Scheda CittàSalerno
Attività economiche

Il periodo di maggiore sviluppo economico di Salerno, come scalo commerciale lungo la costa tirrenica, è da collocare tra XII e XIII secolo, ed in particolare all’ultima età sveva. L’interesse di Manfredi per la costruzione del porto (1260) deve essere, infatti, collegata alla contemporanea apertura del sovrano al mercato genovese nel regno. Nei medesimi anni (1259), lo stesso sovrano completava la politica economica salernitana, concedendo l’istituzione della fiera annuale settembrina.

La costruzione del porto venne affidata dal sovrano a Giovanni da Procida, magnus civis Salernitanus, secondo quanto ricordato da una lapide nel duomo (Amarotta 1992, 103). Lo stesso Giovanni fece eseguire un mosaico nella cappella di S. Michele Arcangelo nel duomo. Il porto, a causa dell’insabbiamento, non era perfettamente agibile già nel 1278 (Sirago 1994, 105). Nel 1462, nel privilegio di investitura a Roberto Sanseverino come nuovo principe di Salerno, re Ferrante concedeva ampia potestatem al nuovo signore di «reheficandi et de novo costruendi molum in dicta civitate Salerni» (Pucci 2002, 331). Nonostante i lavori, fino alla fine dell’epoca aragonese il traffico marittimo del porto di Salerno ebbe solo caratteristiche del cabotaggio lungo la rotta Napoli-Amalfi-Minori. Per tutto il ‘500 e il ‘600 nessun portulano o descrizione di città menzionò più un porto importante per la città salernitana, e in ogni caso nessuna indicazione coincide con l’antico molo di Manfredi (Sirago 1994, 109).

Più che il porto, che per le sue caratteristiche strutturali non riuscì mai a diventare uno scalo principale del tirreno meridionale, fu la fiera, raddoppiata poi nel 1462 con quella di maggio, a rendere Salerno una piazza paragonabile a Gaeta e Trani. L’importanza economica della fiera per l’intero territorio salernitano è confermata dall’interesse della nobiltà, sia cittadina che feudale, a ricoprire l’ufficio di magister nundinarum, che per privilegio spettava alle famiglie Della Porta, Aiello, Cioffi, Pinto e Comite. Il coinvolgimento di famiglie della nobiltà urbana e del contado, proprietari terrieri più che mercanti e finanzieri, conferma e spiega la rilevanza per la città dell’evento fieristico rispetto allo scalo portuale (Leone, in Leone-Vitolo 1982, 193-198, D’Arienzo 1998).

Esenzioni e franchigie

I capitoli contenenti i privilegi e le franchigie di cui godeva l’università furono raccolti nel Liber Privilegiorum, composto nel terzo quarto del XVII secolo (Pucci 2010). I benefici fiscali e giurisdizionali furono ottenuti per lo più in circostanze di incertezza istituzionale, momenti in cui l’università poteva patteggiare condizioni vantaggiose.

Nel gennaio 1413, Ladislao accolse la supplica della città di confermare, tra gli altri privilegi, quello per il quale tutti i forestieri che sarebbero venuti ad abitare in città fossero franchi ed esenti per un decennio da tasse, collette e donativi, nell’evidente tentativo di rilanciare la città sia sotto il profilo demografico che economico (Liber Privilegiorum, c. 126).

Il 21 dicembre 1435, durante la contesa del trono tra Alfonso d’Aragona il Magnanimo e Renato d’Angiò, l’università chiese ad Isabella di Lorena, moglie e vicaria di Renato la permanenza nel demanio regio e che venisse ripristinata la consuetudine, abbandonata dai tempi di re Roberto, che all’erede al trono fosse assegnato il titolo di principe di Salerno, sostituito da quello di duca di Calabria (Liber Privilegiorum, cc. 31-32, 123-124).

Due anni dopo, la città chiedeva al pretendente aragonese la conferma dell’antico privilegio del foro; il perdono di tutti i delitti commessi prima della riduzione della città alla fedeltà regia, compreso quello di lesa maestà; la conferma del privilegio secondo cui sia i cittadini sia gli abitanti della Foria non potessero essere carcerati; l’obbligo della cittadinanza salernitana per chi ricoprisse gli uffici di mastrodatti e di connestabile. L’importanza dei casali per la vita dell’università è testimoniata dalla richiesta dell’annullamento delle concessioni fatte a terzi dal sovrano (Liber Privilegiorum, cc. 32-33).

Nel 1451 la città chiese allo stesso re Alfonso la conferma di un altro antico privilegio in base al quale i Salernitani erano immuni dai servizi personali nelle galee regie (Liber Privilegiorum, c. 132).

Puntuali e circoscritti sono i 30 capitoli concessi da Ferrante e da Roberto Sanseverino, nelle sue vesti di viceré, il 18 settembre 1462, tra cui ricordiamo qui la richiesta dell’istituzione di uno Studio di diritto, contendendo per la prima volta il privilegio esclusivo che re Roberto aveva concesso alla sola città di Napoli (Liber Privilegiorum, cc. 35-38; Pucci 2002).

Ricordiamo infine, tra le grazie chieste a Beatrice d’Aragona il 27 marzo 1499, la concessione, interessante per le sue ricadute economiche, che i Salernitani potessero esercitare l’artem tentae, bancheriae, tiraturi, saponariae con tutte le franchigie concesse alla città di Napoli (Liber Privilegiorum, c. 34).

Mercati e fiere

La fiera annuale di settembre, in onore del santo patrono, l’apostolo Matteo, venne concessa da Manfredi nel 1259, contestualmente all’ordine di costruire il porto, incarico affidato a Giovanni da Procida. Nel 1303, con privilegio di Carlo II d’Angiò, la fiera fu prolungata da otto a dieci giorni (Liber Privilegiorum, c. 143r; Sinno 1958, 9-10; Staibano, ms. XX D 24, f. 759). Nei capitoli chiesti dall’università nel settembre 1462, re Ferrante concesse una seconda fiera di dieci giorni, nel mese di maggio, lasciando all’allora conte, poi principe di Salerno, Roberto Sanseverino, la scelta dell’ubicazione, previo consenso della curia (Capitoli, cap. 8). La richiesta di una seconda fiera, che, con i lavori per riattare il porto a spese dello stesso Sanseverino, avrebbero dovuto rilanciare l’economia della città, era già stata accolta nel 1460 dal duca Giovanni d’Angiò, che combatteva nel regno per conto del padre, pretendente al trono (Pucci 2002, 339-340).

Schedatore

Veronica Mele

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