Scheda CittàLecce
Attività economiche

Data la sua posizione geografica, l’economia leccese era essenzialmente fondata sull'agricoltura e sull'allevamento. Lo mostrano, ad esempio, già i due privilegi fiscali regi del 1309 e del 1359. L’economia agricola era basata soprattutto sull’olivo e sulla vite, ma dalla metà del XV secolo si diffuse anche la coltivazione intensiva di alberi da frutto. Il settore dell’allevamento si incentrava, in particolare, su ovini, caprini e suini (Andenna 1993, 205-214; Massaro 1993, 251-270).
Ancora nella prima parte del Quattrocento, sotto Ladislao, la congiuntura economica leccese si presentava difficile. La comunità era debole dal punto di vista commerciale, così come dal punto di vista della capacità produttiva, limitata ormai in maniera netta all’agricoltura e alla cura del bestiame, soprattutto bovino. La città, peraltro, non avendo proprie terre demaniali, doveva affidarsi per il pascolo ai terreni feudali e burgensatici del contado, e gli allevatori dovevano pagare di conseguenza la tassa della affida (Andenna 1993, 228-233).
Con Giovanni Antonio Orsini del Balzo si avviò tuttavia una ripresa, grazie sia all’azione dal centro, sia alle spinte nuove da parte della comunità stessa. Attraverso lo sforzo politico di attirare nuovi abitanti a Lecce, attraverso lo sviluppo delle attività artigianali e la conseguente ascesa di ceti produttivi e finanziari, si crearono le basi per una crescita economica. L’entrata della città nel regio demanio, con Ferrante d’Aragona, sprigionò un’ulteriore forza positiva (Andenna 1993, 234-248).
Se nutrita, da un certo momento in poi, fu la presenza di artigiani, quali "confectieri, corvesieri, cuseturi, argentieri, ferrari, maestri de assia", sempre mancante fu un ceto di mercanti. L’unica figura di un certo rilievo fu Gabriele Barone, che intratteneva rapporti commerciali fino a Ragusa e apparteneva, però, ad una famiglia proveniente dalla nobiltà feudale. Egli evidentemente investiva parte delle rendite agrarie anche in attività mercantili (Popovic-Radenkovic 1959, 159).  Le attività commerciali erano svolte pressoché esclusivamente da operatori stranieri, soprattutto veneti, dalmati e, dalla seconda metà del XV secolo, fiorentini.
Gli scambi commerciali per via marittima utilizzavano il porto di San Cataldo, fornito di fondaci e magazzini. I prodotti esportati erano vino, cereali, legumi, carni salate, bestiame. Venivano importati, invece, panni di lana veronesi, veneziani, ragusei, vicentini e fiorentini, cotone, canapa, legname e ferro (Massaro 1978, 225-227).
Dall’epoca angioina Lecce ospitò una delle Zecche del Regno, coniando un gigliato raffigurante il pretendente al trono, Renato d’Angiò, in maestà (Cagiati 1912, 30). Secondo quanto riportato dall’oratore milanese, Antonio Da Trezzo, la Zecca continuò a battere anche durante il dominio di Giovanni Antonio, sotto la direzione di Gaspare de Argenteriis (Cantarelli 1885, 84).
Dopo la morte di Giovanni Antonio e la confisca demaniale dei suoi stati, re Ferrante, e dopo di lui Ferrante II e Federico III, fecero coniare a Lecce gli "armellini", che recavano in esergo sul verso l’indicazione "LICI" (Cagiati 1912, 31, 33-34).

Esenzioni e franchigie

Dal Libro Rosso di Lecce (Palumbo 1997) è possibile trarre i seguenti diplomi contenti esenzioni e franchigie.

6 marzo 1437: Alfonso d’Aragona esentò i leccesi dal pagamento di qualsiasi tassa su merce e bestiame in tutto il Regno.

12 agosto 1447: Giovanni Antonio Orsini del Balzo permise ai cittadini di transitare per la foresta di Oria con animali per abbeverarli e pernottare in qualsiasi luogo delle sue terre, esenti dal pagamento di qualsiasi diritto.

26 novembre 1463: Ferrante I concesse il diritto delle prime cause; confermò il privilegio del 1437.

25 luglio 1466: Ferrante I concesse che la città non venisse mai data in feudo.

8 maggio 1466: altri privilegi economici da parte di Ferrante I.

1° settembre 1497: privilegi fiscali concessi da Federico d'Aragona, in seguito ai danni subiti da Lecce durante la discesa di Carlo VIII e le guerre conseguenti.

Mercati e fiere

All’inizio del XV secolo si tenevano a Lecce fiere annuali della durata di un giorno in occasione di festività religiose: la fiera di Pentecoste, quella del Vescovado la prima domenica d’agosto, la fiera di San Giovanni Battista il 24 giugno, di San Giacomo il 2 luglio (Libro Rosso [ed. Palumbo 1997], 17-18).
Re Ladislao provvide alla regolamentazione e all’incentivazione delle attività economiche, concedendo la totale franchigia da dazi per le fiere annuali di Pentecoste, di Sant'Oronzo, che si teneva presso l’antica porta di San Giusto e cominciava il 26 agosto, di San Giovanni Battista, nei pressi e fuori Porta Rusce, di San Giacomo del Parco, che fu estesa per la durata di otto giorni a partire dal 25 luglio (Cantarelli 1885, 83). In occasione di questa fiera, in epoca vicereale, il camerlengo della guarnigione spagnola sfilava con lo stendardo della città, mentre un barone reggeva lo stendardo reale ricevuto nel piazzale del castello dal castellano; entrambi, insieme al sindaco e ai 24 eletti del reggimento, si recavano in corteo verso il Parco, dove gli stendardi venivano issati sulla torre (Cazzato-Fagiolo 1984, 78).
Nel 1452 Giovanni Antonio Orsini del Balzo istituì due fiere: una dal 20 al 25 aprile, presso la chiesa di Santa Maria di Cerrate, l’altra la prima domenica di novembre, presso la Cattedrale, poi spostata da Ferrante presso l’abbazia dei SS. Niccolò e Cataldo (Libro Rosso [ed. Palumbo 1997], 72-75).
Alla metà del secolo risale l’istituzione anche della fiera di tutti i Santi e della fiera della Croce, nei giorni 3, 4 e 5 maggio.
Nel 1497 fu concesso da Federico d'Aragona il pubblico mercato settimanale nei giorni di lunedì e venerdì (, 287-294).

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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