Oggetto | Venosa, abbazia della Trinità | |
---|---|---|
Luogo | Venosa | |
Tipologia | abbazia | |
Nome attuale | ||
Immagine | ![]() | |
Nomi antichi | ||
Cronologia | V-VI secolo: fondazione della basilica, all'epoca sede vescovile. 1043-1053: il conte Drogone (Dreux de Hauteville) promuove lavori nella chiesa paleocristiana e vi istituisce un cenobio benedettino. 1059: papa Niccolò II consacra la chiesa. 1066-1085: inizio dei lavori di costruzione dell'Incompiuta. L'iniziativa sarebbe da attribuire alla collaborazione fra l'abate Berengario (1066-1094) con il normanno Roberto il Guiscardo (+1085). 1069: Roberto il Guiscardo dona all'abbazia la chiesa di San Pietro di Oliveto. La chiesa viene scelta come pantheon della dinastia, e Ruggero vi fa seppellire i fratelli Guglielmo "braccio di ferro", Drogone e Umfredo. 1074: nuova donazione da parte del Guiscardo, che assicura all'abbazia metà delle rendite dell'intera città. 1086: il nuovo duca Ruggero Borsa concede all'abbazia cospicue rendite in Calabria settentrionale. 1088: Ruggero Borsa concede metà delle rendite di Ascoli Satriano. 1194: i lavori di costruzione si arrestano. 1210: ripresa dei lavori all'Incompiuta. 1220 circa: definitivo abbandono del primo grandioso progetto. I lavori all'Incompiuta si fermano e alla fine si opta per la costruzione di una chiesa più piccola che occupa la prima porzione della navata. 1270: si avviano importanti lavori alla chiesa anteriore. 1287: realizzazione del portale della chiesa anteriore (firmato e datato). 1297: il monastero passa dai benedettini agli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme. | |
Autore | ||
Committente | Roberto il Guiscardo e abate Berengario | |
Famiglie e persone | ||
Descrizione | Il complesso monumentale della Santissima Trinità di Venosa è costituito da una chiesa paleocristiana ampiamente rimaneggiata nell’XI secolo e nel XIII secolo e poi ancora nel corso del Cinquecento, da una seconda, e più grande chiesa fondata ex novo entro la fine dello stesso XI secolo, meglio nota come l’Incompiuta, ed infine dal cosiddetto palazzo abbaziale con il notevole loggiato. Per quest’ultimo, il cui nucleo originario potrebbe datarsi all’epoca longobarda, Michelangelo Cagiano de Azevedo (1979) ha proposto la funzione di foresteria, unica traccia degli edifici conventuali. Il suggestivo e imponente rudere dell’Incompiuta è addossato, lungo il medesimo asse est-ovest, alla chiesa paleocristiana divenuta nell’XI secolo cenobio benedettino. La fabbrica, il cui impianto planimetrico è quello basilicale a tre navate, si caratterizza per il presbiterio articolato in una profonda abside con deambulatorio che si apre in tre cappelle radiali. Tale assetto dell’area presbiteriale, la quale s’innesta in un transetto sporgente e a sua volta absidato, testimonia una chiara radice franco-normanna, che la basilica venusina condivide con le più tarde cattedrali di Aversa e di Acerenza (la prima dotata, in origine, di cinque cappelle radiali, la seconda, proprio come a Venosa, di tre). Sulla crociera avrebbe dovuto svettare un alto tiburio, e due torri scalari si sarebbero dovute trovare nei punti di saldatura tra transetto e deambulatorio. All’esterno i volumi piani schiettamente romanici acquistano plasticità grazie agli archetti pensili di coronamento e alle lesene che scandiscono i muri d’ambito. | |
Iscrizioni | ||
Stemmi o emblemi araldici | ||
Elementi antichi di reimpiego | Incompiuta: - albo gladiatorio CIL IX 465; - albo gladiatorio CIL IX 466; - iscrizione, CIL IX 453 1, 10, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9; - iscrizione CIL IX 454 2,3,6,4,50; - blocchi con singole lettere alveolate; - iscrizione, CIL IX 453, 11 + 455, 1; - leone di sinistra del protiro; - leone di destra del protiro; - rilievo funerario con quattro personaggi reimpiegato nel portalino del transetto; - rilievo con personaggi, CIL IX 477.
Complesso della Trinità o Chiesa Vecchia: - due capitelli di tipo composito; - capitello corinzio rilavorato;
Loggiato della c.d. Foresteria: | |
Opere d'arte medievali e moderne | Abbazia della Trinità:
Incompiuta: Protiro del portale del braccio sinistro del transetto. | |
Storia e trasformazioni | In merito alla chiesa “vecchia”, le notizie più antiche si trovano in un passaggio del Chronicon Cavense, nel quale si afferma che il monastero fu fondato nel 942 su iniziativa di Gisulfo I principe di Salerno, sebbene Houben (1995, 135-136), abbia smentito l’attendibilità del Chronicon. Attestazione documentaria certa è, invece, la donazione fatta da Drogone d’Altavilla nel 1043, vale a dire appena questi ebbe preso controllo della città di Venosa: da tale donazione sappiamo che a quell’epoca il cenobio della Santissima Trinità esisteva già e che la comunità aveva preso possesso dell’antica basilica sorta nel tardo VI secolo sui ruderi di un quartiere residenziale sito nel settore nord-orientale della città imperiale e tardo antica, a ridosso del decumano corrispondente al tracciato urbano della via Appia (Salvatore 1986). Rimasta cattedrale della città fino al 1059, a partire da quella data una bolla di papa Niccolò II ne sancì la trasformazione in chiesa abbaziale. Il documento, datato 25 agosto 1059, cita espressamente il conte di Puglia Drogone quale promotore di una vera e propria rifondazione. Gli interventi di Drogone, divenuto conte di Puglia nel 1046, devono dunque collocarsi tra il 1043 ed il 1051, anno della morte dell’Altavilla. Di tali lavori restano due testimonianze: una lapide, esistente fino al XVII secolo e riportata nella Cronaca di Jacopo Cenna (Cenna [ed. Pinto 1902]), e un’iscrizione incisa nella tomba di Roberto il Guiscardo e dei suoi fratelli in occasione del rifacimento cinquecentesco del sepolcro ad opera dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Al 1059 sono testimoniati, sempre grazie alla lapide trascritta dal Cenna, ulteriori lavori, forse di completamento di quelli avviati da Drogone, o di ampliamento, verosimilmente iniziati dall’abate Ingilberto, in carica già dal 1053. Potrebbe collocarsi a quest’epoca l’interessamento del Guiscardo, sebbene le sue donazioni in favore del monastero non precedano il 1057. Col tramonto della potenza normanna iniziò un periodo di declino per l’abbazia, che nel 1194, per volere dell’imperatore Enrico VI, finì nell’orbita di Montecassino. I lavori all’Incompiuta furono comunque ripresi intorno al 1210, sebbene arrestati definitivamente una decina d’anni più tardi. Solo durante la seconda metà del XIII secolo, in concomitanza con l’ascesa degli Angioini, vi fu una ripresa dei lavori al complesso abbaziale, ma questa volta gli interventi furono mirati alla chiesa “vecchia”, ovvero alla chiesa anteriore. Rinnovato tra il 1270 ed il 1290, l’edificio passò definitivamente dai benedettini agli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme: tale cambio fu legittimamente sancito dalla bolla di papa Bonifacio VIII (1297). La chiesa anteriore reca le tracce dei numerosi interventi susseguitisi nel corso dei secoli. All’ingresso, sul lato occidentale, vi è addossato un atrio che, sulla destra, conduce all’edificio abbaziale, ospitante al piano superiore una piccola cappella romanica dotata di pianta rettangolare e terminante con un’absidiola (Bordenache 1937). L’atrio è databile al 1070-80, e vi si accede dalla porta sinistra della fronte, sulla quale compare lo stemma del balì Antonio Peletta, che ne promosse i lavori di restauro. Oltrepassato l’atrio, ci si ritrova in un ambiente, un portico ad arcate con loggetta soprastante, per l’erezione del quale si è ricorso ad un cospicuo impiego di pezzi di spoglio. Secondo Bozzoni, esso, progettato forse per accogliere i sepolcri ducali, rimase incompiuto o fu distrutto parzialmente da un sisma. Nella loggia, le colonnine reggenti le arcatelle poggiano su elementi quadrati, tra cui si distinguono un cippo e due sostegni recanti figure antropomorfe. Metope e triglifi compaiono invece nel fregio sottostante. L’interno è suddiviso in tre navate separate da una duplice serie di pilastri e concluse da una sola abside semicircolare. La pianta attuale ricalca in parte quella della precedente basilica paleocristiana, anch’essa divisa in tre navate da due sequenze di pilastri collegati tra di loro da archi a tutto sesto, e dotata di transetto non sporgente terminante in un’abside. L’area del transetto ed una piccola porzione della navata erano occupate dalla schola cantorum; due colonne monolitiche di cipollino, tuttora in situ, reggevano l’arco trionfale, la cui spinta era contrastata da due archi delle navate minori anch’essi aperti nel presbiterio. Intorno all’abside correva un deambulatorio della stessa larghezza dell’intera chiesa ed il cui accesso era garantito da due porte ricavate nel muro di fondo delle due navate laterali, nonché da ben otto porte aperte nell’abside, e successivamente tamponate per la metà inferiore in modo da ricavare le finestre attuali. Una ricca decorazione musiva abbelliva la chiesa paleocristiana: in particolare, i pavimenti del deambulatorio, della schola cantorum, del transetto e della navata centrale erano caratterizzati da motivi geometrici o figurati, ancora visibili qua e là, mentre i pavimenti delle navatelle erano in mattoni di cotto sistemati a spina di pesce. In occasione dei lavori di epoca angioina (1270-90) fu dato un nuovo assetto al presbiterio, che si dotò di arconi longitudinali a sesto acuto, e alla cripta. All’interno di questo ambiente ipogeo furono trasferite le reliquie dei Santi Martiri e il corpo di Sant’Atanasio, riscoperti nel corso dei lavori di riammodernamento del 1791. La cripta è costituita da un vano rettangolare cui si accedeva da due rampe di scale parallele ai muri del transetto. Il portale d’accesso alla chiesa è ad oggi l’unica testimonianza dell’attività del maestro Palmerio, il cui nome, assieme alla data 1287 e all’abate dell’epoca Barnaba, compare nell’iscrizione incisa nel listello esterno del timpano. | |
Note | La determinazione della cronologia dell’Incompiuta, ossia di quella che viene comunemente definita la chiesa “nuova”, si attesta come il tema più discusso dalla cospicua bibliografia sul complesso abbaziale. Per riassumere, le principali posizioni emerse nel corso del lungo dibattito critico sono due: la prima, che ha visto nell’Incompiuta una tra le più precoci testimonianze della cultura figurativa normanna nel Meridione d’Italia, da datarsi certamente entro lo scadere dell’XI secolo e da legare con forza alla committenza di Roberto il Guiscardo (Bordenache 1937; Bottari 1948; Id. 1953; D’Onofrio 1993; Id. 1994; Aceto 2007). La seconda, che ha posticipato al XII secolo l’erezione dell’edificio, ritenendo la fondazione all’XI secolo incompatibile con gli sviluppi architettonici transalpini (Schulz 1860; Bertaux 1904; Bozzoni 1979; Torrieto 1990; Urban 1994; Guadagno 1999). Le vicende legate all’Incompiuta non possono ad ogni modo prescindere dal confronto con le altre due fabbriche normanne sopra citate, vale a dire le cattedrali di Aversa e di Acerenza. Grazie all’attendibile cronista “Lupo protospatario”, sappiamo che la chiesa acheruntina fu integralmente ricostruita, a partire dal 1080, dall’arcivescovo Arnaldo (1068-1101) a seguito del ritrovamento delle spoglie del patrono san Canio, da sempre custodite nella chiesa preesistente. La Cattedrale di Aversa è invece legata alla committenza di Riccardo I (†1078), verosimilmente quando questi era già stato insignito del titolo di principe di Capua (1058), e sarebbe stata conclusa entro il 1090, anno di morte del figlio Giordano. Questi, assieme al padre, compare in veste di patrocinatore dell’impresa nell’epigrafe incisa sull’architrave del portale alla testata sinistra del transetto e recante appunto la data 1090. Anche grazie all’aspetto dichiaratamente transalpino, l’edificio aversano divenne ben presto il luogo interprete dell’identità etnica e culturale dei normanni, per i quali la città rappresentava l’avamposto di partenza dei cavalieri alla volta di conquiste militari nel sud Italia. In tale contesto appare evidente come la Trinità di Venosa costituisca il giusto antefatto alle due cattedrali. È questa la tesi proposta, da ultimo, da Francesco Aceto (2007), secondo il quale la conclamata e da più parti accettata alterità culturale delle tre fabbriche (Venosa, Aversa, Acerenza) si deve ad una specifica cerchia di committenti normanni, sia laici che religiosi, accomunati dai medesimi orientamenti politici e pronti a diffondere e a promuovere soluzioni artistiche che, se risultavano eccezionali nella Penisola, Oltralpe s’inserivano perfettamente entro una già sperimentata tradizione architettonica. Si deve dunque alla committenza di Roberto il Guiscardo e a Riccardo I Drengot la comparsa a Venosa, Aversa e Acerenza di simili soluzioni architettoniche di sicura provenienza franco-normanna. La Trinità, legata agli Altavilla almeno dal tempo della divisione della Puglia tra dodici conti normanni (1042), fu ancora di più al centro degli interessi della famiglia francese a partire dal 1069, quando Roberto il Guiscardo vi trasferì in una tomba le spoglie dei suoi due fratelli Guglielmo Braccio-di-ferro e Drogone, in aggiunta a quelle di Umfredo, altro fratello e predecessore del Guiscardo, e già da tempo sepolto a Venosa. Al 1070 si data l’arrivo nell’abbazia, guidata da Berengario, di un gruppo di monaci provenienti dal monastero di Saint-Evroul al seguito dell’abate Robert de Grandmesnil. Scelta dal Guiscardo quale sepolcreto della propria famiglia e adatta, in virtù dei continui richiami alle architetture transalpine, a rappresentare al meglio il legame della medesima famiglia con la terra d’origine, il destino dell’abbaziale di Venosa era segnato: alla morte di Roberto prima e di Berengario poi, essa fu letteralmente abbandonata, dopo una breve ripresa dei lavori all’inizio del Duecento. Il Guiscardo fu l’ultimo degli Altavilla ad esservi sepolto: la moglie Sicilgaita si fece seppellire a Montecassino; il fratello minore, Ruggiero (†1101) trovò sepoltura, insieme alla moglie Adelaide, in un sarcofago destinato alla Trinità di Mileto (Vibo Valentia) ed oggi custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli; il primogenito Boemondo, principe d’Antiochia (†1111), fu inumato in uno splendido mausoleo ancora oggi collocato presso la Cattedrale di Canosa. Se per le mura perimetrali, innalzate con largo utilizzo di materiali di spoglio recuperati nei vicini ruderi romani, si può parlare di una sostanziale omogeneità, lo stesso non può dirsi per la plastica architettonica del corpo longitudinale e per quella del deambulatorio, nettamente differenti tra di loro. In particolare, notevoli differenze si evidenziano tra le mensole della parete sud e i capitelli del colonnato da un lato, e quelli del deambulatorio dall’altro. Nel primo caso le affinità maggiori si riscontrano con esempi di scultura sveva prodotta in Capitanata, in particolare nella Cattedrale di Troia e nella Collegiata di Foggia; nel secondo caso molti paralleli possono farsi con fabbriche fondate con certezza entro l’XI secolo, tra cui quelle di Aversa, Carinola, Canosa e Brindisi. L’edificio non ha mai avuto alcuna copertura. La muratura delle pareti è costituita da un paramento di blocchi squadrati di pietra calcarea di varie dimensioni su corsi orizzontali regolari, ad esso saldati con poca malta. I fianchi sono estremamente austeri, scanditi dalle sole finestre ad arco; differisce tuttavia quello settentrionale, sul quale si addossano anche delle semicolonne, mentre la semplicità del lato meridionale si deve verosimilmente al fatto che esso fosse meno visibile all’esterno in quanto rivolto verso il convento. L’omogeneità del paramento murario s’interrompe soltanto sul fianco meridionale all’altezza del campanile a vela, aggiunta del XVI secolo. Sempre su questo lato si apre un portale, databile al 1300 circa, costituito da un arco a tutto sesto la cui chiave di volta è decorata dal simbolo dell’Agnus Dei, probabile riferimento ai Cavalieri di San Giovanni, promotori della decorazione del portale. Un altro ingresso alla chiesa si apre nel braccio sinistro del transetto, ed è costituito da un portale con protiro particolarmente interessante per il considerevole ricorso a materiale di spoglio. L’interno presenta un’unica fila di sostegni sul lato settentrionale, tra cui cinque colonne, un piliere all’incrocio del transetto e pilastri nell’area del coro. Le colonne poggiano su basi di tipo attico, e sono coronate da eleganti capitelli fogliati di ascendenza francese. Il colonnato è strettamente legato alle pareti d’ambito: a ciascuna colonna, infatti, corrisponde, sulla parete, un peduccio a mensola, decorato da un unico ordine di foglie nervate, e atto a sostenere gli archi trasversali della crociera previsti sopra la navata minore. Francesco Aceto ha individuato nella fabbrica due diverse fasi edilizie: la prima da collocare entro la fine dell’XI secolo, cui spetterebbero l’innalzamento dei muri d’ambito (fino ad una quota che oscilla dai 3,50 metri della navata ai 7,50 dell’area absidale) e l’erezione del colonnato; la seconda riguardante il coro e la sopraelevazione delle mura perimetrali, da far risalire ai primi decenni del Duecento (epoca nella quale il cantiere s’interruppe definitivamente). Altri dettagli costruttivi indicatori di due diverse fasi edilizie sono costituiti dalle basi dei montanti, le finestre (a feritoia e con doppia strombatura quelle del coro, più ampie e di taglio rettilineo quelle della navata meridionale), nonché l’imponente pilastro polistilo collocato all’attacco del transetto, da riferire inequivocabilmente agli interventi duecenteschi. Da non sottovalutare, inoltre, la comparsa, nelle assise dei muri d’ambito, di numerosi marchi di scalpellini, pratica finora documentata nel Meridione d’Italia soltanto a partire dell’epoca federiciana in Castel Maniace a Siracusa (1232-39) e nella Porta delle Torri a Capua (1234-39). Sempre secondo Francesco Aceto, il fervore edilizio duecentesco si dovrebbe ad un rinnovato interesse tributato alla memoria di Roberto il Guiscardo, e riflessa da alcuni prodigi che erano stati nel frattempo registrati nella Cronaca Venosina, confezionata ad hoc alla fine del XII secolo. L’esistenza di un monumentale capitello erratico prova altresì che la tripartizione del corpo longitudinale mediante colonne era già prevista nel progetto primitivo, come d’altronde si evidenzia dall’accertata presenza, al di sotto del colonnato, di un muro di fondazione largo due metri e mezzo circa, che prosegue sotto il coro. I sostenitori della datazione tarda del complesso venosino hanno preso le mosse dal contributo del Bozzoni (1979), che ascriverebbe il carattere “arcaico” dei capitelli del deambulatorio all’utilizzo di elementi di reimpiego, mentre ricondurrebbe gli altri eseguiti ad imitazione di una “maestranza provinciale fortemente ritardataria”. | |
Fonti iconografiche | Mappa dei territori dell'Abbazia (1743) e pianta della chiesa vecchia (1743) in Archivio di Stato di Napoli | |
Piante e rilievi | ||
Fonti/Documenti | ||
Bibliografia | Aceto 2007: Francesco Aceto, "La corte e la chiesa: l'Incompiuta Trinità di Venosa. Un'ipotesi sulla sua destinazione funeraria", in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano 2007, 403-413.
Avena 1902: Adolfo Avena, "Comune di Venosa. Chiese della SS. Trinità", in I monumenti dell'Italia meridionale, Roma 1902, 324-335.
Bertaux 1897: Emile Bertaux, “I monumenti medievali della regione del Vulture”, supplemento a Napoli Nobilissima, VI, 1897.
Bertaux 1904: Emile Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, de la fin de l'Empire romain à la Conquête de Charles d'Anjou, Paris 1904.
Bordenache 1937: Riccardo Bordenache, "La SS. Trinità di Venosa. Scambi ed influssi architettonici ai tempi dei primi Normanni in Italia", Ephemeris Daconiana", 7, 1937, 1-76.
Bozzoni 1979: Corrado Bozzoni, Saggi di architettura medievale, Roma 1979, 15-100.
Cagiano de Azevedo 1979: Michelangelo Cagiano de Azevedo, "Considerazione sulla cosiddetta «Foresteria» di Venosa", Puglia paleocristiana, 3, 1979, 77-84.
Cenna (ed. Pinto 1902): Giacomo Cenna, Giacomo Cenna e la sua Cronoca venosina, ms. del sec. XVII della Biblioteca Nazionale di Napoli, con prefazione e note di Gerardo Pinto, Trani 1902.
Cirsone 2011: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (I parte)", Capitanata, 49, 2011, 125-180. Cirsone 2012: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (II parte)", Capitanata, 50, 2012, 99-141. Cirsone 2013: Giacomo Cirsone, "La basilica della SS. Trinità di Venosa dalla Tarda Antichità all’Età Moderna (III parte)", Capitanata, 51, 2013, 113-134. Croce 1892: Benedetto Croce, “Sommario critico della storia dell’arte nel napoletano”, Napoli Nobilissima, 2, 1892, 179-182.
Crudo 1899: Giuseppe Crudo, La SS. Trinità di Venosa. Memorie storiche, diplomatiche, archeologiche, Trani 1899.
D'Onofrio 1997: Mario D'Onofrio, "L'abbatiale normande inachevée de Venosa", in L'architecture normande au Moyen Age, a cura di M. Bayle, 2 voll., Caen 1997, I, 111-124.
Garzya 1988: Chiara Garzya, Italia romanica. La Basilicata e la Calabria, Milano 1988, 39-74.
Herklotz 1990: Ingo Herklotz, "Die Sogennante Foresteria der Abteikirche zu Venosa", in Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno, Atti del Convegno di Studio promosso dall’Università degli Studi della Basilicata in occasione del IX centenario della morte di Roberto il Guiscardo (Potenza, Melfi , Venosa, 19-23 ottobre 1985), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Galatina, Congedo, 1990, 243-282.
Houben 1994: Hubert Houben, “La SS. Trinità di Venosa, baliaggio dell'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Gerusalemme (1297-1803)”, Studi Melitensi, 2, 1994, 7-24.
Houben 1984: Hubert Houben, “Il necrologio dell'abbazia della SS. Trinità di Venosa. Una testimonianza della prima generazione normanna nel Mezzogiorno d'Italia: bilancio storiografico e prospettive di ricerca”, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia. Convegno di studio in occasione del XV centenario della nascita di S. Benedetto (Bari-Noci-Lecce-Picciano, 6-10 ottobre 1980), a cura di C. D. Fonseca, vol. 2, Galatina 1984, 241-255.
Houben 1984: Hubert Houben, Il 'libro del capitolo' del monastero della SS. Trinità di Venosa (Cod. Casin. 334): una testimonianza del Mezzogiorno normanno, Galatina 1984.
Houben 1985: Hubert Houben, “Il cosiddetto 'Liber Vitae' di Polirone: problemi terminologici e metodologici”, in L'Italia nel quadro dell'espansione europea del monachesimo cluniacense. Atti del Convegno internazionale di storia medievale (Pescia, 26-28 novembre 1981), a cura di A. Spicciani, G. Spinelli e C. Violante, Cesena 1985, 187-198.
Houben 1986: Hubert Houben, “Una grande abbazia nel Mezzogiorno medioevale: la SS. Trinità di Venosa”, Bollettino storico della Basilicata, 2, 1986, 19-44.
Houben 1988: Hubert Houben, “Urkundenfälschungen in Süditalien: das Beispiel Venosa”, in Fälschungen im Mittelalter. Internationaler Kongreß der Monumenta Germaniae Historica (München, 15.-18. September 1986), vol. 4, Hannover 1988, 35-65.
Houben 1995: Hubert Houben, Die Abtei Venosa und das Mönchtum im normannisch-staufischen Süditalien, Tübingen 1995.
Houben 1995: Hubert Houben, “L'abbazia della SS. Trinità di Venosa (1040-1297)”, in Aspetti del periodo medievale in Venosa e nel suo territorio, a cura di A. Capano, Lavello 1995, 57-70.
Houben 1997: Hubert Houben, Venosa 1655. Un'anonima storia, descrizione e serie dei vescovi nel lascito di Ughelli, Venosa 1997.
Houben 2006: Hubert Houben, “Le istituzioni monastiche italo-greche e benedettine”, in Storia della Basilicata, II, Il Medioevo, a cura di D. Fonseca, Roma–Bari 2006, 355-386.
Lachenal 1996: Lucilla de Lachenal, "I Normanni e l'antico. Per una ridefinizione dell'abbaziale incompiuta di Venosa in terra lucana", Bollettino d'arte, ser. VI, 81, 1996,, 96-97, 1-80. Lachenal 1998: Lucilla de Lachenal, “L'Incompiuta di Venosa. Un'abbaziale fra propaganda e reimpiego”, Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, 110, 1998, 299-315.
Marchi 2010: Maria Luisa Marchi, "Venosa: nuovi dati sulla frequentazione tardoantica dell'area della SS. Trinità a Venosa", in Paesaggi e insediamenti urbani in Italia Meridionale fra tardoantico e altomedioevo, atti del Secondo Seminario sul Tardoantico e l'Altomedioevo in Italia Meridionale (Foggia-Monte Sant'Angelo 27-28 maggio 2006), a cura di Giuliano Volpe e Roberta Giuliani, Bari 2010, 201-218.
Pistilli 2010: Pio Francesco Pistilli, "Tra incompiuto e inesistente. L'abbazia normanna della SS. Trinità di Venosa", in Cantieri e maestranze nell'Italia medievale, Atti del convegno di studio (Chieti-San Salvo, 16-18 maggio 2008), a cura di Maria Carla Somma, Spoleto 2010, 375-412.
Pellettieri 2005: Antonella Pellettieri, Militia Christi in Basilicata, Anzi 2005, 82-90.
Ricciardi 2001: Emilio Ricciardi, “L’abbazia della SS. Trinità di Venosa”, I Beni Culturali. Tutela e valorizzazione, 1, 2001, 21-27.
Ricciardi 2009: Emilio Ricciardi, “Il baliaggio della Trinità di Venosa tra Seicento e Settecento”, Archivio Storico per le Province Napoletane, 127, 2009, 93-120.
Rossi 2005: Pasquale Rossi, “Architettura sacra e fortificata dell’ordine gerosolimitano in Italia meridionale”, in San Giovanni a Mare. Storia e restauri, a cura di Stella Casiello, Napoli 2005, 17-63.
Salvatore 1986: Mariarosaria Salvatore, "La SS. Trinità di Venosa e la Cattedrale paleocristiana: recenti scoperte", in Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Pesaro-Ancona 19-23 settembre 1983), Firenze 1986, II, 825-842. Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 321-328. | |
Link esterni | ||
Schedatore | Paola Coniglio | |
Data di compilazione | 01/03/2013 14:26:30 | |
Data ultima revisione | 02/01/2019 16:40:55 | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Edificio/328 |