OggettoAcerenza, Cattedrale, Cripta Ferrillo
LuogoAcerenza
Tipologiacappella
Nome attuale
Immagine
Nomi antichi
Cronologia

1524: completamento della cappella

10 agosto 1526: il testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo rappresenta la testimonianza più antica sulla cappella (Dentamaro 2011) – vd. scheda sul “Cassone di San Canio”.

27 novembre 1543: visita pastorale del cardinale Giovanni Michele Saraceno, arcivescovo di Acerenza e Matera

 

Per tutte le testimonianze successive pertinenti alla cripta, e spesso intrecciate con quelle inerenti al “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Autore
Committente

Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa, conti di Muro Lucano

Famiglie e persone

Committenti: Giacomo Alfonso Ferrillo (figlio di Matteo Ferrillo), II conte di Muro Lucano, e Maria del Balzo (o Maria Balsa), sua moglie, discendente da una famiglia di origini francesi e più in particolare da un ramo della famiglia trapiantatosi nel Suditalia dopo aver dominato la Serbia.

 

Pietro di Muro Lucano: architetto che firma il campanile della Cattedrale nel 1555; a lui alcuni studiosi hanno ricondotto anche la messa in opera della cappella.

Descrizione

Situata al di sotto dell’altare maggiore della Cattedrale di Acerenza, la cripta fu commissionata da Giacomo Alfonso Ferrillo, signore di Acerenza, e da sua moglie, Maria Balsa, come si evince dall’epigrafe incisa in uno dei plinti alla base delle colonne del vano, in cui i due coniugi vengono ricordati anche per aver restaurato la Cattedrale (vd. Iscrizioni in questa scheda), che era crollata parzialmente nel 1456 a seguito di un violento terremoto.

Lo spazio ipogeo seminterrato, ricavato da uno scavo sotto il preesistente presbiterio, doveva probabilmente essere destinato, secondo la volontà dei mecenati, a custodire le spoglie del protettore della città, san Canio, giunte ad Acerenza nel 700 d.C. per intercessione del vescovo Leone (Ughelli, VII, 1659, col. 10).

L’impresa è ricordata nella visita pastorale effettuata da monsignor Giovanni Michele Saraceno nel novembre del 1543 (in Gelao 1999, 212, 217) e poi nel Liber piorum legatorum del 1559, entrambi conservati nell’archivio della Cattedrale. Nella seconda fonte in particolare si parla delle cattive condizioni in cui versava la Cattedrale prima che s’intrapendessero i lavori (ridotta quasi al suolo a partire dall'innesto del transetto con la navata: "a cruce citra semidirutam, soloque aequatam" [Gelao 1999, 196]); si specifica il costo dei lavori (sedicimila ducati) e si puntualizza che i Conti di Muro fecero erigere il Succorpo. 

La cappella si presenta come uno spazio quadrangolare scandito in tre navate da quattro colonne marmoree, coperto con una volta a crociera depressa che si articola in nove volticine a vele ribassate affrescate a monocromo da un anonimo pittore del primissimo Manierismo meridionale.

Le colonne, che sono di spoglio, poggiano su piedistalli parallelepipedi; le facce di quest’ultimi sono ornate con rilievi e iscrizioni. I capitelli delle colonne, in stile composito, sono sormontati da mensole a tronco di piramide rovesciata scolpita a fogliami, e da tronchi di trabeazione completa arricchiti da teste di cherubini e animali.

Le pareti laterali del vano sono divise in tre moduli di identiche dimensioni da paraste scanalate e rudentate, addossate alle pareti e anch’esse poggianti su piedistalli aventi la stessa altezza dei piedistalli delle quattro colonne centrali (le lesene su alti piedistalli e specchiature si ritrovano nel portale dell'Annunziata di Genzano di Lucania). Le prime due sezioni delle pareti laterali, a partire dall’entrata, sono decorate con affreschi (a sinistra: Santa Margherita e il drago e l’Adorazione dei Magi; a destra: Sant’Andrea e San Matteo); l’ultimo modulo di ogni parete è invece occupato, da una parte e dall’altra, da finestre strombate che, affacciandosi sul deambulatorio, danno luce alla cappella. Le paraste sono sormontate da una trabeazione continua, con un fregio ornato da motivi vegetali, mascheroni, cherubini, stemmi delle famiglie Ferrillo e Balsa, teste maschili e femminili.

A tal proposito è interessante la testimonianza di Marco Antonio Terminio (1581, cc. 26v-27r), il quale scriveva a proposito di Giacomo Alfonso: “fu cavaliero di gentilissimi costumi, affabile, huomo di bona legge et più che mediocremente letterato, et grandissimo antiquario, il quale in più lochi delle terre sue fe’ depingere in guisa di medaglie alcune teste di suoi antecessori”.

In corrispondenza della navata centrale si apre, nella parete di fondo della cripta, una piccola abside rettangolare, coperta a botte e riccamente decorata, dov’è collocato il sarcofago che accolse, secondo la tradizione, le spoglie di san Canio (o Canione), patrono di Acerenza. Tale spazio è stato oggetto di pesanti rimaneggiamenti, non sempre documentati, e dunque non è facile risalire alla sua conformazione originaria. Ciò che spicca è però il fatto che la Cassa di San Canio, diversamente da tutta la decorazione scultorea presente nella cappella (dalle paraste, alle zoccolature, al fregio della trabeazione) è in marmo e non in pietra calcarea. Si tratta quasi sicuramente di un prodotto realizzato a Napoli (da uno scultore di primo Cinquecento, di cui non conosciamo il nome), su commissione di Giacomo Alfonso e di sua moglie Maria, e poi trasportato ad Acerenza. All’interno della piccola abside, i due pannelli con le figure a rilievo di angeli adoranti dovevano probabilmente far parte di un ciborio.

Nella cripta, secondo il gusto antiquario dell’epoca, compaiono molte grottesche e motivi iconografici che mescolano indifferentemente la tradizione cristiana e quella classica.

Il precedente più immediato cui si ispirarono i Ferrillo fu il Succorpo di San Gennaro, nel Duomo di Napoli (1496-1508). Dal modello napoletano la cripta di Acerenza riprende la divisione in tre navate e la scansione delle pareti laterali con lesene, ma se ne differenzia per le dimensioni più ridotte, l’ornato meno ricco, e soprattutto per la copertura che non ripropone il soffitto in ricchissimo marmo a cassettoni che poggia su colonne snelle, ma è fatto da volte a crociera affrescate a fingere il marmo che poggiano su colonne nane. Anche il pavimento non era quello dispendiosissimo che Oliviero Carafa fece realizzare a Napoli.

La cappella, frutto di un progetto organico e aggiornato (forse proveniente da fuori?), fu realizzata da maestranze locali, molto probabilmente le stesse impegnate nel rifacimento della Cattedrale. Ciò sembra desumersi da alcune soluzioni formali e scelte iconografiche che vengono ripetute tanto nella chiesa superiore quanto in quella inferiore (si notino ad es. il trattamento delle foglie dei capitelli, come pure la scelta di ripresentare la leggenda di Barlaam sull’albero della Vita, la sirena a doppia coda, il centauro che suona uno zufolo).  

Iscrizioni

Epigrafe incisa su un lato del plinto di colonna nella cripta:

“+ IACOBVS · ALFON/SVS · FERRILLVS ·/ MILES · PARTHENO/PEIVS · ET · MARIA ·/ BALSA · CONIUX ·/ MURI · COMITES / ECCLESIA(M) · SE/MIDIRVTA(M) · ET · SACELLVM · HOC / EREXERE · ANNO / SALVTIS 1524”.

(L’epigrafe constituisce una prova incontrovertibile per attribuire definitivamente la committenza a Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa).

 

Nell’architrave modanato dei due portali d’ingresso è incisa la data di conclusione dei lavori: “ANNO DOMINI” (portale di sinistra)

“MCCCCCXXIIII” (portale di destra)

 

I piedistalli presentano iscrizioni a carattere escatologico:

“ECCE AGNVS DEI”;

“+ PIA PRECE PA/TIENTIA FO/RTI PVRA FIDE / COELV(M) PARAT/VR”;

“+ VANE PETIS / QVOD NEGAS”;

“+ ORA CREDE / ITERA ET FE/RES”.

 

Nella vasca dell’acquasantiera (su di essa ricompare la data 1524 e lo stemma Ferrillo-Balsa):

“SI CREDIS · VNDA / LAVAT”.

 

Schulz (1860, 319) citava un’altra lapide all’ingresso della lapide, ritenuta dispersa, di cui trascriveva così il titulus inciso: “IOANNES MICHAEL ARRAGON. SS. R. E. PRESB. CARD. ACHERVNTINVS EREXIT. MDIV”. La stessa iscrizione fu riportata da Bertaux (1897, XXIII) – che la diceva “incastrata all’ingresso” [della cripta] –, ma con data “MDXXIV” (Bertaux 1897, XXIII). Lo studioso identificava il cardinale menzionato nell’epigrafe con un membro della famiglia Ferrillo, un certo Giovanni Michele Ferrillo (che non sembra essere mai esistito), attribuendogli la commissione della cripta. Clara Gelao (1999), recuperando un’ipotesi di Nuccia Barbone Pugliese (1982, 179, nota 6), ha ritenuto l’iscrizione menzionata da Schulz e Bertaux come il frutto di un’erronea trascrizione dell’epigrafe murata nel campanile, datata 1555, in cui è citato il cardinale Saraceno.

Stemmi o emblemi araldici

Gli stemmi di Giacomo Alfonso Ferrillo e Maria Balsa ricorrono nella decorazione della cripta.

Stemma Ferrillo: uno scaglione (rosso su campo d’oro) caricato in capo da tre stelle (d’oro in campo azzurro).

Stemma di Maria Balsa: inquartato; nel primo e nel terzo quarto è una testa di lupo; nel secondo e nel terzo quarto è una stella a 16 punte.

Elementi antichi di reimpiego

Fusti e basi delle colonne poste al centro della cappella.

Opere d'arte medievali e moderne

Sarcofago in marmo: collocato nella nicchia della parete di fondo all’interno di uno spazio voltato a botte, decorato con gli stemmi dei committenti. Il sarcofago potrebbe essere stato realizzato fuori dal cantiere della cripta e probabilmente a Napoli, capitale del Regno. Nuccia Barbone Pugliese (1982, 174) lo ha ricondotto alla bottega di Tommaso Malvito; Clara Gelao (1999, 232), accogliendo l’attribuzione di Francesco Abbate (1992, 17) lo ha ritenuto opera di Francesco da Milano.

Affreschi della volta: Luigi Gino Kalby (1975) ha attribuito gli affreschi al pittore lucano Giovanni Todisco di Abriola (documentato tra il 1545 e il 1566), ma secondo la Barbone Pugliese (1982) l’anonimo frescante di Acerenza rivelerebbe una cultura vicina a quella di Giovan Filippo Criscuolo. Anna Grelle Iusco (1981/2001) li ha datati al 1524, avvicinandoli invece al “Maestro di Barletta”. 

Quattro affreschi nelle pareti laterali, la cui paternità è stata variamente assegnata a Giovanni o a Girolamo Todisco (Kalby 1975, 58, nota 137; Gelao 1999, 238; Grelle Iusco 1981, 109; Grelle Iusco 1981/2001, 58, nota 137; Barbone Pugliese 1999, 178). Nella parete sinistra si susseguono (spalle all’entrata) Santa Margherita (o Marina d’Antiochia) e il drago e un’Adorazione dei Magi; sulla destra Sant’Andrea e San Matteo apostolo.

Storia e trasformazioni

Rimane aperta la questione dell’assetto iniziale dell’ambiente, e in particolare del vano absidale, nonché quella della destinazione delle reliquie di san Canio, essendo il sarcofago vuoto. Per tutte le testimonianze pertinenti alla cripta, utili a ricostruirne la storia, intrecciata con quella del “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Note

In origine si accedeva alla cripta da due rampe strette che fiancheggiavano lo scalone centrale, ascendente, che immetteva nel coro; la balaustra di recinzione del coro dava visibilità alla cripta dalla navata. A séguito di un restauro avvenuto negli anni cinquanta del Novecento, l’accesso alla cripta è stato garantito da due rampe all’altezza del transetto, che hanno ostruito i due portali d’ingresso della cappella. 

Fonti iconografiche
Piante e rilievi

Pianta della cripta pubblicata in Nuccia Barbone Pugliese 1982, 168.

Fonti/Documenti

10 agosto 1526: il testamento di Giacomo Alfonso Ferrillo rappresenta la testimonianza più antica sulla cappella (Dentamaro 2011) – vd. “Fonti e documenti” nella scheda sul Cassone di San Canio.

 

27 novembre 1543: Santa Visita di Giovanni Michele Saraceno – vd. “Fonti e documenti” nella scheda sul Cassone di San Canio.

 

Per tutte le testimonianze successive pertinenti alla cripta, e spesso intrecciate con quelle inerenti al “Cassone di San Canio”, si rimanda alla relativa scheda.

Bibliografia

Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, 17 e fig. 18.

 

Barbone Pugliese 1982: Nuccia Barbone Pugliese, “La Cripta Ferrillo nel Duomo di Acerenza”, Napoli nobilissima, s. III, 21, 1982, 168-182.

 

Bertaux 1897: Émile Bertaux, “I monumenti medievali della regione del Vulture”, supplemento a Napoli nobilissima, 6, 1897, XXIII.

 

Dentamaro 2011: Antonella Dentamaro, Ricerche su Jacopo della Pila e i suoi committenti, tesi di laurea magistrale (relatore prof. Francesco Caglioti), Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 2010-2011, 142 e nota 242.

 

Gelao 1999: Clara Gelao, “I lavori in Cattedrale nella prima metà del Cinquecento”, in La Cattedrale di Acerenza: mille anni di storia, a cura di Pina Belli D’Elia e Clara Gelao, Venosa 1999, 232, 238.

 

Grelle Iusco 1981: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, Roma 1981, 109.

 

Grelle Iusco 1981/2001: Arte in Basilicata, a cura di Anna Grelle Iusco, ristampa anastatica dell’edizione 1981, con note di aggiornamento di Anna Grelle e Sabino Iusco, Roma 2001, 263, nota di aggiornamento 74/3, e 271, nota di aggiornamento 83/1-2.

 

Kalby 1975: Luigi Gino Kalby, Classicismo e maniera nell’officina meridionale, Salerno 1975, 58, nota 137.

 

Lenormant 1883: A travers l’Apulie et la Lucanie. Notes de voyage par François Lenormant, I, Parigi 1883, 282.

 

Schultz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien von H.W. Schulz nach dem Tode des Verfassers, herausgegeben von Ferdinand von Quast, 2 voll., I, Dresden 1860, 316-319.

 

Terminio 1581: Marco Antonio Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli, in Venetia, 1581, cc. 26v-27r.

 

Ughelli 1659: Ferdinando Ughelli, Italia sacra [...], VII, Romae 1659, coll. 9-10, 96-97.

Link esterni
SchedatoreBianca de Divitiis, Michela Tarallo
Data di compilazione20/05/2013 10:08:49
Data ultima revisione30/01/2017 12:19:47
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/403