ruffo, conte di Montalto, a cui erano state donate; infatti, come è noto, Ruggero Sanseverino sposò nel 1394 Covella Ruffo, figlia di Antonio e di Giovannella Sanseverino dei conti di Mileto, che gli portò in dote proprio quelle contee (Caridi 1995). Altrettanto significativo è il matrimonio tra Giovanna di Antonio duca di San Marco e Giovanni di Ludovico conte di Marsico che, durante il regno di Giovanna II, unì le due principali linee della gens, quelle che sarebbero diventate poi dei principi di Bisignano e dei principi di Salerno e che, congregatesi intorno proprio a Giovanna Sanseverino, avrebbero avuto un ruolo di primo piano nella seconda rivolta baronale contro Ferrante. 

Il primo principe fu infatti Luca (1420 ca;  post 14 gennaio 1471, dettatura del testamento), figlio di Antonio e marito di Gozzolina di Nicolò Ruffo, già conte di Altomonte, Corigliano, Tricarico, Chiaromonte e duca di San Marco, che acquistò la città di Bisignano e la terra d’Acri da Ferrante e con l’assenso del duca di Calabria il 26 marzo 1462 per la somma di 20.000 ducati, dopo il suo ritorno alla causa aragonese che aveva brevemente abbandonato nel 1460 per seguire le parti del pretendente Giovanni d’Angiò durante la guerra di successione. Scipione Ammirato inoltre ne ricorda non solo l’investitura a conte di Rende con i territori di Domanico, Mendicino, Carolei e San Fele ma anche l’acquisto per 8.000 ducati di San Chirico, Lauria e Saponara da Ugo Sanseverino e Beatrice Zurlo (Pellicano Castagna 1984, 221-222). Con la pacificazione temporanea del Regno, il principe di Bisignano si interessò direttamente alla gestione delle attività economiche nei suoi possedimenti e, come ricorda Pontieri, «accudiva direttamente alla coltivazione dei suoi poderi e la estendeva, trattava di persona con incettatori e mercanti, indigeni e forestieri, di prodotti agricoli e di bestiame, cercava d’industrializzare alcune produzioni, come quella della seta e dello zucchero, a cui bisogna aggiungere, come elemento d’esportazione, il sale delle saline esistenti nel suo complesso feudale» (Pontieri 1963, 38). Accolse e, in un certo senso, sfruttò anche l’ingente immigrazione epirota intorno al 1470; molte famiglie furono infatti incanalate in Val di Crati – nel feudo di Acri e nei territori di Altomonte, Bisignano e Corigliano dove ripopolarono alcuni centri disabitati e ne fondarono di nuovi tra i quali Macchia, San Demetrio, San Giorgio, San Cosmo, Vaccarizzo, San Lorenzo e Santa Sofia. Inoltre un ulteriore vantaggio fu una maggiore disponibilità, di conseguenza, di uomini d’arme e di forza lavoro che permisero di aumentarne il peso politico presso la corte aragonese, di dissodare e bonificare ampi latifondi e di risollevare le vacillanti entrate erariali. Gli albanesi furono indirizzati all’agricoltura e in breve tempo la cerealicoltura, associata alla coltura di frutteti e viti, riprese quota: nel casale di San Demetrio, che era sotto la giurisdizione del monastero di S. Adriano, gli albanesi ottennero dall’abate non solo di poter esercitare il pascolo ma anche di poter dissodare e coltivare le terre rimaste disabitate, di impiantarvi vigneti e orti, avviandovi in seguito micro-processi di crescita della piccola proprietà privata (Cruciani 1989, 266). La loro presenza si caratterizzò, del resto, come pericolosa per il mantenimento degli equilibri territoriali tanto che l’universitas di Acri, già nel 1492, denunciò i gravi danni che gli elementi albanesi procuravano al demanio boschivo (Di Martino 2005, 86). Dal suo matrimonio Luca ebbe tre figli naturali e legittimi che gli successero nei beni feudali e burgensatici: Giovanni Antonio, Carlo, conte di Mileto, e Girolamo, suo primogenito, che ne ereditò il titolo di principe di Bisignano.

La produzione agricola e artigianale nei territori dei Bisignano costituiva una voce importante dell'attività commerciale della famiglia. È noto, ad esempio, che Girolamo Sanseverino nel 1476 fece esportare per la fiera di Lanciano «certa quantità di zucchari … extracti de la provincia di Calabria» appartenenti alla sua signoria o che, munito di tutte le franchigie doganali, estraeva grano dai suoi domini e lo trasportava a Cosenza per venderlo. Analogamente il figlio Bernardino non solo esportava il grano a Cosenza ma era in affari con il mercante genovese Francesco Spinola (Sposato 1952, 213). Se è però sicurissimo che protagonisti della vita commerciale calabrese siano stati i mercanti del nord Italia e catalani e i baroni più ricchi della regione (Brasacchio 1977, II, 115), questo non significa che le famiglie baronali e aristocratiche mutarono il loro costume inerte e incauto. Non si fecero mercanti né per iniziative né per mentalità; diversamente rimasero ottimi clienti dell’imprenditore forestiero verso il quale, generalmente, erano largamente indebitati. Il mercante che acquistava dai Sanseverino nella marina di Corigliano i prodotti cerealicoli della Valle del Crati era lo stesso che li riforniva dei più costosi generi di lusso, dai drappi ai gioielli, e di ogni altro portato del traffico mediterraneo finanziando un tenore di vita sfarzoso e fronteggiando le spese tanto ordinarie quanto eccezionali (Leone 1994, 34). Negli anni Settanta del XV secolo il patrimonio dei Sanseverino di Bisignano era davvero imponente e si estendeva largamente anche fuori della Calabria; il principe Girolamo nel 1483 acquistò da Ferrante, per 18.000 ducati, una partecipazione alla gabella della seta in Calabria che gli consentiva di esigere cinque grana, vale a dire 5 centesimi di ducato, per ogni libbra di seta prodotta nella regione e che comprendeva l’esercizio di complessi compiti giurisdizionali e di polizia. Il coinvolgimento dei Bisignano, nello specifico: Girolamo principe di Bisignano; Carlo conte di Mileto; Giovanna, figlia di Antonio duca di San Marco e loro zia; Guglielmo conte di Capaccio, nella congiura baronale del 1485-1487, a cui presero parte anche altri esponenti dei Sanseverino (Scarton 2011, 213-290) – Antonello principe di Salerno e Barnaba conte di Lauria -  e delle principali famiglie baronali regnicole – Pirro del Balzo principe di Altamura, il fratello Angilberto duca di Nardò, il gran Siniscalco e marchese del Vasto Pedro de Guevara, Andrea Matteo Acquaviva marchese di Bitonto, Giovanni Caracciolo duca di Melfi –, e la loro partecipazione attiva alla vita politica del Regno tra la discesa di Carlo VIII e la pace del 1507 condizionarono le fortune della famiglia che non estese ulteriormente i suoi possedimenti, salvo tra il 1505 e il 1506 quando Bernardino, principe di Bisignano ed erede di Girolamo, incamerò i beni di Guglielmo conte di Capaccio, dividendoseli con il principe di Salerno Roberto II Sanseverino.

In particolare Bernardino fu reintegrato nei beni feudali della famiglia da Carlo VIII il 1° maggio 1495 e successivamente confermato da Ferrante II (15 e 26 agosto 1496) e da Federico (30 ottobre 1496). Sebbene durante la prima fase della guerra di conquista si fosse riavvicinato ai francesi, all’indomani della applicazione degli accordi di Blois, ebbe confermati nuovamente da Ferdinando il Cattolico, con privilegio del 27 aprile 1506, i suoi beni feudali. È esemplificativa a tal proposito la sua restituzione, fatta al re di Francia Luigi XII il 12 novembre 1511, del collare dell’Ordine di San Michele, insieme a Troiano Caracciolo principe di Melfi, Andrea Matteo Acquaviva duca di Atri e Giovanni Tommaso Carafa conte di Maddaloni.    

All’inizio del XVI secolo i titoli feudali dei Bisignano si estendevano in Calabria sui territori di Mormanno, Morano, Saracena, Lungro, San Donato di Ninea, Altomonte, Acquaformosa, San Sosti, Buonvicino, Belvedere Marittimo, Sangineto, Bonifati, Sant’Agata di Esaro, Malvito, Santa Caterina Albanese, Roggiano, Gravina, San Marco, Argentano, Tarsia, Cassano, Francavilla Marittima, Terranova da Sibari, Santa Sofia d’Epiro, San Demetrio Corone, San Cosmo Albanese, Vaccarizzo Albanese, San Giorgio Albanese, Corigliano, Mongrassano, Cervicati, Bisignano, Acri, Rose, Luzzi, Lattarico, Rota Greca, San Martino di Finita, Cerzeto e Torano Castello. A questi beni, che costituivano un insieme territoriale senza soluzione di continuità, si dovevano aggiungere tre exclaves: Trebisacce e Calopezzati in Calabria Citra, Strongoli in Calabria Ultra. In pratica, come ha osservato Galasso, «i Sanseverino di Bisignano erano tra le prime famiglie del Regno per l’ampiezza e la qualità dei loro domini; (…) per quanto riguarda la gabella della seta, seppero prima farsene trasformare il titolo da feudale in burgensatico e poi, in cambio delle pretese che vantavano sulla contea di Mileto, farsene aumentare l’importo da 5 a 7 grana per libbra» (Galasso 1992, 35-36). Fu solo dopo la metà del XVI secolo che, per la prodigalità e i disordini del principe Nicolò Bernardino, la situazione finanziaria della famiglia si fece critica.

Legami con altre persone o famiglie

Sanseverino di Bisignano, famiglia

Sanseverino di Lauria, famiglia

Sanseverino di Capaccio, famiglia

Sanseverino di Caiazzo, famiglia

Sanseverino di Marsico, famiglia

Del Balzo di Andria, famiglia

Orsini di Nola, famiglia

Del Balzo Orsini, famiglia

Aragona, Casa regnante

Gesualdo di Conza, famiglia

Montefeltro di Urbino, famiglia

Gaetani, famiglia

Ruffo, famiglia

Sangineto, famiglia

Todeschini Piccolomini, famiglia

Committenza/Produzione di opere letterarie
Committenza/Produzione di edifici e opere d'arte

- Linea di Bisignano:

In Napoli Ruggero Sanseverino, duca di San Marco, patrocinò la costruzione della chiesa-cappella di S. Monica presso la chiesa eremitana di S. Giovanni a Carbonara;

In Cosenza Antonio Sanseverino, duca di San Marco e conte di Altomonte, nel 1448 fondò il convento dei domenicani donando a Paolo di Mileto alcune terre per la fabbrica confinanti con un proprio palazzo che in seguito fu inglobato nella struttura;

In Corigliano Luca Sanseverino fondò il convento francescano di Sant'Antonio; con il patronato della famiglia (probabilmente Girolamo), san Francesco di Paola fondò il convento della Santissima Trinità; a San Mauro Bernardino fece edificare, a partire dalla fine del XV secolo, un palazzo fortificato.

Collezioni di opere d'arte antica e moderna
Monumenti funebri o celebrativi
Fonti iconografiche
Fonti manoscritte

Ms Prignano, G. B. Prignano, Historia delle famiglie di Salerno. Ms. 276, Biblioteca Angelica, Roma.

Bibliografia

Brasacchio 1977: Giuseppe Brasacchio, Storia economica della Calabria, II, Catanzaro 1977.

 

Caridi 1995: Giuseppe Caridi, La spada, la seta, la croce. I Ruffo di Calabria dal XIII al XIX secolo, Torino 1995.

 

Corolla 2008: Angela Corolla, "La terra dei Sanseverino: i castelli e l'organizzazione militare, insediativa ed economica del territorio", in Mercato San Severino nel Medioevo: il castello e il suo territorio, a cura di P. Peduto, Firenze 2008, 33-142.


Cruciani 1989: Maria Gabriella Cruciani, "Calabria Citeriore. Dagli Angioini al decennio francese", in Storia del Mezzogiorno. Le province, dir. da Giuseppe Galasso, Rosario Romeo, VII, Napoli 1989, 241-301.


Galasso 1992: Giuseppe Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli 1992 (ed. or. 1967).


Leone 1994: Alfonso Leone, Ricerche sull'economia meridionale dei secoli XIII-XV: saggi e note critiche, Napoli 1994.


Natella 1980: Pasquale Natella, I Sanseverino di Marsico: una terra, un regno, Mercato San Severino 1980.


Pellicano Castagna 1984: Mario Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, II, Soveria Mannelli 1984.


Pollastri 1991: Sylvie Pollastri, "Une famille de l'aristocratie napolitaine sous les souverains angevins: les Sanseverino (1270-1420)", Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 103, 1991, 237-260.


Pollastri 2009: Sylvie Pollastri, "Les terres des feudataires rebelles", in Diano e l'assedio del 1497, Atti del Convegno di Studi (Teggiano, 8-9 settembre 2007), a cura di Carmine Carlone, Salerno 2009, 245-259.


Pontieri 1963: Ernesto Pontieri, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963.


Scarton 2011: Elisabetta Scarton, "La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli", in Poteri, relazioni, guerra nel Regno di Ferrante d'Aragona, a cura di Francesco Senatore, Francesco Storti, Napoli 2011, 213-290.


Sposato 1952: Pasquale Sposato, "Aspetti della vita economica e commerciale calabrese sotto gli Aragonesi", Calabria Nobilissima, 6, 1952, 201-215.

Link esterni
SchedatoreVeronica Mele, Luigi Tufano
Data di compilazione28/03/2014 13:25:58
Data ultima revisione18/05/2017 18:12:31
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Famiglie e Persone/158