NomeBarletta
LuogoBarletta
Status amministrativoComune capoluogo di provincia (insieme a Trani e Andria)
Estensione del territorio comunale149.35 Kmq
Popolazione94.814 (ISTAT gennaio 2016)
MuseiMuseo civico; Museo della Cattedrale; Pinacoteca De Nittis; Tesoro della basilica del Santo Sepolcro, Antiquarium di Canne
ArchiviArchivio storico del Comune di Barletta (presso Archivio di Stato di Bari, sezione di Barletta); Archivio storico diocesano Pio IX
BibliotecheBiblioteca comunale Sabino Loffredo; Biblioteca arcivescovile Pio IX
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Nomi antichi e medievali

Barduli (VI sec.), Baruli (747), Baruletta (IX sec.)

Fondazione (data, modalità)

L’origine dell’insediamento barlettano è collegato alle vicende della vicine e antiche Canne e Canosa. Dopo la distruzione di Canne nel 547 da parte dei Goti, gli abitanti si sarebbero rifugiati a Barduli, allora borgo, vicus di Canusium, e forse suo porto marittimo fin dal IV secolo a.C. (Marin 1991, 7, 39, 44-47). Nel 589, invece, devastata Canosa da parte dei Longobardi, vi si sarebbero trasferiti anche gli stessi canosini.

Un secondo flusso migratorio di canosini si sarebbe verificato alla fine del IX secolo a seguito della distruzione da parte dei Saraceni. Alla stessa epoca Loffredo colloca anche l’insediamento, durante la seconda dominazione bizantina, di una colonia greca sulla marina. Nell’XI secolo sono ancora i cannensi, la cui città subì l’attacco di Roberto il Guiscardo nel 1083, a dar vita ad un nuovo insediamento attorno alla chiesa di San Giacomo extra moenia a W del centro abitato di Barletta, creando l’omonimo borgo; anzi l’area che sarebbe diventata borgo San Giacomo di Barletta doveva essere compresa nel distretto di Canne (ne sarebbe traccia la gabella detta il Passo di Canne, in vigore ancora nel XVIII sec.). Poiché i cannensi lentamente emigrarono tutti a Barletta, nel 1294 Carlo d’Angiò avrebbe poi definitivamente annesso il Tenimentum Cannarum alla Terra Baruli. Se i cannensi si stabilirono a W di Barletta, i Canosini diedero vita ai primi nuclei del borgo di San Vitale a E e di Sant'Antonio Abate o Della Marra a S, e del casale Serpeto a E, ma più lontano. L’ampliamento verso SE, che si spiegherebbe, appunto, col fatto che verso W vi era il territorio cannense, prese il nome di Baruletta per disnguresi rispetto alla vecchia Baruli  (sulle vicende medievali dei centri della bassa Valle dell'Ofanto cfr. Goffredo 2011, 195-205).

Distrettuazioni di appartenenza

Terra di Bari

Demografia

1443: 1062 fuochi 

1447: 1152 fuochi          

1521: 1583 fuochi

1532: 1583 fuochi

1545: 1909 fuochi

1561: 2573 fuochi

1595: 2937 fuochi

1648: 3036 fuochi

1669: 1735 fuochi

Sito, idrografia, viabilità

Affacciato sull’Adriatico e compreso nel bacino della valle dell’Ofanto, a 7 Km a S dell’attuale foce del fiume, il territorio della città si sviluppa a SE della foce del fiume fino al margine settentrionale delle Murge. 

Oltre alla via Litoranea che dal Gargano passava per Bardulos e Turenum, la città era attraversata anche da una direttrice viaria che si spingeva verso l’entroterra in direzione Canne-Canosa (cfr. Goffredo 2011, 78-82). È attorno e lungo questi assi viari antichi, soprattutto quelli che collegano Barletta con l’interno, che dall’XI secolo si avvia un mutamento economico e una ristrutturazione progressiva del tessuto urbanistico; sembra infatti che fino al XIII secolo le mura non arrivassero alla marina, anche se forse già dal IV secolo Barletta doveva essere dotata di un molo, insula (si veda anche Goffredo 2011, 83-84).

Secondo il progetto di ristrutturazione urbana di Carlo II nel 1300, la città oltre ad essere completamente chiusa da una cinta muraria più ampia, doveva essere dotata da sette porte, di cui però furono costruite o rifatte solo cinque: Porta Marina a N; Porta Nuova a W che collegava la città a borgo San Giacomo; Porta Reale a SW, presso il forte detto del Paraticchio, nell’attuale Piazza del Comune, che immetteva alla strada per Napoli; Porta Beccheria o Croce a S, nei pressi del Santo Sepolcro; Porta San Leonardo a E dove confluivano le strade verso Trani e Andria.

Schedatore

Veronica Mele

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Profilo storico

Dichiarata di regio demanio fin dal 1190 da re Tancredi, la civitas Baruli mostrò la propria vocazione marinara, come porto di imbarco per la Terra Santa, ottenendo dal medesimo re il privilegio di ricevere e usufruire dei lasciti testamentari a favore non solo delle strutture ecclesiastiche e dei loro ospedali, ma anche delle case private, dettati da quei pellegrini che non avrebbero fatto ritorno dall’Oriente.

La speciale posizione della città venne confermata anche in epoca sveva, quando, con un editto, Federico II istituì nella città le Scholae ratiocinii con lo scopo di creare un ceto di burocrati.

Nella prima epoca angioina Barletta fu invece scelta da Carlo I per l'istituzione della Zecca per la coniazione dei "reali", "mezzoreali" e "tarì" d’oro.

La preminenza di Barletta, città demaniale a ridosso del Ducato di Bari, venne confermata dalla scelta di re Ferrante di farsi incoronare nella Chiesa Madre l'11 febbraio 1459.

Cronotassi

La città fu sempre demaniale.

Corpus normativo

- Libri di cancellierato 1514-1522 e 1664-65 (che contengono le deliberazioni e i verbali del Consiglio dell’Università), conservati nella Biblioteca comunale;

- “Antico Registro di Statuti Capitolati e Privilegi”, Biblioteca comunale di Barletta, Ap. ms. M I 79 (manoscritto pergamenaceo di 69 carte, compilato nel 1716 e rilegato una seconda volta nel 1775): contiene i privilegi di Ferrante del 4.VIII.1458, gli statuti del 4.II1.466, la riforma del 9.VIII.1473, le grazie concesse da Gonzalo il 2.V.1504, il diploma del Cattolico del 23.II.1507. Questi 5 diplomi sono copie autentiche sottoscritte dal notaio Ettore d’Opido de Leonibus l’11 marzo 1510 e presentati nella Vicaria da Francesco Spla, sindaco e procuratore di Barletta; nelle ultime 7 carte vi sono documenti del '700);

- il libro dei Privilegia potiora civitatis Barlette [transumata] in anno 1556, Biblioteca comunale di Barletta, Ap. ms I 77 (codice di 52 carte bambagine): contiene le copie autentiche dei privilegi concessi a partire da Ladislao fino a Ferdinando il Cattolico, estratti dai registri della Sommaria per l’istruzione di processi tra l’Università e il Marchese di Castellaneta, collazionate con i loro originali da Giovanni de Florio, ufficiale della Regia Camera, ed autenticate dal mastrodatti G. Paolo Crispo il 27 marzo 1556. Contiene il privilegio di Manfredi per la fiera dell’Assunta, il privilegio di Carlo II per la fiera di San Martino, il privilegio di Alfonso II che i barlettani fossero trattati come i liparoti, le grazie concesse da Gonzalo, i Capitoli concessi da Ferrante il 9.VIII.1473);

- il Liber privilegiorum Baruletanorum del 1603 (Biblioteca comunale di Barletta, Ap. ms. M I 76, volume cartaceo di 95 carte). Sul recto della prima carta è lo stemma della città con il motto "Barulum Fidele" e la corona di città demaniale. Al di sotto dello stemma si spiega che il libro è tratto ex alio antiquo libro publici Archivii Baruletani. Contiene privilegi a partire da Tancredi. Il codice, riccamente confezionato e miniato, è definito da De Leon “Il Libro della città”;

- il Liber Quartus Capitulorum (Biblioteca comunale di Barletta, Ap. Ms. M I 78.; ms. pergamenaceo di 56 carte; rilegato nel 1775): contiene copie semplici degli statuti aragonesi del 4.II.1466, 9.VIII.1473, 2.VI.1471.

Schedatore

Veronica Mele

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Distrettuazioni interne

Il suburbio della città di Barletta medievale era organizzato attorno ai complessi di fabbrica dei monasteri, ubicati lungo i principali percorsi extraurbani. Tutti i borghi furono interessati dalla distruzione del 1528 ad opera di Renzo da Ceri che militava per i francesi di Lautrec.

W: borgo San Giacomo, borgo extra moenia, che si addensa attorno alla via Salapia, itinerario percorso dai pellegrini provenienti da San Michele al Gargano. Era territorio del distretto di Canne poichè alla fine dell’XI secolo vi si insediano i cannensi fuggitivi. Il borgo conobbe un incremento demico e un sviluppo economico grazie alla comunità benedettina. In un diploma del luglio 1205 Federico II concede al monastero benedettino di costruire un mulino, un forno e una taverna. Mentre la chiesa e il monastero erano sotto le dipendenze dell’arcivescovo di Siponto, il borgo dipendeva dall’arcivescovo di Trani.

La Porta Reale (nell’attuale piazza del Comune) metteva in comunicazione la città con il borgo, che venne inglobato nelle mura solo da Gonzalo de Cordoba. Nel 1519 l’Università acquistò la casa o taverna di Niso Laviello per poter costruire la Porta Nuova da aprire nel tratto di mura che aveva inglobato Borgo San Giacomo, che così si salvò dalla distruzione del 1528.

 

SW: borgo Santo Sepolcro: già nel 1162 il borgo è detto intra moenia. Nell’istrumento d’acquisto della Taverna di Niso Laviello fatta dall’Università nel 1519 una delle ragioni per giustificare l’apertura della Porta Nuova fu quella di deviare in qualche modo il traffico dei carri da Porte Croce “nel massimo detrimento che soffre il Campanile del Santo Sepolcro”.

 

S: borgo di Sant'Antonio Abate o Della Marra. Il borgo si sviluppò per l’immigrazione dei Cannesi alla fine dell’XI. Con il rescritto di Carlo II del 1300 borgo Sant' Antonio sarebbe dovuto essere inglobato nella nuova cinta muraria, ma il progetto si realizzò in modo incompleto e il borgo restò escluso. Nel borgo extra moenia si trovava anche la chiesa di Santa Maria di Nazareth prope muros Baruli, che aveva un vasto comprensorio di fabbriche comprendente anche l’ospizio per i pellegrini, e una specie di recinto dove si svolgeva la fiera dell’Annunziata. Fondatrice dell’antica badia fu Giulia Acconciaiochi nel 1337.La chiesa non era di competenza della diocesi tranese, ma sorse come giurisdizione dell’arcipretura barlettana, per poi diventare sede dell’arcivescovo nazareno di Galilea nel 1310, ed essere infine unita nel 1455 alla chiesa di Canne.

La distruzione del borgo nel 1528 costrinse la confraternita nazarena, fondata nel 1398, a spostarsi dentro le mura occupando la vecchia chiesa di San Bartolomeo, e il palazzo di Marino Santacroce alle spalle della nuova chiesa divenne palazzo arcivescovile (l’arcivescovo nazareno Geronimo De Caro di Barletta concesse al Santacroce in cambio la masseria di San Cassano in enfiteusi). Nel borgo Sant'Antonio si trovava anche il convento domenicano, anch’esso distrutto nel 1528 costringendo la comunità a spostarsi dentro le mura nella chiesa di Santa Maria Maddalena che era stata dei Templari.

 

E: borgo San Vitale. Di competenza della diocesi tranese e comunicante con la città tramite porta San Leonardo. In questo borgo, anch’esso interessato dal flusso migratorio canosino, sorsero la prima chiesa dell’Ordine di San Giovanni, la chiesa e il convento francescano di Sant'Andrea, la chiesa di San Leonardo e il monastero francescano di Santa Chiara e quello delle monache celestine dell’Annunziata.

Nel 1126 il vescovo di Trani concedeva la chiesa di San Vitale, di sua giurisdizione, all’abbazia di San Lorenzo di Aversa.

Anche il borgo San Vitale doveva essere incluso nel progetto di ricostruzione delle mura di Carlo II, ma al pari di Sant'Antonio Abate restò escluso subendo la distruzione di De Ceri nel 1528.

Successivamente alla distruzione del borgo, nel 1532, i Della Marra concessero la chiesa del Salvatore ai francescani, che ne mutarono il nome in Sant'Andrea ed edificarono il convento annesso.

 

N: borgo marinaro. È il nucleo abitativo più antico, cinto all’epoca del conte Pietro Normanno nell’XI secolo, dopo che tra IX e X secolo, durante la seconda dominazione bizantina, vi si era stabilita una colonia greca. Questa prima cinta verso SW non andava oltre l’attuale chiesa del Purgatorio, per arrivare verso la marina allo sbocco della strada di Sant'Andrea. A E le mura si estendevano fino alla rocca, sita sull’attuale castello. È plausibile che tra la chiesa del Purgatorio (corso Garibaldi) e palazzo Bonelli (via Cialdini, 7) vi fosse una porta vicino all’attuale vico Gloria, dove la leggenda narra che il duca Roberto appoggiò 4 dita insanguinate per aver ucciso il capo dei Saraceni. Da qui lo stemma della città con 4 bande rosse su campo bianco.

Centri demici minori

Oltre alla difesa di Santa Maria dei Mari, appartenevano al contado di Barletta il tenimentum Cannarum, in pratica ciò che rimaneva del territorio di Canne, annesso a quello barlettano nel 1294, le pertinenze delle Saline, il Ponte dell’Ofanto, la Torre di Pietra e Grippi (De Leone 1888a, 106), e le mezzane dell’Ofanto (forse da identificare con la medesima difesa del Ponte dell’Ofanto), del Sepolcro e di Rasciatano, che furono istituite da Ferrante nel 1470.

Schedatore

Veronica Mele

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Diocesi

Fino al 1860 Barletta non è sede episcopale, ma sul suo territorio si intrecciano le giurisdizioni delle diocesi tranese e cannense. Alla fine del Duecento Barletta aspira ad essere città a tutti gli effetti ma non lo può essere perché non è sede vescovile; tenta, quindi, di costruire la sua identità e il suo riconoscimento attorno alla chiesa madre. Barletta così rivendica l’eredità cannense, fino al trafugamento nel 1276 delle ossa di Ruggero, vescovo di Canne in fama di santità. Inizia una diatriba con l’episcopato tranese per l’assunzione della sede diocesana dopo lo sfacelo di quella canosina (già unita a quella di Bari alla fine del IX secolo) e cannense. Questa competizione per il riconoscimento episcopale, iniziata già con l'inssediamento in città nel 1190 del vescovo di Nazareth dalla Palestina, si accentua alla fine del XIII quando si trasferì in città anche il Patriarca di Gerusalemme dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri nel 1291. Barletta diventa sede di due vescovi senza essere diocesi, due vescovi deterritorializzati e puramente rappresentativi.

Distrettuazioni interne

Alla fine del XII secolo, a Barletta, che era ufficialmente iure subiecta a Trani dal 1158, si trovavano contemporaneamente la chiesa del S. Sepolcro dipendente da quella di Gerusalemme almeno dal 1156, la chiesa di S. Maria di Nazareth, che sorgeva fuori dall’area di giurisdizione della diocesi di Trani, nel borgo di S. Antonio Abate, dipendente dall’arcivescovo nazareno almeno dal 1162, e la chiesa matrice di S. Maria Maggiore prerogativa del clero barlettano, ente sui iuris, secondo la Bolla di Innocenzo II del 1139.

Cattedrale o chiesa matrice

Chiesa di S. Maria Maggiore, cattedrale dal 1860. La chiesa di S. Maria de Auxilio sarebbe stata fondata dal clero di Canosa rifugiatosi nel IX secolo, cosicché la testa di cinghiale (sanguinante dal collo accompagnato dal monogramma M, che si trova sull’architrave del portale d’ingresso della cattedrale di Barletta), da simbolo dell’origine diomedea di Canosa divenne ricordo dell’origine della Chiesa nuova di Barletta che succedeva a quella vecchia canosina ed eretta con lo stesso titolo nella nuova città. Nello stesso periodo si trasferì in S. Maria de Auxilio anche il clero di S. Andrea in borgo S. Vitale fuori porta S. Leonardo. Sulla parete esterna vicino al campanile si leggono due iscrizioni che ricordano la vittoria di Cerignola del 1503 e la presa di Lautrec del 1528

Enti religiosi

Ordine cavalleresco ospedaliere di S. Giovanni Gerosolimitano con sede nella chiesa del S. Sepolcro. La prima notizia dell’esistenza della chiesa risale al 1130, ma la prima attestazione della casa di S. Giovanni in Barletta risale al 1179: Loffredo ritiene che la casa fosse stata fondata dopo il 1156, in sostituzione di quella distrutta di Bari, della quale non si ha più notizie dopo questa data. Nella chiesa (servita dapprima dal clero regolare sotto la regola di S. Agostino e poi da un clero secolare ordinato in forma collegiale) intervenne l’università a far costruire il locale dell’archivio capitolare e la sacrestia per adibire la stanza superiore a sede dell’archivio municipale dove conservare i documenti e il sigillo, e di cui è testimone lo scudo della città e l’epigrafe che ricorda che l’archivio municipale vi fu ospitato fino alla fine del XVIII secolo. La casa priorale, invece, era fuori dalle mura della città a E del castello, in un sito detto Il Parco. L’edificio sarebbe stato fondato dal nobile Silvonotaro Guttauro, miles barlettano (Santeramo 1951, 135). Il priorato gerosolimitano si trasferì dentro le mura prima nella piccola chiesetta di S. Giovanni infracase e poi, solo nel 1556, insediandosi nella chiesa del S. Sepolcro. Il nuovo palazzo priorale fu eretto vicino alla chiesa di S. Chiara nel 1488, al tempo del priorato di Fabrizio Pignatelli. Barletta era una delle tre sedi priorali del Regno, insieme a Capua e Messina. Nel 1399 i resti della diruta casa rurale extra moenia furono acquistati dall’Università per 300 once per riparare le mura e il Torrione di S. Nicola. L’Ordine possedeva nel territorio barlettano delle commende, alcune delle quali a titolo feudale (Casal Trinità). Tra le tombe della chiesa ve ne è una presso la porta media, vicino all’altare del Salvatore; lo scudo porta l’iscrizione “Hic iacet dominus Iohannes de Landulfis de Baruli V(triusque). I(uris). Doc(tor). Anno D(omi)no 14…8”. È il primo fra i consiglieri municipali nobili elencati nello statuto civico del 4 febbraio 1466 riportato da Loffredo. Il priorato del S. Sepolcro era stato retto dapprima dai canonici di S. Sepolcro per passare poi sotto i cavalieri giovanniti. La limitata autonomia giurisdizionale della chiesa, sottoposta alla chiesa matrice di S. Maria Maggiore, le impedì di raggiungere lo status di parrocchia e, probabilmente, facilitò il suo passaggio sotto l’Ordine gerosolimitano. Nel XVI secolo, la Sede Apostolica nominò i Gonzaga (già inseritisi nel territorio pugliese con l’acquisizione di Molfetta e il matrimonio di Susanna Gonzaga con Francesco Acquaviva, marchese di Bitonto) priori di S. Giovanni Gerosolimitano e del S. Sepolcro di Barletta. Nel 1557 Gian Vincenzo Gonzaga, figlio del vicerè e principe di Molfetta, Ferrante,e fratello di Francesco, arcivescovo di Cosenza, fu nominato priore di S. Giovanni e poi anche di S. Sepolcro, scegliendo come suoi procuratori preferenzialmente dei cittadini barlettani, e specificamente della famiglia Gentile (Santeramo 1951, 139-140). Gli successe il congiunto il cardinale Scipione Gonzaga, che probabilmente non risedette mai a Barletta, dove agiva un suo procuratore, e che scomparve appena due anni dopo, nel 1593. La nomina venne assegnata all’ancora infante Ferrante Gonzaga, figlio del duca di Mantova, Vincenzo, fino al ritorno allo stato laicale nel 1615, con cui la famiglia Gonzaga perdette il diritto sul priorato barlettano (Santeramo 1951).

Ordine cavalleresco militare dei Teutonici con sede nella chiesa di S. Tommaso, poi S. Agostino (Piazza principe Umberto). Enrico VI con diploma del 20 maggio 1197 concedeva ai Teutonici di costruire l’Ospedale di S. Tommaso in territorio di Canne; l’ultima notizia che si ha è un diploma di Carlo II del 17 febbraio 1296. È del 1358 la prima notizia che si ha degli agostiniani a Barletta, ma a quell’epoca forse erano presso un convento fuori Porta S. Leonardo. Quando gli agostiniani si trasferirono nella nuova chiesa, la struttura fu restaurata a spese dell’università.

Ordine ospedaliero dei Lazzariti con sede nella chiesa di S. Lazzaro. La casa e l’ospedale dovettero essere fondati nella prima metà del XIII secolo. L’ordine venne sciolto verso la metà del XV secolo, e infatti a Barletta si ritrova al governo dell’ospizio un percettore che affida la chiesaal clero del S. Sepolcro, cedendogli il beneficio della chiesa stessa come risulta dal decreto del Vicario diocesano Lello de Galera del 24 dicembre 1450. La casa, l’ospedale e la chiesa divennero poi convento dei Celestini, chiesa della SS. Trinità, casa e chiesa di S. Giovanni di Dio. la Casa che aveva ospitato i cavalieri fu acquistata già all’inizio del XV secolo e restaurata da Giannotti Frisari, originario di Scalea, nobile barlettano e concessa ai PP. Celestini fatti venire da lui. Mentre del convento dei Celestini della SS. Trinità e del suo priore si parla nello statuto civico del 1466, essendo questi chiamato ad assistere alle elezioni dei preposti all’amministrazione dell’università, dell’ospizio non si hanno notizie fino al 1506. Il 28 luglio 1506, secondo strumento notarile, il priore e i monaci della chiesa e convento della SS. Trinità dichiarano di possedere l’ospedale, rovinato dalla guerra e per questo lo concedono alla Confraternita della SS. Trinità, a patto che se qualcuno volesse farne un ospedale per i pellegrini, doveva essere ceduto. Il 22 settembre 1549 l’ospedale fu dato all’università che aveva deliberato di rifare un ospedale. Nella convenzione, i rappresentanti dell’università (Giovanni Vincenzo Cognetti de Sanctis, Lorenzo de Minoia, Maestro Francesco Brunetti, Vincenzo Medagli e Tolentino Talleri), il priore e i monaci della chiesa della SS. Trinità dell’ordine di S. Benedetto della congregazione dei Celestini, i membri della confraternita stabilirono che l’ospedale con tutte le sue adiacenze passasse all’Università, e si stabilì la costruzione di una camera presso il Paniere del Sabato (oggi Piazza del Plebiscito) verso oriente sopra la pubblica strada per uso dei confratelli, che fra gli amministratori dell’ospedale vi fossero due confratelli, che uno dei padri del convento servisse gratis a confessare, comunicare e dare estrema unzione agli infermi, e che nella chiesa ci fosse una sepoltura per i poveri.

Ordine dei Benedettini con sede in S. Giacomo. Un primo convento di benedettini doveva essere nel luogo dove poi si costruì la chiesa della Vergine Maria dello Sterpeto. La chiesa di S. Giacomo apparteneva all’abbazia benedettina della Trinità di Monte Sacro del Gargano. Una bolla di Adriano IV del 1 gennaio 1158, a proposito delle chiese dipendenti dalla badia benedettina della Trinità di Monte Sacro del Gargano, nomina S. Giacomo extra portas Baruli. In un diploma del luglio 1205 si parla di Borgo nuovo, e si riferisce alla chiesa e all’annesso monastero benedettino cui Federico II concede di costruire un mulino, un forno e una taverna. Il borgo si andò formando attorno al monastero verso la fine dell’XI secolo dai cannensi fuggiti dalla distruzione della loro città ad opera del duca Guiscardo del 1083. Il nuovo borgo di S. Giacomo, tra l’altro, cadeva in territorio cannense. Con l’insediamento benedettino e lo sviluppo demico del borgo, il monastero e la chiesa di S. Giacomo passarono sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Siponto, mentre il borgo dipendeva dall’arcivescovo di Trani.

 

Dagli anni Quaranta del XIII secolo si stabiliscono gli ordini mendicanti a ridosso delle mura come di consueto.

Francescani. La chiesa dell’ordine minore sorgeva extra moenia lungo la ruga conventorum, nella zona del Cambio, fermandosi sulla via che porta ad Andria. Nel 1532, dopo la distruzione della vecchia chiesa di S. Andrea in borgo S. Vitale fuori porta S. Leonardo, chiesa fondata da S. Sabino tra V e VI secolo, ai frati Minori Osservanti fu concessa nel 1532 dai fratelli Jacobello e Jacolino della Marra la chiesa del Salvatore a ridosso delle mura urbiche. Nel manoscritto sulle famiglie nobili barlettane si riporta che l’abbazia di S. Salvatore e Nicola fu concessa ai padri minori osservanti con l’obbligo di recitare un’officiatura nel giorno del Salvatore per i defunti della famiglia Della Marra ivi seppelliti, come da istrumento del 1532. Per quanto riguarda il convento, si sa che il fondatore sarebbe stato l’abate Giovan Giacomo Affaitati, come si ricava dal suo testamento del 17 luglio 1574. In seguito intervennero altri nobili e la stessa Università il cui stemma si trovava sull’edificio. Nella chiesa reintitolata a S. Andrea, la cappella di S. Antonio ha una tavola di Alvise Vivarini, e sono attestate lapidi, tra cui una del 1523 che ricorda Ottaviano Cognetti, cavaliere e conte palatino e una del 1560 di Gian Vincenzo Cognetti, nipote del precedente e mastro portulano, che fece costruire quel sepolcro, essendo stato distrutto il primitivo, per suo padre Giovan Paolo, la madre Isabella de Nicastro, per Lucrezia de Comonte, seconda moglie del padre, per sé e i suoi successori.

Anche i domenicani si insediarono extra moenia nei pressi della vecchia strada consolare per Canosa in borgo S. Antonio Abate a S della città. Quando nel 1528 la chiesa e il convento furono distrutti da Renzo de Ceri, i domenicani si trasferirono dentro le mura nella vecchia chiesa di S. Maria Maddalena dei Templari rintitolandola a S. Domenico.

In borgo S. Vitale si trovavano anche i monasteri di S. Chiara e dell’Annunziata. La vecchia chiesa e monastero dell’Annunziata di monache celestine, si trovava verso borgo S. Vitale a E, extra moenia, tra porta S. Leonardo e il torrione S. Nicola, poi detto di S. Lucia. Dopo il 1528, le monache si trasferirono nel palazzo del Capitano, inglobando nella nuova chiesa la Porta Reale. Il Palazzo del Capitano (Piazza del Comune) che era stato costruito nel 1473 si trasferì in quello che oggi è detto Palazzo della Corte (via Cavour). Le clarisse, invece, dopo il 1528 si trasferirono in un nuovo convento intra moenia fondato da Covella Sandionigi, moglie di Giovanni della Marra, nella strada del Cambio (via Cavour).

Vescovi (sec. XV-XVI)

Arcivescovi di Nazareth in Barletta:

Yvo † (1327 - 26 febbraio 1330 deceduto)

Pietro di Napoli, O.P. † (15 marzo 1330 - 1345 deceduto)

Durando, O.Carm. † (10 maggio 1345 - 1348 deceduto)

Riccardo, O.F.M. † (8 dicembre 1348 - 1366 deceduto)

Guglielmo Belvaysius, O.P. † (28 gennaio 1366 - 8 agosto 1369 nominato arcivescovo di Torres)

Giovanni Salomoni, O.P. † (29 ottobre 1369 - 1380 deceduto)

Giordano Estublans, O.P. † (4 febbraio 1381 - ?)

Giovanni Alessio † (15 febbraio 1390 - 1400 nominato vescovo di Egina)

Paolo di Arezzo, O.F.M. † (24 febbraio 1400 - 1431 deceduto)

Agostino Favaroni, O.E.S.A. † (13 giugno 1431 - 1443 deceduto)

Marino Orsini † (1445 - ?).

 

Arcivescovi di Nazareth, con il titolo di vescovi di Canne:

Giacomo de Aurilia, O.F.M. † (11 luglio 1455 - 1483 deceduto)

Giovanni de Barthon, † (10 marzo 1483 - 1491 deceduto)

Giovanni Maria Poderico † (11 aprile 1491 - 24 aprile 1510 nominato arcivescovo di Taranto)

Orlando Carretto Della Rovere † (24 aprile 1510 - 12 agosto 1512 nominato arcivescovo di Avignone)

Gregorio (Giorgio) Benigno Salviati, O.F.M. † (circa marzo 1513 - 1520 deceduto)

Leonardo Baccuto † (1520 - 11 settembre 1525 deceduto)

Pietro De Albis † (1525 - 19 marzo 1526 deceduto)

Ercole Rangoni † (1526 - 1526) (amministratore apostolico)

Pietro Francesco Ferro † (20 aprile 1526 - dicembre 1526 deceduto)

Giovanni Francesco Cina † (13 gennaio 1527 - luglio 1527 deceduto)

Filippo Adimari † (7 agosto 1528 - novembre 1536 deceduto).

 

Arcivescovi di Nazareth con i titoli di vescovi di Canne e Monteverde:

Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, che fu vescovo di Nazareth in Barletta tra il 1604 e il 1608

Girolamo De Caro † (novembre 1536 - 16 febbraio 1552 dimesso)

Bernardino Figueroa † (1º marzo 1553 - 26 novembre 1571 nominato vescovo di Brindisi)

Fabio Mirto Frangipani † (5 novembre 1572 - 17 marzo 1587 deceduto)

Francesco Spera, O.F.M. † (11 maggio 1587 - 28 ottobre 1587 deceduto)

Girolamo Bevilacqua, O.F.M. † (2 dicembre 1587 - 4 settembre 1604 deceduto)

Maffeo Barberini † (20 ottobre 1604 - 27 ottobre 1608 nominato vescovo di Spoleto, poi eletto papa con il nome di Urbano VIII)

Michelangelo Tonti † (5 novembre 1608 - 11 marzo 1609 nominato vescovo di Cesena)

Domenico Rivarola † (30 marzo 1609 - 3 gennaio 1627 deceduto).

Schedatore

Veronica Mele

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Attività economiche

All’inizio del XIII secolo Barletta non è più solo una città portuale, ma si è sviluppata per borghi decentrati attorno alle isole monastiche, e già dalla fine del XII secolo anche attorno alle attività legate al traffico dei pellegrini: la mercatura e il cambio.

Dalle richieste dei barlettani ai sovrani si evince che la principale attività economica fosse la produzione e l’esportazione di vino. L’attività finanziaria era invece gestita dalla colonia ravellese, rappresentata dalle nobili famiglie anticamente stabilitesi a Barletta come i Della Marra, Bonelli, Sannella, ma anche dalla presenza delle Compagnie di Commercio fiorentine, arrivate con gli Angioini.

Un controllo sull’attività di baratteria e di prestito su pegni fu invece più volte regolamentato dall’Università e sollecitato sia dai sovrano angioini che aragonesi.

Alla presenza locale originaria della Costiera Amalfitana, che nel giro di due secoli diviene egemone nel tessuto economico e amministrativo, si affianca una cospicua classe media di artigiani e operai, attestata abbondantemente in epoca angioina quando viene impiegata manodopera barlettana per i lavori dei diversi castelli regnicoli, in particolare quello lucerino, da parte di Carlo I d’Angiò che nel 1273 chiede che si facciano arrivare da Barletta dei carrettieri; nel 1278 chiama dei muratori a Manfredonia per lavorare alla costruzione del castello e del porto. Nel 1280 l’ingegnere Giovanni di Tullo, durante l’assedio di Belgrado, chiede mastri ferrai, petraroli e falegnami barlettani.

Nel 1269 nelle fila dei mercatores Baroli compaiono famiglie del notabilato cittadino, ma anche una borghesia mercantile in ascesa. In questa composizione sociale rientrano i marenariis de Barolo, i quali operano sia per sé stessi, come un Guglielmo che abita a Genova e commercia con Nizza, sia per il re: il 29 agosto 1269 un gruppo di marinai barlettani riceve un rimborso spese per una missione di spionaggio nel porto di Ortona.

Esenzioni e franchigie

31 marzo 1235: Federico II dispone che i tre quarti delle decime della dogana di Barletta siano dati all’arcivescovo di Trani ed un quarto al clero della Chiesa Madre di Barletta.

Durante la fiera dell’Assunta Federico II concedeva al clero della Chiesa Matrice la quarta parte delle decime della bagliva, dogana e altri diritti della corte regia in Barletta.

12 novembre 1294: Carlo II conferma parzialmente alla terra Baruli la consuetudine che nessuno, anche per commercio, immetta nel territorio barlettano vino forestiero. La consuetudine viene accettata solo parzialmente perché viene concesso di immettere vino forestiero per gli ufficiali del castello.

La città godette di temporanee esenzioni e dei diritti regi sulle dogane durante i piani di ristrutturazione urbanistica in epoca angioina. Al 28 aprile 1295 risale il rescritto di Carlo II per il rifacimento delle mura danneggiate (per raccogliere i finanziamenti la città può vendere vino, olio, lana, cacio, recocti, lardo, carni, sallitarum, panni, spezie e cera. La raccolta dei fondi viene affidata a uomini idonei scelti dalla città).

27 ottobre 1300: rescritto di Carlo II circa l’ampliamento del porto di Terra Baruli. Per raccogliere i finanziamenti il re concede la decima parte del diritto exiture victualium et leguminum del detto porto extra Regnum nostre curie

Mercati e fiere

Alla città di Barletta furono concesse 3 fiere: Federico II nel 1234 concesse la fiera da celebrarsi durante la settimana dell’Assunta dall’8 al 15 agosto, periodo centrale per gli imbarchi dal Sud verso il Nord per le derrate alimentari (Manfredi con diploma del 28 agosto 1258 la confermò); Carlo II d’Angiò il 15 luglio 1302 concesse la fiera di San Martino, dall’11 al 19 novembre; Ferrante il 5 febbraio 1459 concesse quella dell’Annunziata dal 22 al 30 marzo.

La fiera dell’Assunta venne concessa alla Chiesa Maggiore della città grazie alla mediazione di Angelo della Marra, concedendo al clero della chiesa la quarta parte delle decime della Bagliva, Dogana e altri diritti della corte regia in Barletta. 

La fiera di S. Martino fu concessa al clero del Santo Sepolcro. Sotto la lapide dell’Archivio civico, al di sotto dell’antico orologio del campanile, durante la fiera il Capitolo della chiesa costruiva delle baracche di legno. Il Capitolo inoltre concedeva il permesso ai mercanti di addossare ai muri della chiesa i loro “theguria, capannes et cellules de tabulis aut alio modo pro tenendis mercibus”, come si legge nel diploma del 14 novembre 1475 di Ferrante, e ciò per concessione dell’Università dopo la soppressione dei Macelli delle carni ivi esistenti, che per decoro della città e del culto furono chiusi e trasportati presso Porta Beccheria, dove sono rimaste fino all’inizio del XIX secolo.

La fiera dell’Annunziata fu concessa in favore dell’arcivescovo di Nazareth, e confermata il 7 agosto 1461 e il 6 marzo 1466. In questa fiera l’arcivescovo esercitava i suoi diritti a mezzo del mastro mercato che egli stesso nominava. Nel 1461 Ferrante gli concesse anche il diritto di rilevare dalle Saline e vendere a suo profitto 200 carra di sale ogni anno. La vecchia chiesa di Santa Maria di Nazareth in borgo Sant'Antonio aveva un vasto comprensorio di fabbriche che includeva anche l’ospizio per i pellegrini, e una specie di recinto dove si svolgeva la fiera dell’Annunziata

Schedatore

Veronica Mele

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Famiglie

Della Marra

Bonello

Acconciaioco

Quarto (Queralt)

Gentile

Personaggi illustri
Colonie mercantili e minoranze

Non ci sono notizie di una vera e propria colonia veneziana, anche se, fino alla definitiva strutturazione della colonia veneziana a Trani, avvenuta negli anni Quaranta del XIII secolo, Barletta dovette essere anch’essa sede di diversi traffici: nel 1239 Manfredi concedeva ai veneziani la conferma del diritto di eleggere un console a Trani e a Barletta. Un Nicola Florentini veneziano nel 1294 chiede ed ottiene la cittadinanza barlettana, usufruendo di ogni diritto da ciò derivante e pagando all’Università la tassa di 10 grana per 100 once di proprietà, secondo quanto vigeva nel pictagio Cambi, dove evidentemente viveva. Viceversa, sarebbe possibile trovare dati di presenze barlettane a Venezia: Angelo di Barletta nel 1367 ottiene per grazia la cittadinanza veneziana, non ereditabile, dopo ben nove anni di permanenza nella città lagunare.

In città inoltre c’è una Giudecca, una ruga francorum e il pictagium marsicanum: sono queste le uniche attestazioni di zone cittadine organizzate per etnia, cosa che lascia supporre che la distribuzione della popolazione straniera in città doveva avvenire piuttosto per aree di interesse o di mestiere. La presenza ebrea, in particolare, oltre che nel settore finanziario si espresse anche nel governo della città: nel 1496 sindaco dell’Università è un Pietro de Iudeis.

In questo modo si può spiegare l’improvviso amplimento del circuito murario del 1268 da cui fu interessata la zona cittadina compresa tra la chiesa del Santo Sepolcro e la via del Cambio, una tale misura sembra infatti collegata con l’incremento in quell'area delle attività finanziarie e mercantili.

Confraternite

Si ha notizia delle sole confraternite Nazarena, fondata nel 1398, e della più tarda arciconfraternita della Santissima Trinità.

Nel 1469 fu costituita la confraternita del Santissimo Sacramento (Carlucci 2008).

Corporazioni
Istituzioni di Beneficenza
Schedatore

Veronica Mele

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Repertoriazioni
Archivi storici

A partire almeno dal terzo quarto del XV secolo, l’Archivio dell’Università era ubicato in una stanza soprastante la sacrestia della chiesa del Santo Sepolcro. Nella cassa si conservavano le scritture e il sigillo dell’Università, i libri de lo annotamento del cancelliere e tutti gli altri libri e scritture prodotte dagli ufficiali.

Raccolte e miscellanee
Strumenti di corredo
Schedatore

Veronica Mele

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Reliquie - culti -processioni

Il 27 aprile 1276 furono trafugate dalla Cattedrale di canne le ossa del vescovo Ruggero. Il corpo fu portato prima in S. Maria Maggiore e poi nascosto nel monastero di S. Stefano delle benedettine. Quando il clero di Barletta andò a riprenderselo, le monache non vollero restituirlo e lo posero sotto l’altare della loro chiesa.

Nella chiesa maggiore il 13 febbraio 1503 entrarono i 13 italiani vincitori della disfida. il capitolo della Collegiata uscì in processione portando il quadro di S. Maria dell’Assunta, da allora rinominata Madonna della sfida.

Cerimonie e rituali civici

Nella chiesa madre, ancora una volta in ampliamento, avviene il parlamento dei sindaci delle università di Terra di Bari che decidono di schierarsi con Manfredi, che premia Barletta eleggendola a prima sede di convocazione parlamentare nel 1258 e chiamandola "Provinciae speculum et praecipuam regionis".

La più antica notizia dell’esistenza di una bandiera cittadina risale al 26 novembre 1514, data in cui nel libro del cancellerato viene registrata la delibera decurionale per la confezione di una bandiera con lo stemma cittadino e le armi del re per la quale si destinano 40 ducati.

Ingressi trionfali, allestimenti e rappresentazioni

Il 2 febbraio 1259 Manfredi si sarebbe recato a Barletta per tenervi un colloquium generale con i baroni e le università, durante il quale avrebbe investito alcuni baroni del cingolo militare o del titolo di conte. In quell’occasione Manfredi avrebbe fatto l’ingresso trionfale in città, accolto al ponte sull’Ofanto con sventolio di palme e osanna.

Nel febbraio 1459 Ferrante vi si fece incoronare. Ferrante fu incoronato l’11 febbraio 1459 dal Cardinal Legato Latino Orsini, e per l’occasione Ferrante coniò le monete dette Coronati.

Schedatore

Veronica Mele

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Oggetti archeologici di reimpiego

Le antichità più importanti di Barletta, il Colosso e la fronte del sarcofago detto degli apostoli, sono prestigiosi prodotti dell'arte costantinopolitana del IV e V secolo d.C.,  che si ritiene, come è eloquente almeno per la statua loricata, siano giunti in Italia meridionale in età medievale; la presenza di tali opere d'arte antica sembra saldamente legata al ruolo centrale rivestito dalla città portuale nei traffici mediterranei.

A Barletta il fenomeno del reimpiego, a parte questi due casi d'eccezione, risulta ora poco o per nulla attestato; d'altra parte per le antichità conservate presso il Museo Civico, tutte prive di una provenienza documentata, e verisimilmente attribuibili alle vicine Cannae e Canosa, non può escludersi un reimpiego medievale o moderno e l'appartenenza a un collezionismo non necessariamente recente (cfr. Todisco 1994, 273; la collezione Cafiero si è formata invece in Toscana tra l'Ottocento e il Novecento).

Ad esempio lo stato di conservazione di una testa femminile di divinità, probabilmente un acrolito, sembrerebbe attestarne, per le evidenti rilavorazioni, un reimpiego medievale o moderno; il pezzo antico, di notevole impegno stilistico, è stato assegnato da Luigi Todisco al municipium di Canosa (Todisco 1994, 278, figg. 12-13).

Edifici antichi
Collezioni di antichità, scavi e scoperte archeologiche di età moderna
Schedatore

Stefania Tuccinardi

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Architetti, ingegneri e tavolari attivi in città

Nel 1282 l'architetto Pierre d'Angicourt risulta risiedere a Barletta, dove posside due case (Loffredo 1893, II, 341); nello stesso anno lavora al castello.

Nel 1520 Giovanni Donadio Mormanno figura quale testimone in un contratto col quale il maestro Alessandro de Marchisio, marmoraro, si obbliga a realizzare a Barletta una edicola in marmo per Monaco Elefante (Filangieri 1883-1891, V, 171).

Nel 1568 Giovan Vincenzo della Monica si obbliga insieme ai maestri Nardo Caropreso, Venturino de Crescenzo, Ettore de Francesco, Francesco Pisapia, Girolamo de Ruggero e Santoro de Senise a lavorare per torri presso Barletta e Manfredonia per conto della Regia Curia (Filangieri 1883-1891, V, 100, 147, 226; VI, 185, 294, 388, 440).

Nel 1581 il maestro di muro Paolo Petrone, lombardo, lavora insieme al maetro Poncile, anch'esso lombardo, e al maestro Martino Cayzzo, di Lecce, al castello di Barletta (Filangieri 1883-1891, VI, 271).

Mura e porte urbiche

La città aveva una cinta muraria che ha resistito integra fino al XIX secolo (oggi ne sussistono soltanto alcuni lacerti). La cura delle mura e del porto era affidata all'universitas. Le mura di età angioina racchiudevano soltanto il nucleo urbano raggruppato intorno alla Cattedrale, mentre molto esteso era, al di fuori del circuito fortificato, il borgo San Giacomo, che si sviluppava a ovest. In occasione degli eventi bellici del 1528 si decise di spianare i borghi esterni alla città per assicurarne una migliore difesa: in questa occasione numerosi conventi prima localizzati all'esterno, si trasferirono all'interno della cinta muraria.

Delle diverse porte un tempo esistenti (Porta Pretoria o della Città, Porta Reale o del Paraticchio, Porta Napoli, Porta San Leonardo, Porta Croce, Porta Nuova o San Sebastiano), oggi rimane in piedi soltanto la settecentesca Porta Marina.

Strade e piazze
Infrastrutture urbane

Porto.

 

Impianto fognario.

 

Zecca: istituita nel 1267 da Carlo I d'Angiò e attiva fino al 1277 (Lovero 1886; Loffredo 1893, I, 288-291; II, 303-308).

 

Fontana pubblica: al Largo della porta Marina costruita nel 1547 da Ferdinando de Figueroa (Seccia 1842, 73).

 

Orologio pubblico: esisteva almeno dal 1465 nel campanile della chiesa del Santo Sepolcro, dove rimase fino al 1885, quando venne trasferito in una nuova torretta costruita sopra l'ex seggio del popolo (Vista 1900-1904, II, pp. 19-20).

Strutture assistenziali

Un ospizio per pellegrini era annesso alla chiesa del Santo Sepolcro.

Ospedale di San Lazzaro (Loffredo 1893, I, 430).

Ospedale dei Cavalieri di Malta.

Castelli e fortezze

Castello

Palazzo signorile
Edifici pubblici

Seggio del popolo

Seggio dei nobili

Palazzo Pubblico: prima il Palazzo detto dell'Arco, poi Palazzo Pretorio

Archivio della città

Palazzi privati

Palazzo Bonelli

Palazzo Della Marra

Palazzo Santacroce

Palazzo Affaitati

Palazzo della Disfida

Edifici religiosi

Cattedrale (chiesa matrice) di Santa Maria

Santo Sepolcro

Sant'Andrea

San Giacomo

Santa Maria di Nazareth

San Ruggero

San Giovanni

San Domenico

Santa Lucia

San Pietro

Apparati effimeri
Schedatore

Fulvio Lenzo, Antonio Milone

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Artisti attivi in città
Opere d'arte medievali e moderne

Cattedrale, Cristo alla colonna

Cattedrale, frammento marmoreo

Cattedrale, tabernacolo eucaristico

Chiesa di Sant'Andrea, Madonna col Bambino in trono

Chiesa di Sant'Andrea, Sant'Antonio da Padova

Chiesa di Sant'Andrea, statua del Battista

Chiesa di San Giacomo, monumento funebre d'ignoto

Collezioni
Schedatore

Paola Coniglio

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Letterati che nascono, vivono o operano in città

 

Andrea de Candida, priore dell'ordine dei Gerosolimitani di Barletta (+1459)

 

Mariano Santo, medico

 

Nicolò Gambino, giurista e poeta

 

Mario Di Leo, giurista e poeta

 

Alessandro Andrea (o d’Andrea, 1519-1593), storiografo

 

Padovano de Grassis, XVI secolo, teologo

 

Giovanni Paolo Grimaldi

Stampatori e produzione libraria cittadina

 

Stampa non attestata prima del 1647.

Biblioteche pubbliche e private
Accademie
Committenze di opere letterarie relative alla città

 

Benché non risulti documentazione, l'epigramma relativo al Colosso (v. sotto, Poesia) sembra avere una committenza cittadina.

Dedicatari di opere letterarie

 

Il senato cittadino è il dedicatario del trattato di chirurgia di Mariano Santo.

Storie di famiglie

 

Una storia della famiglia della Marra, un ramo della quale figurava tra le più in vista di Barletta, fu scritto nella prima metà del XVII secolo da Ferrante della Marra (della Marra 1641).


Corografia e geografia

 

Barletta è menzionata dalle principali fonti storiche e corografiche rinascimentali:

 

Pontano, De bello Neapolitano (libro IV, pp. 136-7 Monti Sabia), [...] cuius [scil. Canusii] profecto excidium non parum videtur contulisse Baroli affinis oppidi frequentiae ac celebritati, dum propter agri vicinitatem rerumque opportunitatem maritimarum cives patria amissa eo commigrant. 10. Siquidem Heraclius Imperator, dum transportandis a mercatoribus ex Apulia in Macedoniam Epirumque praecipue mari prospicit mercibus, dum navigantium saluti honerandarumque frugum commoditati publicisque portoriis ratione hac consulit, molem eo in litore iecit quae nunc, quanquam partim oppleta est civium ob negligentiam, partim nullo reparante maris quassata fluctibus, magno tamen usui est honerandis atque exhonerandis navibus. Extat etiam aenea Heraclii statua quae ad molis initium ob eius iactae memoriam tunc erecta fuit, id quod statua ipsa etiam dextra protenta significat». (trad.: [...] la cui caduta certo sembra abbia portato non poco giovamento alla crescita e alla fama del vicino centro di Barletta, dato che a causa della vicinanza del territorio e delle prospettive offerte dall’attività marittima i cittadini emigrarono lì una volta abbandonata la loro città. 10. Infatti l’imperatore Eraclio, che si occupava di come i mercanti dovessero trasportare le merci per mare dalla Puglia alla Macedonia e all’Epiro, e che per questo motivo si impegnava per la sicurezza dei naviganti e la facilità del trasporto dei beni disponendo tasse portuali pubbliche, fece costruire su quella riva un molo che ancora oggi è di grande utilità per il carico e lo scarico delle merci, benché sia in parte insabbiato per l’incuria dei cittadini e in parte danneggiato dalle mareggiate senza che nessuno lo ripari. Di Eraclio sopravvive anche una statua di bronzo che fu eretta all’epoca per l’inizio dei lavori del molo in memoria della sua costruzione, cosa che la statua stessa indica avendo il braccio destro teso verso l’alto).

 

Ranzano, X 20: «Barolum, vulgo Barlecta». [riassunto: La dice fondata da Federico II nel 1242, molto ricca. È tra le cinque città che non sono sedi vescovili e che, pur essendo grandi e opulente, non possono definirsi civitates secondo la consuetudine della chiesa di Roma: Barletta, Montpellier, Bellinzona, Prato e Noto].

 

Maffei 1506, libro VI, Appuli : Circa vero locum ubi nunc Barolum, Cannae fuerunt Romana clade insignes. Hodie quoque praesul Cannensis in sacro codice reperitur, qui veteris vestigium nominis usurpavit. Deinde Alfeus amnis e montibus Hyrpinis defluens iuxta Canusium, quo se recepit Terentius Varro cum reliquiis exercitus Cannensis a Busa muliere exceptus.

 

Alberti 1551, f. 200r: [riassunto: Alberti corregge Ranzano sulla fondazione fridericiana, citando Pandolfo Collenuccio, che ne assegna la fondazione ai Canusini. Esalta l'eccellenza del castello, considerato tra i migliori d'Italia assieme a Crema, Fabriano e Prato. Menziona il Colosso, dicendo che i locali ne ignorano origine e  storia, pur chiamandolo l'Eraclio. Sottolinea la presenza di bassi fondali che rendono il porto poco adatto, a eccezione di barche piccole, che però sono in pericolo quando soffia la tramontana, come egli stesso ha potuto verificare di persona. Fa una breve storia moderna della città: Ferrandino la aliena ai Veneziani con Trani e Brindisi come credito per i denari ricevuti nella guerra contro Carlo VIII. Consalvo la utilizza come testa di ponte per la conquista del regno. Vicende legate al Lautrec: Barletta torna a Carlo V solo nel 1529, dopo accordi].

Storiografia locale e cronache

 

Una storiografia locale non risulta. Storiografo fu Alessandro Andrea, napoletano nato a Barletta, benché nei suoi lavori non sia prestata particolare attenzione alla città.

Letteratura antiquaria

 

Cf. le osservazioni di carattere antiquario nei passi citati sopra, nella sezione Corografia e geografia, relativi sia alla fondazione, sia al Colosso.

 

Di taglio antiquario è l' "annotazione decimottava" di Giovanni Paolo Grimaldi alla vita di S. Ruggiero (Grimaldi 1607, 126-132), nella quale è trattato anche il colosso ed è trascritta l'elegia che ne celebra il restauro.

Letteratura ecclesiastica e religiosa

 

Cf. le opere teologiche del frate minore conventuale barlettano Padovano de Grassis, scritte tra il 1542 e il 1550, quando questi insegnava teologia a Venezia. La prima opera religiosa relativa a Barletta è però la vita del patrono S. Ruggiero ad opera di Giovanni Paolo Grimaldi (Grimaldi 1607).

Letteratura giuridica

 

Andrea Bonello (o di Barolo), seconda metà XIII sec, giurista; la sua opera di diritto longobardo fu stampata a Venezia nel 1537 a cura di G.B. Nenna da Bari.

Letteratura scientifica

 

Mariano Santo (Marianus Sanctus Borolitanus, 1488-poco prima del 1567), medico e chirurgo di guerra nell’esercito di Carlo V, scrisse vari trattati di medicina di grande sucesso e diffusione.

Poesia, prosa d'arte, altre forme letterarie

 

Il principale poeta barlettano del Cinquecento è Mario Di Leo.

 

Cf. anche l'Anonimo pugliese, autore del poema epico sulla disfida di Barletta, che in un passo si definisce barlettano (benché in un altro si dica di Andria).

 

Barlettano è con ogni verosimiglianza anche l'anonimo autore dell'elegia latina che celebra il Colosso e il suo restauro. Il testo dell'elegia, riportato dal solo Grimaldi 1607, 129, è il seguente:

 

Devicto Persarum Rege Heraclius offert

  Praeclarae Christi pristina dona Cruci.

Quam supplex Calvariae adorat monte repostam,

  Cum Christi populo se comitante simul.

Septeno hinc anno in Cosdram, Persasque prophanos

  Confisus Christo martia bella gerit.

Anno sexcenteno a partu Virginis almae

  Constantini Urbi hic imperat egregie.

Principis excelsi talem formavit ideam

  Pulyphobus Graecus doctus in arte faber.

Post Veneti acres Constantini hanc Urbe repertam

  In patriam laeti ducere nave parant.

Littoribus Baroli appulsa est tunc naufraga puppis;

  Turbine ventorum strata jacet statua.

Strata jacet campo statua haec jam tempore longo

  Virginis astriferae: quae caret hercle manu.

Albanus Fabius, qui rite peritus in arte,

  Crura, manusque, pedes aptat utrinque faber.

Ipsa Crucem gestat dextraque, pilumque sinistra:

  Tutor namque Crucis, sicque Monarcha fuit.

Urbs Barolita potens, Cannarum maxima proles

  Laude hac perpetua famigeravit opus

 

Grimaldi 1607, 129, sembra lasciar intendere che il testo sia della fine del Quattrocento, ossia coevo a quella che egli ritiene essere l'epoca del restauro del colosso, ma pare improbabile che il restauro  fosse effettuato prima della metà del Cinquecento (cf. scheda Colosso), così come l'elegia sembra più un prodotto tardo cinquecentesco che non del tardo XV secolo.

 

Elogi di città e altri scritti encomiastici o apologetici
Altro

 

Al nome della città è indissolubilmente legata la vicenda della 'disfida' tra tra tredici cavalieri italiani e tredici francesi avvenuto nel febbraio del 1503 nella piana tra Andria e Corato nel corso della guerra franco-spagnola per la conquista del Regno di Napoli. Gli antefatti dell'episodio ebbero luogo a Barletta, dove era di stanza l'esercito spagnolo nel quale militavano gli italiani coinvolti nel duello. A Barletta rientrarono vincitori i tredici cavalieri a rendere omaggio alla vergine (v. sopra, Riti e cerimonie).

Riportiamo di seguito le fonti letterarie più antiche che menzionano la vicenda:

 

Antonio de Ferraris (Galateo), epistola 6, Ad Chrysostomum. De pugna tredecim equitum; epistola 7, Ad Chrysostomum. De Prospero Columna et de Ferramosca, edite in Mai 1842, 541-546; 547-548;

 

Cantalicio 1506, poema epico in esametri;

 

Hernandez 1516, poema epico in castigliano;

 

Marco Girolamo Vida, Tredecim pugilum certamen, composto dopo il 1515, poema latino in esametri, pubblicato in Cagnoli 1818.

 

Anonimo pugliese, poema in ottava rima dedicato a Diego de Mendoza, parzialmente edito in Sanesi 1892. L’autore si dichiara di Andria in un passo, di Barletta in un altro. La patina linguistica, a ogni modo, sembra confermarne l’origine meridionale;

 

Jean d’Auton 1835 [prima del 1528]; versione prevedibilmente più vicina ai francesi. Gli italiani avrebbero usato uno stratagemma per far finire fuori dal campo un buon numero di cavalieri avversari, per poi continuare lo scontro superiori in numero.

 

Francesco Guicciardini, V 13;

 

Paolo Giovio; Vita di Consalvo

 

Damiani 1547, nella prima parte figura una sezione in prosa, attribuita da Damiani a un anonimo spettatore delle vicende, nella quale si riporta la descrizione del combattimento, inclusi i lunghi preparativi, e in particolare le lettere tra Fieramosca e La Motte etc. Prima dello scontro gli italiani si riuniscono ad Andria, dove partecipano alla messa nella cattedrale. I francesi sono invece a Ruvo, anche loro in cattedrale. Nella cattedrale di Barletta, invece, si celebra la messa per la vittoria degli italiani, con la genuflessione davanti all’icona della madonna. Nella seconda parte figurano nove elegie latine in lode di Ettore Fieramosca, ad opera per lo più di poeti provenienti dalla cerchia pontaniana e in rapporti stretti con i Colonna: Marino Antonio Rinaldi e Bartolomeo Sabino, entrambi capuani, Crisostomo Colonna, Girolamo Carbone, Pietro Summonte, Pietro Favonio, Pietro Gravina, Francesco Peto (quest’ultimo autore di due componimenti). Su questo libro cf. Gasparrini 1962, Toscano 2005, Miletti 2014.

 

Anonimo di Veduta 1633, riprende il testo in prosa dell’edizione precedente, con lievi varianti. Anche qui si ripete l’idea dell’anonimo, che viene per la prima volta definito Anonimo di Veduta.

Schedatore
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Mappe territoriali

Pianta con i porti di Barletta e Manfredonia (dal Libro di Piri Reis, 1525: ms sec. XVIII: Baltimora, Walters Art Museum, ms W.658: consultabile on line)

Veduta della città di Barletta (dal libro di Piri Reis, 1525: ms sec. XVIII: Baltimora, Walters Art Museum, ms W.658)

Piante di città

Pianta del 1780 (Bibliothèque nationale de France, département Cartes et plans, GE D-15873; consultabile on line)

Pianta Esperti 1793

Vedute di città

Veduta 1586

Veduta della chiesa di Santa Croce (distrutta) (1783; in Saint-Non 1781-1786: Jean-Claude Richard de Saint-Non, Voyage pittoresque ou Description des royaumes de Naples et de Sicile, 4 voll., Paris, s.n., 1781-1786, vol. III)

Veduta del Seggio del Popolo e del Colosso (1843: consultabile on line)

Apprezzi di tavolari
Schedatore

Antonio Milone

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Fonti manoscritte
Fonti a stampa
Bibliografia

Alberti 1551: Leandro Alberti, Descrittione di tutta Italia, in Vineggia, appresso Pietro dei Nicolini da Sabbio, 1551.

 

Ambrosi 1984-1989: Angelo Ambrosi, "Revival romanico e restauri stilistici in Terra di Bari tra XVI e XVII secolo", Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia, III, 1984-1989, 35-107.

 

Ambrosi 2015: Angelo Ambrosi, Santa Maria Maggiore cattedrale di Barletta (XII-XVI sec.). L’architettura, Bari 2015.

 

Andrea 1560: Della guerra di campagna di Roma, et del Regno di Napoli, nel pontificato di Paolo IIII l'anno MDLVI et LVII, tre ragionamenti del signor Alessandro Andrea, nuouamente mandati in luce da Girolamo Ruscelli, in Venetia, per Gio. Andrea Valuassori, 1560.

 

Barletta 2000: Dalla chiesa alla “civitas”. Nuove acquisizioni dagli scavi archeologici nella Cattedrale di Barletta, Atti dell’Incontro di Studi (Barletta, 15 marzo 1997), Barletta 2000.

 

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Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Fonti e bibliografia/18
LuogoBarletta
DenominazioneBarletta, Archivio storico del Comune
Sede storica

La sede dell'archivio della città sorge accanto alla chiesa del Santo Sepolcro e fu costruita a spese dell'Università. Oggi i documenti sono conservati presso la Biblioteca comunale S. Loffredo.

Tipologia
Soggetti produttori

 

Universitas di Barletta

Comune di Barletta

Storia dell'archivio
Consistenza dell'Archivio
Fondi archivistici

 

Fondi antichi

1. Fondo pergamenaceo

2. Fondo cartaceo

Strumenti di corredo
Raccolte e miscellanee
Note

La sede storica dell'archivio è, almeno dal 1567, una stanza sovrapposta alla sagrestia della chiesa del Santo Sepolcro, la cui costruzione fu finanziata dalla stessa Universitas. All'esterno della sagrestia la presenza dell'archivio cittadino era segnalata da due iscrizioni ancora leggibili: una datata 1567, e un'altra al 1784. All'interno, sull'architrave della porta che conduceva all'archivio, e che ora è murata, resta lo stemma cittadino.

Prima del 1567, e almeno dal 1491, in conformità agli statuti approvati da re Ferrante d'Aragona, l'archivio dell'Università consisteva in una cassa in cui erano conservati il sigillo, il libro del cancellerato, le bussole e i sacchetti per l'elezione dei priori, altre scritture e libri prodotti dagli ufficiali cittadini. La cassa era custodita nella chiesa del Santo Sepolcro, e chiusa con sei chiavi, ciascuna delle quali affidata ad uno dei sei priori in carica. La cassa custodia del sigillo dovette essere adottata almeno dal 1466, secondo gli statuti di quell'anno, ma verosimilmente non aveva ancora una sede stabile.

Gli statuti approvati nel 1521 dal viceré Raimondo de Cardona menzionano un archivio sito nella casa del Capitano e contenente i libri dei percettori e dei cancellieri insieme all'inventario delle scritture dell'Università. Probabilmente nell'Archivio creato nel 1567 confluirono sia la cassa già presente nella chiesa sia il "detto armario" che si trovava nella casa del Capitano.

Bibliografia
Allegati
Link esterni
SchedatoreVeronica Mele
Data di creazione13/12/2013 14:18:05
Data ultima revisione06/04/2017 16:37:02
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