Nome | Salerno | |
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Luogo | Salerno | |
Status amministrativo | Comune capoluogo di provincia | |
Estensione del territorio comunale | 60 kmq c.a | |
Popolazione | 135.268 (ISTAT 2015) | |
Musei | Museo Diocesano, Pinacoteca provinciale, Museo Archeologico Provinciale | |
Archivi | Archivio di Stato, Archivio comunale, Archivio Diocesano, Archivio Capitolare | |
Biblioteche | Biblioteca dell'Archivio di Stato, Biblioteca Provinciale, Biblioteca Diocesana | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Citta/32 |
Nomi antichi e medievali | Il toponimo Salernum è attestato almeno dall'epoca della deduzione romana nel 194 a. C., come colonia marittima (Liv., XXXII, 29, 3; XXXIV, 45, 1-2; Strab., V, 4, 13 = C 251). | |
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Fondazione (data, modalità) | La prima attestazione certa di Salerno risale all’epoca romana, quando nel 197 a. C. venne deliberata la deduzione di una colonia romana ad castrum Salerni, realizzata tre anni dopo. Ipotesi sulla preesistenza di un centro abitato o di una postazione militare sorta nel corso del III sec. a. C., nella medesima aerea in continuità geografica e onomastica, non sono state escluse (Leone-Vitolo 1982, 33-35). Il castrum, il primo impianto romano stabilito nell’area, è stato identificato da taluni, in modo non convincente, nell’area in cui sorse il castello longobardo di Arechi, sulla cima del monte Bonadies. Altrettanto dubbia è l’esistenza di un portorium, una frontiera doganale antecedente alla stessa deduzione coloniale (De Laet 1949, 55). L’istituzione di tale ipotetico portorium ha fatto supporre anche l’esistenza di un porto, sebbene non vi siano prove certe né letterarie né archeologiche. È invece attestato che i longobardi si servissero dell’approdo amalfitano e che i primi lavori per attrezzare un porto a Salerno risalgono al 1260 (Leone-Vitolo 1982, 51). Mantenuta la vocazione di castrum militare anche in epoca longobarda, il principe Arechi, in occasione della discesa di Carlo Magno e Pipino (786-787), fortificò il sito potenziando il presidium bizantino già esistente sulla cima del monte Bonadies (Erchemperto, III; Chronicon Salernitanum, X; Alaggio 2011, 25). La presenza di una fortezza concorrente alla capitale del Principato di Benevento, favorì la spartizione prima (849) e l’affermazione poi (861) di una dinastia di principi di Salerno. Paolo Diacono ricorda, infatti, Arechi come il vero fondatore della città (Taviani-Carozzi 2000, 12, 18). | |
Distrettuazioni di appartenenza | Divenuta capitale del nuovo principato longobardo nel terzo quarto del IX secolo, Salerno fu conquistata dal normanno Roberto d’Altavilla il Guiscardo (1076) che ne fece il centro amministrativo del ducato di Puglia, fino all’instaurazione del regno di Sicilia. Inserita nel giustizierato normanno di Principato, fu capoluogo della circoscrizione di Principato Citra a partire dalla separazione in due del giustizierato (1284) . | |
Demografia | Benché capoluogo del Principato, Salerno non primeggiava per popolazione né rispetto ai suoi casali (la Foria della città), né rispetto alle altre città della Provincia, con le quali formava però un sistema urbano piuttosto omogeneo, dalle foci del Sarno alle falde del Vesuvio. La rete insediativa, i cui nodi erano Cava, Sanseverino, Salerno, Giffoni, Nocera e Tramonti, raggiunse nel corso XVI secolo una densità demica tra le più alte del regno, anche se sbilanciata verso Terra di Lavoro. Nonostante che Salerno non fosse uno scalo commerciale principale del Tirreno meridionale, nondimeno il passaggio sotto la giurisdizione dei conti di Sanserino, divenuti principi di Salerno nel 1462, l’istituzione di una seconda fiera e la presenza di alcuni uffici provinciali, rese la città un punto di raccordo tra la capitale e le province meridionali (Muto, in Leone-Vitolo 1983, 212-220). Nel corso del secolo precedente, infatti, tra il 1320 e il 1445, c’era stato un crollo demografico da 1.745 a 700 fuochi (Sofia 2001, in Storia di Salerno II, 41-49). Anche in assenza di studi sistematici sul movimento demografico di Salerno, e stando ai soli dati derivanti dalle numerazioni dei fuochi, è un dato significativo l’incremento demico di più del doppio tra la prima numerazione aragonese e quella del 1508. Il tasso di crescita, seguendo il trend economico del Mezzogiorno, si mantenne positivo fino alla crisi di metà XVII secolo. Si riporta di seguito un prospetto sintetico con l’indicazione degli anni e dei relativi fuochi rilevati: 1447: 699 fuochi (Da Molin 1979, 57) 1508: 1.457 (Sakellariou 2012, 446) 1532: 1.440 (Giustiniani 1804, VIII, 115) 1545: 1.824 (ivi) 1561: 1.929 (ivi) 1595: 2.233 (ivi) 1648: 2.100 (ivi) 1669: 1.636 (ivi) | |
Sito, idrografia, viabilità | Situato sulla costa settentrionale del golfo omonimo, il centro antico si dislocava lungo le pendici meridionali della collina Bonadies, alla destra della foce del fiume Irno. Il centro medievale era delimitato ad Est dai torrenti Rafastia e dal S. Eremita, e ad Ovest dal Fusandola. La presenza di numerosi alvei ha determinato il delinearsi di un irregolare sistema viario interno da N a S, ma anche lo sviluppo, soprattutto in epoca medievale, si sistemi di giardini con cisterne terrazzati e bagni termali (Alaggio 2011, 19-20). La particolare configurazione orografica e idrologica ha comportato, però, nel corso dei secoli, eventi alluvionali catastrofici che hanno modificato il paesaggio fisico, talvolta anche in maniera sensibile, condizionando persino le attività socio-economiche. Alcune stampe del XVI secolo segnalano, infatti, la presenza di insenature, oggi scomparse, che probabilmente furono usate come approdi: in corrispondenza della foce del torrente Fusandola, ad esempio, doveva si era insediata la colonia mercantile amalfitana almeno dal IX secolo. Un’altra insenatura doveva essere nei pressi della foce dell’Irno (Cifilelli et alii 1993, 76). Incerto se la città fosse raggiunta da una diramazione della via Appia, la via Popilia Capua-Reggio, che avrebbe attraversato da O a E la città lungo l’asse Porta Nucerina-Porta Rotese (Taviani-Carozzi 2000, 9; Leone-Vitolo 1983, 46). L’accesso alla città medievale era regolato anche da Porta Respizi a NW, Porta Elini a SE, Porta Rateprandi a SW, e la Porta che conduceva al mare a Sud. | |
Schedatore |
Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Geografia Storica/16 |
Profilo storico | Scelta dal longobardo Arechi II come residenza, e poi, nell’ultimo quarto dell’VIII secolo, come fortificazione contro i Franchi di Carlo Magno, Salerno divenne la capitale del nuovo Principato longobardo autonomo sorto con la Divisio dal Principato di Benevento (849). Il dominio longobardo sul principato viene interrotto nel 1076, quando Roberto il Guiscardo, dopo sette mesi di assedio alla città e cinque mesi di assedio al castello, aggrega il principato al ducato normanno di Puglia e Calabria. Mantenuto il rango di città capitale del giustizierato normanno di Principato, in epoca fridericiana Salerno è scelta dall’imperatore come sede della dieta generale da tenersi il 1° maggio e il 1° novembre, dove raccogliere e giudicare i reclami dei sudditi contro i funzionari per le province di Principato, Terra di Lavoro e Molise. Il ruolo ricoperto da Salerno e dal Principato all’interno del regno è confermato in epoca angioina, quando, nel 1272, re Carlo I d’Angiò investe il figlio e successore Carlo del principato di Salerno, titolo che da questo momento in poi e fino all’epoca di Roberto d’Angiò verrà attribuito all’erede al trono di Napoli. Nel contempo, lo stesso Carlo I, nel 1284, ridimensionava il territorio del Principato, dividendolo nelle due province «citra et ultra Serras Montorii», mentre, nel 1290, il nuovo principe Carlo Martello di Carlo II d’Angiò, concesse gli statuti all’universitas di Salerno. Con la nomina a vescovo di Salerno di Ruggero Sanseverino dei conti di Marsico, nel 1347, e di Guglielmo Sanseverino dei duchi di San Marco, nel 1364, la città entra per la prima volta nell’orbita del ramificato clan sanseverinesco. È a Salerno che i capifamiglia dei vari rami si riuniscono nel 1348 per coordinarsi in favore del ramo francese contro Luigi d’Ungheria, decidendo di inviare come ambasciatore proprio il vescovo Ruggero. Due anni dopo, nella cattedrale, grazie alla mediazione di Guglielmo di Ruggero i capi della città si riappacificarono e decisero una condotta comune nei confronti di Luigi d’Ungheria a cui fu consegnato il castello dietro versamento di 1.000 fiorini. Dopo essere stato concesso in appannaggio a Margherita di Durazzo, il Principato, per la prima volta dall’epoca di Carlo I d’Angiò, fu dato in feudo da Giovanna II a Giordano Colonna, fratello di papa Martino V, insieme ai ducati di Amalfi e Venosa. Incamerati tutti i feudi concessi a fratelli e nipoti del pontefice, il Principato fu recuperato al demanio regio nel 1433. Nel 1439 Alfonso V d’Aragona, impegnato nella conquista del regno, lo concesse a Raimondo di Roberto Orsini, dei conti di Nola, al quale pervenne anche il ducato di Amalfi della sua sposa, Eleonora d’Aragona, figlia naturale del Magnanimo. Il passaggio del principato agli Orsini di Nola, fu seguito, nel 1441, dall’elezione al soglio arcivescovile salernitano di Barnaba Orsini, il quale avviò i lavori di restauro della cattedrale, continuati da Pere Guillelm de Rocha negli anni ’70 del secolo. Le vicende della guerra di successione angioino-aragonese e lo schieramento su fronti opposti degli Orsini di Taranto e Nola a favore di Renato d’Angiò, e dei Sanseverino di Ferrante d’Aragona, determinarono il passaggio della città e del titolo principesco a Roberto Sanseverino, che, dopo un assedio di due mesi (luglio-agosto 1462), conquistò a Felice di Raimondo Orsini l’ultima roccaforte ursinesca. Il dominio sanseverinesco, a partire da Antonello di Roberto I Sanseverino, immise Salerno nella lunga contesa contro la monarchia aragonese, segnata, nelle sue fasi più acute, dalla congiura capeggiata proprio da Roberto (1485), dall’assedio di Diano da parte di re Federico d’Aragona (1497), da una prima confisca in favore di Alfonso d’Aragona di Villahermosa, fino alla definitiva dichiarazione di ribelle a carico di Ferrante Sanseverino nel 1553. L’inclusione dell’Italia meridionale nell’impero spagnolo comportò per Salerno, come per molti altri stati feudali del viceregno, la devoluzione a famiglie forestiere. Nel 1572, Filippo II vendette il titolo principesco al genovese Nicola Grimaldi, duca di Eboli. Nel 1590 la città riuscì a riscattarsi in demanio versando 60.000 ducati. | |
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Cronotassi | 1285: Carlo Martello di Carlo II d’Angiò, principe di Salerno 1304: Roberto di Carlo II d’Angiò, principe di Salerno 1401: Il Principato è concesso in appannaggio a Margherita di Durazzo 1419: Giovanna II investe Giordano Colonna del principato di Salerno 1423: Antonio Colonna, nipote di Giordano, principe di Salerno 1433: Demanio regio 1439: Raimondo Orsini conte di Nola e duca di Amalfi, principe di Salerno 1455: Felice di Raimondo Orsini, principe di Salerno 1460: Felice Orsini viene privato dello stato per delitto di fellonia 1463: Roberto Sanseverino conte di Marsico, investito principe di Salerno 1474: Antonello di Roberto Sanseverino, principe di Salerno 1487: Il principato è confiscato ad Antonello e affidato a Jacopo Serra come amministratore 1495: Antonello Sanseverino è reintegrato dei suoi stati 1499: Federico concede il principato in appannaggio alla sorella Beatrice d’Aragona 1499: Alfonso d’Aragona, duca di Villahermosa, principe di Salerno 1502: Roberto II di Antonello Sanseverino è reintegrato del principato per mezzo del matrimonio con Marina di Alfonso d’Aragona di Villahermosa 1508: Marina d’Aragona, vedova di Roberto II, tutrice di Ferrante Sanseverino, principessa di Salerno 1516: Ferrante di Roberto II Sanseverino, principe di Salerno 1553: il principato è confiscato a Ferrante Sanseverino 1572: Filippo II vende il Principato a Nicola Grimaldi, duca d’Eboli 1590: Demanio regio | |
Corpus normativo | Nel terzo quarto del XVII secolo, dopo aver compilato una Provisio ad instar libri (1666), contenente l’esecutorio della transazione di regalie e gabelle di Salerno, fatta tra il regio fisco e la città, l’Università raccolse anche il proprio corpus normativo in un Liber Privilegiorum (Pucci 2010). Il codice superstite, purtroppo, è mutilo per circa la metà delle carte; manca, infatti, una sezione dedicata al reggimento cittadino, in cui dovevano trovare posto senz’altro gli Statuti emanati dal Principe di Salerno Carlo Martello, i capitoli approvati dall’Università riunita il 22 settembre 1470 in sedile maiore e controfirmati dal sindaco (De Bartolomei 1894, 112-113), e gli Statuti del 16 ottobre 1491 di re Ferrante (Trinchera 1874, 190-209). I capitoli del 1470 disponevano che la carica di sindaco fosse annuale e che la rendicontazione delle sue spese fosse quadrimestrale; al termine del suo incarico, i conti sarebbero stati sottoposti alla revisione di due dei sei eletti, avendo l’obbligo di compilare un «picciolo libro» della sua gestione annuale. Alla fine del suo mandato, il sindaco aveva infine l’obbligo di depositare tutta la documentazione prodotta, in originale e in minuta, nonché il denaro ricavato dalla riscossione delle gabelle, e i quaterni compilati dal cassiere e dal cancelliere. | |
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Istituzioni/25 |
Distrettuazioni interne | Data la configurazione orografica del territorio su cui sorge, la città non ha potuto allargarsi per successive consistenti espansioni ed acquisizioni territoriali. La cinta muraria si è estesa, con piccoli avanzamenti, in età normanna e poi nel corso del XII secolo (dopo la distruzione di parte della cinta nell’assedio di Enrico VI del 1194), verso oriente e verso la marina a mezzogiorno (Alaggio 2011, 24-25). La morfologia urbana si è così evoluta per differenziazioni e sovrapposizioni interne. La divisione dei quartieri è individuata sia attorno ai centri di potere, l’episcopio e la cattedrale, il palazzo signorile, sia attorno agli edifici religiosi e alle corporazioni (Dell’Acqua, in Leone-Vitolo 1982, 56-57). Il primo nucleo urbano medievale si sviluppò attorno al castello arechiano e alla Turris Maior sul monte Bonadies, da cui dipartivano i due setti della cinta muraria longobarda, e attorno al complesso residenziale con il palazzo di S. Pietro in Corte e la capella Palatium, alle falde del monte (Alaggio 2011, 24). La costruzione della cattedrale e poi del palazzo vescovile nell’area orientale individuava il nuovo quartiere orientale di Ortomagno, mentre l’allargamento delle mura verso la marina delineò i due quartieri marini a S (Fornelle) e a SW (Dell’Acqua, in Leone-Vitolo 1982). | |
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Centri demici minori | Nel 1642 i casali di Salerno erano 19, sparsi tra la valle dell’Irno e l’area marittima a E della città (Cosimato 1991, 115). Tra i principali c’erano, fin dal basso Medioevo, Brignano, Coperchia, Giovi, Ogliara, Pastena, compresi nella definizione complessiva di Foria di Salerno. In una lettera dell’ambasciatore milanese, Antonio da Trezzo, al duca di Milano, Francesco Sforza, del dicembre 1460, l’oratore riferiva che la Foria di Salerno, che contava più di 60 casali, era interamente schierata in favore del sovrano aragonese (Senatore 1994, 62-63). L’elevato numero di casali riferito, evidentemente comprendeva anche centri demici del distretto e tenimento della città, comprese le terre feudali. Alcuni di questi centri, quelli feudali, si erano sottratti al mero e misto imperio dello stratigoto di Salerno, ed erano sotto la piena giurisdizione del signore feudale, in particolare il castro di Santo Mango e i castelli di Merola e Monte Vetrano. Castro Santo Mango era stato infeudato fin dal XII secolo in capite a domino rege a Filippo Guarna, della famiglia tradizionalmente filo-angioina, per poi passare, insieme al castello di Monte Verano, alla famiglia filo-aragonese dei Santomango, concessionari anche dei casali di Filetta, Castiglione e San Cipriano (Pucci 2002, 343-346). I rapporti conflittuali, in materia di esercizio della giurisdizione, tra la città e la Foria, emergono costantemente negli statuti e nei capitoli concessi da re e principi. Le rispettive rivendicazioni e le alterne risoluzioni erano determinate non solo dai rapporti di forza tra città e domini del contado, ma anche tra principe e suffeudatari, e tra lo stesso principe e la Corona. | |
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Territorio/36 |
Diocesi | La tradizione martirologica indica in S. Bonosio (I secolo) il primo vescovo salernitano, ma il primo presule di cui si ha notizia storica è Gaudenzio, che presenziò al sinodo romano di papa Simmaco nel 499 (Ughelli 1721, 351-353). Elevata ad arcidiocesi da Benedetto VII nel 983, la mensa comprendeva otto chiese suffraganee: Acerno, Campagna, Capaccio, Marsico, Nocera, Nusco, Policastro e Sarno (Ughelli 1721, 343). | |
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Distrettuazioni interne | Attualmente l’arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, costituita nel 1986, conta una popolazione di 512.000 abitanti e 163 parrocchie, divise nelle seguenti diocesi: Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni, Badia di Cava de’ Tirreni, Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, Diocesi di Teggiano-Policastro, Diocesi di Vallo della Lucania. In epoca medievale la mensa era articolata in pievi rurali, dette archipresbiterati, che nel XII secolo erano in numero di dodici (Eboli, Campagna, Olevano, Montecorvino, Sanseverino, San Giorgio, Montoro, Forino, Serino, Ogliara, Giffoni, Nocera), compresa la Foria di Salerno. Nel corso dell’epoca moderna, queste circoscrizioni, chiamate anche carte, divennero sedici (Cappelletti 1866, 283). | |
Cattedrale o chiesa matrice | La costruzione dell’attuale Cattedrale, intitolata a Santa Maria degli Angeli e San Matteo apostolo, furono iniziati non prima del 1078 sotto il vescovado di Alfano I, per iniziativa di Roberto il Guiscardo, nuovo signore della città dopo la sconfitta del principe longobardo Gisulfo, suo genero. Per la ricostruzione dettagliata delle vicende della fondazione si rimanda a Braca 2003, 13-28. In quegli stessi anni il Guiscardo avviava i lavori per la costruzione della SS. Trinità in Venosa. La cattedrale di Salerno sorse sull’ampio pianoro detto Ortomagno, nell’area SE della città, nei pressi di porta Elina, e venne consacrata da Gregorio VII nel 1085. Per la fabbrica furono requisiti terreni di privati e fu abbattuta una chiesa di S. Giovanni Battista (Sangermano, in Delogu-Peduto 2003, 150). La nuova cattedrale, che riportava il medesimo titolo di S. Maria degli Angeli del precedente duomo, assunse la doppia intitolazione in onore del santo apostolo, le cui spoglie, ritrovate presso Paestum (Ughelli, 362; nei pressi di Velia, secondo D’Avino 1848, 595), erano state traslate in città fin dal 954, e poi collocate nella nuova cattedrale, sotto l’altare maggiore. Sull’ubicazione della vecchia cattedrale longobarda, ci sono pareri discordi: alcuni la fanno coincidere con la capella palatii dei principi longobardi, altri la collocano esattamente laddove sarebbe sorta la nuova chiesa matrice o il nuovo episcopio. L’incertezza è dovuta anche al cambiamento di intitolazione della cattedrale già nel 982, quando il nuovo edificio non era ancora sorto (Sangermano, in Delogu-Peduto 2003, 150-151). A favore dell’ipotesi di due edifici distinti e lontani, oltre alla mancanza di testimonianze archeologiche, gioca il fatto che la scelta del sito per la nuova cattedrale cadeva al di fuori del centro della città longobarda, nell’area orientale detta Ortomagno, dove il Guiscardo fece erigere anche il suo palazzo fortificato, Castel Terracena. A sanzionare la nuova dimensione di Urbs e capoluogo delle conquiste normanne, nella stessa area sarebbe stato edificato anche il palazzo vescovile, probabilmente nel corso del XII secolo, con l’utilizzo di spolia provenienti dall’area di Paestum (Braca 2003, 20). | |
Enti religiosi | All’inizio del XVI secolo, in seguito ad un riassetto della distrettuazione parrocchiale, a Salerno sono documentate 27 parrocchie, ridotte ulteriormente a 19 nel 1579: - S. Salvatore - S. Massimo - S. Bartolomeo de Coriariis - S. Maria de Ulmo (o de Alimundo) - S. Maria de Lama - S. Eufremo - S. Grammazio - S. Maria dei Barbuti - S. Matteo Piccolo - S. Andrea de Lavina (o de Lama) - S. Giovanni dei Greci - S. Angelo de li Veteresi - S. Michele Arcangelo - S. Pietro de Foeminis - S. Trofimena - S. Vito Maggiore - S. Maria de capite placza - S. Lucia - S. Gregorio - S. Pietro de Grisontis - SS. Apostoli - S. Maria de Portanova - S. Maria de Domno - S. Giovanni de Cannabariis - S. Maria de Ortomagno - S. Giovanni de Capris - S. Pietro a Majella
Oltre alle aggregazioni parrocchiali, anche i monasteri seguirono e determinarono la concentrazione degli insediamenti antropici e la delineazione dei quartieri cittadini: il monastero di S. Nicola della Palma, nei pressi di Porta Nucerina a W, il monastero di San Lorenzo verso NW, S. Maria de Palearia, S. Francesco, Mercede, il monastero della Maddalena e il monastero di Monte Vergine sorsero nella quartiere «nova civitas» nella zona del Plaium Montis, attorno al palazzo del principe Guaifiero, alle falde del monte Bonadies. Anche i monasteri che sorsero presso il centro abitato, sia all’interno delle mura cittadine o immediatamente a ridosso delle mura, influirono sulla struttura urbana, determinando poli di attrazione e direttrici di sviluppo urbanistico: i Monasteri di S. Michele Arcangelo e di S. Benedetto, nell’area orientale dell’Ortomagno; il monastero di S. Maria della Porta, presso Porta Rotese; il monastero di S. Giorgio, presso la marina, nel quartiere detto «tra muro e muricino», presso la porta «que deducit ad mare»; il monastero di San Vito a mare, presso Porta Reteprandi a SW; il monastero di San Agostino «iuxta meridianum murum civitatis»; il monastero di S. Francesco di Paola, che sorgeva fuori dalle mura (Leone-Vitolo 1982, 60-61). La giurisdizione della diocesi salernitana si estendeva anche sulle abbazie di S. Maria di Materdomini, S. Leonardo, S. Salvatore al Terminio, S. Maria di Tubenna, S. Maria de Vetro, S. Prisco di Nocera, S. Stefano di Marsico, S. Pietro di Eboli. | |
Vescovi (sec. XV-XVI) | - 1347: Ruggero Sanseverino - 1349: Bertrando di Castronovo - 1364: Guglielmo Sanseverino - 1378: Guglielmo d’Altaviila - 1394: Ligorio Maiorini - 1400: Bartolomeo de Aprano - 1415: Nicola Piscicelli I - 1441: Barnaba Orsini - 1449: Nicola Piscicelli II - 1471: Pere Guillelm de Rocha - 1483: Giovanni d’Aragona - 1486: Ottavio Bentivoglio - 1500: Juan de Vera - 1507: Federico Fregoso - 1533: Niccolò Ridolfi - 1548: Ludovico de Torres - 1554: Girolamo Seripando - 1564: Gaspare Cervantes - 1568: Marcantonio Colonna - 1574: Marcantonio Marsilio Colonna - 1591: Mario Bolognini | |
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Istituzioni Ecclesiastiche/18 |
Attività economiche | Il periodo di maggiore sviluppo economico di Salerno, come scalo commerciale lungo la costa tirrenica, è da collocare tra XII e XIII secolo, ed in particolare all’ultima età sveva. L’interesse di Manfredi per la costruzione del porto (1260) deve essere, infatti, collegata alla contemporanea apertura del sovrano al mercato genovese nel regno. Nei medesimi anni (1259), lo stesso sovrano completava la politica economica salernitana, concedendo l’istituzione della fiera annuale settembrina. La costruzione del porto venne affidata dal sovrano a Giovanni da Procida, magnus civis Salernitanus, secondo quanto ricordato da una lapide nel duomo (Amarotta 1992, 103). Lo stesso Giovanni fece eseguire un mosaico nella cappella di S. Michele Arcangelo nel duomo. Il porto, a causa dell’insabbiamento, non era perfettamente agibile già nel 1278 (Sirago 1994, 105). Nel 1462, nel privilegio di investitura a Roberto Sanseverino come nuovo principe di Salerno, re Ferrante concedeva ampia potestatem al nuovo signore di «reheficandi et de novo costruendi molum in dicta civitate Salerni» (Pucci 2002, 331). Nonostante i lavori, fino alla fine dell’epoca aragonese il traffico marittimo del porto di Salerno ebbe solo caratteristiche del cabotaggio lungo la rotta Napoli-Amalfi-Minori. Per tutto il ‘500 e il ‘600 nessun portulano o descrizione di città menzionò più un porto importante per la città salernitana, e in ogni caso nessuna indicazione coincide con l’antico molo di Manfredi (Sirago 1994, 109). Più che il porto, che per le sue caratteristiche strutturali non riuscì mai a diventare uno scalo principale del tirreno meridionale, fu la fiera, raddoppiata poi nel 1462 con quella di maggio, a rendere Salerno una piazza paragonabile a Gaeta e Trani. L’importanza economica della fiera per l’intero territorio salernitano è confermata dall’interesse della nobiltà, sia cittadina che feudale, a ricoprire l’ufficio di magister nundinarum, che per privilegio spettava alle famiglie Della Porta, Aiello, Cioffi, Pinto e Comite. Il coinvolgimento di famiglie della nobiltà urbana e del contado, proprietari terrieri più che mercanti e finanzieri, conferma e spiega la rilevanza per la città dell’evento fieristico rispetto allo scalo portuale (Leone, in Leone-Vitolo 1982, 193-198, D’Arienzo 1998). | |
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Esenzioni e franchigie | I capitoli contenenti i privilegi e le franchigie di cui godeva l’università furono raccolti nel Liber Privilegiorum, composto nel terzo quarto del XVII secolo (Pucci 2010). I benefici fiscali e giurisdizionali furono ottenuti per lo più in circostanze di incertezza istituzionale, momenti in cui l’università poteva patteggiare condizioni vantaggiose. Nel gennaio 1413, Ladislao accolse la supplica della città di confermare, tra gli altri privilegi, quello per il quale tutti i forestieri che sarebbero venuti ad abitare in città fossero franchi ed esenti per un decennio da tasse, collette e donativi, nell’evidente tentativo di rilanciare la città sia sotto il profilo demografico che economico (Liber Privilegiorum, c. 126). Il 21 dicembre 1435, durante la contesa del trono tra Alfonso d’Aragona il Magnanimo e Renato d’Angiò, l’università chiese ad Isabella di Lorena, moglie e vicaria di Renato la permanenza nel demanio regio e che venisse ripristinata la consuetudine, abbandonata dai tempi di re Roberto, che all’erede al trono fosse assegnato il titolo di principe di Salerno, sostituito da quello di duca di Calabria (Liber Privilegiorum, cc. 31-32, 123-124). Due anni dopo, la città chiedeva al pretendente aragonese la conferma dell’antico privilegio del foro; il perdono di tutti i delitti commessi prima della riduzione della città alla fedeltà regia, compreso quello di lesa maestà; la conferma del privilegio secondo cui sia i cittadini sia gli abitanti della Foria non potessero essere carcerati; l’obbligo della cittadinanza salernitana per chi ricoprisse gli uffici di mastrodatti e di connestabile. L’importanza dei casali per la vita dell’università è testimoniata dalla richiesta dell’annullamento delle concessioni fatte a terzi dal sovrano (Liber Privilegiorum, cc. 32-33). Nel 1451 la città chiese allo stesso re Alfonso la conferma di un altro antico privilegio in base al quale i Salernitani erano immuni dai servizi personali nelle galee regie (Liber Privilegiorum, c. 132). Puntuali e circoscritti sono i 30 capitoli concessi da Ferrante e da Roberto Sanseverino, nelle sue vesti di viceré, il 18 settembre 1462, tra cui ricordiamo qui la richiesta dell’istituzione di uno Studio di diritto, contendendo per la prima volta il privilegio esclusivo che re Roberto aveva concesso alla sola città di Napoli (Liber Privilegiorum, cc. 35-38; Pucci 2002). Ricordiamo infine, tra le grazie chieste a Beatrice d’Aragona il 27 marzo 1499, la concessione, interessante per le sue ricadute economiche, che i Salernitani potessero esercitare l’artem tentae, bancheriae, tiraturi, saponariae con tutte le franchigie concesse alla città di Napoli (Liber Privilegiorum, c. 34). | |
Mercati e fiere | La fiera annuale di settembre, in onore del santo patrono, l’apostolo Matteo, venne concessa da Manfredi nel 1259, contestualmente all’ordine di costruire il porto, incarico affidato a Giovanni da Procida. Nel 1303, con privilegio di Carlo II d’Angiò, la fiera fu prolungata da otto a dieci giorni (Liber Privilegiorum, c. 143r; Sinno 1958, 9-10; Staibano, ms. XX D 24, f. 759). Nei capitoli chiesti dall’università nel settembre 1462, re Ferrante concesse una seconda fiera di dieci giorni, nel mese di maggio, lasciando all’allora conte, poi principe di Salerno, Roberto Sanseverino, la scelta dell’ubicazione, previo consenso della curia (Capitoli, cap. 8). La richiesta di una seconda fiera, che, con i lavori per riattare il porto a spese dello stesso Sanseverino, avrebbero dovuto rilanciare l’economia della città, era già stata accolta nel 1460 dal duca Giovanni d’Angiò, che combatteva nel regno per conto del padre, pretendente al trono (Pucci 2002, 339-340). | |
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Economia/16 |
Famiglie | Santomango Della Porta Aiello Cioffi Pinto Comite | |
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Personaggi illustri | - Giovanni da Procida - Martino V (Oddone Colonna) | |
Colonie mercantili e minoranze | Anche se la prima presenza di una colonia amalfitana risalirebbe a tempi più antichi, la sua piena affermazione nella vita economica e sociale della città si realizzò tra XII e XIII secolo, sia attraverso l’imparentamento con la nobiltà di seggio sia con la partecipazione ad intraprese commerciali (Delogu 1977, 149; Pontieri 1970, 7; Carucci 1922, 452-460). Risale al IX secolo la prima attestazione della presenza ebrea a Salerno. Gli ebrei contribuirono allo sviluppo economico della città soprattutto tra X e XIII secolo, prima dell’affermazione amalfitana. Durante il XIV e XV secolo, le conversioni forzose e l’inasprimento delle condizioni fiscali indussero molte famiglie ad una diaspora verso Cava, Giffoni, Sanseverino, Agropoli, S. Cipriano, Maiori, Prepezzano, Sarno, benché continuassero i rapporti commerciali con Salerno in occasione della fiera settembrina Il quartiere della Giudecca fu dapprima sotto la tutela del principe, poi sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Salerno, e infine della Corona (Leone-Vitolo, 1982, 186-190; Marongiu 1937, 238, 264). | |
Confraternite | Dalla visita pastorale del 1515-16, effettuata dal vicerio dell'arcivescovo Federico Fregoso, risultano presenti a Salerno solo quattro confraternite, tutte con sede in cappelle autonome, e nessuna vicina all’ambiente dei Disciplinati (Leone-Vitolo 1982, 159): - S. Pietro di Portanova - S. Antonio da Padova - S. Salvatore di Drapperia - S. Bernardino | |
Corporazioni | Salerno è forse l’unica città meridionale che abbia costruito la propria identità civica anche attraverso l’esistenza di una corporazione. La prima notizia della costituzione di un Collegium di medici, in realtà, non risale a prima del privilegio concesso da Alfonso d’Aragona nel 1442, mentre la definizione di Hippocratica civitas fu elaborata negli ambienti letterari solo nel 1601, nella Descrittione del Regno di Napoli di Scipione Mazzella (Vitolo 2001, 185). Quando fu istituzionalizzato, l’ordine professionale, con a capo un priore, era giuridicamente separato dallo Studium. Questo era stato regolamentato già da Federico II, che, con le Costituzioni di Melfi, aveva definito il curriculum e la procedura dell’esame, svolto davanti alla commissione di maestri di medicina e perfezionato dal rilascio, da parte della curia imperiale, della licenza ad esercitare la professione in tutto il regno. I maestri salernitani ebbero, però, facoltà di conferire il titolo di maestro di medicina, pur non costituendo per ciò stesso già una corporazione strutturata (Kristeller 1986, 49-58). La concessione del privilegio da parte di Alfonso il Magnanimo nel 1442 avvenne dietro produzione di un falso privilegio fatto risalire a Ruggero d’Altavilla il Gran Conte, che nel 1127 avrebbe concesso alla città licenza di costituire un’organizzazione corporativa medica. Nonostante che la fama dei medici salernitani sia documentata almeno dal X secolo, e nonostante gli interventi regi, prima di Federico II e poi di Carlo d’Angiò, per promuovere lo Studio salernitano (Carucci 1931, 70, 412, 414, 418, 530), la città, che non aveva chiesto mai privilegi ed esenzioni per medici, maestri e studenti, si identifica per la prima volta con la propria Scuola solo alla metà del XV secolo, tanto da confezionare un documento falso. Il nuovo impegno della città a promuovere la produzione e la circolazione scientifica fu confermato vent’anni dopo, quando, nella supplica presentata a Ferrante d’Aragona e a Roberto Sanseverino, l’università chiese che venisse istituito uno Studio di diritto, contestando per la prima volta il privilegio esclusivo che Roberto d’Angiò aveva concesso alla sola città di Napoli (Pucci 2002, 340-341). Il rilancio degli Studia salernitani venne assecondato dai principi Sanseverino, in particolare Ferrante, che richiamò nella città l’astrologo Luca Gaurico e il filosofo Agostino Nifo (Kristeller 1986, 93-94; D’Aniello e Dente, in Leone-Vitolo 1982; Olivieri 1999). La «simbiosi tra la comunità cittadina e la sua più prestigiosa istituzione si [espresse] anche sul piano simbolico attraverso la definizione di Salerno come Hippocratica civitas, che compare a partire dal Seicento anche sul sigillo in ceralacca apposto sui diplomi di laurea» (Vitolo 2001, 225; Mazza 1681, 136, cfr. Vitolo 2014 189-232). | |
Istituzioni di Beneficenza | ||
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Societa/15 |
Repertoriazioni | Dalle informazioni contenute nel Liber Privilegiorum è possibile ipotizzare quali fossero le scripture in registro presenti nell’Archivio di Salerno alla metà del XVII secolo (Pucci, 2010, 50): un Liber transactionis seu privilegiorum ad instar libri, di epoca incerta, probabilmente simile al Libretto di privilegi di Capua e dotato di autentica per via giudiziale; la Provisio ad instar libri, del 1666, cioè l’esecutoria della transazione di regalie e gabelle di Salerno, fatta tra il regio fisco e la città, per la somma totale versata di 8.500 ducati; un Liber portulaniae et siclae cooperto di carta straccia; alemeno 5 Libri chiamati decretorum et privilegiorum civitatis Salerni, probabilmente un assemblaggio di documenti originali; 5 Libri provisionum. | |
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Archivi storici | Non conservando l’archivio Comunale di Salerno documentazione anteriore alla metà dell’Ottocento, ed essendo molto scarsa e frammentaria anche quella versata agli Archivi di Stato di Napoli e di Salerno, è possibile ricostruire il materiale depositato nelle casse dell’archivio dell’universitas attraverso le informazioni contenute nel Liber Privilegiorum redatto negli anni ’70 del XVII secolo. Molti documenti della raccolta furono autenticati dal notaio Geronimo Arminio di Salerno, secretarius dictae civitatis, nel 1676. Benché il codice sia mutilo e, forse, acefalo, per cui mancano il prologo e altre dichiarazioni di intenti che chiariscano i motivi e i committenti dell’opera, il criterio con cui sono organizzati i documenti trascritti, divisi per materia, è chiaro: si voleva raccogliere un corpus unitario che rendesse espliciti e incontrovertibili i diritti della comunità. Note in calce e al margine creano una rete di rimandi interni tra i vari documenti, a conferma che la redazione avvenne quasi tutta in un solo momento e con un preciso disegno (Pucci 2010). I redattori del Liber utilizzarono come fonti sia documenti originali presenti nell’archivio cittadino sia Libri e repertori privilegiorum e provisionum. In base alle indicazioni delle autentiche delle copie tratte da originali presenti nell’archivio universale, alla metà del ’600 nelle casse dell’Università dovevano esserci i seguenti documenti originali: 1) Esecutoria del privilegio di Carlo II sulla fiera del 1303 2) Lettera patente di Ladislao del 1413 3) Privilegio di Alfonso all’università del 1446 4) Suppliche presentate dall’Università a Beatrice d’Ungheria con relativi decreti del 1499 5) Mandato della regia camera del 1553 6) Privilegio di Filippo II all’Università del 1559 7) Mandato del viceré conte di Granvela del 1572 8) Mandato esecutorio del viceré cardinale di Granvela del 1574 9) Mandato del viceré marchese di Mondejar dell’agosto del 1579 10) Mandato esecutorio della Regia Camera della Sommaria del 1585 11) Mandato del viceré don Pedro Giron del 1586 12) Privilegio di Filippo II all’Università del 1591 13) Mandato esecutorio del viceré conte di Miranda del 1591 14) Mandato esecutorio del viceré Giovanni de Zunica del 1594 15) Privilegio di Filippo III del 1603 16) Mandato esecutorio del viceré conte di Benavente del 1608.
Dal contenuto delle dodici sezioni superstiti del codice, inoltre, si ricava che l’archivio cittadino conservava, in copia o in originale, in carte sciolte o in registro, anche le seguenti tipologie documentarie: - Privilegi e lettere esecutorie dei sovrani, dei viceré e dei principi di Salerno - Documenti prodotti dalla Regia corte stratigoziale - Documenti prodotti dalla Regia Udienza Provinciale - Documenti prodotti dalla Regia Percettoria Provinciale - Documenti prodotti dalla Regia Dogana di Salerno - Documenti concernenti la Gabella delle sei grana per oncia - Documenti concernenti la Gabella degli animali - Documenti concernenti la giurisdizione della portolania, riguardanti Salerno, casali e distretto - Documenti concernenti la giurisdizione della Regia Zecca di pesi e misure - Documenti concernenti diritti di privati cittadini, gabelle dell’università e franchigie - Documenti concernenti le fiere di settembre e di maggio.
Dagli statuti del 16 ottobre 1491 si ricava, inoltre, che la documentazione doveva essere conservata in una cassa chiusa con due chiavi e contenente anche il sigillo, i contenitori per l’imborsazione (bussole) e libri. Nel documento si precisava che, non avendo luogo stabile, la cassa da allora in avanti dovesse essere conservata nella sacrestia della chiesa cattedrale e chiusa non più da due ma da quattro chiavi, tenute dal sindaco, dal sacrestano e da due dei sei eletti, a turno ogni 20 giorni. La chiesa maggiore come luogo di conservazione era citata già nel 1384, quando la regina Margherita dispose che si conservassero 3 copie del nuovo apprezzo, una presso un esponente dei «migliori», una presso uno dei «mediocri» e una nella chiesa maggiore; nel documento non è fatto, però, riferimento né cassa né alla sacrestia (Pucci 2010, 43-45). Anche se le disposizioni sono molto simili alle altre Università che pure ricevettero lo statuto nel 1491, è da notare il riferimento alla trascuratezza con cui si erano conservate le carte fino a quel momento, a differenza di quanto avviene in città come Taranto, che già nel 1465 mostra una spiccata sensibilità archivistica e che nel 1528 produsse un Inventarium dei beni dell’Università. Resta da stabilire se tale attenzione alla conservazione archivistica sistematica fosse stata indotta dall’organizzazione burocratica della curia del principe Giovanni Antonio Orsini. Lo stato confusionario dell’archivio salernitano si protrae fino al ’700 quando, nonostante la produzione di registri privilegiorum e provisionum. Non conosciamo inventari e tracce di sistemazione della documentazione. | |
Raccolte e miscellanee | ||
Strumenti di corredo | ||
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Fonti documentarie/15 |
Reliquie - culti -processioni | Un’epigrafe datata al 1078, dunque nella primissima epoca normanna, proveniente dalla chiesa di S. Fortunato, ricorda la ricognizione delle reliquie dei santi martiri salernitani Caio, Fortunato e Anthes da parte dell’arcivescovo Alfano I (Braca 2003, 13). Il rinvenimento del corpo di san Matteo nei pressi di Paestum e la sua traslazione a Salerno nel 954 inaugurò un duraturo e identitario legame della città con l’evangelista. Al nuovo patrono cittadino fu dedicata la nuova cattedrale che assunse la doppia intitolazione accanto a quella precedente di S. Maria degli Angeli. La traslazione del corpo del santo era celebrata il 6 maggio. In occasione della ricorrenza l’arcidiocesi officiava una processione cui partecipava l’intero distretto, comprese le arcipreture plebane, le diocesi suffraganee e le abbazie che rientravano nella giurisdizione vescovile. Il rito si svolgeva in due momenti: il giorno della commemorazione le parrocchie cittadine offrivano all’arcivescovo un ramo di albero fiorito, ghirlande di rose e ceri; la prima domenica dopo il 6 maggio, erano i filiani delle chiese plebane ad offrire delle oblazioni (Balducci 1951, 148-149). È stato osservato come la partecipazione alla processione, a differenza di altri rituali religiosi cittadini del regno, non coinvolgeva solo il contado salernitano, ma l’intera arcidiocesi, che comprendeva a sua volta centri dotati di un proprio territorio. La dimensione della cerimonia era, cioè, interamente religiosa nella sua valenza, organizzazione e partecipazione; nessuna autorità dell’universitas e nessun rappresentate dei seggi cittadini o di famiglie baronali partecipava al rito in quanto tale (Vitolo 2001, 170-175). Tra i culti salernitani va ricordato quello per il crocifisso della chiesa di San Benedetto, che, nel XII secolo, avrebbe miracolosamente convertito il mago Pietro Barliario. In realtà si tratta di una leggenda diffusasi tra gli ultimi anni del Cinquecento e il Seicento (Senatore 2005). | |
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Cerimonie e rituali civici | Il 6 maggio era celebrato anche il rito detto del Columbro. Esso risaliva a un’epoca imprecisata, secondo le memorie di alcune famiglie nobili salernitane (Famiglia Ruggiero, ms 19 della Biblioteca Provinciale di Salerno, f. 37; famiglia Santomango, ivi, f. 153). La cerimonia ricordava la concessione del suolo di proprietà di alcune famiglie nobili per l’edificazione della cattedrale: il rito consisteva in una processione guidata dall’arcivescovo e nella consegna di una confezione floreale al capostipite vivente dei discendenti di quelle famiglie, proprio nel il giorno della traslazione di san Matteo (Braca 2003, 19). La fondatezza storica di questa tradizione è stata già messa in discussione, ma sembra che alcune case private fossero state demolite per creare lo spazio del sagrato d’avanti alla chiesa (Capone 1927, 15-19; Colonna 1580, 73). | |
Ingressi trionfali, allestimenti e rappresentazioni | ||
Schedatore | Veronica Mele | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Riti e Cerimonie/15 |
Letterati che nascono, vivono o operano in città |
Matteo Silvatico
Giacomo Solimene
Antonio Solimene
Luca Gaurico
Girolamo Britonio
Girolamo de Maria
Marino Freccia
Niccolò Ridolfi
Girolamo Seripando
Marcantonio Marsilio Colonna
Mario Bolognini
Gaspare Mosca
Giulio Cesare Grillo
Decio Grisignano
Antonio Mazza | |
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Stampatori e produzione libraria cittadina | Nel Cinquecento, e precisamente negli anni dal 1543 al 1545, Salerno conosce una breve ma interessante stagione di stampa locale, in gran parte legata al diritto e alla medicina, dunque verosimilmente alle attività dello studium locale. Gli stampatori attivi in città furono Cilio Alifano e Francesco Fabri. Al presente risultano note le seguenti edizioni: Grisignano 1543; Bolognetti 1543; Grisignano 1544a; Grisignano 1544b; Longo 1544; Bolognetti 1545, alle quali va aggiunta con ogni probabilità un'edizione delle lettere di Bernardo Tasso del 1591 (Tasso 1591). Già in precedenza, tuttavia, dal 1534 al 1542, il salernitano Girolamo de Maria aveva intrapreso alcune iniziative tipografiche a Venezia, pubblicando i trattati di diritto di Giovanni D'Arnono (D'Arnono 1534, 1535, 1542). Sulla vicenda cf. Passaro 1986; Toscano 1992, ad ind.. | |
Biblioteche pubbliche e private | La vicenda delle biblioteche a Salerno tra XV e XVI secolo merita approfondimenti. Al di là dei libri contenuti nella biblioteca dell'episcopio e nei monasteri, ampia circolazione libraria doveva certo essere garantita dalla presenza dello studium di medicina. La presenza piuttosto stabile in città della corte principesca con Roberto II Sanseverino e poi con Ferrante implica a sua volta la presenza di libri anche presso la locale corte, ma dalla vivacità culturale della città si desume ampia presenza di piccole biblioteche presso le famiglie più in vista. | |
Accademie |
Accademia dei Rozzi, Accademia degli Accordati, attive nel XVI secolo. | |
Committenze di opere letterarie relative alla città | ||
Dedicatari di opere letterarie | Diversi cittadini salernitani sono dedicatari di novelle di Masuccio Salernitano. Impossibile rendere pienamente conto delle opere dedicate ai vari Sanseverino principi di Salerno, così come agli arcivescovi, quasi sempre figure di primissimo piano nella vita politica e culturale non solo del Regno di Napoli. | |
Storie di famiglie |
Cenni alle famiglie salernitane sono nello scritto di Matteo Geronimo Mazza (Senatore 1991); interamente dedicato alle famiglie di Salerno, con ampia trattazione della famiglia Sanseverino dei principi di Salerno è l'inedito scritto di Giovan Battista Prignano, Delle famiglie di Salerno, conservato nei mss. Angelici 276 e 277 (cf. Granito 1984). Vitignano 1595, 26, menziona le famiglie che appartenevano ai seggi. | |
Corografia e geografia | Ranzano (ed. di Lorenzo, Figliuolo, Pontari) 2007, Libro XIV, Campania, capp. 166-169: Ranzano dedica a Salerno una trattazione piuttosto estesa, iniziando, per sottolinearne l'antichità, dalla menzione che ne fa Strabone in V 4, 13. Dopo aver menzionato la fase romana, Ranzano salta del tutto la fase longobarda, per la quale evidentemente non ha fonti, dato che tanto Erchemperto quanto il Chronicon Salernitanum vengono riscoperti successivamente (v. sotto, i corografi seriori). Dopo aver parlato dell'ampliamento normanno sotto Roberto il Guiscardo, Ranzano menziona la magnificanza del duomo e del quartiere che dal duomo digrada fino al litorale, affermando poi che i quartieri posti più in collina si sono gradualmente fusi con l'area del duomo, per essere poi inclusi nel giro delle mura. Ranzano passa poi a parlare degli uomini illustri, soffermandosi sull'elogio del medico Giacomo Solimene, a lui legato da amicizia, e del figlio di questo, Antonio. Menziona poi il medico Matteo Silvatico (XIV secolo) come principale esponente della scuola medica salernitana, ricordando la recente edizione a stampa delle sue Pandectae curata nel 1474 da Angelo Catone di Benevento, anche questo amico personale di Ranzano. Leone (ed. Camillo Leone) 1525, f. h iii verso: nel De nobilitate rerum, Ambrogio Leone menziona, elogia e descrive brevemente l'acquedotto medievale ancora oggi visibile in città (analisi del passo in de Divitiis, Miletti 2016).
Alberti 1550, f. 174 recto: la descrizione di Alberti, come spesso accade, dipende da quella di Ranzano, e ne è una sorta di versione ampliata. Alberti menziona un corredo più ampio di fonti antiche, ma a sua volta non ha fonti sulle vicende longobarde. Il domenicano sottolinea l'importanza del Guiscardo, per poi ripetere quanto detto da Ranzano sull'espansione urbana dall'età normanna in poi. A questo punto si distacca dal modello per inserire una lunga e ricca parentesi sulla magnificenza dei giardini interni alla città, ricchi di frutteti di ogni sorta. Procede poi menzionando gli uomini illustri (Solimene, Matteo Silvatico) aggiungendo due figure dei suoi tempi: Agostino Nifo, docente allo studium cittadino, e Ferrante Sanseverino "huomo humano, savio, et prudente, et de i letterati ottimo Mecenate".
Vitignano 1595, 23-29: la città è descritta brevemente ma in modo completo, con menzione delle principali fonti antiche, con riferimento agli studi di Scipione Ammirato e di Marino Freccia sulla Salerno longobarda, effettuati sulla base della scoperta di Erchemperto e del Chronicon Salernitanum. Si cita l'incipit dell'inno latino che si cantava a Salerno, nel quale si attribuiva la fondazione della città a Sem e Noè (così anche Matteo Geronimo Mazza, cf. Senatore 1991). Si menzionano poi i tre seggi, le famiglie appartenenti a ciascuno, si nomina la scuola medica per poi passare alle cose sacre, con menzione del santo patrono, del duomo e dei santi lì sepolti. In questa sezione figura un lungo elogio del colto vescovo Mario Bolognini.
Una descrizione di Salerno è poi nello scritto inedito di Matteo Geronimo Mazza (Senatore 1991), avo di quell'Antonio Mazza autore a sua volta della principale storia di Salerno di età moderna (Mazza 1681). | |
Storiografia locale e cronache | La piena ricostruzione della storia di Salerno avviene circa alla metà del XVI secolo, con gli studi di Marino Freccia su Erchemperto e sul Chronicon Salernitanum, alcune notizie tratte dai quali confluiscono nel De subfeudis dello stesso Freccia (Freccia 1554). La principale storia di Salerno ad opera di un salernitano è tuttavia quella, composta tra fine XVI e inizi XVII secolo, di Matteo Geronimo Mazza, rimasta in forma manoscritta, che costituì la base di quella di Antonio Mazza, successiva di quasi un secolo (descrizione e studio della trdizione manoscritta in Senatore 1991). | |
Letteratura antiquaria |
Oltre alle opere corografiche citate sopra (e oltre a vaghi echi antiquari in Pontano, De tumulis 2, 59, dedicato al medico salernitano Giacomo Solimene), specifici riferimenti antiquari alla Salerno antica sono sia in Vitignano 1595, sia soprattutto nello scritto inedito, databile all'incirca al medesimo lasso di tempo, di Matteo Girolamo Mazza (Senatore 1991). | |
Letteratura ecclesiastica e religiosa | La cattedra arcivescovile di Salerno fu molto spesso assegnata a figure di alto rango, non di rado di notevole cultura. Per il tardo Quattrocento si veda il catalano Pere Guillelm de Rocha, personaggio di grande rilievo nella Roma di Sisto IV, vicino ai circoli umanistici romani. A partire dalla metà del Cinquecento, gli arcivescovi si fanno promotori di un ampio rinnovamento culturale secondo i dettami della Controriforma, ecco dunque susseguirsi figure di spicco quali Niccolò Ridolfi, Girolamo Seripando, Gaspare Cervantes (in contatto con l’antiquario salentino Quinto Mario Corrado: cf. Corrado 1567), Marcantonio Colonna, Marco Antonio Marsilio Colonna, Mario Bolognini. (per la crisi finanziaria della diocesi in seguito al ritiro di Marcantonio Colonna nel 1574 cf. Spedicato 1997, 133-134). Fioriscono così, e si danno alle stampe, nuove agiografie di San Matteo (Baldini 1562, Colonna 1580, Mosca 1594), si stampano norme per il clero locale (Cervantes 1568) e atti dei sinodi diocesani (Colonna 1580). | |
Letteratura giuridica | Per il XVI secolo si veda l'attività a Salerno del giurista bolognese Giovanni Bolognetti, che insegnò diritto nello studium salernitano dal 1540 al 1543, e poi di nuovo dal 1554 al 1562 (profilo biografico in Craveri 1969), pubblicando numerosi volumi tra Napoli, Nusco e la stessa Salerno (v. Bolognetti 1543 e Bolognetti 1545; cf. sopra, Stampatori e produzione libraria cittadina). Si vedano anche le menzioni di Salerno nell'opera di Marino Freccia (Freccia 1554). | |
Letteratura scientifica |
La produzione di scritti scientifici a Salerno è da porre in relazione alla presenza della scuola medica salernitana, che però per i secoli XV e XVI è in una fase di declino, almeno se paragonata ai fasti dei secoli precedenti, culminati nella produzione di Matteo Silvatico. Spiccano comunque i nomi dei medici della famiglia Solimene, tra i quali in particolare Giacomo, a cui Masuccio Salernitano dedicò la novella 14, Pietro Ranzano una menzione nei suoi Annales (v. sopra, Corografia), e Giovanni Pontano un'elegia nel suo De tumulis (2, 59). Per il XVI secolo si vedano in particolare i trattati medici di Paolo Grisignano, stampati a Salerno (Grisignano 1543, 1544a, 1544b). | |
Poesia, prosa d'arte, altre forme letterarie |
La figura centrale della letteratura salernitana quattrocentesca è senza dubbio Tommaso Guardati (Masuccio Salernitano), segretario di Roberto I e poi di Antonello Sanseverino, fonte preziosa per ricostruire la società e la cultura salernitana dell'epoca. Di grande importanza è la presenza in città, in particolare alla corte dei Sanseverino, di notevoli figure di letterati. Se per Michele Marullo, fedele amico di Antonello Sanseverino, una visita alla città è probabile ma non documentata, a partire da Roberto II la presenza di umanisti si fa più stabile: è lo stesso principe, infatti, ad accompagnarsi al poeta Girolamo Britonio, e a chiamare Pomponio Gaurico come precettore di suo figlio Ferrante, e sarà poi Ferrante stesso a raccogliere attorno a sé filosofi e letterati come Agostino Nifo e Bernardo Tasso. Al tardo Cinquecento risalgono l'opera teatrale di Decio Grisignano Il Vafro (Grisignano 1580) e il canzoniere di Giulio Cesare Grillo (Grillo 1589). Sul finire del XVI secolo, ormai in pieno clima controriformato, la vita letteraria si concentra attorno ai colti vescovi Marcantonio Marsilio Colonna e Mario Bolognini. (v. sopra, Letteratura religiosa). | |
Elogi di città e altri scritti encomiastici o apologetici | Ha chiaramente intenti encomiastici lo scritto su Salerno di Matteo Geronimo Mazza. | |
Altro | Si veda l'opera di Andrea Guarna, letterato lombardo, nato a Cremona da famiglia salernitana e autore di due opere di considerevole fortuna, il Bellum grammaticale (1511) e il dialogo Simia (1517). Discendente di Giacomazzo, uomo d'armi che seguì Francesco Sforza dal Regno fino in Lombardia e lì si stabilì, Andrea Guarna affiancò costantemente al suo cognome l'attributo Salernitanus. | |
Schedatore |
Lorenzo Miletti | |
Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Letteratura/13 |
Fonti manoscritte | ||
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Fonti a stampa |
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Bibliografia | Abbate 1986: Francesco Abbate, "Appunti su Bartolomé Ordoñez e Diego de Siloe a Napoli e in Spagna", in Prospettiva, 44, 1986, 27-45
Abbate 1992: Francesco Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992
Abignente 1930: Giovanni Abignente, I seggi dei nobili la platea dei popolari a Salerno, in Scritti scientifici e politici, vol. II, Napoli 1930, 66-72
Aceto 1979: Francesco Aceto, “I pulpiti di Salerno e la scultura romanica della Costiera d’Amalfi”, Napoli Nobilissima 18 (1979), 169-194
Alberti 1550: Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, in Bologna, per Anselmo Giaccarelli, 1550
Amarotta 1985: Arcangelo R. Amarotta, “Il secolo normanno nell'urbanistica salernitana”, Rassegna Storica Salernitana, 2, 1985, 3, 71-122
Amarotta 1995: Arcangelo R. Amarotta, "Medioevo scavato a Salerno: S. Grammazio "supra Canale", Atti dell'Accademia Pontaniana, 44, 1995, 247-264
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Corolla 2014: Angela Corolla, “Architettura residenziale nella Salerno normanna: l'esempio di Palazzo Fruscione, in Case e torri medievali, 4, Indagini sui centri dell'Italia meridionale e insulare (secc. XI-XV): Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, Atti del V congresso nazionale di studi (Orte, marzo 2013) a cura di Elisabetta De Minicis, Roma 2014, 27-40
Corrado 1567: Q. Marius Corradus Uritanus Caspari Cervanti Salernitanorum archiepiscopo s.p.d, Neapoli, apud Ioannem de Boy, 1567
Corrado 1581: Quinto Mario Corrado, Q. Marius Corradus Uritanus Gapsari [sic] Cervanti Salernitanorum archiepiscopo S.P.D., Venetiis, apud Franciscum Zilettum, 1581 [48 c. ; in 8. Contiene con proprio frontespizio, da c. 25 a 48: Andreas Guarna patritius Salernitanus. De bello Grammaticali. Ab innumeris mendis repurgatum, ac postillis auctum].
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Grisignano 1544b: Paolo Grisignano, Pauli Grisignani de Salerno ar. et me. doctoris clarissimi Super prima fen canonis Auicennae foeliciter incipit. [1544]
Grisignano 1585: Decio Grisignano, Il vafro comedia del Sig. Decio Grisignano, salernitano. Rappresentata in Salerno con generale applauso, in Venetia, appresso Giacomo Vincenci, 1585
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Per citare questa scheda | http://db.histantartsi.eu/web/rest/Fonti e bibliografia/48 |
Luogo | Salerno | |
---|---|---|
Denominazione | Salerno, Archivio dell'Universitas | |
Sede storica | Almeno dal 1491 la cassa chiusa con tre chiavi e contentente i privilegi e le carte dell'Universitas era conservata nella sacrestia della chiesa cattedrale | |
Tipologia | ||
Soggetti produttori | Universitas di Salerno | |
Storia dell'archivio | Non conservando l’archivio Comunale di Salerno documentazione anteriore alla metà dell’Ottocento, ed essendo molto scarsa e frammentaria anche quella versata agli Archivi di Stato di Napoli e di Salerno, è possibile ricostruire il materiale depositato nelle casse dell’archivio dell’Universitas attraverso le informazioni contenute nel Liber Privilegiorum redatto negli anni ’70 del XVII secolo. Pur mancando un’autentica generale, molti documenti furono autenticati dal notaio Geronimo Arminio di Salerno, secretarius dictae civitatis, nel 1676. Benché il codice sia mutilo e, forse, acefalo, per cui manca il prologo o altre dichiarazioni di intenti che chiariscano i motivi e i committenti dell’opera, il criterio con cui sono organizzati i documenti trascritti, divisi per materia, denuncia la volontà di raccogliere un corpus unitario e sistematico che rendesse espliciti e incontrovertibili i diritti della comunità. Note in calce e al margine creano una trama narrativa con rimandi interni tra i vari documenti, a ulteriore conferma che la redazione sia avvenuta quasi tutta in un solo momento e con un preciso disegno (Pucci 2010). I redattori del Liber utilizzarono come fonti sia documenti originali presenti nell’archivio cittadino sia Libri e repertori privilegiorum e provisionum. In base alle indicazioni delle autentiche delle copie tratte da originali presenti nell’archivio universale, alla metà del ’600 nelle casse dell’Università dovevano esserci i seguenti documenti originali: 1) Esecutorio del privilegio di Carlo II sulla fiera del 1303 2) Lettera patente di Ladislao del 1413 3) Privilegio di Alfonso all’università del 1446 4) Suppliche presentate dall’Università a Beatrice d’Ungheria con relativi decreti del 1499 5) Mandato della regia camera del 1553 6) Privilegio di Filippo II all’Università del 1559 7) Mandato del viceré conte di Granvela del 1572 8) Mandato esecutorio del viceré cardinale di Granvela del 1574 9) Mandato del viceré marchese di Mondejar dell’agosto del 1579 10) Mandato esecutorio della Regia Camera della Sommaria del 1585 11) Mandato del viceré don Pedro Giron del 1586 12) Privilegio di Filippo II all’Università del 1591 13) Mandato esecutorio del viceré conte di Miranda del 1591 14) Mandato esecutorio del viceré Giovanni de Zunica del 1594 15) Privilegio di Filippo III del 1603 16) Mandato esecutorio del viceré conte di Benavente del 1608.
Dal contenuto delle dodici sezioni superstiti del codice, inoltre, si ricava che l’archivio cittadino conservava, in copia o in originale, in carte sciolte o in registro, anche le seguenti tipologie documentarie: - Privilegi e lettere esecutorie dei sovrani, dei viceré e dei principi di Salerno - Documenti prodotti dalla Regia corte stratigoziale - Documenti prodotti dalla Regia Udienza Provinciale - Documenti prodotti dalla Regia Percettoria Provinciale - Documenti prodotti dalla Regia Dogana di Salerno - Documenti concernenti la Gabella delle sei grana per oncia - Documenti concernenti la Gabella degli animali - Documenti concernenti la giurisdizione della portolania, riguardanti Salerno, casali e distretto - Documenti concernenti la giurisdizione della Regia Zecca di pesi e misure - Documenti concernenti diritti di privati cittadini, gabelle dell’università e franchigie - Documenti concernenti le fiere di settembre e di maggio.
Dagli statuti del 16 ottobre 1491 si ricava, inoltre, che la documentazione doveva essere conservata in una cassa chiusa con due chiavi e contenente anche il sigillo, le bussole e i libri. Nel documento si precisava che, non avendo luogo stabile, la cassa da allora in avanti dovesse essere conservata nella sacrestia della chiesa cattedrale e chiusa non più da due ma da quattro chiavi, tenute dal sindaco, dal sacrestano e da due dei sei eletti, a turno ogni 20 giorni. La chiesa maggiore come luogo di conservazione era citata già nel 1384, quando la regina Margherita dispose che si conservassero 3 copie del nuovo apprezzo, una presso uno de migliori, una presso uno dei mediocri e una nella chiesa maggiore; nel documento non è fatto, però, riferimento all’esistenza di una cassa né alla sua ubicazione nella sacrestia (Pucci 2010, 43-45). Anche se le disposizioni sono molto simili alle altre Università che pure ricevettero lo Statuto nel 1491, è da notare il riferimento alla trascuratezza con cui si erano conservate le carte fino a quel momento, a differenza di città come Taranto che già dal 1465 aveva una spiccata sensibilità archivistica e che nel 1528 produce un Inventarium dei beni dell’Università. Resta da stabilire se tale attenzione alla conservazione archivistica sistematica fosse stata indotta dall’organizzazione burocratica della curia del principe Giovanni Antonio Orsini. Lo stato confusionario dell’archivio salernitano si protrae fino al ’700 quando, nonostante la produzione di registri privilegiorum e provisionum, ancora non ci sono inventari e criteri di sistemazione della documentazione. | |
Consistenza dell'Archivio | ||
Fondi archivistici | ||
Strumenti di corredo | ||
Raccolte e miscellanee | ||
Note | ||
Bibliografia | Pucci 2010: Magdala Pucci, “Il liber privilegiorum di Salerno”, Rassegna Storica Salernitana, 27, 54, 2010, 15-61. | |
Allegati | ||
Link esterni | ||
Schedatore | Veronica Mele | |
Data di creazione | 19/07/2014 18:55:52 | |
Data ultima revisione | 05/04/2017 16:45:55 | |
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