NomeAltamura
LuogoAltamura
Status amministrativoComune, in provincia di Bari
Estensione del territorio comunale428 kmq.
Popolazione70.406 (marzo 2016)
MuseiMuseo nazionale archeologico; Museo della civiltà rurale; Museo etnografico dell'Alta Murgia
Archivi.
BibliotecheArchivio Biblioteca museo civico; Biblioteca del Capitolo della Cattedrale palatina; Biblioteca del Centro regionale servizi educativi e culturali; Biblioteca del monastero di Santa Chiara; Biblioteca del Museo statale
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Nomi antichi e medievali

La tradizione locale di epoca medievale individuava in Altilia il nome antico di Altamura. Lo stesso toponimo, Altilia, riusulta utilizzato, inoltre, in altri contesti regionali per indicare in maniera sistematica città distrutte dagli invasori, fossero questi Unni, Ungari, Goti o anche Saraceni (Ruta 1994, 87). Dagli atti processuali del 1299, pordotti in occasione della vertenza giurisdizionale tra il vescovo di Gravina e l’arciprete altamurano, si evince che uno dei teste, Sire Mundea, affermava che Altamura quando era luogo saraceno aveva avuto nome Altilia, come udito dai suoi avi (Giannuzzi 1935, n. 89).

Il nome di Petelia, attribuito invece alla fase antica di questo centro da una tradizione sviluppatasi in età umanistica e rinascimentale, sembra lasciare maggiori dubbi: Tito Livio, trattando della guerra annibalica, poneva infatti Petelia in area calabrese, mentre Strabone, di contro, cita Petelia come città dei Lucani (cfr. Letteratura antiquaria).

Altamura risulta dunque il toponimo medievale in qualche modo connesso con la fondazione federiciana. Negli stessi atti processuali del 1299, infatti, un teste ricordava che in onore di Federico II essa fu chiamata inizialmente Altaugusta, denominazione che poi ben presto mutò in Altamura (Giannuzzi 1935, n. 89).

Fondazione (data, modalità)

I rinvenimenti e le campagne recenti di scavo, portate avanti nel corso di tutto il Novecento, hanno evidenziato l’esistenza di un centro non poco rilevante nell’antichità, già a partire dal neolitico, quando sono attestati i primi villaggi di capanne e sino al periodo romano. Una fase di grande splendore è stata vissuta dalla città nel corso del IV secolo a.C., momento al quale, molto probabilmente, si deve riportare la costruzione dell’imponente doppia cinta muraria (Del Monte 2014, 162; Ruta 1994, 85 e 90). Fortemente contratto dal tardoantico, nel corso dell’epoca alto-medievale, poi, l’abitato di Altamura dovette decadere completamente ed essere preda delle scorrerie dei vari invasori (Ruta 1994, 90).

Soltanto in epoca federiciana, nel secolo XIII, la città fu protagonista di una rifondazione, o anche di una “riparazione” ad opera di Federico II, come testimoniato da due diplomi esistenti: l’uno datato al settembre del 1232, l’altro al febbraio del 1243 (Giannuzzi 1935, 3-7, nn. 1, 2). Con il primo l’imperatore nominava Riccardo da Brindisi arciprete della chiesa altamurana, de novo fondata. Con il secondo lo stesso imperatore incaricava due suoi sottoposti di delimitare i confini del territorio di Altamura rispetto a quello di Gravina. Più in generale la prima metà del Duecento ha rappresentato per il centro dell’Alta Murgia un momento di ripresa e rifioritura, sotto l’impulso dell’azione federiciana.

Distrettuazioni di appartenenza

1447: 414 fuochi

1532: 1501 fuochi

1545: 1877 fuochi

1561: 2121 fuochi

1595: 2689 fuochi

Demografia

Era parte del Ducato di Puglia in epoca normanna. Più avanti, con la nuova sistemazione amministrativa operata da Federico II, entrò nel contesto territoriale della provincia di Terra di Bari.

Sito, idrografia, viabilità

Posta in collina, tra i 400 e i 500 metri sopra il livello del mare, si inserisce nell’ambito dell’area della Murgia a sud-ovest di Bari. Altamura, sia in età romana che in età medievale, aveva il suo principale asse di comunicazione nella via Appia che collegava Roma con Brindisi passando per Taranto.

Schedatore

Federico Lattanzio

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Profilo storico

Molti furono i passaggi da una signoria all’altra, nel corso dell’epoca basso medievale e della prima età moderna. 
Molto vivo fu anche il continuo movimento di persone dai luoghi vicini verso Altamura, incentivato prima da Federico II, all’epoca della rifondazione, e poi dagli Angioini, che con Carlo I garantirono la sicura permanenza in città a coloro che vi dimorassero da oltre un decennio (Giannuzzi 1935, n. 11 e n. 12).
Continui furono i dissidi tra l’arciprete altamurano e il vescovato gravinese, rimasti sempre latenti e scoppiati in maniera molto forte soprattutto in due momenti: il primo a cavallo tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento; il secondo a cavallo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento.
Con il passaggio agli Angioini ebbero inizio le infeudazioni: Ludovico di Belloioco nel 1271, Riccardo di Montmorency nel 1284 (Giannuzzi 1935, n. 8 e n. 32). In questa fase il feudo era unito ancora a Gravina. Con la concessione del 1285 a Sparano di Bari e ai suoi discendenti – Sparano era logoteta del Regno, giudice e assessore della Regia Corte – Altamura divenne invece un nuovo nucleo signorile (Giannuzzi 1935, n. 37). Fu Sparano a fortificare la città con la costruzione di mura merlate (Giannuzzi 1935, n. 45). Alla sua morte, nel 1294, il feudo passò al figlio Giovanni e, in seguito, ad altri suoi familiari. Ma nel 1306 Carlo II d’Angiò lo destinò a Enrico de Roheriis (Giannuzzi 1935, n. 106). Costui non ebbe eredi e Roberto d’Angiò conferì Altamura a suo fratello Giovanni, principe di Morea, conte di Gravina e signore di Monte Sant'Angelo. Ma la vedova di Enrico, Caterina, sposò nel 1315 con l’assenso del re il milite Guido di Monteaureo, e, attraverso una volontaria transazione fra le parti, la città tornò a Caterina (Lospalluto 1956, 7).
Sotto il regno di Giovanna I accadde che Giovanni Pipino, condottiero di ventura, si adoperò per crearsi con la forza una corposa signoria in area pugliese, occupando anche Altamura con il titolo di conte palatino. Luigi di Durazzo, tornato dall’Ungheria in seguito alla prigionia, aspirando al potere nel Regno, strinse inizialmente accordo con il Pipino. Quest’ultimo credeva che tale unione potesse dargli l’autorità per opprimere impunemente le popolazioni ad egli soggette, ma nel 1357 Luigi cambiò idea, lo fece arrestare e condurre proprio ad Altamura, impiccandolo ad un merlo del castello e tenendolo esposto per tre giorni (Lospalluto 1956, 9-10).
Con Giovanna, in particolare attraverso le sue seconde nozze con Luigi di Taranto, la signoria altamurana fu annessa al principato di Taranto. Tra 1358 e 1373 fu retta prima da Roberto, figlio di Caterina II di Courtenay e Carlo di Valois, poi dal fratello Filippo II. Alla morte di quest’ultimo, Giovanna riportò nel regio demanio il feudo, per poi concederlo nel 1374 a Giacomo Arcuccio da Capri (Lospalluto 1956, 7-8). Tra il 1386, data della scomparsa di Arcuccio, e il 1392 Altamura passò a Francesco Prignano, nipote di urbano IV, e poi ai militi Giovannello e Andrea Tomacello, fratelli di Bonifacio IX. Fin quando, proprio nel 1399, re Ladislao la assegnò ufficialmente a Raimondello Orsini del Balzo, che ne era signore di fatto già dallo stesso 1392 (Giannuzzi 1935, n. 233). I del Balzo la tennero ancora con Giovanni Antonio, ma nel 1463, dopo la morte di costui, re Ferrante entrò in pieno possesso anche dei territori di questa grande casata e approvò capitoli e grazie in favore di Altamura, riannettendola al regio demanio (Giannuzzi 1935, n. 289).
Sembrava poter iniziare un periodo di stabilità, che fu tuttavia interrotta nel 1482, quando Ferrante «pro immensi bus curie necessitati bus et pro sustentatione armigera rum gentium» vendeva la città a Pirro del Balzo, la cui figlia intanto sposava Federico, secondogenito del re (Giannuzzi 1935, n. 347). La signoria di Pirro durò poco, poiché implicato nell’accusa di essere partecipe alla congiura dei baroni. Nel 1487, tramite diploma, Ferrante concedeva Altamura proprio al secondogenito Federico, con il titolo di principe (Giannuzzi 1935, n. 361). Egli venne ricordato dagli altamurani come anima elevata e nobile, come una sorta di altro Federico II, come un principe fortemente attaccato alla città, tanto da aver posto il nome Altamura alla propria nave personale o aver, ad esempio, ordinato il rifacimento delle botteghe per l’ornamento della piazza (Lospalluto 1956, 14 e 16). Ma soprattutto Federico nel 1496, dopo la discesa di Carlo VIII in Italia e dopo che Ferrante II riuscì a scacciare i francesi riprendendo concreto possesso del Regno, pregò il re, suo nipote in quanto figlio di suo fratello Alfonso II, di riconfermare tutti i privilegi altamurani nonostante anch’essa si fosse ribellata alla sua dinastia nel corso della prima fase delle Guerre d’Italia, come del resto tutte le città del Regno (Giannuzzi 1935, n. 380). Poche settimane dopo Ferrante II morì e salì al trono proprio Federico, che nel 1497 concesse diverse terre a sua sorella Giovanna IV, vedova del re precedente, tra cui anche Altamura, che poté tenere fino al 1501 (Giannuzzi 1935, n. 384).
Dopo la conclusione di una seconda fase delle Guerre d’Italia, determinata dall’intervento di Luigi II di Francia, nel 1505 la città venne concessa a Onorato Gaetani, con il titolo di principe, finché la morte non lo colpì nel 1528. Nel 1531, in seguito alle richieste di Lucrezia di Montalto che si dichiarava creditrice di Onorato e di suo figlio Luigi, marito della donna, il regio fisco napoletano emetteva prima un decreto per la cessione a costei della metà di Altamura, poi un bando per la vendita dell’intera città affinché non restasse divisa. Nel 1536, tuttavia, dal momento che al bando non rispose alcun acquirente, Carlo V con privilegio concesse ad Altamura il rientro nel regio demanio, liberandola da ogni genere di servitù e dando a Lucrezia, in cambio, altre terre (Lospalluto 1956, 17-18 e 42-85).
Nel 1542 i notabili cittadini (notai, giudici, avvocati e medici) promossero l’iniziativa di offrire la città ai Farnese, per porla sotto la protezione del cardinale Alessandro e di Ottavio, futuro duca di Parma, oltre che nipote del papa e genero di Carlo V. La motivazione principale risiedeva nella rottura, ad opera proprio dell’imperatore, di un privilegio concesso da Ferrante in merito all’assegnazione in perpetuo dell’arcipretura ad un altamurano. Carlo V, infatti, vi aveva posto lo spagnolo Vincenzo d’Avila di Salazar. Quando poi nel 1551, in seguito al netto avvicinamento di Ottavio alla monarchia francese tramite l’alleanza con Enrico II, lo stesso imperatore decise di spossessare il Farnese di tutti i suoi feudi lombardi e napoletani, tale provvedimento ebbe in Altamura la conseguenza di una spaccatura interna al ceto dirigente cittadino: da una parte si poneva l’antica nobiltà titolata, orientata verso la demanialità, dall’altra i fautori della dedizione alla casata farnesiana. Nel 1556, tuttavia, Carlo V fu costretto per questioni economiche a vendere la città alla duchessa di Gravina. Soltanto nel 1562 gli agenti di Ottavio poterono tornare nella località pugliese, riportandola così nelle sue mani. Per tutto il Cinquecento e anche il primo Seicento Altamura visse nel contesto di questo continuo conflitto tra demanialità e appartenenza alla suddetta casata. Un contesto di frequenti divisioni interne, di predominanza alternata tra alcune delle più potenti famiglie locali, come ad esempio i Filo e i De Angelis (Masi 1964, 41-57).
Sino ad arrivare ad un nuovo momento culmine della controversia endemica tra l’arcipretura e il vescovato di Gravina, con l’interdetto lanciato nel 1606 dal presule gravinese Vincenzo Giustiniani e la ricomposizione della questione ad opera di papa Gregorio XV nel 1622.

Cronotassi

1232-1268: dominio degli Svevi

1268-1271: dominio degli Angioini

1271-1274: Ludovico di Belloioco

1274-1284: regio demanio

1284-1285: Riccardo di Montmorency

1285-1294: Sparano di Bari

1294-1306: Giovanni di Sparano, e suoi eredi

1306-1315: Enrico de Roheriis

1315-1331: Caterina, vedova di Enrico, e suo marito Guido di Monteaureo

1331-1350: Simone de Sangro

1350-1357: Giovanni Pipino

1358-1373: Roberto e Filippo II, principi di Taranto

1373-1374: regio demanio

1374-1386: Giacomo Arcuccio da Capri

1386-1392: Francesco Prignano

1392-1406: Raimondello Orsini del Balzo

1406-1420: regio demanio

1420-1463: Giovanni Antonio Orsini del Balzo

1463-1482: regio demanio

1482-1487: Pirro del Balzo

1487-1495: Federico d’Aragona

1495, poche settimane: Pietro de Rohan, maresciallo di Francia

1495, pochi mesi: Luigi di Lussemburgo

1495-1496: Federico d’Aragona

1497-1501: Giovanna IV

1502-1503: Ludovico di Lussemburgo

1503-1505: regio demanio

1505-1528: Onorato Gaetani

1528-1531: regio demanio

1531-1536: Lucrezia di Montalto

1536-1542: regio demanio

1542-1551: Ottavio Farnese

1551-1556: regio demanio

1556-1562: Felicia di Sanseverino, duchessa di Gravina

1562-1586: Ottavio Farnese

1623-1715: Caetani: Francesco Caetani, nipote di Luigi, riottiene Altamura in cambio della rinuncia a Traetto. Altamura resterà dei Caetani fino al 1715, quando Nicola la vendette, ottenendo di permutare il titolo principesco su Piedimonte

Corpus normativo

Fino al 1527 non si hanno notizie certe di redazioni complete di un corpus normativo altamurano. Un manoscritto di fine Seicento, studiato ed edito da Gennaro de Gemmis alla metà del Novecento, riporta la copia di una statuizione locale risalente proprio a quell’anno, contenente in particolare regolamentazioni sull’economia agricola e pastorale della città. Una prima parte si divide in sette capitoli: I forni; L’uva e il vino; La mercancia; Il dazio del mobile; Le bestie a mano; La gabella delle planche; La piazza. Una seconda parte, parsa quale aggiunta compilata nel 1688 sotto il sindacato del notaio Lo Izzo e trascritta nel 1716 dal nuovo sindaco Ippolito Filo, si concentra sui cosiddetti “danni illati”, dunque su un ambito più prettamente giuridico (de Gemmis 1954, 5-43).
Altre due copie del medesimo manoscritto hanno permesso a Giuseppe Castelli, poco più avanti, di operare una collazione con il manoscritto del de Gemmis, aggiungendo informazioni anche sulle normative riguardanti le carni animali (Castelli 1955, 5-55).
Prima che questi studiosi riuscissero a fornire tali preziose analisi, per Altamura erano conosciute esclusivamente alcune “consuetudini dotali” rinvenute dal notaio Michele Patella e trascritte alla fine di un protocollo del notaio G. M. Santoro del 1747. L’opuscolo venne poi dato alle stampe nel 1880 a cura di Ottavio Serena. L’esistenza di queste consuetudini era conosciuta già prima del Patella, dal momento che Orazio Persio, illustre giureconsulto di Matera, nei suoi Consilia del 1640 ne faceva menzione.
Per tutta l’epoca precedente alla statuizione del 1527, infine, la documentazione che concretamente rappresenta il corpo delle norme della città va individuata nei diplomi dei vari sovrani che ebbero a che fare con Altamura a partire dal 1232, ovvero dall’opera di rifondazione federiciana. Documenti raccolti, per il periodo fino al 1502, da Angelantonio Giannuzzi nel volume XII, datato al 1935, del Codice Diplomatico Barese. Francesco Lospalluto, nel 1956, ha invece raccolto in un volume del Bollettino dell’Archivio – Biblioteca – Museo Civico altamurano esclusivamente i diplomi di epoca aragonese e del periodo di Carlo V imperatore.
Eccone un elenco: 

25 ottobre 1471: Statuti del duca Alfonso

ante 4.XII.1487: diploma di Federico, principe d’Altamura, scriptum ad modum libri, che conferma il privilegio di Pirro del Balzo del 15 giugno 1483, che a sua volta aveva confermato i privilegi dei re precedenti, tra cui quelli di Ferrante del 10 dicembre 1463, 22 gennaio 1464, 19 aprile 1467, 1 gennaio 1480.

4 dicembre 1487: Capitoli di Federico d'Aragona

29 gennaio 1488: il nobile Antonello di Agostino de Spignato, sindaco di Altamura, e magister Leonus de Iannello de Altamura, menescalcus in sua arte prothomagister (era stato maniscalco di G.A.) fanno esemplare diversi privilegi dell’Università: il primo è il diploma di Ferrante del 22 gennaio 1464

Schedatore

Federico Lattanzio, Veronica Mele

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Distrettuazioni interne

Il territorio della città era suddiviso in varie contrade. Quelle di Acquafredda, Casaglia, Serraladuca, Fontanelle, Gargano, Gremone, Parisi, Lamadifiglia, Gurgolamanna e Spiriti confinavano con il territorio di Gravina.
Franchino, Ciccasella, Lagocupo, Vatsarnali, Grava del Rosario e S. Vito confinavano con l’area di Ruvo.
Piescocavallo, Ceraso e Cerasuolo confinavano con il tenimento di Bitonto. La contrada di Guriscile ancora con Bitonto, ma pure con Turitto.
Serracapriola, bosco di Tella, bosco di Taglianaso, bosco di Lanzano e Futuramensa confinavano con il territorio di Grumo.
Murgia di Cassone, Lamalagrotte, Grutillo, Miano, Ficagnura, Fungipendole, Gianferrante, Mezzane e Scarrone confinavano con l’area di Cassano e Santeramo (che faceva parte di Acquaviva).
Le contrade di Gruttillo, Pezzapanara, Lece, Sibionetto, Lamamartino, Fontana la Chianca, Lomero, Ciccolocane, Marinella, Serralopalio, Larossa, confinavano infine con il territorio di Matera.

Centri demici minori

La definizione dei confini e dell’ampiezza del territorio di Altamura fu un processo lungo e complesso. Diversi contrasti con i centri limitrofi si verificarono nel corso soprattutto della prima fase della rifioritura cittadina, in seguito all’opera federiciana, che aveva assegnato ex novo una serie di spazi territoriali alla nuova città togliendoli, di fatto, a quei centri vicini. Alcuni documenti, a partire dalla metà del Duecento e ancora fino alla prima parte del Trecento, permettono di ricostruire taluni momenti di tali controversie. Ad esempio al febbraio del 1243 risale la prima delimitazione dei confini altamurani rispetto a Gravina, Matera, Binetto e Bitetto, su mandato imperiale (Giannuzzi 1935, n. 2). Oppure al 1309 è datato l’ordine da parte di Roberto d’Angiò al reggente della Gran Corte di procedere a nuove delimitazioni poiché si erano creati dissidi proprio tra Altamura e le località sopra elencate (Giannuzzi 1935, n. 118). Uno strascico della questione si avvertì anche sotto re Ferrante il quale, nel 1467, ordinava ad Antonio Guidano di recarsi in loco per verificare i confini e configgere nei luoghi correttamente individuati le pietre di confine (Giannuzzi 1935, n. 310).
Un’idea più chiara dei risultati ai quali si pervenne quando la situazione si stabilizzò è fornita da Giustiniani che poteva elencare più di venti casali compresi nell’area altamurana: Fornello, Sanspirito, Casale, Sangiorgio, Santamaria, lo Milo, Sangiovanni della Matina, Punturiello, Carpentina, Casaglia, la Torre, la Ruta (ai tempi del Giustiniani detto Chiancaro), Castrigliuolo, l’Anello (ai tempi del Giustiniani detto Curtanello), Lago Cupo, Visceglia, Cerasa, Piesco, Cavallo, Serra la Pollio, Pariso Vecchio, Pariso Nuovo, S. Tommaso Tesce, S. Giovanni, Cicco Casella e l’Alvanise (Giustiniani 1797, 127-128).

Schedatore

Federico Lattanzio

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Diocesi

Altamura non essendo sede vescovile, era parte della diocesi di Gravina. Il diploma del 1232 rappresentò il momento di avvio dell’arcipretura altamurana. Con esso Federico II nominava Riccardo da Brindisi arciprete, concedendogli la chiesa libera ed esente dalla giurisdizione episcopale e direttamente dipendente dal papa e dall’imperatore (Giannuzzi 1935, n. 1).
L’azione federiciana determinò però anche l’inizio di controversie tra Altamura e Gravina. Quando nel 1256 l’arciprete iniziò ad opporsi alla pretesa del vescovo di Gravina Giacomo di Taranto di continuare ad esigere le decime su quelle terre, ne scaturì un lungo contrasto, giunto ad una prima fase di apice a cavallo tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. Deve essere premesso che nell’ottobre del 1298 Carlo II d’Angiò aveva annesso e vincolato l’arcipretura altamurana alla tesoreria di S. Nicola di Bari (Giannuzzi 1935, n. 81). A luglio del 1299, invece, risalgono alcuni atti processuali legati proprio a quelle controversie. Le parti in causa erano Pietro de Angeriaco, tesoriere di S. Nicola di Bari, dunque ormai arciprete di Altamura, e Giacomo II. Al gennaio del 1301, poi, risale l’accordo finale: Giacomo riconosceva che l’arcipretura fosse di regia collazione e indipendente dalla giurisdizione vescovile gravinese, mentre Pietro accettava di non avere voce in capitolo nell’amministrazione vescovile stessa (Giannuzzi 1935, nn. 89 e 93).
I contrasti, tuttavia, non si placarono. Tra 1306 e 1308, anzi, si accentuarono al punto da arrivare alla violenza. Era presule di Gravina Giacomo II e il milite Teodoro di Gravina, proprietario di terre feudali passate al territorio altamurano, non voleva pagare le decime. La tensione salì a tal punto da portare Teodoro, nel luglio del 1308, ad aggredire con la complicità di alcuni suoi armati Giacomo mentre celebrava messa, il quale non sopravvisse. La questione si chiuse con un processo che colpì maggiormente Teodoro e la sua famiglia, anche se soltanto a livello pecuniario (ASN, Registro Angioino n. 179, fol. 117b; Tirelli 1956, 115-125).
Fu re Ladislao, nel settembre del 1394, a distaccare nuovamente l’arcipretura di Altamura dalla tesoreria di S. Nicola di Bari, facendola tornare del tutto indipendente (Giannuzzi 1935, n. 235). Tuttavia, nella prassi, il legame con S. Nicola rimase vivo a lungo. Ancora nel Quattrocento, infatti, alcuni arcipreti locali erano tesorieri della basilica barese. Nel 1475, poi, re Ferrante tramite privilegio assegnò in perpetuo l’arcipretura stessa proprio ad un altamurano (Giannuzzi 1935, n. 328).
Nel frattempo un evento fondamentale si verificò nel 1488. Tre anni prima, sotto il principato di Pirro del Balzo, l’arciprete Francesco Rossi era riuscito nell’intento di ottenere una bolla pontificia che elevasse la sua chiesa alla dignità vescovile. Pirro, tuttavia, procrastinò la firma del decreto di approvazione di quella bolla, implicato pesantemente nelle accuse di aver partecipato alla congiura dei baroni. Fu il successivo principe Federico d’Aragona, proprio nel 1488, a firmare tale decreto di approvazione che concedeva all’arciprete il Rocchetto, la Mitra, il Pastorale e l’Anello con insegne vescovili. Il Rossi, pertanto, fu il primo “arciprete mitrato” della città (Vincenti 1977-78, 155-163).
Il privilegio di Ferrante fu obliterato da Carlo V, che nel Cinquecento affidò l'arcipretura allo spagnolo Vincenzo d’Avila di Salazar (Masi 1964, 43). Una nuova fase di controversie tra il vescovato di Gravina e l’arcipretura altamurana si aprì attorno alla metà del secolo XVI. Altamura, nel 1542, si offrì ai Farnese, per porsi sotto la protezione del cardinal Alessandro e di Ottavio duca di Parma. La motivazione principale risiedeva proprio nella rottura del privilegio di Ferrante ad opera di Carlo V. Quest’ultimo ovviamente reagì e ne scaturì un duro contrasto. La sentenza finale di un processo regio conclusosi nel 1549 si pronunciò definitivamente in favore del d’Avila. Si inserì nel dissidio anche la cattedra gravinese, che tornò a premere fortemente come in precedenza, soprattutto quando, dal 1585, Gian Geronimo de Mari divenne arciprete altamurano, e quando, nel 1593, Vincenzo Giustiniani divenne vescovo di Gravina. Quest’ultimo nel 1606 lanciò addirittura l’interdetto contro Altamura. La questione si chiuse nel 1622 con un breve di papa Gregorio XV che seguì un accordo dell’anno precedente. In pratica il presule gravinese venne riconosciuto quale “visitatore perpetuo” dell’area altamurana, avendo il diritto di officiare nella città i sacramenti e le funzioni episcopali. Ma in ambito giurisdizionale e nella ricognizione delle cause civili, criminali e miste la competenza dell’arciprete locale restava salda (Masi 1964, 41-57).

Distrettuazioni interne
Cattedrale o chiesa matrice

Santa Maria Assunta

Enti religiosi
Vescovi (sec. XV-XVI)

Di seguito una serie (non continua) dei principali arcipreti di Altamura, in un periodo compreso tra la rifondazione della chiesa da parte di Federico II e il contrasto con il vescovato di Gravina della prima fase del secolo XVII.

Riccardo da Brindisi: primo arciprete della nuova Altamura, dal 1232.

Nicola de Quatemara: in carica dal 1269.

Pietro de Lusarciis: in carica dal 1281.

Giovanni: nel 1284 rifiutò di obbedire al vescovo di Gravina, giunto in visita presso Altamura.

Dionisio Iupardo de Cenomanis: prima menzione in un documento del 1294, rinunciò nel 1296.

Pietro de Angeriaco: tesoriere di S. Nicola di Bari nel momento in cui Carlo II d’Angiò unì a tale tesoreria l’arcipretura di Altamura, nel 1298; protagonista nel 1301 degli accordi con il vescovato di Gravina, restò in carica fino al 1313.

Giovanni de Verreriis: in carica dal 1313.

Rostayno Caudole arcivescovo Neopatense: prima menzione in un documento del 1316. Sicuramente presente fino a tutto il 1324.

Pietro de Moreriis: menzionato in un documento del 1328, nel quale si afferma che essendo costui impegnato in servizi regi si affidava la gestione temporanea dell’arcipretura altamurana all’abate Giovanni de Ponziaco e al prete Nicola de Montecolicola.

Bertrando Perpignano detto de Moreriis: in carica dal 1335, subito dopo Pietro promosso al priorato di S. Nicola di Bari.

Eduardo Maczula di Capri: in carica nel 1381.

Pietro di Matteo de Ansilia di Minervino: in carica dal 1394, cioè da quando Ladislao distaccò nuovamente l’arcipretura di Altamura dalla tesoreria di S. Nicola di Bari.

Andrea della Rotta di Ruvo: in carica dal 1420, ancora come tesoriere di S. Nicola di Bari.

Giovanni de Gargano di Bari: in carica dal 1442, in nome di suo figlio l’abate Petruccio.

Antonio de Agello di Taranto: in carica dal 1454. Re Ferrante, nel 1464, gli confermava l'ufficio di arciprete.

Antonio de Pirro di Bari: in carica dal 1473, ultimo degli arcipreti non altamurani poiché due anni dopo Ferrante stabiliva che da lì in avanti tale titolo sarebbe dovuto appartenere ad un cittadino di Altamura.

Francesco Rossi: 1477-1527, primo arciprete mitrato.

Nicola Sapio: in carica nel momento in cui Altamura si dava a Ottavio Farnese, nel 1542.

Vincenzo d’Avila di Salazar: in carica ufficialmente dal 1549, alla conclusione del processo regio iniziato nove anni prima, per la decisione sull'affidamento dell'arcipretura a Vincenzo o al già operativo Nicola Sapio. Rimase in carica fino alla morte nel 1557.

Vincenzo Palagano di Trani: in carica dal 1557 alla morte.

Gian Geronimo de Mari: in carica dal 1585, dopo alcuni anni di vacanza dell'arcipretura. Fu protagonista della nuova infuocata controversia con il vescovato di Gravina, che portò nel 1606 al l'interdetto lanciato dal vescovo Vincenzo Giustiniani. Il de Mari, esiliato per anni da Altamura già dal 1601 a causa della scomunica ricevuta dallo stesso Giustiniani, poté tornare solo nel 1622 alla fine della controversia, morendo tuttavia pochi mesi dopo.

Schedatore

Federico Lattanzio

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Attività economiche

L’agricoltura rappresentava senz’altro una delle principali attività, assieme all’allevamento del bestiame. Frumento, orzo e vigenti erano le coltivazioni più importanti delle terre di Altamura. In età sveva la città doveva alla corte regia un canone annuo pari alla metà della semina di orzo e frumento e pari ad un quarto di salma di vino per ogni vigna quinquagenale (cioè di 50 ordini). Quest’ultimo tributo alla fine del secolo XIV, quando Altamura era feudo del principe di Taranto, ammontava inizialmente a 10 grani annui per ogni rasula di vigna (che equivaleva a un terreno di 625 viti), poi a una somma compresa tra le 12 e le 15 once all’anno. Inoltre nel 1474 due rasule di vigne avevano il prezzo di vendita di 27 tarì (Licinio 1981, 210, 215 e 246). Tutto ciò a testimonianza dell’importanza che la produzione vinicola avesse a quei tempi in quell’area. Più avanti, nel corso del Cinquecento, in generale tutta la Terra di Bari, compresa dunque anche la zona altamurana, abbondava di grano, olio, zafferano, bambagia, vino, salnitro, sale e mandorle.
Per quanto riguarda l’allevamento del bestiame la situazione appare ancor più florida. Già per il Trecento le testimonianze non sono di scarso rilievo. La famiglia Spinelli di Giovinazzo, ad esempio, possedeva pecore in una masseria di Altamura nella prima metà del secolo XIV. Più interessanti, inoltre, i dati estrapolabili da un testamento risalente al 1327 e riguardante Flandina de Marra, moglie di un giudice barese. La donna era proprietaria di 18 vacche, altre 10 sterili, 7 giovenche, 6 giovenchi e 2 tori, tutti animali affidati in custodia ad un giudice altamurano; in custodia presso un altro giudice altamurano erano 34 equini, mentre altri 12 buoi si trovavano in una masseria ancora di Altamura (Licinio 1981, 233). Nel secolo successivo, più precisamente nel 1496, la dogana aragonese registrava più di ben 80.000 capi ovini per quella terra, con masserie di privati che ne accoglievano non meno di 500 ciascuna. Due anni dopo, quando la città impoverita a causa della prima fase delle guerre d'Italia chiese esonero dal pagamento delle imposte, lamentava soprattutto i danni subiti per il proprio bestiame, sostenendo che esso rappresentasse la principale fonte economica locale (Licinio 1981, 232 e 256-257).
A proposito di masserie deve essere menzionata la presenza di fattorie demaniali sorte in epoca sveva e attive ancora in epoca angioina, nell'ambito della logica di accentramento avviata proprio dagli svevi. Recenti studi sugli insediamenti rupestri del territorio di Altamura hanno permesso di datare con non eccessiva approssimazione acume masserie situate lungo il corso della via Appia, nei pressi della città: ad esempio la fattoria Iesce, la cui cappella presenta affreschi risalenti ai primi del Trecento; ad esempio, inoltre, la fattoria Fornello, la cui grotta di Sant'Angelo presenta affreschi anch'essi di età angioina. Una cedola del 1270, infine, consegnata dal mastro massaro Tommaso di Tancredi al mastro razionale di Corte, menzionava per l'area altamurana un raccolto pari a 19 salme di orzo, 20 di frumento e 1 di fave. Il tutto nel contesto delle iniziative regie volte al miglioramento della produttività delle aziende demaniali (Licinio 1981, 263-269).

Esenzioni e franchigie

I primi interessanti provvedimenti favorevoli alla fiscalità di Altamura provengono dal regno di Giovanna I. Al marzo del 1374 risale un condono di 15 delle 60 once dovute annualmente alla Regia Curia, pensato in considerazione dei danni sofferti dalla città per le guerre, la peste e il brigantaggio (Giannuzzi 1935, n. 210). All’ottobre dello stesso anno è datato un ulteriore atto con cui la regina condonava tutti i residui di collette e imposizioni precedenti sino al passato anno (Giannuzzi 1935, n. 212). Ancora Giovanna, nel febbraio del 1375, confermava un diploma di Filippo di Taranto, di circa sei anni prima, con cui costui aveva concesso ad Altamura il godimento di acqua, erba e semina nel territorio di Matera (Giannuzzi 1935, n. 213).
Ladislao, nel maggio del 1406, nel confermare i privilegi della città vi inseriva anche i diritti di acqua, erba, legna e semina nell’area di Acquaviva e Matera (Giannuzzi 1935, n. 241). Con Ferrante nel dicembre del 1463 il re aragonese, oltre a riaffermare i medesimi provvedimenti di cui sopra, ne aggiungeva degli altri. In particolare una franchigia doganale per gli altamurani nell’ambito di tutto il territorio del Regno (Giannuzzi 1935, n. 289). Ancora Ferrante, nell’agosto del 1487, esentava Altamura dall’affidatura degli animali nell’area di Venosa (Giannuzzi 1935, n. 362). Giovanna IV, infine, confermava nel novembre del 1498 l’esenzione per gli altamurani da ogni dogana in tutto il Regno, particolarmente nella terra di San Gervasio (Giannuzzi 1935, n. 404).
La situazione cinquecentesca si rivelò meno favorevole. Soltanto l’imperatore Carlo V, ed esclusivamente nel 1536, tenne in considerazione privilegi e franchigie della città riconfermando il tutto con un atto ufficiale (Lospalluto 1956).

Mercati e fiere

Giustiniani menziona una fiera per la città di Altamura che si teneva il giorno 21 aprile di ogni anno (Giustiniani, I, 1797, 136). Sakellariou ne cita una della durata di sette giorni a partire dal 25 aprile, intitolata a San Marco (Sakellariou 2012, 476).

Schedatore

Federico Lattanzio

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Famiglie

Per una ricostruzione della fisionomia delle più eminenti famiglie di Altamura nel secolo XVI risulta di grande utilità lo studio compiuto da Gérard Delille, incentrato soprattutto sulla figura dei sindaci cittadini in epoca cinquecentesca. Delille, piuttosto che sulla scarsa documentazione dell’Archivio Comunale antico, si è basato in particolare su una fonte sicuramente peculiare: l’abbondante corrispondenza indirizzata dai membri più eminenti del ceto dirigente locale ai Farnese, duchi di Parma e principi di Altamura, o ai loro rappresentanti per gli affari napoletani (Delille 2004, 33-57).
Ecco un breve elenco delle principali casate cittadine a quell’altezza cronologica:

Campanile

Corcoli

Filo

De Angelis

De Laura

De Nuczo

De Renzo

Melodia

Personaggi illustri

Sparano di Bari: signore di Altamura dal 1285 al 1294

Francesco Rossi: arciprete di Altamura dal 1477 al 1527, primo arciprete mitrato

Federico d’Aragona

Onorato Gaetani: principe di Altamura dal 1505 al 1528

Ottavio Farnese

Colonie mercantili e minoranze
Confraternite
Corporazioni
Istituzioni di Beneficenza
Schedatore

Federico Lattanzio

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Oggetti archeologici di reimpiego

Il reimpiego di materiali antichi è un fenomeno del tutto marginale nell’architettura medievale e rinascimentale di Altamura se si esclude il caso straordinario del riuso del tracciato più interno dell’antica cinta muraria, sul quale furono impiantate le fortificazioni medievali; tale riuso presumibilmente deve aver riguardato anche i blocchi calcarei che costituivano le mura peucete. Di recente è stata individuata un’iscrizione reimpiegata in palazzo De Mari (Baldini, Dambrosio 2012-2013).

Edifici antichi

Fortificazioni antiche

Collezioni di antichità, scavi e scoperte archeologiche di età moderna
Schedatore
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Architetti, ingegneri e tavolari attivi in città
Mura e porte urbiche

Mura

Porta Bari

Strade e piazze

La piazza principale risulta ampliata da Federico d'Aragona nel 1494 (Orlandi 1770, I, p. 401).

Infrastrutture urbane
Strutture assistenziali

Ospedale

Castelli e fortezze
Palazzo signorile
Edifici pubblici

Seggio

Palazzi privati

Palazzo Del Balzo

Palazzo episcopale

Palazzo Tricarico

Palazzo Baldassarre

Edifici religiosi

Cattedrale

San Liberatore

San Lorenzo

San Nicola dei Greci

Apparati effimeri
Schedatore

Fulvio Lenzo, Antonio Milone

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Artisti attivi in città

Antonio da Andria (doc. 1533-1534)

Paolo da Cassano (doc. 1533-1534)

Opere d'arte medievali e moderne

Cattedrale: portale centrale di facciata con leoni stilofori

Cattedrale: statua della Vergine di Paolo da Cassano

Bari, Pinacoteca provinciale (già Altamura), tavole di polittico

Collezioni
Schedatore

Antonio Milone

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Letterati che nascono, vivono o operano in città

 

Leone d’Altamura

 

Aloisio Barbantano

 

Antonio Scaragio, teologo francescano

Stampatori e produzione libraria cittadina

 

Non attestata per l'epoca in esame.

Biblioteche pubbliche e private
Accademie

 

Non attestate.

Committenze di opere letterarie relative alla città
Dedicatari di opere letterarie
Storie di famiglie
Corografia e geografia

Ranzano 2007 (XIV, x, Apulia, cap. 25): la menzione di Altamura è cursoria. Ranzano si limita ad affermare che la sua chiesa non è sottoposta a un vescovo ma a un arciprete locale con funzione di vescovo.

 

Maffei 1506: cf. sotto, Letteratura antiquaria.

 

Alberti 1550, 202v: la chiama Altavilla, e si sofferma a lungo sul problema della falsa identificazione del sito con Petilia (v. sotto, Letteratura antiquaria). Poi afferma: "Egli è questo castello ornato della dignità del Prencipato, del quale ora è Signore il Duca di Tragetto della nobile famiglia de i Gaetani napolitani. Et benché non sia città, non è però la Chiesa di quello soggetta ad alcun vescovo, ma solamente è alla Chiesa romana, e al sua Arciprete. Ha questo nobile castello buono e fertile territorio, del quale io ne parlerò nella Puglia Peucetia, o sia Terra di Barri."

 

Storiografia locale e cronache
Letteratura antiquaria

 

Il dibattito locale sull’antichità di Altamura è testimoniato per epoche piuttosto alte. Da un lato il nome Altilia come denominazione di Altamura in età saracena (X-XI sec) figura in alcuni documenti editi da Giannuzzi nel Codice Diplomatico Barese, risalenti almeno al 1299 (cf. Ponzetti 1936, 426-428). Dall’altro, una enigmatica definizione degli abitanti di Altamura come Mirmidoni è testimoniata dall’iscrizione di S. Lorenzo, il cui carattere dotto e ‘antiquario’ è evidente. Nell’iscrizione, però, non si fa menzione di Altilia, il che farebbe pensare a un tentativo di ridefinire l’identità locale in un’ottica differente, stabilendo un non chiaro collegamento con il ciclo troiano, Achille e (ipoteticamente) la Tessaglia.

Alla fine del Quattrocento, in ogni caso, ritroviamo la menzione di Altilia nell’epigramma di Aloisio Barbantano (v. sotto), il che lascia supporre che l’identificazione locale con il toponimo antico di Altilia non fosse mai venuto meno e avesse convissuto con la ‘proposta’ dell’identità tessala dei Mirmidoni.

Raffaele Maffei, nel sesto libro dei suoi Commentarii, parlando del Bruzio, e in particolare della città di Petilia, oggi identificata con Strongoli, fa menzione della discordanza tra Strabone, che attribuisce Petilia ai Lucani, e Plinio, che la attribuisce al Bruzio, così come anche Livio, che la menziona parlando di vicende relative, appunto, al Bruzio, quando la città viene assediata e presa per fame dal cartaginese Imilcone (Liv. XXIII 20. 30). Poi, aggiunge maffei senz aindicare fonti, si dice che da essa derivasse la vicina città di Altamura: “ex huius occasu putatur vicinum oppidum Altamura aedificatum” (Maffei 1506, c. LXXXVI r.). La frase di Maffei è oscura, ma difficilmente l'umanista potrà aver pensato ad Altamura di Puglia; più probabilmente si tratta della ricezione, giusta o sbagliata, di un toponimo locale. Tuttavia la testimonianza è interessante, anche perché alcuni decenni più tardi Leandro Alberti riprese polemicamente questa affermazione di Maffei:

 

“Più avanti sei miglia appare sopra l’Apennino il nobil castello di Alta villa, del quale dice il Volaterrano nel 6° libro de i Comentari Urbani, essere opinione d’alcuni, che quivi fosse Petilia, e che questo castello fosse fatto per la roina di quella. Invero paiono a me esser in grand’errore questi tali, imperò che era Petilia sopra il territorio di Squilacci dal mar lontana otto miglia, come dimostra Tolomeo nella pittura, et eziandio si può conoscer dalle parole di Vergilio nel 3° libro della Eneida, annoverando le città e luoghi, che si doveano dimostrare ad Enea di questa Regione, et avendogli descritti, li rappresentò quelle di Calavria et de i Giapigi, avvertendolo che si dovesse piegare allo stretto canale di Sicilia; onde dapoi che ebbe nominato Locri incontinente nomina Petilia. Quivi chiaramente si conosce che Vergilio non descrive altro luogo del seno tarentino, eccetto che quelli c’erano intorno il golfo di Squilacci, i quali erano di riscontro de i Giapigî, imperò che quindi dovea passare. Et per tanto essendo questo luogo, ove è Altamura, molto lontano dall’antidetto golfo di Squilacci, non può esser che Petilia fosse quivi, et eziandio, perché ella è posta ne i Lucani da Strabone, i quali non arrivavano a questo luogo (com’è dimostrato), ma si ben al luogo ove l’ho descritta, vicino a Cosenza, che anche ella era annoverata fra i Lucani da Livio, come è detto (cf. Alberti 1550, 194v-195r). Similmente pare esser di tale opinione Plinio nel 9° capo del terzo libro, cioè che fosse la seconda che ho dimostrato” (Alberti 1550, 202v).

Alberti, dunque, interpreta il passo di Maffei come se costui avesse sostenuto che Petelia era dove è oggi altamura, il che, come abbiamo visto, non è esatto.

 

Dunque, mentre i maggiori corografi italiani del primo Cinquecento, tra un equivoco e l'altro, 'creavano' ipotesi antiquarie che riconducevano Petilia/Petelia ad Altamura, a livello locale si registra interesse solo per il toponimo Altilia. Dopo il poeta Barbantano, nell’iscrizione di S. Liberatore, datata al 1527, la città è di nuovo chiamata Altilia.

 

Cristoforo Scanello nella Cronica Universale della Fedelissima et antiqua regione di Magna Grecia, stampata nel 1575, ne attribuisce la fondazione ad Antello Iliese, eroe troiano, venuto in Italia al seguito di Enea, fornendo per il toponimo la paraetimologia di Nuova Ilio; secondo questa versione la città medievale, costruita dopo la distruzione del centro antico, avrebbe preso il nome di Altamura in omaggio alle rovine di Altilia (Scanello [ed. Russi, Carboni 2011], 82-83).

 

Nel 1619, Agostino Turroni inserì un breve profilo delle origini di Altamura nella sua opera dedicata alle città del mondo:

"Altamura da Latini detta Petilia, nel Regno di Napoli, in quella parte che si dice la Magna Grecia, fu da medesmi Greci edificata, ma poi distrutta da Orlando" (Turroni 1619, 54-55). A questo proposito occorre notare che la menzione della distruzione ad opera di Rolando/Orlando e la successiva ricostruzione della città ad opera di Federico era registrata nel motto che compariva intorno allo stemma cittadino, la cui prima attestazione: "Orlandus me vicit Federicus a me reparavit", risale alla veduta della città nelle carte Rocca del 1584 circa (Muratore-Munafò 1991, 114-115). Inoltre, l'iscrizione nella formula: Rothlandus/Orlandus me destruxit, Federicus me reparavit era presente sulla Porta del Carmine, come attestano diverse fonti sei-settecentesche.

A metà Seicento, in un'opera sulla storia degli insediamenti minoritici in Puglia (Bonaventura da Fasano 1656, 28-29) e, quindi, in ambito locale, si registra una nuova (e probabilmente molto recente) teoria antiquaria sulla fondazione della città, che essa cioè fosse opera dell’eroina etolica Altea (Althaea), madre di Meleagro, passata poi in occidente (un dato, quest'ultimo, non riportato da alcuna fonte classica). Bonaventura si dilunga anche sulla teoria Petelia / Altilia, citando Alberti.

A fine Seicento, l’erudito locale Domenico Santoro torna sulla vicenda di Altea, sommandola a tutte le altre leggende già menzionate (Berloco 1991-1992, 58-59).

Letteratura ecclesiastica e religiosa

 

Cf. l'opera del teologo francescano Antonio Scaragio di Altamura (Scaragio 1557).

Letteratura giuridica
Letteratura scientifica
Poesia, prosa d'arte, altre forme letterarie

 

Secondo la testimonianza di Orlandi (da Orlandi 1770, pp. 440-441), Aloisio Barbantano “celebre poeta latino”, scrive un componimento per celebrare l’ampliamento della piazza maggiore nel 1494 da parte di Federico d’Aragona:

IN FORUM ALTAMURAE PER FEDERICUM ARAGONEUM PRINCIPEM EXORNATUM

Quale decus rerum? Qualis gratia formae

  Coelicoli venit gratios Altilia?

Oh redimito Foro nulli candore secundo

  iam pictate nites, moribus ipsa novis.

Caesareum pulchris iam cederet amphiteatrum

  stratis, nimirum vincitur illud opus.

Designe magnarum, primordia desine rerum

  mirari quisquis moenia tanta subis.

Plura dabunt: adsit superi Regnator Olimpi

  orbe nec in toto pulchrior Altilia.

Haec, Federice, tibi debetur gloria Princeps,

  qui structas urbes, qua decet arte paras.

Elogi di città e altri scritti encomiastici o apologetici
Altro
Schedatore

Lorenzo Miletti, Antonio Milone, Stefania Tuccinardi

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Mappe territoriali
Piante di città
Vedute di città

Veduta di Altamura del 1586

Veduta di Altamura del 1709

Apprezzi di tavolari
Schedatore
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Fonti manoscritte
Fonti a stampa

 


Bibliografia

Attolico, Fiore 1997: Alessandro Attolico, Nicola Giovanni Fiore, “Verifica di stabilità strutturale sulle configurazioni storiche della Cattedrale di Altamura”, Altamura, XXVIII, 1997, 149-162.

 

Baldini, Dambrosio 2012-2013, “Note su un reimpiego epigrafico: il caso di Palazzo de Mari ad Altamura”, Altamura, 53-54, 2012-2013, 113-129.

 

Belli D'Elia 1991-1992: Pina Belli D'Elia, "La facciata ed il portale della Cattedrale di Altamura. Riletture e riflessioni", Altamura, XXXIII-XXIV, 1991-1992, 17-48 (riedito in Altamura, XXVI, 1994-1995, 217-245).

 

Benedettelli, Fragasso 1989-1990: Marcello Benedettelli, Giuseppe Fragasso, “Il restauro del portale, del rosone e della bifora della cattedrale di Altamura”, Altamura, XXXI-XXXII, 1989-1990, 269-304.

 

Berloco 1971: Tommaso Berloco, "L'assistenza medica e ospedaliera in Altamura fino al XIX secolo", Altamura, 1971, 105-132.

 

Berloco 1972: Tommaso Berloco, "Le chiese di Altamura. VI. SS. Annunziata", Altamura, 14, 1972, 171-174.

 

Berloco 1985: Storie inedite della città di Altamura. D. Santoro, V. Frizzale, O Serena, a cura di Tommaso Berloco, Altamura 1985.

 

Berloco 1989-1990: Tommaso Berloco, “Le chiese di Altamura (XLVIII): S. Liberatore”, Altamura, XXXI-XXXII, 1989-1990, 185-193.

 

Berloco 1991-1992: Tommaso Berloco, “Le chiese di Altamura, XLIX: San Lorenzo extra Moenia”, Altamura, XXXIII-XXXIV, 1991-1992, 51-70.

 

Bertaux 1904: Émile Bertaux, L’art dans l’Italie Méridionale, tome premier: De la fine de l’Empire Romain à la Conquête de Charles d’Anjou, Paris 1904.

 

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Bonelli, Bozzoni 1982: Renato Bonelli, Corrado Bozzoni, “Federico II e la Cattedrale di Altamura”, Antichità Viva, XXI/2-3, 1982, 5-20 (riedito in Altamura, XXVI, 1994-1995, 143-166).

 

Bozzoni 1979: Corrado Bozzoni, “ Il Duomo di Altamura: vicende e restauri”, Palladio, serie 3, XXIX, 1979-1980, 109-122 (riedito in Altamura, XXVI, 1994-1995, 109-139).

 

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Pepe, Civita 1995: Adriana Pepe, Mauro Civita, “La cattedrale di Altamura”, in Federico II. Immagine e potere, a cura di Maria Stella Calò Mariani, Venezia 1995, 277-283 (riedito come articolo in Altamura, XXVI, 1994-1995, 339-345).

 

Pepe, Civita 1997: Adriana Pepe, Mauro Civita, “Le trasformazioni della Cattedrale di Altamira dalle absidi all’attuale facciata”, Altamura, XXXVIII, 1997, 63-97.

 

Petrucci 1969: Alfredo Petrucci, "Il Duomo di Altamura", in Cattedrali di Puglia, Roma 1960 (riedito come articolo in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 91-93).

 

Ponzetti 1936: Francesco Maria Ponzetti, "Osservazioni su 'Le Carte di Altamura' raccolte da Angelantonio Giannuzzi", Japigia, 7, 1936, 420-436.


Ponzetti 1941: Francesco Maria Ponzetti, “Cripte ed eremi medievali di Altamura”, Japigia, XII, 1941/2, 77-11.

 

Ponzetti 1960: Francesco Maria Ponzetti, “Il portale di S. Nicola dei Greci di Altamura”, Altamura, VII, 1960, 43-71.

 

Ponzetti 1984: Francesco Maria Ponzetti, "Le mura appenniniche preromane di Altamura", Altamura, 25-26, 1983-1984, 8-120.

 

Pupillo 1990: Giuseppe Pupillo, “La Cattedrale, segno del Medioevo”, in Altamura. Segni e percorsi di un’evoluzione urbana, Torre di Nebbia 1990 (riedito come articolo in Altamura, XXVI, 1994-1995, 169-175).

 

Rinaldi 2009-2010: Annunziata Rinaldi, "L'impianto difensivo dell'insediamento peucezio di Altamura: alcune considerazioni", Taras,  29-30, 2009-2010, 41-72.

 

Ruta 1994: Raffaele Ruta, "Da Altamura a Sepino, ad Altino. Origine e significato di un nome", Studi Bitontini, 57-58, 1994, 85-92.

 

Sakellariou 2012: Eleni Sakellariou, Southern Italy in the Late Middle Ages, Leiden-Boston, 2012, 476.

 

Salazaro 1878: Demetrio Salazaro, "La cattedrale di ALtamura", in Studi sui monumenti dell'Italia meridionale dal IV al XIII secolo, II, Napoli 1878 (riedito come articolo in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 13-15).

 

Santoro 1959: Orazio Santoro, La Cattedrale di Altamura e le sue opere d'arte. Notizie storiche, Altamura 1959 (riedito in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 69-87).

 

Scanello [ed. Russi, Carboni 2011]: Cronica Universale della Fedelissima et antiqua regione di Magna Grecia, ovvero Giapiagia, vero Giapigia divisa in tre parti, cioè Terra di Otranto, Terra di Bari et Puglia Piana (in Venetia M. D. LXXV), Cristoforo Scanello detto "il Cieco da Forlí" nuova edizione con commento, a cura di Angelo Russi, Fabio Carboni, L'Aquila 2011.

 

Schulz 1860: Heinrich Wilhelm Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, 81-89; Atlas, tav. XV.

 

Serena 1887: Ottavio Serena, Una lapide del 1316, Trani 1887 (riedito come articolo in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 19-25).

 

Serena 1903: Ottavio Serena, La Chiesa di Altamura, la serie dei suoi prelati e le sue iscrizioni, Trani 1903 (riedito come articolo in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 44-58).

 

Tirelli 1956: Tirelli, “La Universitas hominum Altamure dalla sua costituzione a Roberto d'Angiò", Archivio Storico Pugliese, 9, 1956, 51-144.

 

Tubito 1702: Massimo Santoro Tubito, Divinum Theatrum reverendi d. Maximi Xanthori Tubiti Altiliensis seu Altmurani, Neapoli, Parrino, MDCCII.

 

Turroni 1619: (Agostino Turroni), La origine di molte città del mondo, e particolarmente di tutta Italia,... Il tutto raccolto, e dato in luce da Agostino Turroni, in Viterbo, nella stampa de’ Discepoli, 1619.

 

Vinaccia 1915: Antonio Vinaccia, "Le Cattedrali del terzo periodo dell'Arte pugliese", in I monumenti medievali di Terra di Bari, vol. I, Bari 1915 (riedito come articolo in Altamura, XXXVI, 1994-1995, 61-65).

 

Vincenti 1977-78: Vincenzo Vicenti, "Francesco Rossi, primo arciprete mitrato di Altamura (1477-1527)", Altamura, 19-20, 1977-78, 149-176.

 

Viti 1888: Pietro Viti, Indagini storiche sulle antichità di Altamura, Trani 1888.

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