NomeLecce
LuogoLecce
Status amministrativoComune capoluogo di provincia
Estensione del territorio comunale238.39 Kmq
Popolazione94.766 (ISTAT gennaio 2016)
MuseiMuseo storico-archeologico dell'Università del Salento; Museo archeologico provinciale
ArchiviArchivio di Stato di Lecce; Archivio storico comunale
BibliotecheBiblioteca provinciale
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Nomi antichi e medievali

Le fonti antiche (Strab. VI, 3.5-6), riportate anche da Galateo (1558, 14, 1), riferiscono dei due centri messapici denominati Lupiae e Rudiae. La statio militare, divenuta poi municipium romano, continuò a riportare il toponimo Lupiae, con le varianti Lytium e Lycium (Plin. 3, 101).

Lo stesso Galateo offre una rassegna delle varianti toponomastiche: Lupie, Lypie, Lopie, Lupio, Lispia, Lypia, Alezio, Licio, Lictio, Licea.

Le copie ottocentesche e primonovecentesche del Libro Rosso riportano la denominazione “Universitas Lippiensis” nel titolo, e "Civitas Luppiensis”, nella lettera introduttiva esplicativa di Giovan Battista Ferro, mentre nei testi dei documenti è riportata la denominazione “Civitas” o “Universitas Licii". Il nome volgarizzato è invece Leze.

Nel corso del XVI secolo si attesta la forma Lyciensis/Litiensis: si veda il Psalterium Lyciense ex antiquo Ecclesiae ritu nuper correctum et reformatum, stampato a Venezia nel 1526, e la lapide commemorativa delle opere di ristrutturazione urbanistica volute da Carlo V, apposta dall’Ordo Populusque Litiensis probabilmente sulla Porta Napoli e ora murata sul fianco destro della chiesa di Santa Maria della Porta.

Fondazione (data, modalità)

Lupiae, centro iapigio, era collocata negli itinerari antichi a 25 miglia da Brindisi. Le notizie dei geografi antichi, tuttavia, risultano discordanti, collocandola Strabone nell’entroterra e Plinio, Mela e Tolomeo sul mare, probabilmente riferendosi al suo approdo che è stato identificato nell’odierna baia di San Catalado. Galateo, citando Strabone, riportava la fondazione, da parte del mitico re Mallenio, di due città gemelle, Rhudiae e Lupiae, collegate da un tunnel sotterraneo, e identificava Rhudiae come la patria del poeta latino Quinto Ennio (Galateo 1558, 14, 1).

Vinta dai Romani durante la guerra contro Pirro, fu costituita come statio militum Lupiae (Plin. 3, 101, che riporta anche le varianti toponomastiche di Lytium e Lycium) e poi municipium iscritto nella tribù Camilia.

Distrettuazioni di appartenenza

Durante il dominio bizantino di fine X secolo, fu compresa nel Tema d’Italia, sotto il governo del catapano di Bari. Conquistata dai Normanni, fu dapprima aggregata alla Contea di Puglia, poi eretta a contea a sé nella seconda metà dell’XI secolo e, infine, inglobata nella circoscrizione amministrativa sveva di Terra d’Otranto.

Demografia

Da Giustiniani 1802 e Sakellariou 2012:

1320: 2065 fuochi

1447: 1323 fuochi

1508: 1995 fuochi

1532: 3711 fuochi

1545: 5342 fuochi

1561: 6167 fuochi

1595: 6529 fuochi

Sito, idrografia, viabilità

Lecce si situa nella parte centro-settentrionale della pianura salentina, un bassopiano compreso tra i rialti terrazzati delle Murge, a nord, e le serre salentine, a sud, ovvero anche tra la costa adriatica e quella ionica. Lecce è dunque posta in una vasta pianura caratterizzata da un sottosuolo calcareo di argilla magnesiaca, con tracce di silice e ferro, noto come pietra leccese, importante materiale sia nell'architettura che nella scultura. Caratteristiche del territorio sono anche gli strati di terra rossa e l’assenza di corsi d’acqua in superficie, con una presenza, di contro, di falde freatiche nel sottosuolo. A livello di viabilità non era collocata lungo il corso delle antiche grandi vie romane, l’Appia e la Traiana, ma si trovava alcuni chilometri più a sud rispetto alle ultime località raggiunte da quelle strade.

Schedatore

Veronica Mele

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Profilo storico

Conquistata due volte dai goti di Totila, Lecce fu coinvolta nelle guerre tra i longobardi di Benevento e l'Impero Romano d’Oriente. Invasa e saccheggiata da ungari, slavi e saraceni durante il X secolo, rientrò nei domini bizantini, all’interno del catapanato di Bari, fino alla conquista normanna.
La città fu presa nel 1055, designata capoluogo di Contea, e assegnata a Goffredo, quartogenito di Tancredi (Corsi 1993, 42-47). I conti di Lecce normanni, a partire da Rainaldo, Goffredo e Goffredo II, avviarono una consistente opera di conversione dalla lingua greca al latino, dal rito e monachesimo greci al rito romano. La prima fabbrica di un ordine religioso cattolico risulta il convento agostiniano di Santa Maria, eretto nel 1067, mentre nel 1114 venne rifondata la Cattedrale (Cazzato, Fagiolo 1984, 20).
Distrutta da Guglielmo il Malo nel 1147, la Contea fu assegnata a Tancredi, ultimo re normanno, il cui matrimonio con Sibilla di Lusignano associò alla Contea di Lecce la titolarità del Ducato di Atene. Acquisito il Regno di Sicilia da Enrico di Svevia, Sibilla, vedova di Tancredi, riuscì per breve tempo a mantenere la Contea di Lecce combinando il matrimonio tra la propria figlia e Gualtieri, conte di Brienne (Vetere 1993, 112). Il dominio svevo di Manfredi, figlio di Federico II, fu altrettanto breve. Con l’ascesa al trono di Sicilia di Carlo d’Angiò la Contea fu restituita ai Brienne nel 1271, che associarono anche la titolarità del Principato di Acaia.
Si deve a Gualtieri VI di Brienne, nella prima metà del Trecento, il fatto che si riconoscesse l’appartenenza di Roca alla Contea leccese (Vetere 1993, 124-125). Roca, sul mar Adriatico, divenne altro sbocco portuale della città in aggiunta a San Cataldo.
Dal 1357, estinta la linea dei Brienne, la Contea, scorporata del Ducato di Atene, passò agli Enghien. Il patrimonio di Gualtieri VI, infatti, fu ereditato dalla sorella Isabella, come da disposizioni testamentarie, moglie di Gualtieri III d’Enghien. Da centro politico-amministrativo la città si avviò lentamente a diventare una sorta di capitale provinciale. L’ultima degli Enghien, la contessa Maria, sposando in prime nozze Raimondello Orsini del Balzo nel 1385, assicurò l’unione della Contea al Principato di Taranto, ereditato poi dal figlio Giovanni Antonio Orsini del Balzo, cosa che rappresentò un vero e proprio momento di svolta (Massaro 1993, 283-285).
A partire dalla signoria di Maria si registrò una lunga fase di crescita, sia urbanistica, sia politica, sia amministrativa. Il periodo di sviluppo florentissimae civitatis Litii, confermato dalle testimonianze documentarie e archeologiche, rimase per decenni nell’immaginario collettivo. La contessa fece restaurare il porto di San Cataldo, e ristabilì rapporti commerciali con Venezia, rafforzando quelli con la Dalmazia; regolamentò la manutenzione della cinta muraria con una precisa suddivisione delle competenze; emanò statuti per la definizione delle responsabilità amministrative degli uffici universali. Si trattò, a detta di Vetere, della miglior stagione di Lecce (Vetere 1993, 156).
L’ascesa della posizione leccese rispetto a Taranto, inoltre, fu sancita dall’iniziativa di Raimondello che scelse la città salentina per stabilirvi, nel 1402, il Concistorium principis, ovvero il tribunale feudale che esercitava il mero e misto imperio, e che era composto da quattro giudici: un avvocato, un procuratore fiscale, un camerario, uno scrivano e un mastro d’atti (Cutolo 1977, 67-68).
Dopo la morte di Raimondello e diverse vicende negative per gli Orsini del Balzo, soltanto nel 1420 Maria e i suoi figli poterono tornare in area pugliese. Maria mantenne il titolo familiare di contessa di Lecce fino alla morte, avvenuta nel 1446. La crescita cittadina è dimostrata dai datia del 1420, attraverso i quali è possibile evidenziare una politica di agevolazioni fiscali tesa a favorire l’immigrazione dei forestieri, provenienti dai casali ma anche da molto più lontano (Massaro 1993, 287).
Dal 1446 Giovanni Antonio, figlio di Maria, associò la Contea all’eredità paterna del Principato di Taranto. Costui, signore di un vasto stato costituito dalle eredità paterne e materne, e dalle personali conquiste, proseguì la politica materna di incentivazione urbanistica ed economica. Egli fece costruire fuori Porta San Biagio la residenza suburbana del Parco, ritenendo il giardino di Belloluogo con la torre e il ninfeo luogo poco sicuro. Il Parco venne ripartito in due zone: la cittadella recintata comprendente la torre (che divenne la sede della Zecca) e le stanze del principe, e la parte esterna destinata a fiere e mercati. In entrambi i fossati delle torri sarebbe stato allevato l’orso (simbolo anche araldico). La Torre del Parco sarebbe diventata in epoca vicereale la residenza del viceré, mentre i giardini, ornati da una fontana costruita nel 1608 in onore di Caterina Acquaviva, moglie del governatore Giulio, furono destinati al pubblico passeggio. Altrettanto importante la promozione dell’economia. L’Orsini potenziava le attività a conduzione diretta legate all’agricoltura e all’allevamento, come pure quelle artigianali, ad esempio la lavorazione del cuoio (Massaro 1993, 289-295).
Alla morte di Giovanni Antonio, nel 1463, la contea venne confiscata da re Ferrante d’Aragona, il quale dette subito la luogotenenza di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto a suo figlio Federico (Vassallo 2013, 488-490). Immediatamente il Concistorium Principis fu convertito in Sacro Regio Provinciale Consiglio, diventando tribunale di appello della Provincia di Terra d’Otranto, sia per i territori demaniali che per quelli feudali.
Nel ciclo di riforme e statuizioni per la città di recente confiscata, il re aragonese provvide, tra le altre cose, a riformare i capitoli della bagliva, il cui palazzo nel 1431 era sito nella platea puplica (Cazzato-Fagiolo 1984, 35). Gli statuti furono compilati dal commissario regio, Pietro Giacomo de Gennaro, insieme a dieci cittadini, e presentati al sovrano da Carlo Barbo; la richiesta consisteva nella concessione che le cause d’appello del tribunale della bagliva, in assenza del mastro portulano, fossero discusse nella corte del capitano della città (Vassallo 2013, 495-497). Lecce, quale concessione straordinaria rispetto alle altre Università del regno, aveva infatti la prerogativa di poter scegliere il capitano tra i propri cittadini (Trinchera 1874, 379).
Il 24 settembre 1479 il sovrano emanò anche il De ordinatione circa electionem 24 electorum ad regimen civitatis. I 24 eletti, sei per ciascuno del quattro pittaggi, dovevano essere equamente scelti tre «facultosi» e tre «artesani» (Cazzato-Fagiolo 1984, 35). Due anni dopo, il governatore Giovanni Del Tufo fece edificare il palazzo del governo, affidando l’opera all’architetto Nicola Scancio (Cazzato-Fagiolo 1984, 37). Nel 1482 si stabilizzò anche la sede del Seggio dell’Università, che dapprima individuata nella piazza del duomo, fu collocata nell’anfiteatro e poi, nel 1592, sotto il sindacato di Pietro Mucinigo, edificata nella piazza pubblica (Cantarelli 1885, 123).
All’interno del programma politico-amministrativo avviato dagli aragonesi negli anni ’70, l’Università di Lecce riuscì, infatti, ad estendere la rappresentanza locale in tutti gli uffici cittadini: nel 1474 ottenne l’ufficio della bagliva e di mastrodatti; nel 1482 la custodia della torre di S. Cataldo (LR, 1123-1126 e 1203), nel 1491 gli uffici relativi alle fortificazioni, nel 1492 la carica di castellano della torre di S. Cataldo (Trinchera 1874, 43 e 224-225).
La maturità politica leccese si espresse soprattutto nella fermezza con cui difese le proprie prerogative anche contro il diritto feudale. Una lunga controversia iniziata nel 1443, ancora in vita Maria d’Enghien, e conclusasi solo nel 1495 con un atto di concordia, vide contrapposti l’Università, i cui interessi coincidevano con quelli del patriziato e della piccola nobiltà feudale, e la grande nobiltà feudale del contado. L’Universitas ottenne dalla feudataria di bloccare i tentativi dei baroni di alienare le terre situate nei loro feudi e possedute in enfiteusi da cittadini leccesi, a meno che i baroni non partecipassero ai pagamenti fiscali; l’Università, nel 1444, ottenne persino di partecipare alla nomina dei custodi delle vigne possedute dai cittadini leccesi e presenti nei feudi dei baroni (LR, 55-56).
La convergenza di interessi tra patriziato cittadino, costituito da giudici e notai, la piccola feudalità, e il ceto artigiano è sancita dagli statuti dell’ordinamento municipale del 1479 che spartivano i seggi del reggimento tra «li principale et facultosi» e «li artesani», benché a questi ultimi fossero poi riservati gli uffici minori (LR, 246-250).
La contea di Lecce, insieme al principato di Taranto, restarono nel demanio regio fino al 1485, quando furono assegnati come dote matrimoniale al figlio Federico. In quello stesso anno la città, sotto la guida del suo capitano Stefano Barone, si oppose all’armata veneta sbarcata sulle coste gallipoline, ottenendo, in ricompensa da re Ferrante l’annessione di Nardò. Quest’ultima si era arresa ai veneziani senza opporre resistenza e fu declassata a casale con decreto del marzo 1485 (LR, 251-253). In un fondo donazioni dell’Archivio di Stato di Firenze è conservata una lettera indirizzata dall’Università di Lecce alla Repubblica di Venezia, datata 23 maggio 1484. Il dispaccio esprime in toni intimidatori la prontezza della città a sfidare in battaglia campale l’armata veneta dopo aver orgogliosamente rifiutato la proposta degli inviati veneziani a defezionare a danno del re aragonese. Per quanto l’autenticità della lettera resti dubbia, nondimeno è ancora più significativo il fatto che essa sia stata confezionata per testimoniare la fierezza della cittadinanza leccese anche di fronte ad un potente avversario politico (Gambacorta 1962, 185-186).
Alla discesa di Carlo VIII, Lecce venne assegnata al duca Gilbert di Brunswich, assieme a Matera, Oria, Mesagne e Otranto. Tra i cittadini leccese che entrarono nell’armata francese di Brunswich c’erano Giovan Battista Maremonti, Vincenzo Senzariso, Pietro e Antonio Mingo, Paduano del Reno. La fazione filo aragonese fu guidata dalla famiglia di Frate Leonardo Prato, cavaliere di Rodi e figlio di Bartolomeo, castellano di Lecce sotto Giovanni Antonio Orsini del Balzo. Durante la guerra franco-spagnola i Prato furono affiancati dai Paladini e dai Barrera, mentre la fazione filo francese, esiliati i vecchi capi filo-angioini, fu capeggiata dai Guarino (Cantarelli 1885, 115-119).
Stabilito il dominio spagnolo in Puglia, Lecce chiese la riattivazione del porto di S. Cataldo in funzione anti-turca, ponendosi esplicitamente come frontiera orientale del regno. Questo comportava la necessità di un riassetto difensivo della città, con il rifacimento del castello, delle mura e delle torri iniziato da Carlo V e proseguito da Filippo II, sotto la direzione di Ferrante Loffredo, castellano locale, e di Giacomo dell’Acaya, feudatario di Vanze, Strudà, Segine e Pisignano. Loffredo, uomo vicinissimo al viceré Pedro de Toledo, fece anche erigere la Porta reale come arco trionfale in onore di Carlo V e supervisionò il rifacimento della pavimentazione stradale, avviata da Scipione de Summa. Acaya, invece, ebbe l’incarico di affiancare il duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, e Ferdinando d’Alarçon, nell’ispezionare alcune fortezze del regno. A Lecce si occupò sia del progetto della fortezza e delle mura, sia dell’erezione del palazzo della Regia Udienza Provinciale, oltre a donare una propria casa per il convento di S. Antonio di Padova (Cazzato-Fagiolo 1984, 72).
Il nuovo ruolo egemone esercitato nella regione, come pure nei confronti di Taranto, determinò un boom demografico che portò la città ad essere una delle più popolose del Regno (Sakellariou 2012, 446). La crescita demografica, politica ed economica, connessa al suo ruolo strategico e all’importanza come polo amministrativo, ebbe un tale riscontro anche nella vita culturale ed artistica che Lecce fu paragonata dai contemporanei non solo a Napoli ma addirittura a Roma e Venezia.

Cronotassi

1201-1357: dinastia dei Brienne

1357-1393: dinastia d'Enghien

1357: Giovanni d'Enghien († 1380), figlio di Isabella di Brienne e Gualtieri d'Enghien, conte di Lecce e barone di Castro (= Sancia del Balzo, figlia di Bertrando e Beatrice d’Angiò)

1380: Pietro d’Enghien († 1384), figlio di Giovanni

1384: Maria d’Enghien (1367-1446), sorella d Pietro

Dinastia Orsini del Balzo

1393: Raimondello Orsini del Balzo (marito di Maria d’Enghien)

1406: Ladislao di Durazzo, Re di Napoli, secondo marito di Maria d’Enghien

1415: Maria d’Enghien, contessa di Lecce

1446: Giovanni Antonio Orsini del Balzo, già principe di Taranto, erede della madre Maria d’Enghien

1463: Demanio

1485: Federico d’Aragona, principe di Taranto, conte di Lecce, principe di Altamura

1488: Demanio

Corpus normativo

Il Corpus normativo dell’Università di Lecce è contenuto in due codici del XV e XVI secolo, il cosiddetto Codice di Maria d’Enghien, e il vero e proprio Libro Rosso dell’Università.
Il Codice, compilato nel 1473 su committenza di Antonello Drimi, uno dei maggiorenti del reggimento leccese, è una raccolta di norme di argomento per lo più fiscale, ad uso personale del funzionario committente. Gli statuti si susseguono senza un ordine cronologico, e riguardano soprattutto le competenze e le responsabilità del sindaco, il sistema daziario e le matricule appretii, ma anche le competenze per la costruzione e manutenzione delle mura, il rapporto dell’Università con i casali. La normativa riportata nel Codice restò valida anche durante la signoria di suo figlio, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto e conte di Lecce, e anche dopo che la città era entrata sotto il diretto controllo del re, nel 1463. Essa era ancora in vigore nel 1586, quando ne fu tratta copia autentica in occasione di una vertenza tra alcuni mercanti e l'università di Lecce.
Del codice esistono due edizioni: una a cura di Michela Pastore, del 1979; l'altra a cura di Gaetanina Ferrante Gravili e Mario De Marco, del 2012.
La seconda raccolta, il Libro Rosso dell’Università, fu commissionata nel 1510 da uno degli Eletti del governo, Giovan Battista Ferro. Nell’avvertenza che introduce la raccolta, Ferro spiega che ha faticosamente raccolto i documenti conservati disordinatamente nell’archivio della città, perché mosso dall’intento di impedire che i privilegi concessi ad essa andassero dispersi; in tal modo sarebbe stato più facile per i posteri ritrovarle. Del Libro Rosso leccese è stata fatta un'edizione a cura di Pier Fausto Palumbo, del 1997.

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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Distrettuazioni interne

Il territorio cittadino era suddiviso in quattro pittaggi, che fungevano anche da circoscrizioni amministrative per la nomina degli eletti al Reggimento. Questi erano: il pictagium Sancti Iusti; il pictagium Sancti Martini; il pictagium Rudie, o Rugie; il pictagium Sancti Blasi (Vetere 1993, 128).

Centri demici minori

La particolarità di Lecce stava nel fatto di aver acquisito e organizzato un districtus, ovvero un territorio al di fuori delle mura comunque soggetto alla giurisdizione amministrativa e fiscale della città, che comprendeva anche cinque casali, detti pertanto de corpore. All’inizio del secolo XV questi casali erano Squinzano, Surbo, Aurio, Dragoni e S. Pietro in Lama (Massaro 1993, 357-364).
Tutto il resto dei casali presenti nel contado leccese risultavano infeudati fino alla seconda metà del Trecento. A partire dall’avvento della famiglia dei d’Enghien a capo della contea, invece, si iniziò a preferire la gestione diretta, in quanto più redditizia. Attorno alla metà del Quattrocento i casali del contado erano i seguenti: Acaia (Segine); Acquarica di Lecce; Arnesano; Borgagne; Campi; Caprarica; Carmiano; Carpignano; Castrì Francone; Castrì Guarino; Cavallino; Corigliano; Galugnano; Lequile; Lizzanello; Magliano; Martignano; Melendugno; Merine; Monteroni; Noha; Pasolo; Pisignano; Roca; S. Cesario; S. Donato; S. Maria de Novis; Strudà; Terenzano; Torchiarolo; Trepuzzi; Vanze; Vernole (Massaro 1993, 355).

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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Diocesi

Le prime notizie sulla presenza di una sede vescovile a Lecce giungono dall’epoca di Gregorio Magno. In una lettera risalente all’anno 595, il pontefice esortava i visitatori apostolici – per Lecce il vescovo di Otranto Pietro – affinché spingessero il clero e la popolazione locali a non continuare a indugiare nella designazione del loro presule, in quel momento vacante (MGH [Monumenta Germaniae Historica], EE., I 1887, lib. VI, ep. 21, 599).
Fino al periodo normanno non si hanno altre notizie documentarie sulla cattedra leccese. Teodoro dovrebbe essere stato su quella cattedra tra 1057 e 1101 (Poso 1988, 48; Houben 1993, 396). Non ci sono dubbi, invece, che Formoso fu il vescovo che nel 1114 fece restaurare la chiesa cattedrale, come testimoniato da un’iscrizione, scomparsa, riportata tuttavia dall’Infantino (Infantino 1633, 14). Altra testimonianza di tale intervento proviene da un documento dell’agosto del 1115, con cui il conte Goffredo donava alcune terre allo stesso Formoso "pro reparatione maioris Lyciensis ecclesiae" (Houben 1993, 399). Ancora nel 1133 Accardo, signore di Lecce, estendeva le donazioni fatte da suo padre Goffredo alla chiesa locale (Houben 1993, 399).
Quello svevo fu un periodo difficile per la diocesi. I disordini conseguenti al vuoto politico dovuto alla minorità di Federico II, come anche più avanti la lotta tra Federico stesso e papa Gregorio IX, determinarono una lunga vacanza vescovile che ebbe ripercussioni concrete sulla vita religiosa cittadina. Senza dimenticare il crollo della cattedrale, ricostruita nel 1230, che rappresentò un ulteriore elemento negativo. Ancor peggiore la situazione con l’inasprirsi dei conflitti tra Innocenzo IV e Manfredi. Il papa nel 1254 nominò presule leccese Gualterio di Massafra, il quale non ebbe modo di insediarsi perché nel frattempo la città si era data allo svevo, che a sua volta aveva designato Roberto de Sancto Blasio. Dopo la sconfitta di Manfredi e la presa di potere angioina, una minoranza del capitolo della cattedrale aveva eletto il canonico leccese Pietro de Romana, ma la nomina era avvenuta senza che fossero rispettate le norme. Nel 1269 si arrivò finalmente all’elezione del francese Gervasio, cappellano di Carlo I d’Angiò. Gervasio resse la diocesi per pochi anni e nel 1274 la sede era nuovamente vacante (Houben 1993, 409-410).
Sotto il vescovato di Antonio Riccio, tra 1453 e 1484, si verificò un rilevante contrasto con l’abbazia di S. Giovanni Evangelista. Il presule, infatti, nell’ottica di una sorta di riforma del monastero, cercò anche di limitarne l’autonomia. La reazione della badessa, Adelicia Securo, fu veemente e la donna si rivolse al re Ferrante e al pontefice Sisto IV, i quali intervennero in favore dell’abbazia il primo con una carta del 1470, il secondo con una bolla del 1480 (Pastore 1970, n. XL, 129-130; Palumbo 1953, XXX, nota 61).
Un’ultima questione interessante riguarda Fra’ Roberto Caracciolo, importante predicatore salentino. A lungo si è ignorata la sua presenza in qualità di vescovo di Lecce, in seguito alla morte proprio del Riccio. I documenti dell’Archivio Segreto Vaticano hanno permesso a Catamo di fare maggiore luce sulla questione. Sisto IV, su istanza della comunità leccese, vi trasferì il predicatore da Aquino, con una bolla del 22 febbraio 1484, come nuovo presule. Nel luglio dell’anno seguente, poi, il Caracciolo chiese l’esonero dal governo della chiesa di Lecce per poter tornare ad Aquino, senza che si conoscano le motivazioni concrete di tale richiesta (Catamo 1976, 9-15).

Distrettuazioni interne
Cattedrale o chiesa matrice

Santa Maria Assunta

Enti religiosi

Monastero benedettino di S. Giovanni Evangelista fuori le mura, fondato durante la signoria del conte Accardo.

 

Monastero benedettino dei SS. Niccolò e Cataldo, fondato da Tancredi conte di Lecce, come ex voto per uno scampato naufragio. Re Ferrante d’Aragona concesse, nel 1463, che la fiera istituita nel 1452 da Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, si tenesse dinanzi alla chiesa dal giorno 25 marzo e intitolata all’Annunziata. Alla salita al trono di Alfonso II, il complesso venne affidato ai monaci benedettini dell’ordine olivetano, cui il re aragonese era fortemente legato.

 

Convento francescano di S. Francesco della Scarpa, fondato nel 1330 grazie alla donazione della casa e delle terre della famiglia Guarini

 

Convento domenicano di S. Giovanni Battista, fondato nel 1388, e terminato nel 1408, da Giovanni d’Aymo, la cui improvvisa ricchezza è attribuita dalle cronache al ritrovamento di un tesoro e ad un assassinio.

 

Monastero della SS. Annunziata e S. Leonardo, fondato da Gualtiero VI di Brienne del 1352 e donato ai Celestini assieme alla chiesa di S. Croce. L’ente godette della protezione di sovrani e feudatari: re Ladislao donò ai monaci le reliquie di S. Irene, Maria d’Enghien fu tumulata nella chiesa in un sepolcro monumentale abbellito da statue allegoriche delle sette virtù; Giovanni Antonio concesse all’Ordine i casali di Carmiano e Magliano. I monaci vi restarono fino al 1559, quando, per Ordine di Carlo V, furono costretti a lasciare l’edificio, che fu abbattuto per iniziare la costruzione del nuovo castello. I monaci furono trasferiti nel nuovo monastero di S. Croce a ridosso delle nuove mura, progettato da Gabriele Riccardi.

 

Monastero di monache Chiariste, fondato nel 1410 da Tommaso Ammirato, vescovo di Lecce

 

Chiese di S. Maria della Luce e di S. Maria della Salvazione, fondate a suffragio della peste del 1466. A seguito della peste del 1481 fu invece edificata la chiesa di S. Irene «sotto li notari».

 

Convento di S. Maria degli Angeli dei padri della regola di S. Francesco di Paola, fondato nel 1524 da Giovannella Maremonti, nobildonna leccese, in adempienza al legato testamentario del defunto marito Bernardo Peruzzi fiorentino. Posta dapprima fuori le mura cittadina, fu poi abbattuta contestualmente ai lavori alle mura e al fossato, e ricostruita nel 1558 e compresa nella nuova murazione.

 

Monastero delle monache della regola di S. Francesco di Paola, fondato nel 1544 per donazione dei fratelli Antonio e Giampietro De Marco.

 

Convento di Carmelitani dell’Antica Osservanza, iniziato a costruire nel 1546.

 

Monastero di S. Teresa della Carmelitane Scalze, fondato nel 1562.

 

Convento di S. Antonio da Padova dei frati Minori Osservanti, fondato nel 1566 per donazione di Giacomo dell’Acaya.

 

Convento di S. Maria dell’Alto, fondato nel 1570 sotto la cura dei frati cappuccini, e situato fuori le mura a sud della città.

 

Collegium Lupiense dei padri Gesuiti. L’ingresso dei Gesuiti, avvenuto in seguito della vittoria di Lepanto, venne assecondato dal patriziato cittadino, in contrapposizione al ceto borghese. Dapprima interdetti dalla città, nel 1574 l’Università deliberò di stanziare 3000 ducati per la fondazione del Collegium, concedendo ai padri la chiesa di S. Niccolò dei Greci, costringendo il residuo clero di rito greco a trasferirsi nella chiesa di s. Giovanni del Malato. La costruzione del Collegium Lupiense iniziò nel 1579 con una donazione di 12000 ducati da parte del nobile Raffaele Staibano su disegno del gesuita comasco Giovanni De Rosis, e terminò su progetto di Giuseppe Valeriano nel 1592.  

 

Collegio di S. Irene dei Padri Teatini. L’Ordine entrò in città nel 1586, come immediata reazione allo stanziarsi dei Gesuiti. La prima sede dei padri fu la casa della nobildonna Elena Staibano. Nel 1591 iniziarono i lavori per la nuova chiesa di S. Irene, che subentrò alla vecchia S. Irene «dei notari» come chiesa civica. Il complesso si ampliò grazie al legato testamentario del 1589 di Giovanni Andrea Baccona, e giunse ad estendersi sull’intera isola denominata della frasca, occupando anche gli edifici degli ebrei. La fabbrica, avviata a spese della città e per volontà del vescovo Annibale Saraceni, fu realizzata da Paduano Bacchisi, poi sostituito da Antonio Renzo.

Vescovi (sec. XV-XVI)

Antonio da Viterbo, O.F.M. † (17 dicembre 1389 - ? deceduto)

Tommaso Morganti, O.Cist. † (1409 - 17 marzo 1419 nominato vescovo di Nocera Umbra)

Curello Ciccaro † (19 dicembre 1419 - 1429 deceduto)

Tommaso Ammirato, O.S.B. † (2 marzo 1429 - 1438 deceduto)

Guido Giudano, O.F.M. † (6 agosto 1438 - 13 luglio 1453 nominato arcivescovo di Bari e Canosa)

Antonio Ricci † (20 luglio 1453 - 24 dicembre 1483 deceduto)

Antonio Ricci † (20 luglio 1453 - 24 dicembre 1483 deceduto)

Roberto Caracciolo, O.F.M. † (8 marzo 1484 - 18 luglio 1485 nominato vescovo di Aquino)

Antonio Tolomei † (18 luglio 1485 - 1498 deceduto)

Luigi d'Aragona † (19 dicembre 1498 - 24 marzo 1502 dimesso) (amministratore apostolico)

Giacomo Piscicelli † (24 marzo 1502 - 1507 deceduto)

Pietro Matteo d'Aquino † (18 febbraio 1508 - 1511 deceduto)

Ugolino Martelli † (9 aprile 1511 - 18 maggio 1517 nominato vescovo di Narni)

Giovanni Antonio Acquaviva d'Aragona † (18 maggio 1517 - 1525 deceduto)

Consalvo di Sangro † (19 gennaio 1525 - 1530 deceduto)

Alfonso di Sangro † (9 marzo 1530 - 20 aprile 1534 dimesso)

Ippolito de' Medici † (20 aprile 1534 - 26 febbraio 1535 dimesso) (amministratore apostolico)

Giovanni Battista Castromediano † (26 febbraio 1535 - 17 gennaio 1552 deceduto)

Braccio Martelli † (12 febbraio 1552 - 17 agosto 1560 deceduto)

Giovanni Michele Saraceni † (13 settembre 1560 - 29 novembre 1560) (amministratore apostolico)

Annibale Saraceno † (29 novembre 1560 - 1591 dimesso)

Scipione Spina † (10 maggio 1591 - 6 marzo 1639 deceduto) 

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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Attività economiche

Data la sua posizione geografica, l’economia leccese era essenzialmente fondata sull'agricoltura e sull'allevamento. Lo mostrano, ad esempio, già i due privilegi fiscali regi del 1309 e del 1359. L’economia agricola era basata soprattutto sull’olivo e sulla vite, ma dalla metà del XV secolo si diffuse anche la coltivazione intensiva di alberi da frutto. Il settore dell’allevamento si incentrava, in particolare, su ovini, caprini e suini (Andenna 1993, 205-214; Massaro 1993, 251-270).
Ancora nella prima parte del Quattrocento, sotto Ladislao, la congiuntura economica leccese si presentava difficile. La comunità era debole dal punto di vista commerciale, così come dal punto di vista della capacità produttiva, limitata ormai in maniera netta all’agricoltura e alla cura del bestiame, soprattutto bovino. La città, peraltro, non avendo proprie terre demaniali, doveva affidarsi per il pascolo ai terreni feudali e burgensatici del contado, e gli allevatori dovevano pagare di conseguenza la tassa della affida (Andenna 1993, 228-233).
Con Giovanni Antonio Orsini del Balzo si avviò tuttavia una ripresa, grazie sia all’azione dal centro, sia alle spinte nuove da parte della comunità stessa. Attraverso lo sforzo politico di attirare nuovi abitanti a Lecce, attraverso lo sviluppo delle attività artigianali e la conseguente ascesa di ceti produttivi e finanziari, si crearono le basi per una crescita economica. L’entrata della città nel regio demanio, con Ferrante d’Aragona, sprigionò un’ulteriore forza positiva (Andenna 1993, 234-248).
Se nutrita, da un certo momento in poi, fu la presenza di artigiani, quali "confectieri, corvesieri, cuseturi, argentieri, ferrari, maestri de assia", sempre mancante fu un ceto di mercanti. L’unica figura di un certo rilievo fu Gabriele Barone, che intratteneva rapporti commerciali fino a Ragusa e apparteneva, però, ad una famiglia proveniente dalla nobiltà feudale. Egli evidentemente investiva parte delle rendite agrarie anche in attività mercantili (Popovic-Radenkovic 1959, 159).  Le attività commerciali erano svolte pressoché esclusivamente da operatori stranieri, soprattutto veneti, dalmati e, dalla seconda metà del XV secolo, fiorentini.
Gli scambi commerciali per via marittima utilizzavano il porto di San Cataldo, fornito di fondaci e magazzini. I prodotti esportati erano vino, cereali, legumi, carni salate, bestiame. Venivano importati, invece, panni di lana veronesi, veneziani, ragusei, vicentini e fiorentini, cotone, canapa, legname e ferro (Massaro 1978, 225-227).
Dall’epoca angioina Lecce ospitò una delle Zecche del Regno, coniando un gigliato raffigurante il pretendente al trono, Renato d’Angiò, in maestà (Cagiati 1912, 30). Secondo quanto riportato dall’oratore milanese, Antonio Da Trezzo, la Zecca continuò a battere anche durante il dominio di Giovanni Antonio, sotto la direzione di Gaspare de Argenteriis (Cantarelli 1885, 84).
Dopo la morte di Giovanni Antonio e la confisca demaniale dei suoi stati, re Ferrante, e dopo di lui Ferrante II e Federico III, fecero coniare a Lecce gli "armellini", che recavano in esergo sul verso l’indicazione "LICI" (Cagiati 1912, 31, 33-34).

Esenzioni e franchigie

Dal Libro Rosso di Lecce (Palumbo 1997) è possibile trarre i seguenti diplomi contenti esenzioni e franchigie.

6 marzo 1437: Alfonso d’Aragona esentò i leccesi dal pagamento di qualsiasi tassa su merce e bestiame in tutto il Regno.

12 agosto 1447: Giovanni Antonio Orsini del Balzo permise ai cittadini di transitare per la foresta di Oria con animali per abbeverarli e pernottare in qualsiasi luogo delle sue terre, esenti dal pagamento di qualsiasi diritto.

26 novembre 1463: Ferrante I concesse il diritto delle prime cause; confermò il privilegio del 1437.

25 luglio 1466: Ferrante I concesse che la città non venisse mai data in feudo.

8 maggio 1466: altri privilegi economici da parte di Ferrante I.

1° settembre 1497: privilegi fiscali concessi da Federico d'Aragona, in seguito ai danni subiti da Lecce durante la discesa di Carlo VIII e le guerre conseguenti.

Mercati e fiere

All’inizio del XV secolo si tenevano a Lecce fiere annuali della durata di un giorno in occasione di festività religiose: la fiera di Pentecoste, quella del Vescovado la prima domenica d’agosto, la fiera di San Giovanni Battista il 24 giugno, di San Giacomo il 2 luglio (Libro Rosso [ed. Palumbo 1997], 17-18).
Re Ladislao provvide alla regolamentazione e all’incentivazione delle attività economiche, concedendo la totale franchigia da dazi per le fiere annuali di Pentecoste, di Sant'Oronzo, che si teneva presso l’antica porta di San Giusto e cominciava il 26 agosto, di San Giovanni Battista, nei pressi e fuori Porta Rusce, di San Giacomo del Parco, che fu estesa per la durata di otto giorni a partire dal 25 luglio (Cantarelli 1885, 83). In occasione di questa fiera, in epoca vicereale, il camerlengo della guarnigione spagnola sfilava con lo stendardo della città, mentre un barone reggeva lo stendardo reale ricevuto nel piazzale del castello dal castellano; entrambi, insieme al sindaco e ai 24 eletti del reggimento, si recavano in corteo verso il Parco, dove gli stendardi venivano issati sulla torre (Cazzato-Fagiolo 1984, 78).
Nel 1452 Giovanni Antonio Orsini del Balzo istituì due fiere: una dal 20 al 25 aprile, presso la chiesa di Santa Maria di Cerrate, l’altra la prima domenica di novembre, presso la Cattedrale, poi spostata da Ferrante presso l’abbazia dei SS. Niccolò e Cataldo (Libro Rosso [ed. Palumbo 1997], 72-75).
Alla metà del secolo risale l’istituzione anche della fiera di tutti i Santi e della fiera della Croce, nei giorni 3, 4 e 5 maggio.
Nel 1497 fu concesso da Federico d'Aragona il pubblico mercato settimanale nei giorni di lunedì e venerdì (, 287-294).

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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Famiglie

A partire dalla seconda metà del Trecento la presenza di una corte signorile e la stabilità politica, elementi garantiti prima dalla dinastia dei d’Enghien e poi dagli Orsini del Balzo, fecero di Lecce una comunità dinanimica in cui iniziarono ad emergere alcune categorie sociali. Il gruppo più rilevante era rappresentato dai baroni, feudatari dei casali del contado ma residenti in città. Queste le casate principali: Guarino, de Noha, Maramonte, Lubello, dell’Acaya, Francono. Esistevano anche feudatari minori, titolari di piccole porzioni dei casali. Era il caso dei della Barliera, dei Caracciolo e dei Prato (Massaro 1993, 298).
D’altro canto le famiglie del patriziato leccese, che costituivano anche il ceto dirigente cittadino insieme al baronaggio di contado, erano per lo più dedite alle professioni legali, favorite dal fatto che Lecce fosse sede del Concistorium principis prima, e del Sacro Regio Consiglio Provinciale poi. Notai, giudici, avvocati e legum doctores ricoprivano uffici municipali e cariche prima presso la corte feudale, poi presso quella regia. Allo stesso livello di costoro erano medici e grossi proprietari terrieri. Tra le famiglie provenienti da tale settore della società spiccavano fortemente i de Argenteriis, gli Ammirato, i Coniger e i Ferro. Vanno inoltre annoverate tra esse anche i de Condo, i Falconario, i de Orimina, i Perrone, i Quintavalle, i de Rayno, i Riccio, i Securo, i Tafuro e i Torrisio (Massaro 1993, 299).
Nel corso del XVI secolo nuove famiglie nobili provenienti dal contado o dagli ambienti mercantili, o giunte al seguito di Carlo V, si stabilirono in città promuovendo una rigogliosa stagione edilizia e inserendosi anche nel novero del patriziato locale. Fu il caso dei Castromediano, dei Giustiniano, dei Marescallo, dei Della Monica, dei Priuli, dei Della Ratta e degli Storella.

Personaggi illustri

Fra' Roberto Caracciolo

Luigi Paladini

Antonello Drimi, sindaco di Lecce nel 1507 e compilatore del Codice nel 1473

Giovanni d’Aymo, fonda l’ospedale dello Spirito Santo e il convento domenicano di San Giovanni Battista (la sua improvvisa ricchezza era attribuita al ritrovamento di un tesoro e ad un assassinio)

Antonello dell’Acaya, ambasciatore di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo presso Alfonso d’Aragona (Cantarelli 1885, 76)

Alfonso e Gian Giacomo dell’Acaya

Gabriele Barone, ambasciatore di Luigi XII a Venezia

Raffaele Falconi, ambasciatore di Federico d’Aragona in Francia e Spagna

Ferrante Loffredo

Giovanni Del Tufo, governatore, commissiona il palazzo del governatore a Nicola Scancio

Guido Guidano e Giovan Battista Castromediano, vescovi che ristrutturano il vescovado

Iacopo Marescallo, ambasciatore di Innocenzo III presso Federico II

Gugliemo Marescallo, ambasciatore gerosolimitano presso la corte turca

Vittorio Priuli, antiquario

Fulgenzio e Giovan Camillo Della Monica

Colonie mercantili e minoranze

Benché non fosse città marinara, Lecce, godendo dell’approdo di San Cataldo, e grazie alle iniziative politiche di Maria d’Enghien e del figlio Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, stabilì stretti rapporti commerciali con Venezia, i cui mercanti occupavano la zona intorno alla Piazza dei Mercanti, la cosiddetta Piazzella, luogo anche della residenza del console.
Anche albanesi, slavi e greci erano presenti, in particolare inseriti nei settori più bassi del mercato e del lavoro, nell’agricoltura, nell’edilizia e nei servizi domestici, in quest’ultimo ambito erano impegnate in primo luogo le donne. Con il corso del Quattrocento, poi, crebbe la quota delle attività mercantili in mano ai fiorentini. Intorno agli anni Settanta operavano in città compagnie collegate al Banco Strozzi, svolgendo un ruolo di fondamentale importanza per la connessione tra l’economia leccese, e del Regno tutto, e il mondo del grande mercato italiano e mediterraneo. A partire dagli anni Ottanta dello stesso secolo XV, inoltre, Lecce divenne una tappa importante negli scambi commerciali tra Firenze e l’Oriente e la presenza di operatori finanziari fiorentini in città aumentò (Massaro 1993, 312-319).
Una colonia ebraica, invece, si stabilì intorno alle chiese di Sant'Irene e di Santa Croce, rappresentando una delle più consistenti comunità di ebrei in Puglia, con i 163 fuochi censiti nel secolo XV (Vetere 1993, 166).

Confraternite

All’inizio del XVII secolo, la relazione pastorale del vescovo Scipione Spina enumerava 17 confraternite, qualche anno dopo  Cesare Infantino (1634)  ne contava 24. Quasi tutte erano legate al clero regolare, e segnatamente alle chiese dei Minori Conventuali, e dei Gesuiti, dei Domenicani (la confraternita del Rosario), e dei Carmelitani. Esse esercitavano un'incidenza sociale maggiore anche delle confraternite della Cattedrale, ad eccezione di quelle del SS. Sacramento e di Santa Maria del Popolo.

Corporazioni
Istituzioni di Beneficenza

Ospedale dello Spirito Santo, fondato e sostenuto, alla fine del XIV secolo, con un legato testamentario da Giovanni d’Aymo, fondatore anche del convento domenicano. L’Ospedale era governato dall’Università e dagli stessi Domenicani.

Lebbrosario annesso alla chiesa suburbana di San Lazzaro, ampliato introno al 1564.

Conservatorio delle Pentite di San Sebastiano, istituito nel 1583 e diretto dalle monache Cappuccinelle.

Ospedale della Trinità dei Pellegrini, fondato nel 1589.

Ospedale di Santa Maria della Pace, fondato nel 1599, e appartenente all’Ordine di San Giovanni di Dio dei Fatebenefratelli.

Conservatorio di San Leonardo per le «povere verginelle», istituito nel 1610.

Schedatore

Veronica Mele, Federico Lattanzio

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Reliquie - culti -processioni

La città vantava la conservazione delle reliquie di S. Irene, donate ai padri Celestini di SS. Niccolò e Cataldo da parte di re Ladislao.

In corrispondenza della Porta Reale fatta erigere da Ferrante Loffredo in onore di Carlo V sorgeva l’antica Porta di S. Giusto (poi Porta Napoli), al di sotto della quale, secondo la tradizione, riposavano le spoglie del santo.

Cerimonie e rituali civici

In occasione della fiera di S. Giacomo del Parco, in epoca vicereale, il camerlengo della guarnigione spagnola sfilava con lo stendardo della città, mentre un barone reggeva lo stendardo reale ricevuto nel piazzale del castello dal castellano; entrambi, insieme al sindaco e ai 24 eletti del reggimento si recavano in corteo verso il Parco, dove gli stendardi venivano issati sulla torre (Fagiolo, Cazzato 1984, 78).

Ingressi trionfali, allestimenti e rappresentazioni

Il 6 maggio 1376, il conte Pietro d’Enghien entrò trionfalmente a Lecce accompagnato da Francesco Del Balzo, duca d’Andria, e dallo zio, Luigi d’Enghien, conte di Conversano, e «fo receputo con grande honore cum pallio de oro sopra velluto celestro», come ricorda la cronaca di Coniger (Cutolo 1977, 26).

Il 16 marzo 1485, secondo la cronaca di Coniger, alla notizia della concessione in feudo di Nardò, declassata a casale, si allesterino fuochi e luminarie. Due giorni dopo la città di Lecce, rappresentata dal suo sindaco procedette alla presa di possesso di Nardò. La cerimonia, accompagnata da trombettieri, consistette nella destituzione degli ufficiali neretini, sostituiti da ufficiali leccesi, e nella deposizione dello stemma di Lecce nel Seggio della piazza pubblica di Nardò.

Nel 1516, alla salita al trono di Carlo V e della madre Giovanna, si tennero solenni festeggiamenti a Lecce, durante i quali il sindaco sfilò con la bandiera regia, accompagnato dai nobili a cavallo e dai ministri del Tribunale.

Schedatore

Veronica Mele

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Riti e Cerimonie/25
Oggetti archeologici di reimpiego

Un fenomeno molto significativo è il reimpiego di materiali leccesi nella Cattedrale di Otranto; grandi bacini di approvvigionamento per la fabbrica medievale otrantina dovevano essere stati gli edifici pubblici dell'antica Lupiae, in particolare, il complesso dell’anfiteatro che restò, almeno in parte, sempre fuori terra, e dal quale furono recuperati i capitelli a calice riutilizzati nella cripta, e un raffinato edificio di età augustea (forse una tholos, sul modello di quella dell’acropoli di Atene dalla quale riprende i moduli decorativi) al quale vanno attribuiti i capitelli ionici riutilizzati nelle due semicolonne addossate all’arco trionfale.

A Lecce troviamo un capitello a calice del gruppo dell’anfiteatro reimpiegato nel vano-scala cinquecentesco di Palazzo Morisco, palazzo in cui erano stati riutilizzati inoltre, come paracarri ad incorniciare il portale principale, due capitelli ionici dello stesso tipo di quelli reimpiegati ad Otranto.

Edifici antichi

Anfiteatro

Collezioni di antichità, scavi e scoperte archeologiche di età moderna

Collezioni di antichità, talvolta definite come veri e propri musei privati all'interno dei palazzi, sono attestate nella città pugliese almeno dalla seconda metà del XVI secolo e ben documentate dalla ricca letteratura antiquaria che é stata prodotta negli stessi anni (Scardino 1607, Infantino 1634, Ferrari 1728; una prima sintesi sull’argomento in: Cazzato 2010).

In particolare, Ottavio Scalfo viene celebrato da Pellegrino Scardino (1607, 12), come medico e filosofo eccellente, e possessore di un leggiadretto museo, che fu smembrato probabilmente dopo la sua morte, infatti, alcune delle iscrizioni di sua proprietà confluirono nella raccolta di Vittorio Priuli.

Quest’ultimo fu un personaggio centrale nel rinascimento leccese e si distinse, in particolare, per i suoi interessi storici e antiquari e per l’importante collezione di antichità, ubicata in un vasto giardino annesso al palazzo; la raccolta poteva vantare non solo iscrizioni latine, messapiche e lapidi medievali, ma anche numerose statue antiche; pare inoltre che i materiali della collezione fossero talvolta illustrati da didascalie, come nel caso dell'iscrizione messapica (Marciano [Albanese 1855], 28).

Negli stessi anni anche Lodovico Guarini collezionava antichità nel proprio palazzo; di queste si possono ancora individuare due epigrafi presso il Museo provinciale Castromediano (CIL IX 19; CIL IX 25).

Schedatore

Stefania Tuccinardi

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Antichita/34
Architetti, ingegneri e tavolari attivi in città

Gian Giacomo dell'Acaya

Giuseppe de Rosis

Gabriele Riccardi

Francesco Grimaldi

Giuseppe Zimbalo

Antonio Rienzo e Giovan Battista Perulli "huomini di molto sapere" attivi nel cantiere della chiesa di Sant'Irene.

Mura e porte urbiche

Porta Napoli

Porta Rudiae

Porta San Biagio

Mura

Strade e piazze
Infrastrutture urbane
Strutture assistenziali

Ospedale dello Spirito Santo

Castelli e fortezze

Castello

Palazzo signorile

Torre del Parco

Edifici pubblici

Sedile

Palazzi privati

Palazzo Castromediano

Palazzo Dell'Antoglietta-Maremonte

Palazzo Giaconia

Palazzo Guarini

Palazzo Lecciso

Palazzo Loffredo-Adorno

Palazzo Luperto

Palazzo Marescallo

Palazzo Morisco

Palazzo Perrone

Palazzo Priuli

Palazzo Spada

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edifici religiosi

Cattedrale di Santa Maria Assunta

San Francesco della Scarpa e complesso conventuale

San Giovanni Battista

San Giovanni Evangelista

San Sebastiano

Sant'Antonio da Padova e complesso conventuale osservante

Sant'Elisabetta

Sant'Irene

Santa Croce

San Marco dei Veneziani

Santa Maria della Porta

Santa Maria della Grazia

Santa Maria degli Angeli

Chiesa del Gesù

Apparati effimeri
Schedatore

Antonio Milone

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Architettura/50
Artisti attivi in città

Gabriele Riccardi

Opere d'arte medievali e moderne

Bari, Pinacoteca provinciale (già Lecce), Tavola con Madonna col Bambino tra San Benedetto e Santa Scolastica

Palazzo Giaconia, rilievo raffigurante Davide che scrive

Museo provinciale Castromediano, rilievo raffigurante Davide che scrive

San Giovanni Battista, busto di Antonio de Ferraris

San Francesco della Scarpa, monumento funebre di Roberto Caracciolo

Cattedrale, Presepe

Collezioni
Schedatore

Paola Coniglio

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Produzione Artistica/14
Letterati che nascono, vivono o operano in città

PAGINA IN COSTRUZIONE

 

Paolo Castromediano 

 

Jachetto Manglebeto

 

Roberto Caracciolo

 

Niccolò D’Aymo

 

Luigi Paladini

 

Antonio de Ferrariis Galateo

 

Sergio Stiso

 

Antonello Coniger

 

Giacomantonio Ferrari

 

Antonio Castriota

 

Angelo Thio

 

Mariano Occhibranco (o Occhibianco)

 

Teseo Megha

 

Francesco Storella

 

Girolamo Balduino

 

Costanzo Sebastiano

 

Sabbatino de Ursis

 

Braccio Martelli

 

Scipione Ammirato

 

Pellegrino Scardino

 

Giulio Cesare Infantino

Stampatori e produzione libraria cittadina

Assente fino al XVII secolo

Biblioteche pubbliche e private

Attestate varie biblioteche, sia di enti ecclesiastici che di privati (cf. Vergine 2001).

Accademie

Antonio Galateo fondò a Lecce una piccola accademia, modellata sull'esempio della Pontaniana di Napoli, ma ristretta a pochi membri. Tempo dopo, Scipione Ammirato fondò a Lecce nel 1558 l’Accademia dei Trasformati.

Committenze di opere letterarie relative alla città
Dedicatari di opere letterarie

Numerose personalità leccesi sono dedicatari di epistole di Antonio Galateo: cf. in particolare i colti prelati Marco Antonio Tolomei e Ugolino Martelli, arcivescovi di Lecce, nonché Raffaele Maramonte, regio consigliere, e Luigi Paladini, politico leccese e giurisperito.

Storie di famiglie
Corografia e geografia
Storiografia locale e cronache

Restò inedita, e poi scomparve, la cronaca leccese di Giacomantonio Ferrari, risalente alla metà del XVI secolo, citata da vari e anche da Giovanni Antonio Summonte.

Letteratura antiquaria
Letteratura ecclesiastica e religiosa
Letteratura giuridica
Letteratura scientifica
Poesia, prosa d'arte, altre forme letterarie
Elogi di città e altri scritti encomiastici o apologetici
Altro

A Lecce, nel 1526, l'umanista e frate olivetano Costanzo Sebastiano copiò il commento di Proclo al Cratilo di Platone, oggi Vat. Barb. gr. 42.

Schedatore
Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Letteratura/26
Mappe territoriali
Piante di città
Vedute di città

Veduta della città di Lecce (1527: xilografia sul frontespizio del Breviarium Liciense)

Apprezzi di tavolari
Schedatore

Antonio Milone

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Fonti manoscritte
Fonti a stampa
Bibliografia

Alessandrì 1999: Salvatore Alessandrì, "La documentazione epigrafica", in Lecce e il suo teatro, a cura di Francesco d'Andria, Lavello 1999,  131-14

 

Amici 1999: Carla Maria Amici, "L'anfiteatro romano di Lecce", in Lecce romana e il suo teatro, a cura di Francesco d'Andria, Lecce 1999, 95-103.

 

Ammirato 1595: Scipione Ammirato, Della famiglia de' Paladini di Lecce, Firenze, Marescotti, 1595.

 

Andenna 1993: Giancarlo Andenna, “Fiscalità e sviluppo socio-economico nell’Universitas di Lecce dall’età angioina all’inizio del dominio aragonese”, in Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 197-250.

 

Arthur 2000: Paul Arthur, "L'archeologia di Lecce medievale", in Lecce. Frammenti di storia urbana. Tesori archeologici sotto la Banca d'Italia, a cura di Liliana Giardino, Paul Arthur, Gian-Paolo Ciongoli, Baria 2000, 33-40.

 

Bacile 1915: Francesco Bacile, "Una passeggiata per le vie di Lecce”, in Scritti vari di arte e storia, Bari 1915, 49-67.

 

Barrella 1922: Giovanni  Barrella, La colonia veneziana e la chiesina di S. Marco in Lecce, Lecce 1922. 

 

Bastanzio 1947: Serafino Bastanzio, Fra’ Roberto Caracciolo da Lecce: predicatore del secolo XV, Isola del Liri 1947.

 

Cagiati 1912: Memmo Cagiati, “Le monete spettanti alla Zecca di Lecce”, Apulia, 3, 1912, 30-34.

 

Canestrini, Cacudi 2014: Il castello di Carlo V a Lecce. Tracce, memorie, protagonisti, a cura di Francesco Canestrini e Giovanna Cacudi, Galatina 2014.

 

Cantarelli 1885: Giovanni Battista Cantarelli, Monografia storica della città di Lecce, Lecce 1885.

 

Catamo 1976: Antonio Catamo, “Fra’ Roberto Caracciolo. Vescovo di Aquino e di Lecce”, Rassegna Salentina, 1, 1976, 9-15.

 

Cazzato 1999: Mario Cazzato, "Palazzo Adorno a Lecce: la storia e le famiglie tra XVI e XVII secolo”, Studi Salentini, 76, 1999, 109-130.

 

Cazzato 2010: Mario Cazzato, “Dalle ‘antiquitate’ al ‘museo’ e alla ‘gallaria’: per una storia del collezionismo aristocratico in Terra d’Otranto”, in  Il sistema delle residenze nobiliari. Italia meridionale, a cura di Marcello Fagiolo, Roma 2010, 268-280.

 

Cazzato, Fagiolo 1984: Vincenzo Cazzato, Marcello Fagiolo, Lecce, Roma-Bari 1984.

 

Corsi 1993: Pasquale Corsi, “Lecce e il suo territorio in età bizantina”, in Storia di Lecce dai bizantini agli aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 25-53.

 

Cutolo 1977: Alessandro Cutolo, Maria d’Enghien, Galatina 1977.

 

D'Andria 1999:  Lecce romana e il suo teatro, a cura di Francesco D'Andria,  Lavello 1999.

 

De Ferrariis, Antonio (ed. Paone 1974): Antonio de Ferrariis, detto il Galateo, Epistole Salentine (Ad Loysium Palatinum, De situ Iapygiae, Callipolis descriptio), a cura di Michele Paone, Galatina 1974.

 

Defilippis 2005: Antonio de Ferrariis Galateo. La Iapigia (Liber de situ Iapygiae), introduzione, testo, traduzione e note a cura di Domenico Defilippis, prefazione di Francesco Tateo, Galatina 2005.

 

De Giorgi 1888: Cosimo De Giorgi, La provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, Lecce 1888.

 

De Giorgi 1897: Cosimo De Giorgi, “La cappella di S. Marco in Lecce”, Arte e Storia, 16, 1897,  116-117.

 

De Giorgi 1907:  Cosimo De Giorgi, Lecce sotterranea. Relazione sugli scavi archeologici eseguiti in Lecce dal MCM al MCMVI, Lecce 1907.

 

De Marco 1990: Mario De Marco, Chiese di Lecce, Lecce 1990.

 

De Mattei 1961: Rodolfo De Mattei, Ammirato Scipione, in Dizionario Biografico degli Italiani, III, Roma 1961.

 

De Simone (ed. Vacca 1964): Luigi G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, nuova edizione postillata da Nicola Vacca, Lecce 1964.

 

Federico 2016: Eduardo Federico, "Quali Greci? Identità e storia magno-greca nel Liber de situ Iapygiae di Antonio de Ferrariis, detto il Galateo", Incidenza dell'Antico, 14.1, 2016, 89-108.

 

Ferrari 1728: Iacopo Antonio Ferrari, Apologia paradossica […] nella quale si dimostra chiaramente la precedenza che deve avere l’antichissima e fedelissima Città di Lecce ne Parlamenti Generali del Regno, in Lecce, dalla Stamperia del Mazzei, l’anno 1728.

 

Foscarini 1927: Amilcare Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto (Lecce 1914), Lecce 1927.

 

Foscarini 1929: Amilcare Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929.

 

Foscarini 1935: Amilcare Foscarini, Lecce d'altri tempi. Ricordi di vecchie isole, cappelle e denominazioni stradali: contributo per la topografia leccese, Bari 1935.

 

Galateo 1558: Antonii Galatei Liciensis philosophi et medici doctissimi qui aetate magni Pontani vixit, Liber de situ Iapygiae, Basileae, per Petrum Pernam, 1558.

 

Gambacorta 1962: Antonio Gambacorta, “Una lettera della comunità di Lecce ai provveditori della flotta di Venezia (Lecce, 23 maggio 1484)”, Studi salentini, 13, 1962, 185-186.

 

Gelao 2005: Clara Gelao, Puglia rinascimentale, Milano 2005.

 

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Houben 1993: Hubert Houben, “Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa”, in Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 395-417.

 

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Marciano (Albanese 1855): Girolamo Marciano, Descrizione, origini e successi della provincia d'Otranto del filosofo e medico Girolamo Marciano di Leverano, con aggiunte del filosofo e medico Domenico Tommaso Albanese, Napoli 1855.

 

Marciano (Barbuti 2010): Girolamo Marciano, Descrizione, origini e successi della provincia d'Otranto, edizione e introduzione a cura di Nicola Barbuti, edizioni digitali del CISVA 2010.

 

Massaro 1993: Carmela Massaro, “Territorio, società e potere”, in Storia di Lecce dai bizantini agli aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 251-343.

 

Massaro 1993: Carmela Massaro, “La città e i casali”, in Storia di Lecce dai bizantini agli aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 345-392.

 

Monaco 2007: Angelo Maria Monaco, "Continuità e distanza nell’iconografia del Presepe in Terra d’Otranto nel XVI sec. Il corteo dei Magi di Gabriele Riccardi nel Duomo di Lecce", in La scultura meridionale in età moderna nei suoi rapporti con la circolazione mediterranea, Atti del Convegno Internazionale di studi, a cura di Letizia Gaeta (Lecce, 9-11 giugno 2004), Galatina 2007, 379-397.

 

Monaco 2009: Angelo Maria Monaco, “Una nota di stile tra Napoli e Lecce. Il San Nicola in pietra di Gabriele Riccardi, intagliato come nel legno”, Kronos, 13, 2009, 2, 178-180.

 

Museo Castromediano 2012: Il Museo Provinciale Sigismondo Castromediano. Guida breve, Lecce 2012.

 

Palumbo 1910: Piero Palumbo, Storia di Lecce, Lecce 1910.

 

Palumbo 1953: Pier Fausto Palumbo, “Il monastero di San Giovanni Evangelista nella vita di Lecce della Contea”, in Atti del II Congresso storico pugliese e del Convegno internazionale di Studi Salentini, Bari 1953, XXX, nota 61.

 

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Paone 1965: Michele Paone, “I teatini in Lecce”, Regnum Dei, 21, 1965, 148-172.

 

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Pastore 1970: Michela Pastore, Le pergamene di San Giovanni Evangelista in Lecce, Lecce 1970.

 

Pensabene 1972: Patrizio Pensabene, "Un’officina greca per gli elementi decorativi architettonici dell’anfiteatro di Lecce", Ricerche e studi. Museo Francesco Ribezzo, 6, 1972, 9-38.

 

Popovic-Radenkovic 1959: Miriana Popovic-Radenkovic, “Le relazioni commerciali fra Dubrovnik (Ragusa) e la Puglia nel periodo angioino (1226-1442)”, Archivio Storico delle Province Napoletane, 38, 1959, 153-206.

 

Poso 1988: Cosimo Damiano Poso, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina 1988.

 

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Sakellariou 2012: Eleni Sakellariou, Southern Italy in the Late Middle Ages, Leiden-Boston 2012.

 

Scardino 1607: Pellegrino Scardino, Discorso intorno l’antichità e sito della fedelissima città di Lecce, in Bari, nella stamperia di Giulio Cesare Vent. impress. per Antonio Pace, 1607.

 

Semeraro 1999:  Grazia Semeraro, "Arte e artigianato nel suo territorio", in Lecce romana e il suo teatro, a cura di Francesco D'Andria, Lavello 1999, 105-115.

 

Tateo 1995: Francesco Tateo, "La Magna Grecia nell'antiquaria del Rinascimento", in Eredità della Magna Grecia,  Atti del trentacinquesimo Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 6-10 ottobre 1995), 149-163.

 

Tateo, de Nichilo, Sisto 1994: Puglia neo-latina. Un itinerario del Rinascimento tra autori e testi, a cura di Francesco tateo, Mauro de Nichilo, Pietro Sisto, Bari 1994.

 

Trinchera 1866-1874: Codice Aragonese, o sia lettere regie, ordinamenti ed altri atti governativi de' sovrani Aragonesi in Napoli riguardanti l'amministrazione interna del reame e le relazioni all'estero, a cura di Francesco Trinchera, Napoli 1866-1874.

 

Vacca 1934: Nicola Vacca, “Lecce nota ed ignota. L’isola del Pollicastro”, Rinascenza Salentina, 2, 1934, 206-208.

 

Valerio 2000: Sebastiano Valerio, “I Carmina di Antonio Galateo”, in Poesia umanistica latina in distici elegiaci. Atti del convegno internazionale, Assisi, 15-17 maggio 1998, a cura di Giuseppe Catanzaro e Francesco Santucci, Cannara 2000, 97-108.

 

Vassallo 2013: Maria Rosaria Vassallo, “Lecce nella transizione dagli Orsini del Balzo agli Aragona”, in Un principato territoriale nel Regno di Napoli? Gli Orsini del Balzo principi di Taranto (1399-1463), a cura di Luciana Petracca e Benedetto Vetere, Roma 2013, 487-511.

 

Vecce 1988: Carlo Vecce, "Il De educatione di Antonio Galateo de Ferraris", Studi e problemi di critica testuale, 36, 1988, 23-82.

 

Vecce 1992: Carlo Vecce, "Paralipomeni al Galateo", Studi e problemi di critica testuale, 45, 1992, 59-82.

 

Vergine 2001: Pia Italia Vergine, Bibliographia antiqua Lupiensis: incunaboli delle biblioteche pubbliche e private di Lecce e provincia, Galatina 2001.

 

Vetere 1993: Benedetto Vetere, “Civitas e urbs. Dalla rifondazione normanna al primato del Quattrocento”, in Storia di Lecce dai bizantini agli aragonesi, a cura di Benedetto Vetere, Roma-Bari 1993, 55-195.

 

Volpicella 1916:  “De Paladinis Luise”, in Regis Ferdinandi Primi Instructionum Liber, a cura di Luigi Volpicella, Napoli 1916. 

 

Zacchino 1974: Vittorio Zacchino, Lecce e il suo castello, Lecce 1974.

 

Zafarana 1976: Zelina Zafarana, Caracciolo Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIX, Roma 1976.

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