NomeCapua
LuogoCapua
Status amministrativoComune in provincia di Caserta
Estensione del territorio comunale48 kmq c.a
Popolazione18 802 (ISTAT 2015)
MuseiMuseo Provinciale Campano; Museo Diocesano
ArchiviArchivio storico del Comune di Capua; Archivio del Museo Campano; Archivio storico vescovile di Capua
BibliotecheBiblioteca del Museo Provinciale Campano; Biblioteca arcivescovile di Capua
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Nomi antichi e medievali

In età romana la città si chiamava Casilinum; cambiò nome nell'840 quando vi si rifugiarono gli abitanti, portando il nome dell'antica Capua.

Fondazione (data, modalità)

La Capua medievale, anche se continua nel nome quella antica che sorgeva sul sito dell'odierna S. Maria Capua Vetere e che fu distrutta dai saraceni nell'841, è in realtà una città nuova, fondata nell'856 sulle rovine di Casilinum, il porto fluviale della città romana presso il ponte della Via Appia (Carfora 2005).

Dopo la divisione del ducato longobardo, nell'849, tra Benevento e Salerno, i Capuani si arroccarono sulla collina di Sicopoli, rifiutandosi di riconoscere la supremazia, sia pur nominale, del principe di Salerno. Nell'856 il vescovo Landolfo e suo fratello Landonulfo avviarono la costruzione di una nuova città sul sito dell'antica Casilinum – il porto fluviale dell'antica Capua – presso il ponte romano della via Appia. Con Atenolfo I (887-910) Capua ebbe il rango di principato, soppiantando Benevento e dominando su tutto il territorio compreso tra l'alta valle del Liri e la foce del Volturno (Martin 1980, 572).

La fondazione della città nuova, che trovò eco in cronisti anche non dell'area longobarda meridionale, si strutturò entro una cinta difensiva, organizzata intorno al fiume e al ponte (Cilento 1966). Dell'iniziale conformazione urbanistica si conosce ben poco: il primo nucleo – costituito da un gruppo di isolati irregolari per orientamento e per struttura (Schmiedt 1978, 87) – si disponeva a S del ponte con una doppia spinta espansiva, a N verso l'ansa del fiume e a E lungo il percorso della via Appia. Si ha notizia, per l'età altomedievale, di almeno quattro porte: porta Capuana, porta Aurea o di S. Angelo, porta Fluviale e porta di Castello, di presidio al ponte romano.

Distrettuazioni di appartenenza

Terra di Lavoro

Demografia

In età medievale e moderna Capua fu, assieme a Napoli e L’Aquila, tra le città più popolose del regno. Difficile determinare con precisione il numero degli abitanti in città perché spesso i dati a nostra disposizione includono anche l’intero contado, che era molto esteso. Tuttavia, da un calcolo approssimativo possiamo affermare che se nella prima metà XIV secolo la città, con il suo contado, contava poco più di sedicimila abitanti, nel corso del secolo successivo il numero scesa a diecimila, per poi risalire di nuovo a circa sedicimila abitanti agli inizi del Cinquecento (Sakellariou 2012, 446). Il catasto del 1523 permette di valutare la sua popolazione complessiva in circa 21.000 unità, di cui 5.700 abitanti in città (Senatore 2007, 151). Una fonte del 1531 le attribuisce 3.472 fuochi (Coniglio 1951, 61), mentre la numerazione dell’anno seguente rilevò 4.540 fuochi. Il dato approssimativo medio dei venticinquemila abitanti in tutto il contado capuano si mantiene pressoché stabile nel corso dei secoli XVI e XVII, mentre sappiamo che nel 1797 gli abitanti della città di Capua, senza comprendere il gran numero di militari, erano poco più di ottomila (Giustiniani 1797, 149).

Si riporta qui di seguito un prospetto sintetico con l’indicazione degli anni e dei relativi fuochi rilevati:

a. 1320 = f. 3.609 (Sakellariou 2012, 446)

a. 1447 = f. 2.295 (ivi)

a. 1508 = f. 3.472 (ivi)

a. 1531 = f. 3.472 (Coniglio 1951, 61)

a. 1532 = f. 4.540 (Sakellariou 2012, 446)

a. 1545 = f. 4.394 (Giustiniani 1797, 149)

a. 1561 = f. 5.766 (ivi)

a. 1595 = f. 5.997 (ivi)

a. 1648 = f. 5.997 (ivi)

a. 1669 = f. 5.343 (ivi)

 

Sito, idrografia, viabilità

La città sorse in un'ansa del fiume Volturno, nei pressi del ponte di Casilino e ai piedi del Monte Tifata, in un «luogo molto silvestre e pantanoso» (Giustiniani 1797, 135). Il Volturno, lungo circa 175 Km, ha origine nel versante sudorientale del Monte Mentuccia, volge a sud-ovest passando per la città di Capua, per poi sfociare, presso Castel Volturno, nel Mar Tirreno. La città, com’è noto, era collegata con Roma da due importanti strade romane: l'Appia e la Casilina.

Schedatore

Salvatore Marino

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Profilo storico

Gastaldato del ducato di Benevento e retta dai conti dal VII secolo, Capua fece parte del principato di Salerno (847), quando questo si staccò dallo Stato beneventano. Divenne poi principato indipendente (Principato di Capua) nel 900, quando Atenolfo, conte di Capua, s’impadronì di Benevento e resse, con il titolo di principe, le due città. Nel IX secolo i confini politici del principato capuano si estendevano longitudinalmente dall'area di Caserta a quella di Sessa fino ad Aquino e a Sora; in larghezza, da Caiazzo alle coste tirreniche e dal fiume Clanio al Garigliano. Il principato comprendeva Venafro, Alife, Telese, Sessa, Teano, Carinola e Calvi; mentre, Sora, Arpino, Vicalbo e Atino, di pertinenza capuana, furono annesse al ducato di Spoleto. Nel X secolo, con un ruolo antipontificio e filobizantino, il principato accrebbe la sua importanza. Il principe Pandolfo IV sottomise Napoli, Gaeta e Montecassino, ma la rottura con Salerno provocò il saccheggio delle sue terre da parte dell’imperatore Corrado. Rifugiatosi a Costantinopoli, Pandolfo tornò con nuove forze e ottenne il principato (1047), ma non riuscì a restaurare la sua potenza. Sancita dopo il Concilio di Melfi (1059) l’alleanza tra il Papato e i Normanni, Niccolò II assegnò a Riccardo il principato di Capua mentre ne era ancora signore Landolfo VI (1057-1062). Riccardo decise allora di conquistare anche le fortezze della città. La resa senza condizione avvenne nel 1062. Con il conferimento da parte di Innocenzo II del Principato Capuano ad Anfuso, figlio di Ruggero II di Sicilia, esso viene inglobato definitivamente nel regno normanno. Enrico VI di Svevia, avuta in sua mano Capua nella guerra contro i normanni, fu accolto con grande ossequio e decoro, presso il ponte Casilino, dal vescovo e dai dignitari capuani, mentre fallì miseramente il tentativo del conte normanno di Acerra di riprendere la città.

Con Federico II Capua raggiunse il culmine del suo prestigio, considerata dall’imperatore la porta del regno per la sua posizione strategica. In questo senso è significativo che proprio a Capua si sia svolta, nel dicembre del 1220 quella dieta che, per l'ampiezza e la radicalità dei provvedimenti che vi furono presi a tutela delle prerogative regie, segna l'inizio effettivo del governo federiciano nel Mezzogiorno, di cui il controllo del territorio costituiva un elemento centrale. Il sovrano, infatti, mostrò in tutto il trentennio finale del suo regno di porre il territorio capuano al centro delle sue preoccupazioni, mediante la costruzione di una serie di castelli, edifici e altre strutture murarie che avessero un alto valore simbolico e un forte impatto visivo, come dimostra la cosiddetta Porta delle due Torri (Carfora 2005). Non una semplice porta urbica, sia pure di dimensioni più grandi e di fattura più elevata rispetto alla norma, bensì l'ingresso simbolico del regno, contrapposto idealmente allo Stato della Chiesa (Battisti 1960, 14-28). L'interesse dell'imperatore per Capua è dimostrato anche dai suoi numerosi soggiorni nella città, sia negli anni di costruzione della Porta, sia anche prima e dopo: dodici negli anni 1220-1235 e quattro tra il 1235 e il 1250 (Brühl 1994, 43).

Alla caduta della casa di Svevia s’accompagnò, in certa misura, il declino della potenza di Capua, anche se gli angioini la arricchirono di numerosi privilegi. Incoronato re di Sicilia e di Puglia, per ordine di Clemente IV, il 6 gennaio 1265, nella Basilica Vaticana, Carlo I d’Angiò, una volta sconfitto Manfredi, nella celebre battaglia di Benevento, si portò a Capua. Il suo successore, Carlo II d'Angiò, entrato in Napoli nel 1289, si portò a Capua l’anno seguente per adempiere un voto fatto in Sicilia, cioè edificare una chiesa in onore di S. Maria Maddalena. Nel 1300, il sovrano angioino concesse a tutti i capuani franchigie per nove giorni in occasione della fiera di S. Stefano. Edificò altresì in Capua la chiesa di S. Antonio Abate e quella di S. Eligio con l’annesso ospedale dei pellegrini. Alla Capua angioina è legato il ricordo di S. Tommaso d’Aquino, discendente dei longobardi d’Aquino di Capua. In occasione della sua permanenza in città fu eretta la chiesa di S. Domenico. In essa Bartolomeo de Capua, nominato viceré di Napoli, fece dedicare una cappella a Tommaso. In età angioina emerge la fisionomia di una città nella quale il potere era riposto nelle mani di un folto gruppo di personaggi, i maiores et potentes, ma aventi in comune, immancabilmente, almeno una delle due seguenti peculiarità: lo stato nobiliare di derivazione militare e la preparazione tecnico-giuridica (Merola 1998, 9). I maiores erano distinti in tre categorie: cavalieri (milites), nobili (de genere militari), giudici e notai (coloro, cioè, che esercitano il iudicatus officium).

Nel quadro della politica di conquista aragonese, Capua fu il primo possesso di Alfonso il Magnanimo e fu, con Gaeta e Sessa, uno dei principali centri di coordinamento e d'irradiazione delle sue azioni belliche, il suo rifugio più sicuro e la sua provvida difesa nei momenti di grave rischio (Summonte 1602, 642-648). Conquistata con l'inganno da Giovanni Antonio Marzano, duca di Sessa e partigiano aragonese, poche settimane dopo la morte di Giovanna II d'Angiò-Durazzo († 2 febbraio 1435), rimase sempre fedele ad Alfonso il Magnanimo, che esaltò la circostanza nel privilegio che le concesse l'anno dopo, non appena aveva ricominciato la campagna per la conquista del regno (Senatore 2007, 151). Il primo privilegio di Alfonso, emanato a Gaeta il 4 aprile 1436, oltre a procurare alla città numerosi vantaggi fiscali e giurisdizionali, concesse alla medesima lo straordinario onore di precedere i rappresentanti di tutte le città del regno nei Parlamenti generali (D'Agostino 1969; Pergamene 1958, vol. II, p 173-158). Tra i numerosi privilegi concessi nel 1436 dal primo sovrano aragonese alla città, va menzionato quello concesso ai cittadini capuani, in base al quale, «dovunque essi andassero nel regno [avrebbero potuto] godere dei privilegi e delle immunità degli oriundi del luogo e [sarebbero stati] esenti in tutto il regno da gabelle, passaggi etc.» (Natale 1986, 75). Alfonso il Magnanimo, che aveva una sua abitazione in Capua (Pontieri 1975, 136), dal 1436 al 1446 vi soggiornò tutti gli anni per periodi più o meno lunghi (Giménez 1909, 136, 138, 140-143, 145-146, 149, 152-157, 160, 162-164, 168, 170, 172-173, 181, 183-185, 189-190, 211, 213, 219, 221, 234, 257-258, 271, 295). Non di rado vi organizzò feste in onore della sua favorita, la famosa Lucrezia d’Alagno, ospitata nel palazzo degli Antignano (Croce 1923, 106), mentre il sovrano sembra che risiedesse nel Castrum Lapidum che, restaurato e trasformato, anche se non perse il suo ruolo di fortezza, assunse le fattezze di un palazzo nobiliare (Di Resta 1983, 147).

Durante il regno di Ferrante (1458-1494), Capua fu sede del parlamento generale. In città il nuovo sovrano aragonese «tenne dieta ed adunanza generale, ove vennero tutti i principi e baroni del regno» (Granata 1752, III, 118-119). Negli anni 1460 e 1461 Ferrante riconsegnò alla città, rispettivamente, i feudi di Calvi e Castelvolturno, i cui possessi coronarono il processo di espansione di Capua nel contado (Vendemia 2005, 181). Tra le grandi città demaniali del regno, forse Capua era quella che più si distingueva «per una più intensa contiguità con il potere monarchico», condizione che in un certo senso si prolungò anche in età vicereale (Senatore 2007, 152). I reali aragonesi, in particolare Ferrante (1458-1494), e poi Ferrandino, che peraltro aveva il titolo di principe di Capua, intervenivano direttamente nella vita amministrativa ed economica della città. Lo facevano attraverso i loro stretti collaboratori, come Antonello Petrucci, segretario regio fino al 1485, e Diomede Carafa, conte di Maddaloni; spesso ricorrevano anche all'azione personale di alcuni mediatori, cioè i potenti esponenti dell'élite cittadina, legati alla Corona aragonese, cioè gli Azzia, gli Antignano, i di Capua, i Fieramosca (Senatore 2007, 152-153).

Quando i francesi di Carlo VIII calarono alla conquista di Napoli, il condottiero Trivulzio patteggiò a Capua la resa dell'importante fortezza affidata al suo comando e Carlo VIII entrò in Capua e da lì marciò su Napoli e l’occupò. Dopo la breve parentesi dell’occupazione di Carlo VIII, che prima di entrare a Napoli marciò su Capua (1495), i sovrani aragonesi cercarono di legare ancor di più a sé la città con nuovi benefici e concessioni.

Il 10 agosto del 1497, Federico III d’Aragona si fece incoronare re di Napoli nella cattedrale di Capua; in tale occasione, il sovrano concesse nuovi privilegi alla città, oltre a confermare quelli antichi. In occasione della solenne incoronazione di Federico d’Aragona, fu compiuto, a opera di Cesare Borgia, affiancato dalle truppe francesi, il sacco di Capua, nel quale perirono oltre cinquemila persone tra uomini, donne e bambini. La città, presa d’assedio, fu costretta alla resa dietro il pagamento di una taglia di 4.000 ducati. Furono quindi aperte le porte della città alle truppe di Cesare Borgia per effettuare il pagamento, ma questi, giunto in piazza dei Giudici, diede inizio allo sterminio. Quando le milizie di Luigi XII e di Ferdinando il Cattolico invasero il regno di Napoli, re Federico, preoccupato di tenere saldamente Capua, mandò il gran capitano Fabrizio Colonna a difenderla con tutte le truppe disponibili; in quella circostanza concesse ai cittadini capuani il massimo dei privilegi, e cioè l’esenzione perpetua da tutti i pagamenti fiscali, collette e donativi.

Nel primo Cinquecento la città mantenne vivi i legami istituzionali e personali con i vertici del regno, tanto è vero che un reggente del Collaterale si recava personalmente a Capua ogni tre anni, rinnovando con la sua presenza la tradizione aragonese. Dal 1528 al 1568, i capitani o governatori regi della città furono sempre personaggi di alto rango, perlopiù spagnoli, così come i sindaci inviati ai parlamenti generali furono scelti tra i capuani titolati, come i Fieramosca, i di Capua e gli Azzia (Senatore 2007, 154). A partire dal 1574 la rappresentanza della città al parlamento generale fu affidata per delega a un membro del Collaterale, segno questo di una evidente decadenza dell'istituto parlamentare (D'Agostino 1969, 27-28). Con il viceregno spagnolo la città mutò immagine esasperando il suo carattere di città baluardo, sia attraverso un sistema di bastioni poligonali, sia attraverso il castello di Carlo V, sul fiume Volturno. Durante il regno di Filippo II i capuani ottennero la conferma dei precedenti privilegi; in particolare, fu riconfermato il privilegio in base al quale la città e i suoi casali fossero dominio della corona senza possibilità d’essere venduti o alienati.

Cronotassi

La città di Capua fu sempre nel regio demanio, ad eccezione delle brevi signorie di Braccio da Montone, principe di Capua dal 1421 al 1425, e di Sergianni Caracciolo, principe di Capua dal 1425 al 1432 (Giustiniani 1797, 152; Granata 1752, I, 88-90).

Corpus normativo

Per l’età angioina non vi è accenno all’esistenza di organi collegiali locali, mentre sono noti i casi di attività di assemblee municipali in altre universitates del regno, come ad esempio i Dodici a Salerno nel 1290, i Sei a Sessa nel 1317, e poi ancora a Ortona, Molfetta, Trani, Lucera (Caggese 1922, 390-391). La demanialità di Capua poggiava, in età angioina, sulla scelta da parte del sovrano di uomini effettivamente fedelissimi alla Corona. Questi uomini erano messi in condizione di esercitare una potestà pubblica che assorbiva le competenze di fasce sociali non inquadrate nella nobiltà feudale oppure nel ceto professionale dei giurisperiti, emulo dell’aristocrazia (Merola 1998, 11-16). In età aragonese, invece, la città formò propri organi collegiali, tipici di un'università meridionale (Calasso 1929, 231-65): essa era amministrata da un ristretto gruppo di cittadini eletti per un periodo limitato di tempo (in questo caso sei, con mandato quadrimestrale, definiti «Sex electi ad regimen et gubernacionem civitatis Capue» o semplicemente «Sei»), ai quali si aggiungeva il sindaco (nel corso del XV secolo divenne ovunque un ufficiale stabile, che bisogna tenere distinto dai rappresentanti occasionali, ancora chiamati «sindaci»). A Capua, come in molti altri centri del Regno di Napoli, un più stabile controllo del potere era stato ottenuto dai ceti dirigenti locali mediante la creazione di un corpo istituzionale intermedio, il «consiglio dei Quaranta», che monopolizzava le prerogative originariamente detenute dall’universitas in assemblea plenaria, ponendo fine alle incertezze e ai disordini del parlamento generale. È da precisare che tale articolazione istituzionale dell’universitas meridionale è documentata generalmente nel XV secolo (Senatore 2009, 457).

Le grazie e i capitoli concessi alla città dai sovrani aragonesi, prima da Alfonso, tra il 1436 e il 1457, poi da Ferrante, tra il 1458 e il 1492, permettono di ricostruire, in una successione cronologica quasi continua, la posizione privilegiata che Capua, città demaniale, seppe acquistarsi di fronte al potere sovrano, sotto diversi aspetti. Anzitutto, la demanialità dà alla città la garanzia della difesa regia nell'ambito della sua circoscrizione, nelle disposizioni per le torri, nei privilegi connessi all'uso della cittadinanza. La necessità per i sovrani aragonesi di mantenere Capua fedele spinge l'universitas capuana a formulare le richieste dei capitoli e delle grazie con una larghezza di prerogative non comuni alle altre città demaniali. Infine, l'autonomia amministrativa che si contrappone al controllo regio, nella fisionomia di magistrature ben definite con proprie prerogative dimostra che l'approvazione sovrana sanziona uno stato di fatto, ma non lo modifica (Pergamene di Capua, vol. II, XI-XXXII). Il 30 settembre del 1467 un provvedimento di Ferrante riformò la costituzione di Capua, ripristinando l’estrazione a sorte degli eletti al governo della città, sospesa durante la recente guerra contro gli angioini e i ribelli che li appoggiavano. La straordinaria importanza strategica di Capua aveva consigliato, nel corso del 1460, di affidare la città a una commissione straordinaria stabile, nominata direttamente dal sovrano. Passata l’emergenza, Ferrante consentiva il ritorno all’«antiqua ordinatione del consiglio dei Quaranta et electione de Sei» (Senatore 2009, 465).

Schedatore

Salvatore Marino

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Distrettuazioni interne

Capua si espandeva in grossi borghi nelle immediate adiacenze delle sue mura. Tra porta S. Angelo e porta Nuova sorgeva il vasto borgo di S. Giovanni Gerosolimitano, così detto dall'ospedale del medesimo ordine ivi esistente, che prendeva nelle sue propaggini anche i nomi di S. Scolastica a oriente, di S. Maria alli Martiri a sud e di Porta Nuova presso la porta dello stesso nome. Presso la porta Capuana sorgeva il borgo di S. Vittore (Natale 1986, 68).

Oltre il fiume, sull'area del borgo di S. Terenziano, fatto abbattere dall'imperatore Federico II, persistevano nel XV secolo numerose fabbriche e due chiese. Tutto questo complesso di fabbriche andò distrutto nel 1557, quando, per il nuovo piano di fortificazioni, il conte di Santafiora ordinò che «si facesse la spianata di alberi e di case mezzo miglio intorno Capua» (Granata 1752, II, 319).

Centri demici minori

Oltre il suburbio, Capua si espandeva in un esteso e ricco territorio che, distinto sotto la triplice denominazione di Terra Cantie (Mazzoni), Terra Capuana e Terra Lanei, era disseminato di centri demici minori e casali che rifornivano la città di vettovaglie, favorivano l'industria molitoria, fiorente per i molti mulini galleggianti sulle acque del Volturno, e costituivano come una prima linea di difesa contro i nemici che cercavano d'impadronirsi della città.

Il contado di Capua raggiunse nel 1386 oltre 300 chilometri quadrati e nell'età di Ladislao (1386-1414) si estese approssimativamente fino a 416 chilometri quadrati. Si passò dai 27 casali degli anni Ottanta del Trecento ai 37 del primo decennio del Quattrocento, ripartiti nei seguenti tre distretti amministrativi (Vendemia 2005, 172):

- Terra Lanei:

  1. Airola o Castello Airola;
  2. Campoli o Campariello;
  3. Casanova o Casagiove;
  4. Casapulla;
  5. Catorano o Caturano;
  6. le Curte o Curti;
  7. Macerata o Macerata Campania;
  8. Ricale o Recale;
  9. S. Marcellino;
  10. S. Nazzaro;
  11. S. Nicola la Strada;
  12. S. Pietro in Corpo o S. Pietro di Capua antica;
  13. S. Tammaro;
  14. S. Andrea o S. Andrea dei Lagni;
  15. S. Lucia o Savignano;
  16. S. Maria Capua Vetere;
  17. Trèntola.

- Terra Cantie:

  1. Antignano o Masseria Cannelle;
  2. Bagnara o Bagnoli;
  3. Brezza, Carczanum;
  4. Centignano;
  5. Torre degli Schiavi o li Schiavi o Masseria Torre degli Schiavi;
  6. S. Clemente o Masseria S. Clemente;
  7. S. Giovanni della Torre o Pizzo della torre;
  8. S. Vito ad Cellarolum o Masseria Cellarulo;
  9. S. Maria la Fossa.

- Terra Capuana:

  1. Bellona;
  2. Cava;
  3. Iano o Giano Vetusto;
  4. Logorano o Leporano;
  5. Pantoliano già Ciculito o Pantuliano;
  6. Pignataro;
  7. S. Iusta;
  8. S. Lorenzo o Masseria S. Lorenzo;
  9. S. Vito a Palmentata o Masseria S. Vito a Palmentata;
  10. Villa Nova o Tutuni;
  11. Vitulaccio o Vitulazio.

 

Nel XVII secolo furono numerati come casali di Capua ben 56 villaggi. Essi erano: Airola, Arnone, Bagnara, Bellona, Brezza, Camigliano, Campocipro, Cancello, Capodrise, Casalba, Casanova, Casapulla, Castelvolturno, Caturano, Coccagna, Curti, Cuzzoli, Ercole, Falchi, Giano, Grazzanise, Leporano, Loriano, Macerata, Marcianise, Mazzone, Musicile, Pantoliano, Partignano, Pastorano, Pecognano, Pignataro, Pizzone, Portico, Recale, Savignano, S. Andrea dei Lagni, S. Angelo in Formis, S. Clemente, S. Erasmo, S. Lorenzo, S. Lucia, S. Marcellino, S. Maria della Fossa, S. Maria Maggiore, S. Nicola La Strada, S. Pietro in Corpo, S. Prisco, S. Secondino, S. Tammaro, S. Vito a Palmentata, Staffile, Trentola, Triflisco, Rdichella, Vitulazio (Iannelli 1879, 451 e 457; Natale 1986, 69).

I centri demici minori (siti o località che nei documenti sono attestati come villa o locus de pertinentiis Capue) che risultano appartenuti con certezza al contado di Capua erano dislocati in tre zone, ciascuna delle quali si distingueva per una propria coerenza geografica, di volta in volta determinata da un elemento idrografico od orografico facilmente riconoscibile. Nel nostro caso, siamo di fronte ai tratti paesaggistici che più caratterizzano la Pianura Campana, cioè il Volturno, il Preappenino Campano e i Regi Lagni. Le tre zone sono, dunque, esattamente quelle corrispondenti alle Terre Cantie, Capuana, e Lanei (Vendemia 2005, 173-180).

A partire dal XII secolo, si trova menzione di 70 centri demici minori che nel corso dei secoli sono andati via via scomparendo. Essi erano: Antignano, Busso o S. Maria a Busso, Campolisa, Campo S. Maria, Casacellule, Casoria o Casaurea, Castelluccio, Carzano, Cava, Cellarulo, Cicutito, Cornicello, Filetto, Follario, Fornuze, Grumo, Ilice, Iullanello, Limata, Longi, Maiorise, Mostardino, Pagnano, Pietramala, Pontisio, Puppoleta, Quaranta, Refronzula, Rosella, Ruzzano, S. Agnello (o S. Anello), S. Anastasio, S. Apollinare, S. Agostino, Sarzano o Sauzano o Fauzano, S. Augusto, S. Benedetto, S. Biagio, Scarisciano o Scarassano, S. Castrese, Sclavi, S. Cristina, S. Donato, Selice, S. Giovanni ad Pauliscos, S. Giovanni a Petrazzano, S. Giovanni a Torre, S. Giovanni de Silvaticis, S. Giusta, S. Lorenzo a Plujano, S. Lucia a Balirano, S. Marco, S. Maria de Cannellis, S. Nazario, S. Pancrazio, S. Pietro a Venosa, S. Silvestro, S. Teodoro, S. Venera, S. Vito a Cellarulo, Torre di Anello, Tosti, Tretuno, Viammondi, Vicazzuti, Vicogaudio, Villanova, Volpicelli. 

Schedatore

Salvatore Marino

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Diocesi

Il vescovato capuano entrò molto presto nella storia della Chiesa: il vescovo si Capua, infatti, partecipò al concilio di Arles (314) come rappresentante della provincia campana. (Cracco Ruggini - Cracco 1973, 37). Suo primo vescovo, secondo la tradizione, sarebbe stato S. Prisco (42-66), primo anche di una serie di martiri che con l'effusione del sangue segnarono le origini della Chiesa capuana. Tra il V e il IX secolo sulla cattedra episcopale di Capua si assisero altri santi, quali Panfilo (circa 385-409), Germano (circa 516-540), legato di papa Ormisda presso l'imperatore Giustino a Costantinopoli per porre fine allo scisma di Acacio, Vittore (541-554), Decoroso (676-693), Vitaliano (circa 693-718) e Paolino (835-843). Qualcuno, tra questi vescovi dei primi secoli, si distinse anche per cultura, come Vittore (541-554), contemporaneo di Cassiodoro, autore del noto Codex Fuldensis (Guida 2002, 7).

La città ebbe ben presto le sue prime basiliche: una voluta dall'imperatore Costantino, nella quale verosimilmente si tenne il Concilio del 391-392, presieduto da Sant'Ambrogio di Milano; un'altra, sorta non oltre il IV-V secolo, presso il sepolcro di S. Prisco; e una terza, edificata dopo il Concilio di Efeso dal vescovo S. Simmaco (circa 424-439), in onore della Madre di Dio. Nel corso dell'alto medioevo le circoscrizioni ecclesiastiche continuarono a essere operanti nell'opera di cristianizzazione delle resistenze pagane, nella trasmissione e nello sviluppo della civiltà e della lingua latina. I longobardi, nella fase iniziale della conquista, sconvolsero tale organizzazione. Durante l'ultimo quarto del secolo VI l'abbazia benedettina di Montecassino fu distrutta e, come risulta da alcune lettere di Gregorio Magno, il clero capuano abbandonò le sue chiese per rifugiarsi nel ducato bizantino di Napoli (Di Resta 1983,  36). Nel 966 papa Giovanni XIII innalzò la chiesa capuana a sede metropolitana, dando al suo primo arcivescovo, Giovanni Capodiferro (966-974), giurisdizione sulle diocesi di Aquino, Atina, Caiazzo, Calvi, Carinola, Caserta, Fondi, Gaeta, Isernia, S. Germano (Cassino), Sessa, Sora, Teano e Venafro. A seguito della riforma delle diocesi della Campania, compiuta dalla Santa Sede il 30 aprile 1979, l'ordinario di Capua conserva il solo titolo di arcivescovo. Nel 1087 l'arcidiocesi ospitò un altro importante sinodo, durante il quale fu eletto pontefice, con il nome di Vittore III, l'abate di Montecassino Desidero, che tanto aveva contribuito alla rinascita religiosa e culturale dell'Italia centro-meridionale con il potenziamento della vita monastica cassinese. A Capua aveva fondato tra l'altro, l'abbazia di Sant'Angelo in Formis, costruita sui resti di un antico tempio pagano dedicato a Diana Tifatina, che ha svolto nei secoli un ruolo decisivo come modello per numerose altre costruzioni simili nel resto della regione ed è uno dei più eloquenti capolavori dell'arte romanica. Tra il 1299 e il 1912 Capua è stata anche sede cardinalizia, e nell'arco di questi sette secoli l'hanno illustrata diciannove porporati, tra cui Leonardo Potrasso (1299-1300), primo cardinale arcivescovo, che provvide a una significativa sistemazione della cattedrale; poi il secondo, Nicola d'Acciapaccio (1435-1447), favorito dai sovrani aragonesi; e altri, come Ippolito d'Este (1502-1520), figlio di Ercole duca di Ferrara; il domenicano tedesco Nikolaus von Schönberg (1520-1536), discepolo di Girolamo Savonarola e amico e consigliere di papa Clemente VII; i tre Caetani, appartenenti al casato di papa Bonifacio VIII: Niccolò (1546-1549; 1558-1572), fondatore del Seminario all'indomani del Concilio di Trento, Antonio (1605-1624) e Luigi (1624-1627); il gesuita S. Roberto Bellarmino (1602-1605), sostenitore della riforma cattolica e celebre controversista; il milanese Camillo Melzi (1636-1659), uomo di grande pietà, che promosse la fondazione di ricoveri per i poveri e restaurò l'ospedale dell'Annunziata, di fondazione trecentesca; i napoletani Niccolò Caracciolo (1703-1728), Francesco Serra di Cassano (1826-1850), Giuseppe Cosenza (1850-1863), Francesco Saverio d'Apuzzo (1871-1880) e Alfonso Capecelatro (1880-1912), letterato, insigne storico e agiografo.

Distrettuazioni interne

Il territorio dell'arcidiocesi di Capua, che da Caserta si estende fino al litorale Domizio lungo l'ultimo tratto del fiume Volturno, si configura al cuore della romana Campania felix e della medievale Terra Laboris, dove si incrociavano le antiche strade consolari via Appia e via Latina. La sua attuale divisione in sette foranie, o zone pastorali, costituite da diciotto comuni e sedici frazioni della provincia di Caserta, si rifà pressappoco all'antica quadruplice ripartizione in:

  1. Terra Capuana (Capua, Bellona, Vitulazio, Sant'Andrea del Pizzone, Sant'Angelo in Formis, Pantuliano, Falchi, Giano Vetusto, Leporano e Triflisco);
  2. Terra Lanei (Santa Maria Capua Vetere, Marcianise, Casagiove, Macerata Campania, S. Prisco, Curti, Casapulla, Portico, S. Tammaro, Cuccagna, Sant'Andrea dei Lagni, Caturano, Ercole, Casalba e Musicile);
  3. Terra Castri Murroni (Castel Morrone);
  4. Terra Conciae (Castel Volturno, Pinetamare, Grazzanise, Cancello e Arnone, Santa Maria la Fossa, Brezza, Borgo Appio e Mazzafarro).

Oggi l'arcidiocesi di Capua abbraccia diciotto comuni, con una popolazione complessiva di circa 180.000 abitanti; ha oltre sessanta parrocchie raggruppate in sette foranie: Capua, Bellona, Tifatina, Marcianise, Santa Maria Capua Vetere, Basso Volturno, Macerata (Guida 2002, 7-9).

Cattedrale o chiesa matrice

La tradizione attribuisce l’edificazione della cattedralecapuana al vescovo Landulfo nell'856, utilizzando, per le ventiquattro colonne del primitivo impianto, elementi di spoglio provenienti dall'anfiteatro, o forse dalla basilica de SS. Apostoli. Fu ampliata, dapprima nel X secolo, poi, a opera dell'arcivescovo Erveo (1072-1086), verso la fine dell'XI secolo. Fu riordinata dall'arcivescovo aragonese Giordano Caetani (1447-1496), ristrutturata dal cardinale Niccolò Caracciolo, tra il 1719 e il 1724, restaurata dal cardinale Giuseppe Cosenza, tra il 1854 e il 1857. Distrutta dai bombardamenti del 9 settembre 1943, la cattedrale fu ricostruita tra il 1949 e il 1957.

Enti religiosi

- Basilica benedettina di S. Angelo in Formis 

- Chiesa di S. Angelo in Audoaldis

- Chiesa di San Marcello Maggiore

- Chiesa dei Santi Rufo e Carponio

- Chiesa di San Martino alla Giudea

- Cappelle a corte (S. Michele, S. Giovanni e S. Salvatore)

- Chiesa di San Benedetto (ex Gesuiti) 

- Chiesa di S. Maria delle Dame Monache

- Complesso di S. Domenico (chiesa, convento e seminario)

- Ruderi della chiesa di San Leucio

- Complesso della Maddalena (chiesa e ospedale)

- Complesso dell'Annunziata (chiesa, ospedale e conservatorio)

- Complesso di S. Eligio (chiesa e ospedale)

- Complesso di S. Maria di Montevergine (chiesa, monastero e ospedale)

- Complesso di Santa Caterina (chiesa, convento e ospedale)

- Chiesa della Morte detta "Santella"

- Complesso di San Giovanni delle Monache (chiesa e convento)

- Complesso della Carità (chiesa e conservatorio)

- Complesso di S. Gabriello  o di S. Placida (chiesa e convento)

- Cappella della Madonna dei Leoni

- Complesso della Concezione (chiesa, convento e conservatorio)

- Chiesa di S. Maria in Abate, detta di "S. Anna"

- Chiesa di San Giuseppe

- Chiesa di S. Leonardo

- Chiesa dei SS. Nazario e Celo

- Chiesa e ospedale di San Lazzaro

- Cappella di S. Antonio

- Chiesa di S. Cristoforo

 

Vescovi (sec. XV-XVI)

Cronotassi degli arcivescovi di Capua (1300-1728):

- 1300: Dorricomino Ingeraimo

- 1300-1304: Giovanni di Capua

- 1304-1311: Andrea Pandone

- 1313-1333: Ingeranno Stalla o Stella

- 1334-1350: Rinardo di Ruggiero

- 1350-1351: Fra Vasino Rolando

- 1352-1357: Giovanni della Porta

- 1357-1358: Alberto Albertini

- 1358-1363: Reginaldo

- 1363: Filippo di Lanzano

- 1363-1380: Stefano della Sanità

- 1380-1381: Luigi della Ratta

- 1382-1406: Attanasio Vindacio

- 1406-1435: Filippo de Barillis o de Berilli

- 1435-1447: Nicolò d'Acciapaccio

- 1447-1496: Giordano Gaetano

- 1496-1498: Juan de Borja Llançol de Romaní

- 1498-1501: Juan López

- 1502-1520: Ippolito d'Este

- 1520-1536: Nikolaus von Schönberg

- 1536-1546: Tommaso Caracciolo

- 1546-1549: Niccolò Caetani di Sermoneta

- 1549-1560: Fabio Arcella

- 1560-1572: Niccolò Caetani di Sermoneta

- 1572-1602: Cesare Costa

- 1602-1605: S. Roberto Bellarmino

- 1605-1624: Antonio Caetani

- 1624-1627: Luigi Caetani

- 1627-1633: Girolamo Costanzo

- 1634-1635: Girolamo de Franchis

- 1636-1659: Camillo Melzi

- 1661-1686: Antonio Melzi

- 1687-1690: Gaspare de Cavalieri

- 1690-1691: Giacomo Cantelmo

- 1692-1695: Giuseppe Bologna

- 1698-1701: Carlo Loffredo

- 1703-1728: Niccolò Caracciolo

Schedatore

Salvatore Marino

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Attività economiche

Capua era il punto di riferimento di un ampio territorio che faceva parte del suo districtus e che costituiva la naturale area di espansione del ceto dirigente cittadino. Territorio che, nella prima metà del Duecento, fu interessato da quel processo di crescita economica e demografica che caratterizzò il Mezzogiorno e l'Italia nel suo complesso (Carfora 2005). Il tono vivace della vita economica della città, nella quale confluivano non solo la produzione agricola delle campagne circostanti, ma anche la rendita prodotta dai beni feudali e allodiali dei cittadini, è ben visibile nel gran numero di contratti notarili che vi si stipulavano e che richiedevano un organico consistente di notai, che l'imperatore Federico II portò da sei ad otto, così come aveva fatto anche per Napoli e Salerno. Nei contratti vediamo comparire, accanto a esponenti del mondo delle libere professioni, un gran numero di artigiani appartenenti alle più svariate categorie: manganatori, tintori, calzolai, sellai, pellai, marmisti, vetrai, canestrai, funai, etc. I sovrani aragonesi, assieme ai ceti dirigenti cittadini, incoraggiarono lo sviluppo di attività economiche in tutto il contado capuano: nel 1470, ad esempio, Ferrante mostrò di aver a cuore la prosperità degli allevatori di bufale; nel 1471 propose lavori per rendere navigabile il Volturno e, ancora, l'anno seguente, sollecitò la costituzione dell'arte della lana a Capua (Senatore 2007, 153). I casali e i centri demici minori del contado rifornivano la città di vettovaglie e favorivano l'industria molitoria che, grazie ai numerosi mulini lungo il fiume Volturno, fu sempre fiorente. La straordinaria fertilità di tutto il contado capuano assicurava soddisfacenti raccolte di grano e granone, in alcuni luoghi fino a venti tomoli a moggia. Abbondante e di ottima qualità era la produzione di canapa e lino, di olio, di ortaggi (famosi i carciofi e le cipolline dette ‘cipecce’), di frutta (in particolare i fichi e i meloni). Nell’area dei Mazzoni si produceva abbondante fieno, cicoria, rose ed erbe mediche e, sempre in quest’area, si concentrava l’allevamento di vacche e bufale, quindi la produzione di provole e mozzarelle che, secondo una testimonianza di fine ‘700, «riuscirebbero migliori se la malizia di quei negozianti non adulterasse il prodotto in mille modi per sempreppiù far guadagno con inganno del pubblico» (Giustiniani 1797, 146). Il fiume Volturno rappresentava per la città e il suo contado un’inesauribile risorsa per la pesca, in particolare di cefali e anguille, mentre nei boschi di Brezza, Cancello, Cardito, Castelvolturno, dei Mazzoni e di S. Nicola si praticava la caccia di selvaggina (Giustiniani 1797, 144-148).

Esenzioni e franchigie

La fedeltà di Capua agli aragonesi procurò alla città vantaggi fiscali e giurisdizionali (Senatore 2007, 151). Tra questi privilegi vanno senz'altro segnalati: il condono, concesso alla città, di tutti i debiti contratti con la Regia Corte; l'esenzione goduta da Capua e suoi casali dai pagamenti fiscali ordinari e straordinari e dall'imposizione di nuove gabelle; la conferma di tutti i mercati franchi, nei mesi di maggio, giugno e agosto, e ogni lunedì (Natale 1986, 74-75). Re Ferrante, inoltre, «fece franchi i capuani per lo regno di passi, gabelle, dogane, ed altro, confermando tutti gli altri privilegi ch'essi aveano» (Giustiniani 1797, 152).

Mercati e fiere

Capua fu antico centro di fiera. Re Carlo II d'Angiò (1285-1309) concesse alla città una fiera della durata di dieci giorni, in occasione della festività di Santo Stefano; raduno che venne poi spostato al 1° agosto (Repertorio Manna 1588, 163r). In un documento di Giovanna II, del 1432, sono citate ben quattro fiere, che si tenevano, rispettivamente, a maggio, giugno, agosto e settembre (Grohmann 1969, 220). Le prime due duravano otto giorni ciascuna e si tenevano fuori del borgo; una di queste, denominata fiera di S. Giovanni Gerosolimitano, si teneva appena fuori la porta Napoli, dal 29 maggio al 5 giugno (8 giorni), e fu concessa da Giovanna II nel 1432, poi confermata da Alfonso nel 1436 e da Ferrante nel 1458 (Granata 1752, I, 323). La concessione non colloca il mercato in S. Giovanni (solo «in burgo»), ma è lì che tale fiera si teneva nella seconda metà del Quattrocento e nel Cinquecento, quando si attesta all’8 giugno. L’università ne nominava gli ufficiali addetti, vale a dire due maestri del mercato, un giudice e un mastro d'atti (Senatore 2007, 188). Da un privilegio di Alfonso del 1436 si apprende che le fiere di agosto e settembre duravano, rispettivamente, due e otto giorni ed erano franche, sia per i cittadini, sia per i forestieri (Grohmann 1969, 220). Lo stesso Alfonso, nel 1446, stabilì che la fiera del borgo di S. Giovanni di Capua, del 27 maggio, venisse spostata al 29 aprile e durasse sempre otto giorni. Tali fiere variavano continuamente la data d'inizio, il che fa supporre che l'afflusso mercantile nelle stesse non dovesse essere cospicuo e che, quindi, l'università fosse alla continua ricerca del periodo più favorevole per richiamare vari e folti gruppi di frequentatori (Grohmann 1969, 220). Nel 1447, in una petizione della città di Capua ad Alfonso, si ricordano tre fiere, tutte della durata di otto giorno: quella che cominciava il 29 aprile, nel borgo di S. Giovanni; una del 30 luglio, nella villa S. Maria; infine, la fiera che iniziava il 2 settembre, anch'essa nella villa di S. Maria (Grohmann 1969, 221). L'università capuana chiese che, poiché le dette fiere coincidevano con altri consimili raduni del regno, la fiera d'aprile venisse spostata al mese di giugno, precisamente dall'8 al 16 (ACA, reg. 2912, 8v-9v). Tra le fiere va infine segnalata quella che si teneva il 26 novembre, che attirava numerosi compratori e dedicata ai suini (Giustiniani 1797, 149).

A queste fiere principali vanno aggiunti almeno tre mercati, vale a dire: il mercato settimanale che si teneva il lunedì in S. Giovanni Gerosolimitano; un altro che si teneva nei primi due giorni d'agosto; il terzo, infine, era il mercato di S. Stefano, in occasione della festa per l’inventio del suo corpo (il 3 agosto, quando si faceva una processione religiosa), concesso da Carlo II d’Angiò nel 1300, che fissò il periodo 1-10 agosto. Quest’ultimo mercato non sembra attivo nel XV e XVI secolo, benché Capua ne avesse ottenuto la riconcessione da re Federico, per la durata di 8 giorni, presso l’attuale Porta Roma (Senatore 2007, 187-188).

Schedatore

Salvatore Marino

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Famiglie

Durante il regno di Alfonso fiorirono numerose famiglie nobili capuane, potenti per i feudi che possedevano nel regno. Tra queste famiglie menzioniamo, in ordine alfabetico, le seguenti: Antignano, Azzia, Capuano, de Capua, della Leonessa, della Ratta, delle Vigne, d'Evoli, di Maio, Fieramosca, Galluccio, Marchese, Marzano, Minutolo, Monti, Pandone (Granata 1756, III, 106-107). A queste famiglie si aggiunsero quelle degli uomini d'arme, quali Arano Cybo e Luigi Gentile che, venuti da Genova, militarono per Alfonso e, dopo aver riportato molte vittorie, si domiciliarono in Capua (Natale 1986, 65-66). Nella solenne processione di trionfo, con cui Alfonso il Magnanimo entrò in Napoli (26 febbraio 1443), prima del sovrano aragonese, sfilarono numerosi gentiluomini capuani. Tra i venti giovani che reggevano il baldacchino di broccato d'oro, sovrastante il carro trionfale col re, vi erano tre capuani, precisamente: Franceschino di Capua, Pandolfo delle Vigne e Teobaldo Galluccio (Natale 1986, 63). Tra gli altri nobili capuani che parteciparono al corteo è fatta menzione di Francesco Pandone, conte di Venafro, e di Federico della Leonessa, barone di Padule; ma vi erano anche altri dieci baroni capuani, cinque vescovi  e tre arcivescovi della medesima città (Granata 1756, III, 105-106).

Si riporta qui di seguito un elenco delle principali famiglie capuane attestate in età medievale e moderna:

Antignano

Azzia

Caracciolo

De Capua

- Ramo di Andrea de Capua

- Ramo di Bartolomeo di Capua

- Ramo di Andrea di Capua

- Ramo di Giovanni di Capua

- Ramo di Giovanni di Capua

De Cicala

De Franco

De Sorrento

Eboli

- Ramo di Giovanni d'Eboli

Frescarosa

Palmerio

Pandone

Pascasio

Raymo

 

Numerose sono le famiglie nobili capuane, attestate in età angioina e delle quali si ha notizia attraverso un numero esiguo di esponenti (da uno a tre). Se ne indicano qui di seguito il nome del primo esponente e la data del documento più antico, a volte l’unico, che lo riguarda (Merola 1998, 111-115):

- de Accuzulo (1269-70);

- de Adamo (Giovanni, 1269-70);

- de Adria (Federico, figlio di Giacomo, 1269-70);

- d’Andrea (Nicola, 1277);

- Caboctus (1273);

- Capuano (Bartolomeo, padre di Antonello e di Bartolomeo, 1398);

- de Cajatia (Leonardo, 1364);

- de Ciufo (Marcucius, 1331);

- de Colino (Giovanni, 1280);

- Filomarino (Giacomo, 1278);

- Galluincapu (Pietro, 1269-70);

- del Giudice Adenolfo (Goffredo ed i suoi eredi, 1269-70);

- de Lando (Giovanni, 1337-1339);

- Molenus (Giovanni, 1283-84);

- de Petra Aquara (Nicola, 1277);

- Quadrapanis (Giovanni, 1297);

- Sabastianus (Riccardo, 1269-70);

- Sasso (Giacomo, 1322);

- de Sanctis (Giacomo, giudice e padre di Pietro e di Nicola magister, 1269-70);

- Sico (gli eredi di Pietro, 1269-70, padre di Berardo);

- Silvaticus (Pietro, 1282);

- de Valle (Antonio, 1381);

- della Vigna (Guglielmo, 1269-70);

- Taffurus (gli eredi, 1269-70).

Personaggi illustri

- Pier delle Vigne

- Bartolomeo de Capua

- Andrea di Capua

- Giovanni da Capua

- Ettore Fieramosca

- Francesco Granata

- Camillo Pellegrino senior

- Camillo Pellegrino junior

- Michele Monaco

- Francesco Maria Pratilli

 

Colonie mercantili e minoranze

L’esistenza a Capua di una comunità di ebrei è attestata almeno dal XIII secolo, giacché in città nacque, forse prima del 1250, Giovanni da Capua, ebreo convertito al cristianesimo, formatosi in città e poi attivo a Roma come traduttore in latino di testi medici (Zonta 2001, 759-761). Nel Trecento una comunità di ebrei viveva attorno alla parrocchia di S. Martino, che per tal motivo si chiamò S. Martino ad Judaicam, e un altro gruppo viveva attorno alla parrocchia sotto il titolo di S. Nicola ad Judaicam. Nel 1449 la città concesse loro un terreno con vigna nel borgo di S. Vittore (Granata 1766, 320). Nel 1531 il Consiglio della città decise di far spostare la comunità ebraica in un luogo più appartato, precisamente «a’ piazza vecchia», per la qual cosa avrebbero provveduto alla costruzione di «una centa di muro, e case atte ad habitare, acciò stessero commodi et uniti» (ACC, Cancelleria 14, f. 34). Di lì a qualche anno, precisamente nel 1540, furono cacciati dalla città (Granata 1766, 321).

Confraternite

In età medievale e moderna sono attestate a Capua almeno dieci confraternite, di cui forse la principale era l’Arciconfraternita della Carità che, composta da quaranta nobili capuani, amministrava il Monte di Pietà, cioè il principale banco della città. Altre confraternite erano quelle del Corpo di Cristo, della Beata Vergine, del Carmine, della Morte, del Purgatorio, del SS. Rosario, di S. Maria del Conforto, di S. Maria di Costantinopoli e di S. Vincenzo de’ Paoli (Granata 1766, I, 24, 31, 49-50, 52, 322, 326).

Alcune di esse amministravano i numerosi enti assistenziali e ospedalieri cittadini. Tra gli ospedali capuani di origine medievale ricordiamo quelli di: S. Giovanni Gerosolimitano, fondato nel XII secolo; S. Eligio, fondato nel XIII secolo; l’ Annunziata, istituto fondato tra il 1318 e il 1320, S. Terenziano, S. Caterina, S. Agnese, S. Stefano, S. Antonio di Vienne, S. Spirito, S. Giacomo dei pellegrini e il lebbrosario di S. Lazzaro, ubicato fuori le mura e fondato nel 1228 dal nobile capuano Lazaro de Raimo (Esposito 2009, 269-300; Garofano Venosta 1966, 16-20; Granata 1766, I, 319, Marino 2003, 47-50). Nel tardo Medioevo, l’amministrazione di alcuni di questi enti assistenziali passò in mano ai conventi cittadini, altri furono soppressi o abbandonati. L’ospedale di Santa Caterina Vergine, ad esempio, passò nel 1420 ai francescani, che nel 1433 lo incorporarono a quello di Sant’Eligio, la cui chiesa, alla data, pure era soggetta ai francescani; l’ospedale di San Giacomo dei pellegrini, invece, fu soppresso nel 1410; quello di Santo Spirito fu sottoposto da Sisto IV (1471-1474) alle dipendenze dell’omonimo ospedale romano. Altri enti, come l’ospedale di Sant’Antonio di Vienne, furono aggregati all’ospedale dell’Annunziata, istituto che nel Quattrocento mantenne e anzi consolidò la sua vocazione originaria, ossia affermarsi come l’ospedale dell’Universitas capuana (Marino 2013, 58-59).

Corporazioni

Numerose erano le congregazioni o corporazioni professionali di arti e mestieri, anche se di esse non si conoscono le date di fondazione. Tra il tardo Medioevo e l’età moderna sono attestate almeno una decina di congregazioni. I mugnai erano riuniti nella congregazione sotto il titolo di S. Leonardo, i giardinieri in quella di S. Maria della Sanità, i muratori nella congregazione dei santi Giacomo e Antonio. Numerose erano le corporazioni degli artigiani: Corpo di Cristo, della Cintura, S. Maria delle Grazie, S. Agostino. E poi ancora, i falegnami, i barbieri, i sarti e i calzolai erano riuniti, rispettivamente, nelle congregazioni di S. Giuseppe, S. Giovanni Battista, S. Omobono, S. Crispino. Le congregazioni di questi ultimi quattro ceti artigianali furono incorporate, con decreto della Curia arcivescovile, il 17 giugno 1594, alla congregazione del Gesù Confalone (Granata 1766, I, 31-32, 49-50, 232, 239, 324, 335-337).  

Istituzioni di Beneficenza
Schedatore

Salvatore Marino

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Repertoriazioni

Si riporta qui di seguito una breve descrizione dei più antichi inventari e repertori dell’archivio della città di Capua, vale a dire: due manoscritti conservati nel fondo pergamenaceo e sei inventari e repertori della cancelleria capuana, in parte manoscritti, in parte a stampa, fondamentali per lo «studio della ‘politica archivistica ‘ di Capua e ancora indispensabili per la consultazione dell’archivio» (Senatore 2007, 501).

- Libretto dei privilegi (1480)

(BMC, Pergamene, Cartulario II)

Il manoscritto fu redatto nel 1480 dal sindaco della città, il notaio Nicola Pizzolo, per evitare che la continua esibizione dei privilegi originali nelle varie sedi giudiziarie del regno ne causasse la dispersione o il danneggiamento. Fu integrato e autenticato più volte negli anni successivi e fu certamente utilizzato dal 1480 al 1518, poi cadde in disuso. Il libretto, che contiene le copie dei privilegi concessi alla città di Capua, dal 1109 al 1515, aveva la funzione di una copia autentica, una sorta di «archivio à la poche», considerate le sue dimensioni (Senatore 2007, 502-506).   

- Libro d’oro (1513)

(BMC, Pergamene, Cartulario I)

Si tratta del tipico libro rosso diffuso in numerose università del Meridione. Il libro d’oro, infatti, è una raccolta di tutti quei provvedimenti che erano alla base della costituzione cittadina, copiati integralmente e spesso raggruppati per materia.

Il manoscritto si apre con la copia del Libretto dei privilegi. Questa parte fu redatta nel 1513 dal libraio napoletano Colantonio de’ Riccardis, il quale fu incaricato dall’università di Capua di copiare i privilegi e i capitoli cittadini (Senatore 2007, 506-510).   

- Primo libro dei capitoli (secc. XV-XVI)

(ACC, Cancelleria, 2)  

Il manoscritto fu iniziato intorno al 1500 e contiene i più importanti statuti e regolamenti della città, a cominciare dai capitoli approvati da re Ferrante nel 1488, concernenti i funzionari e gli organi collegiali dell’università di Capua (capitano, connestabili, Consiglio dei Quaranta, etc.). Il libro, dotato di un indice coevo relativo ad atti dal 1469 al 1554, fu utilizzato come strumento di corredo per tutto il Cinquecento, una sorta d’inventario d’archivio, quindi di corrente consultazione (Senatore 2007, 510-512).   

- Repertorio Perrotta (1558-59)

(ACC, Cancelleria, 1)

Il repertorio rappresenta la più antica chiave d’accesso archivistica ai principali atti conservati dalla Cancelleria di Capua. Il libro fu composto nel 1558-59 dal cancelliere della città, il notaio Cosimo Perrotta, da cui prende nome il manoscritto. Il suo formato maneggevole consentiva la rapida individuazione dei principali provvedimenti riguardanti la costituzione cittadina (Senatore 2007, 512-514).  

- Libro degli uffici (1560)

(ACC, Cancelleria, 843)

Cominciato nel 1560 da Cosimo Perrotta e Gian Antonio Manna, il manoscritto contiene gli elenchi di tutti gli ufficiali cittadini, sia nominati dal governo vicereale, sia da quello cittadino. I due cancellieri riuscirono a raccogliere e repertoriare un gran numero d’informazioni e dati sugli organi collegiali, gli uffici e le cariche dell’università capuana, a partire dal 1528; fu poi aggiornato regolarmente fino al 1629 circa (Senatore 2007, 514-516). 

- Repertorio Manna I (1572)

a stampa (Lanza, Napoli 1588)

Il repertorio fu compilato dal cancelliere capuano Gian Antonio Manna, tra il 1569 e il 1572, negli anni in cui fu effettuato il grande ordinamento dell’archivio cittadino. Esso consiste in un accurato indice per argomenti della parte più preziosa dell’archivio, quindi dei libri di cancelleria, dei privilegi, diplomi, lettere di re e viceré alla città (Senatore 2007, 516-517). 

- Repertorio Manna II (1595)

(BMC, Top. Sp. 16 P, Rep. Capua Pl. 2, n. 186)

Il secondo repertorio curato da Manna fu redatto secondo gli stessi criteri del primo, ma oltre ad aggiornare gli atti d’archivio fino al 1595, anno in cui fu compilato, approfondisce l’indicizzazione e la descrizione dei libri di cancelleria. Grazie ai due repertori Manna era possibile sapere quasi tutto del passato della città (Senatore 2007, 518). 

- Repertorio Graniti (1738)

(ACC, Cancelleria, 158-quater)

L’esempio di Manna fu seguito da Pompeo Graniti nel 1738, che ne continuò l’opera redigendo un nuovo repertorio alfabetico che includesse serie documentarie e archivistiche aggiornate, dal 1595 al 1738. Al repertorio di Graniti se ne aggiunse un altro simile, aggiornato fino al 1798 circa (Senatore 2007, 518-519). 

Archivi storici

1. Archivio storico arcivescovile di Capua 

2. Archivio storico del Comune di Capua

3. Archivio del Museo Campano

Raccolte e miscellanee
Strumenti di corredo
Schedatore

Salvatore Marino

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Reliquie - culti -processioni

Nel corso del VII secolo, l'attività missionaria dei nuclei locali di clero cattolico fu sostenuta dall'influenza delle chiese situate sotto il controllo politico bizantino in Italia (Tabacco 1974, 66). Fu in questo periodo che si venne affermando il culto di S. Michele Arcangelo nei domini longobardi ma non è certo se tale culto tragga origine dalla tradizione militare orientale o se sia stato introdotto dai benedettini per dissacrare i templi pagani (Cilento 1971, 8, 174, 273; Bognetti 1948, 200-208, 268-269, 305-306). Ad ogni modo, il patrono, ancora oggi al centro di manifestazioni parrocchiali in Terra di Lavoro, venne spesso ricordato col semplice titolo di S. Angelo e nella tradizione longobarda divenne il santo guerriero nel quale trasporre il culto del dio guerriero Wotan. I vescovi S. Barbato di Benevento e S. Decoroso di Capua contribuirono alla conversione dei conquistatori ariani (Cilento 1971, 174-191 e 230). Decoroso, che «nasceva da nobil gente della stessa Capua», riuscì a svellere dalla sua diocesi molti riti sacrileghi dei longobardi (Iannelli 1858, 140). Sul territorio diocesano sono numerosi i luoghi di culto che, mentre conservano antiche memorie religiose, attestano la profonda devozione popolare. Alla cattedrale, per esempio, sono legati il culto di Sant'Agata, patrona della città dal V secolo, e dell'Immacolata, festeggiata l'8 dicembre con una solenne processione per le vie cittadine. Poco distante da Capua si conservano con particolare evidenza le memorie dei martiri capuani, specie di S. Prisco e di S. Matrona. Fin dall'antichità, sul luogo della loro sepoltura vennero edificati una basilica e un sacello. La devozione popolare si indirizza verso la chiesa di S. Maria della Ruota dei Monti, a Leporano, che sorge intorno a un'edicola mariana tardo medievale, sopra un'altura con piantagioni di ulivi e mirti, la cui struttura morfologica a emiciclo è all'origine del titolo della chiesa, dichiarata santuario diocesano nel 1953 (Guida 2002, 9). Alle falde del monte Tifata si sviluppava il potente centro religioso dedicato a Diana, detta appunto Tifatina, e dotato, tra l'altro, di un complesso termale (Granata 1752, I, 25-26). Sacro era inoltre il bosco che insisteva sulla superficie dell'attuale Pirotecnico proteggendo quel luogo dalle piene fluviali (Novi 1861, 43). Infine antiche iscrizioni documentano il culto arcaico relativo al dio Volturno: «il culto della quale Deità infino ai tempi degli antichi Romani si vide in piedi» (Granata 1752, I, 7-8).

Cerimonie e rituali civici

In età aragonese Capua e il suo territorio furono tra le aree più frequentate dai sovrani e dagli altri membri della famiglia reale, sia in periodi di pace, sia di guerra. Le ragioni, del tutto ovvie, di tale condizione sono da ricercare nella vicinanza geografica a Napoli e nell’importanza strategica della città, collocata sull’antica via Appia, una delle più importanti strade di accesso al Meridione. La città fu scelta dalla Corona per eventi cerimoniali ordinari e straordinari e assolse, seppur in un numero assai più limitato di occasioni, alle medesime funzioni della città capitale, Napoli. Tra le cerimonie ordinarie della città vi sono in primo luogo quelle connesse al funzionamento dell’università: consigli, imborsazione, estrazione di ufficiali e loro giuramento (Senatore 2007, 151 e 185). Nel 1458 si tenne la seduta solenne del Parlamento generale del regno nella cattedrale capuana (Granata 1752, 119). Al fianco del re, su una tribuna ornata di drappi neri per il lutto (Alfonso era morto da un mese), sedevano i due ambasciatori del duca di Milano. La seduta fu preceduta da fitti colloqui preliminari con i baroni o i loro procuratori, i sindaci delle città demaniali, persino alcuni ufficiali (ad esempio il castellano di Gaeta), presentatisi via via a Ferrante per dichiarare la loro obbedienza e prestare il giuramento di fedeltà (Senatore 2007, 159). Capua era talvolta scelta dal sovrano per andare incontro a persone di riguardo: era cioè un luogo deputato per anticipare le accoglienze nella capitale, o, al contrario, per prolungare il commiato dagli ospiti della corte. Ricordiamo, a titolo d’esempio, le sontuose accoglienze di Alfonso il Magnanimo all’imperatore Federico III nel 1452 (Granata 1752, II, 111-112), o i festeggiamenti in onore della donna amata dal vecchio sovrano aragonese, Lucrezia d’Alagno, di ritorno da Roma, nel 1457 (Senatore 2007, 165-166). Quando l’esercito aragonese scendeva in campo, durante e dopo i consueti preparativi primaverili nei Mazzoni (reintegrazione dei cavalli mancanti, organizzazione delle squadre, distribuzione della prestanza, mostra di genti d’arme) era d’obbligo la cerimonia di benedizione delle bandiere, che segnava l’inizio delle attività belliche. La benedizione si tenne presso Capua nel 1438, nei Mazzoni nel 1452, a Santa Maria Maggiore, casale di Capua, nel 1453, a Teano nel 1458, di nuovo a Santa Maria Maggiore nel 1464. A Capua, infine, fu incoronato Federico d’Aragona, il 10 agosto 1497 (Granata 1752, II, 165-166): la scelta di una località diversa da Napoli, che suscitò malcontenti nella capitale e nel baronaggio del regno, fu certamente un fatto eccezionale, causato dalla pestilenza che ammorbava Napoli (Senatore 2007, 157).

Ingressi trionfali, allestimenti e rappresentazioni

La primazia di Capua, tra le città del regno, è confermata dalla frequenza delle entrate in città del sovrano o del suo luogotenente. Si trattava di cerimonie che affermavano il legame tra la città e la Corona, tra la città e lo Stato. Conosciamo quelle del duca Alfonso, luogotenente del regno, il 1° novembre 1484, dopo due anni di assenza per gli impegni militari; dello stesso Alfonso poco dopo la successione, il 21 febbraio 1494 (Senatore 2007, 166); del re di Francia Carlo VIII, conquistatore del regno, il 19 febbraio 1495; infine, dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, il 23 marzo 1536 (Granata 1752, II, 153-155 e 243-251). A Capua la prima entrata di un viceré, all’inizio del suo mandato, prevedeva abitualmente onori quasi equivalenti a quelli dell’entrata di un sovrano, fatta eccezione per il pallio, che mancava. Non mancava invece un dono d’argento. Le accoglienze a Pietro di Toledo, in particolare, furono assai solenni, come del resto avvenne anche a Napoli. L’entrata si realizzò il 29 aprile del 1533: furono ripulite le strade, furono costruiti archi trionfali addobbati con mirti, ciascuna bottega fu adornata di rami d’albero, furono poste sugli archi insegne con le armi dell’imperatore, del viceré e della città, fu nominato l’ufficiale per gli alloggiamenti (apposentatore). L’occursus vide impegnati, naturalmente, gli eletti e numerosi cittadini a cavallo, oltre a 600 fanti di Capua e Marcianise, armati di archibugi, picche e alabarde e guidati da Federico di Capua (Senatore 2007, 175-176).

Schedatore

Salvatore Marino

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Oggetti archeologici di reimpiego

-Stele funerarie, in calcare, d'età tardo repubblicana-prima età imperiale reimpiegate nei basamenti dei palazzi (provenienti dalle necropoli di Capua vetus e Casilinum):

casa privata vicino S. Giovanni delle Dame Monache, stele

palazzo in vico San Michele a Corte, stele con togato

palazzo in via Duomo, stele CIL X, 4420

palazzo in via S. Giovanni a Corte, stele CIL X, 4175

casa in via Principi Normanni, rilievo con togati

casa in via Seggio dei Cavalieri, stele funeraria

palazzo in via Roma, stele funeraria

- fusti di colonna,in granito o marmi colorati, reimpiegati nell'atrio e all'interno della cattedrale di Capua (provenienti da edifici monumentali di Capua Vetus (anfiteatro, teatro d'età imperiale):

Sant'Angelo in Audoaldis, colonne e capitelli

- chiavi d'arco con protomi di divinità (Pesce 1941) (provenienti dal primo ordine d'arcate esterno dell'Anfiteatro Campano): Palazzo Giudici; Palazzo Rinaldi Campanino; Palazzo Centore/Museo Campano (Palmentieri 2010); campanile della Cattedrale di Capua; centro storico:

Palazzo Giudici, chiave d'arco con protome di Giove Ammone

Palazzo Giudici, chiave d'arco con protome di Apollo arciere

Palazzo Giudici, chiave d'arco con protome di Hermes

Palazzo Giudici, chiave d'arco con maschera di Pan

Palazzo Giudici, chiave d'arco con protome virile

campanile della Cattedrale, chiave d'arco con protome di Diana

Porta Napoli di Capua, chiave d'arco con protome di Helios

Museo Campano, chiave d'arco con protome virile

Museo Campano, chiave d'arco con protome di Volturno

Museo Campano, chiave d'arco con protome di satiro giovane

Palazzo Rinaldi Campanino, chiave d'arco con protome virile

- chiavi d'arco con soggetti teatrali (Pesce 1941) (provenienti dagli ordini del teatro d'età imperiale di Capua vetus): Palazzo Giudici;; centro storico:

Palazzo Giudici, chiave d'arco con maschera teatrale

Palazzo Giudici, chiave darco con maschera teatrale di giovane satiro

Museo Campano, chiave d'arco con maschera teatrale

- Elementi architettonici, capitelli di tipo corinzio occidentale e corizio-asiatico (provenienti dai monumenti di Capua vetus): reimpiegati nelle chiese e palazzi.

Museo Campano, blocco di architrave con trofeo d'armi 

Palazzo Rinaldi Campanino, frammento di fregio

Sant'Angelo in Audoaldis, frammento di fregio

- Altari, cippi, iscrizioni, rilievi (provenienti dalle necropoli extraurbane o dagli edifici pubblici di Capua): reimpiegati nei basamenti delle chiese e dei palazzi.

Museo Campano rilievo del 'Genius Theatri' CIL, X, 3821

Palazzo Rinaldi Milano, rilievo figurato con una sfinge

casa in Piazza Eboli, blocco con iscrizione CIL, X, 4185

Seggio dei Nobili di Capua, blocco iscritto IG 885

Seggio dei Nobili di Capua, blocco iscritto CIL, X, 3961

Seggio dei Nobili di Capua, cippo con patera

Seggio dei Nobili di Capua, cippo con iscrizione CIL, X, 4425

palazzo in Corso Gran Priorato di Malta, blocco iscritto con due coltelli, CIL, X, 3984

Palazzo Rinaldi Milano, frammento di fregio

palazzo in vico S. Michele a Corte, stele iscritta CIL X, 4307

Palazzo Fieramosca, frammento di iscrizione CIL X, 4260

palazzo in vico II S. Vincenzo, stele CIL X, 4395

palazzo in vico II S. Vincenzo, cippo CIL X, 4270

via Pier delle Vigne, rilievo con Cibele

San Domenico, ara

Sant'Angelo in Audoaldis, frammento di iscrizione

Sant'Angelo in Audoaldis, blocco con iscrizione CIL, X, 4434

Sant'Angelo in Audoaldis, cippo con patera

campanile della Cattedrale, frammento di iscrizione

campanile della Cattedrale, frammento di iscrizione

- Rilievi funerari (provenienti dalle necropoli di Capua vetus): reimpiegati nei basamenti dei palazzi.

Castello delle Pietre, frammenti figurati

Tra via Principi Longobardi e S. Salvatore a Corte, frammento di fregio dorico

- vasche in marmi colorati (Gemelli 2001) (provenienti dagli edifici termali di Capua o dai contesti urbani attraverso il commercio  d'età medievale): riempiegati nella cattedrale di Capua.

Museo Diocesano, vasca in breccia verde d'Egitto

- calcari (provenienti dalle fondazioni degli edifici romani e dall'anfiteatro campano): reimpiegati ai lati dei portali dei palazzi.

San Domenico, blocco di calcare e frammento modanato

- sarcofagi: reimpiegati nelle chiese

Cattedrale, sarcofago a lenòs con protomi di leone

Cattedrale, sarcofago con il mito di Ippolito e Fedra

Museo diocesano, sarcofago con eroti vendemmiatori

Santi Rufo e Carponio, sarcofago

San Michele a Corte, sarcofago

Statue e sculture:

palazzo in Corso Appio, statua femminile

palazzo in Corso Appio, statua di togato

Museo Campano, acrolito femminile, cd. Capua fidelis

Museo Campano, sostegno di sedile

Museo Campano, statua di Artemide

Museo diocesano, rilievo con motivi vitinei

Edifici antichi

Ponte romano di Casilinum (Capua)

 

Nell'antica Capua (attuale Santa Maria Capua Vetere):

Capitolium

Anfiteatro campano

arco

criptoportico

monumento funerario a tamburo

Conocchia (monumento funerario)

teatro

 

 

 

 

Collezioni di antichità, scavi e scoperte archeologiche di età moderna
Schedatore

Antonio Milone

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Architetti, ingegneri e tavolari attivi in città

Francesco di Giorgio Martini.

Fra Giocondo trascrive alcune epigrafi

Ambrogio Attendolo (1502-1585)

Benvenuto Tortelli (interviene nel convento di Santa Maria delle Dame Monache e nella chiesa dell'Annunziata)

Domenico Fontana (fornisce consulenza per l'acquedotto)

Fra Giuseppe Nuvolo (interviene nell'Annunziata)

Giovan Battista Nauclerio (Santa Maria delle Dame Monache).

Bartolomeo Vecchione (ricostruisce chiesa della Maddalena).

Giovan Battista Landini (ricostruisce convento della Maddalena e chiesa di Sant'Eligio).

Ferdinando Sanfelice appronta un progetto per la chiesa di San Giovanni delle Monache.

Domenico Antonio Vaccaro ricostruisce la chiesa di San Giovanni delle Monache.

Francesco Gasperi è soprastante maggiore alla piazzaforte militare; rimette in efficenza le strade di accesso a Capua da nord e da sud. Nel 1750 esegue i rilievi del "fiume morto", un'ansa del Volturno che viene tagliata per essere messa a colura, e i lavori proseguono fino al 1759. Lavora alle carceri, allogate al piano terreno del palazzo dei Governatori, e nel 1774 costruisce una nuova scala nel palazzo dell'Udienza. Nel 1780 risulta coinvolto in lavori minori nel complesso dell'Annunziata. Realizza un rilievo dell'acquedotto aragonese, e poi propone migliorie allo stesso acquedotto. Tra 1792 e 1799 lavora al palazzo arcivescovile, dove forse realizza lo scalone.  

Mura e porte urbiche

Porta e torri di Federico II (1234-1240)

Porta Napoli (1577-1582)

Strade e piazze

Piazza dei Giudici

Piazza della cattedrale

Piazza dei Commestibili

Infrastrutture urbane

Acquedotto (XV secolo) proveniente da Sant'Angelo in Formis

Fontana di Nettuno

Fontana in corso Gran Priorato

Fontana in piazza Commestibili

Una serie di mulini galleggianti erano ancorati lungo le rive del Volturno. Rinaldo 1755, II, pp. 183-186, cita e trascrive brani di documenti relativi a questi mulini (XIII-XVI secolo), alcuni dei quali appartenti alle principali famiglie della città, quali gli Eboli e gli Azia.

Strutture assistenziali

Ospedale dell'ordine di San Giovanni di Gerusalemme, attestato fuori le mura della città dal 1137 (cfr. Esposito 2009, p. 278).

Ospedale dell'Ave Gratia Plena (Annunziata)

Castelli e fortezze

Castello delle Pietre

Castello di Carlo V (1543-1552)

Palazzo signorile
Edifici pubblici

Seggio dei nobili

Seggio di San'Eligio

Seggio di Antignano

Palazzo dei Giudici

Palazzo dell'Udienza

Palazzi privati

Palazzo Fieramosca

Palazzo Antignano

Palazzo Rinaldi Campanino

Palazzo Rinaldi Milano

Palazzo De Capua

Palazzo Fazio

Palazzo in via Pier delle Vigne

Palazzo Imbriani


Edifici religiosi

Santa Maria a Santa Maria Capua Vetere 

San Prisco, sacello di Santa Matrona

Abbazia di Sant'Angelo in Formis

Cattedrale

Sant'Angelo in Audoaldis

San Marcello

Santi Rufo e Carponio

San Benedetto

San Giovanni a  Corte

San Michele a Corte

San Salvatore a Corte

San Salvatore Piccolo

San Domenico

Santa Caterina

Chiesa e ospedale dell'Annunziata

Sant'Eligio

Santa Maria delle Dame Monache

San Giovanni delle Dame Monache

Santa Maria Maddalena

Apparati effimeri

In  occasione del passaggio dell’imperatore Carlo V per Capua, il 23 marzo 1536, la città organizza un sontuoso sistema di apparati trionfali lungo il percorso.  Sulla porta del castello, da dove sarebbe entrato l’imperatore, vengono posizionati tre stemmi in marmo, ai lati quelli della città di Capua, al centro quello dell’imperatore. Davanti alla porta due statue in stucco raffiguranti una la città di Capua che si apriva il petto mostrando le imprese di Carlo V, dall’altro la Fede. Sotto erano due iscrizioni: “Reddimus ecce tibi Capidarum munus avitum, Aurea si dabimus, non meliora feres.”; “Nullum pro te supplicii genus subterfugimus”.

Lungo il percorso si erigono otto archi di trionfo: all’ingresso della città presso la chiesa di Sant’Antonio, in piazza dei Giudici, davanti alla cattedrale, presso il seggio di Antignano, davanti alla chiesa di San Pietro, davanti al seggio dei Cavalieri e all’ingresso del palazzo de Capua.

Quello presso la chiesa di Sant’Antonio era in mirto e alloro, con l’iscrizione “Regibus Aragonis laetabar, maxime Caesar, sed quam tu major, tam quoque laeta magis”.

Il più complesso era l’arco collocato davanti al seggio dei Giudici nella piazza omonima. Costruito di legno con cornici capitelli e ornamenti di vario genere, mostrava su tre facciate sei statue di stucco. Due in corrispondenza del seggio dei giudici rappresentavano Tito Vespasiano e Costantino, due rivolte verso la strada degli speziali Cesare e Ottaviano Augusto, due verso il ponte romano Alfonso d’Aragona e Federico II, tutte caratterizzate da iscrizioni. Sotto la statua di Tito Vespasiano: “Tite Vespasiane, Hierosolima, et terrarum orbis laureata tibi oracula promant”. Sotto statua di Costantino: “Magne parens orbis, te Caesare Roma resurget, Nostraque res iterum publica semper erit”. Sotto la statua di Giulio Cesare era scritto: “C. Julius Caesar, parva militum manu, ut Alexander, castrementandi peritia, ut Pyrrhus, Annibalis virtute ac felicitate bellabis”. Sotto la statua di Ottaviano era il motto: “Orbe triumphato, pace mea aenea tempora dilabuntur”. Sul lato verso il ponte erano le statue di Alfonso il Magnanimo, con l’iscrizione “Alphonsus Primus Rex. Haec Urbs suis humeris Regnum meum sustinuit”, e quella di Federico II, con l’iscrizione: “Federicus II. His titulis decoravi hanc urbem, Caesaris imperio Regno custodia fio, quam miseros facio, quos variare scio”. Oltre alle statue, l’arco era decorato con pitture. Sul lato verso il castello erano raffigurati il fiume Volturno, attorniato da ninfe e satiri, con il motto “Hyades ad numerum, et Dyades saltate puellae”, e Furio Camillo con la spada sguainata e il motto “Alter adest rerum assensor, patriaq. Camillus Magna domus superum, quid tibi, Roma times?”. Erano anche le raffigurazioni allegoriche dell’Africa e dell’Asia raffigurate come due donne sostenenti un giogo, la prima nuda con la semplice didascalia “Africa”, l’altra vestita e con l’iscrizione “Dum lungeo Asia contre miscit”. Su un’altra facciata dello stesso arco erano dipinte le personificazioni maschili di fiumi sorreggenti anfore sulle spalle e con ghirlande vegetali,  ognuno identificato come “Heberus”, “Ganges”, “Nilus”, “Hydaspes”, “Phasis”, “Eniphus”; al di sopra era la scritta “Tributa”, mentre in basso erano la raffigurazione di Platone, con molti libri e con il motto “Terrrarum orbis certe felix erit, cum a sapiente ministrabitur”, e un trofeo militare costituito da una corazza attaccata a unpalo da cui fuoriscivano due cornucopie e palme di datteri, con una stella cometa e il motto: “Quod cometae praemonuerunt, id Caesaris virtute perfectum”. Sempre su questo stesso lato dell’arco era infine un uomo armato assiso su una catasta d’armi con in mano un serpente artigliato da un’aquila col motto “Festina lente”. Sulla terza facciata era dipinta una spada legata con un laccio sulla cui punta, rivolta verso la’lto, era una corona con una ruota e due bilance: ai lati della spada una serpe e un cane con il motto “Summum Dei munus, quo mortalibus immortalitas comparatur”. Erano anche i ritratti di Cesare, Scipione e Alessandro, tutti identificati dia nomi, ai piedi dei quali erano ammucchiati elmi, corazze e spade col motto “Heu quid? Si nostros superat tua fama labores?”. Insieme a queste figure un trionfo di Bacco, con un carro tirato da due elefanti sopra il quale era assiso un re con scettro in mano e i motti “Bacci triumphus primus” e “Majori laurea trimphabis”. Poco discosto Perseo cn la testa di Medusa e altri uomini con la scritta “Christi fides, alienos pro te sacrificando”. La quarta facciata, infine, mostrava l’allegoria del Tempo con le ali ai piedi, ruota e timone e l’iscrizione “Si crinita fronte non prensabis, calvitiorem tenebis”. Accanto era Giosué armato e inginocchiato con il motto “Tua causa sol etiam stabit”, e una figura di vecchio che rispondeva a una citta dipinta sul lato opposto da cui uscivano le grida “Io, io Caesar, io triumpha, io, io”.

Il terzo arco era stato allestito davanti al portale della cattedrale. Costruito con mirto e ornato dalla tabella con l’iscrizione “Auspice Christo, felicitate tua, hostium victor eris”.

Davanti al seggio di Antignano era un arco di alloro e mirto dal quale pendeva una tabella con l’iscrizione “O Pater, o pacem, qui victis hostibus almam, nunc Latio reddis, maxime Caesar, ave”. Davanti erano due statue: una raffigurava il Volturno sotto forma di uomo che versava acqua da un’anfora e il motto “Caesaris adventu laetus sine murmure curro; Caesaris imperio subiacet unda suo”; l’altra rappresentava l’antico senatore capuano Decio Magio, spedito da Annibale come prigioniero a Cartagine, e il motto “Non minus Ultus ades Caesar, quam pontus, et unda perfidiam Annibalis, jure habeo charites”. Qui, durante il percorso trionfale, avvenne il cambio dei deputati destinati a sostenere il pallio sotto il quale procedeva l’imperatore.

Il quinto arco trionfale era presso al chiesa di San Pietro. Costruito come semplice struttura in mirto, sosteneva una tabella con l’iscrizione “Virtus invicta resurgit”.

Al seggio dei Cavalieri era un altro arco in mirto e alloro, con la tabella iscritta: “Hac itur ad astra”, e le statue di Teseo con bastone in mano e della Giustizia con la spada in mano. Teseo era caratterizzato dall’iscrizione “Herculis exemplo penitus nova monstra peribunt”, mentre la Giustizia dal motto “Remigavi comitata sororibus”.

L’ultimo apparato era all’ingresso del palazzo di Luigi de Capua, dove alloggiava l’imperatore. Vi era un arco di mirto e alloro con la tabella “O Sol Ausoniae, qui pellis nubila Caelo, Si tu discedis, nulla futura die”,  e la statua di un villano, che non avendo altro da offrire porgeva dell’acqua con il motto “Quod opis est nostrae, sed egregio animo daturus”.

Fonti e bibliografia: Archivio Comunale Capua, vol. 15, Cancelleria 14, anni 1529-1539, cc. 91v-94v; Manna 1588, cc. 140v-141v; Granata 1752-1756, III, pp. 243-251; Robotti 1980; Robotti 1983, pp. 119-131; Lenzo 2014, pp. 89-90, 102.103.

Schedatore

Fulvio Lenzo

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Artisti attivi in città

XV secolo

Pietro e Giovanni Alemanno

Opere d'arte medievali e moderne

XIV secolo

Museo Diocesano, frammento di gisant


XV secolo

Cattedrale, tomba di Giordano Caetani

Cattedrale, Madonna col Bambino

Cattedrale, statua lignea Madonna col Bambino

Museo Campano, gruppo ligneo dell'Annunciazione

Museo Campano, statua lignea femminile

Museo Diocesano, pala della Madonna col Bambino e Santi di Antoniazzo Romano

Museo Diocesano, frammento di tabernacolo eucaristico

Museo Diocesano, frammenti del pavimento maiolicato della secrestia

San Domenico, tabernacolo eucaristico Caetani

San Domenico, monumento funebre di Antonio d'Azzia

 

XVI secolo

Cattedrale, rilievo con la Deposizione di Cristo (da Mantegna)

Cattedrale, statua di San Francesco

Museo Campano, gisant di Pompeo dell'Uva

Museo Campano, tavola dell'Adorazione del Bambino

Museo Campano, lastra tombale femminile

Museo Campano, Madonna delle Grazie

Museo Campano, Pala con tre santi benedettini

Porta Napoli, arco marmoreo

San Domenico, Altare dell'Annunciazione

San Domenico, paliotto dell'altare eucaristico Caetani

Santa Caterina, statua di Santa Caterina

 

XVII / XVIII secolo

Cattedrale, Cristo deposto

Collezioni
Schedatore
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Letterati che nascono, vivono o operano in città

Fra Domenico da Caramanico


Giannantonio Campano


Lelio Gentile


Marino Antonio Rinaldi


Bartolomeo Sabino


Luca Cencio o Censio


Giovan Battista Damiani


Lucio Paganino


Vincenzo Antignano


Ottaviano della Ratta


Teodorico Morello


Camillo Pellegrino senior


Scipione Sannelli


Girolamo d’Aquino


Antonio Sanfelice detto Fra Plinio


Vincenzo dell’Uva


Benedetto dell’Uva


Giovan Battista Attendolo


Gian Antonio Manna


Flavio Ventriglia


Giulio Cesare Imbriani


Francesco Anelli


Giovanni Carlo Morelli


Michele Monaco


Salvatore Cipolla


Vincenzo Zito


Fabio Vecchioni


Camillo Pellegrino junior


Silverio Ajossa


Marcantonio Laureo


Stampatori e produzione libraria cittadina

La maggior parte della letteratura prodotta da Capuani o relativa a Capua fu stampata a Napoli, come avvenne per quasi tutte le città del regno. Capua conobbe tuttavia due momenti significativi in cui si osservò la presenza di una stamperia. Nel 1489, per volere del vescovo Giordano Gaetani, fu dato alle stampe in città il cosiddetto Breviarium Capuanum, un incunabolo raro, stampato da Christian Preller il 10 marzo «iussu Iordani Gaytani Archiepiscopi Capuani et Patriarche Antiocheni» (IGI 2803, H 3814). L’episodio restò isolato, e si dovette attendere il 1547 perché di nuovo in città fosse attestata una nuova attività libraria. In quell’anno infatti lo stampatore alsaziano Johann Sultzbach, che di norma operava a Napoli, produsse a Capua cinque volumi, sui quali ci soffermeremo tra breve. La presenza di Sultzbach a Capua fu forse incoraggiata dalle turbolenze che nel 1547 si ebbero nella capitale e in varie parti del Regno, ma sappiamo per certo, grazie a quanto si dice nella Cancellaria di Manna (Manna 1588, 225v), che già nel marzo del 1546 la città di Capua aveva dato mandato ai suoi Eletti di «assalariare uno stampatore ad anno con provisione de ducati 30». La stampa a Capua fu dunque un’operazione di carattere pubblico, voluta dalla città. Sempre in Manna, tuttavia, veniamo a sapere che nel maggio del 1548 si diede mandato perché questa «provisione» non venisse più corrisposta: è dunque la stessa città a mettere fine alla presenza della stamperia di Sultzbach. Come già era avvenuto per il Breviarium, la produzione libraria del 1547 non ebbe alcun seguito. Persino durante la massima fioritura dell’antiquaria capuana nella prima metà del Seicento i libri su Capua continuarono ad essere stampati a Napoli.

Una di queste edizioni, molto rara, contiene una descrizione della disfida di Barletta del 1503 e una raccolta di poesie latine in celebrazione di Ettore Fieramosca e dei campioni italiani coinvolti nell’episodio. Fu curata dal notaio capuano Giovan Battista Damiani, e include carmi di Marino Antonio Rinaldi, Bartolomeo Sabino, Crisostomo Colonna, Girolamo Carbone, Pietro Summonte, Francesco Peto, Pietro Favonio, Pietro Gravina (Damiani 1547).

Il secondo libro, anch’esso rarissimo, è una dissertazione erudita sul termine paraclitus di Luca Cencio o Censio, che fu maestro a pubbliche spese a Capua per tutta la prima metà del Cinquecento, lasciando il posto nel 1549 ad un altro grammaticus, Lucio Paganino (cf. Manna 1588, 160v).

Gli altri testi (Parisio 1547; Scaglione 1547a e 1547b), tutti rari, sono opera di personalità illustri dell’epoca: il cardinale Pietro Paolo Parisio di Cosenza ebbe un ruolo importante nel Concilio di Trento; Gian Francesco Scaglione era un giureconsulto napoletano, di origini aversane, che aveva già stampato alcune opere presso l’editore Sultzbach.

Biblioteche pubbliche e private

A partire almeno dalla metà del Cinquecento, dovette costituirsi un nucleo librario di proprietà dell’universitas, se non altro per conservare copia delle stampe e dei manoscritti delle opere che erano state prodotte o ricopiate a spese della città e con delibere ufficiali. Nella lettera agli Eletti di Capua sull’opera manoscritta del Sannelli [cf. sotto, la sez. Committenze di opere letterarie relative alla città], Giovan Battista Attendolo dichiara che l’opera, ricopiata in buona grafia, è degna di essere conservata presso “l’archivio delle scritture dell’Udienza” (Attendolo in Minieri Riccio 1890, 301), che doveva verosimilmente essere la sede dove usualmente si conservavano i libri finanziati dall’universitas.

Tra tardo Cinquecento e primo Seicento fioriscono anche le biblioteche degli ordini religiosi; ricordiamo qui quelle del Seminario Arcivescovile, fondato nel 1568 e del Collegio dei Gesuiti, fondato nel 1611.

Interessante la vicenda della biblioteca e dell’archivio del monastero di S. Giovanni delle Monache, ora scomparso: sappiamo infatti che furono riordinati da Michele Monaco negli anni in cui fu confessore del monastero.

Accademie

A Capua fu fondata nel secondo Cinquecento l’Accademia dei Rapiti, su iniziativa di Camillo Pellegrino sr. Dopo la morte di questi, nel 1603, l’Accademia dovette andare incontro a una certa decadenza, fino a cessare le attività. Intorno alla fine del 1626 essa venne come rifondata. Ne siamo informati dall’orazione in lode di Capua che Michele Monaco recitò proprio davanti al consesso dei Rapiti il 3 febbraio del 1627, dove si dice infatti: «Questa Academia nostra, illustrissima Capua, ancor’è bambina: pochi mesi sono, rinacque; non so come s’era smarrita, e tutta dolente cercava ricetto» (Monaco 1665, paragr. 2, c. A5 v.). L’Accademia ebbe il suo massimo splendore proprio in questa seconda fase, raccogliendo attorno a sé le personalità di maggior spicco dell’erudizione capuana, quali Fabio Vecchioni, Michele Monaco, Camillo Pellegrino jr., Salvatore Cipolla, Vincenzo Zito e altri.

Committenze di opere letterarie relative alla città

Lo statuto demaniale di Capua fece sì che fosse la stessa universitas a sobbarcarsi l’onere di una “politica culturale” mirata a promuovere e difendere l’immagine della propria città. E così il Consiglio, mediante gli Eletti, incoraggiò a più riprese la produzione letteraria, spesso finanziando la pubblicazione a stampa di opere manoscritte o commissionando opere ex novo. La già menzionata vicenda del 1547 relativa alla stamperia di Sultzbach rientra in queste attività: dei cinque volumi stampati, quello relativo a Ettore Fieramosca e alla disfida di Barletta è certamente da considerare un volume di propaganda civica, in quanto, tramite l’elogio di Ettore, l’opera finisce per essere un elogio della città stessa [cf. sopra, la sez. Stampatori e produzione letteraria cittadina]. Pochi anni dopo, verso la fine degli anni Cinquanta, la città, tramite la mediazione di uno dei suoi dotti notabili, Girolamo Aquino, progettò la stampa del libro antiquario sulla Campania antica del frate francescano Antonio Sanfelice, la cui erudizione lo aveva reso celebre col nome di Fra’ Plinio. Il Sanfelice non era capuano, ma nella sua opera veniva restituito a Capua il giusto spazio nella ricostruzione delle vicende antiche, e si sottolineava il rapporto etimologico tra i termini Capua e Campania. Fu pertanto la natura stessa dello scritto a suggerire al frate di rivolgersi all’Aquino, che convinse facilmente gli Eletti a sobbarcarsi le spese della pubblicazione. La vicenda, ricostruita integralmente da Nicola Onorati alla fine del Settecento (Onorati 1796, xxvi-xxx) portò nel 1562 alla stampa del volume (Sanfelice 1562) dopo qualche anno di passaggi burocratici. Al Sanfelice furono inoltre corrisposti cinquanta ducati. Non solo: sempre nel 1562 la città commissionò all’Aquino il volgarizzamento della stessa Campania. L’Aquino fu remunerato per la sua fatica con 25 ducati, ma il testo restò in forma manoscritta fino al 1796, quando fu stampato dall’Onorati. Questa vicenda della Campania e del suo volgarizzamento non è priva d’importanza: essa mostra il desiderio dei ceti dirigenti capuani di dotarsi di opere che sottolineassero l’antichità e la nobiltà di Capua in un’epoca in cui i privilegi acquisiti nei secoli andavano costantemente difesi da una politica viceregnale ben diversa da quella che aveva caratterizzato l’idilliaco rapporto tra Capua e la casa d’Aragona. Il volgarizzamento, poi, mostra la volontà che l’opera circolasse il più possibile, anche presso un pubblico non avvezzo al latino.

Un’analoga vicenda di committenza pubblica si ebbe con uno scritto di una delle figure di maggiore spicco del secondo Cinquecento capuano, Giovan Battista Attendolo. Nel 1573 la città fece stampare a pubbliche spese l’orazione che questi aveva scritto in onore di Giovanni d’Austria per la vittoria navale riportata contro i Turchi a Lepanto nel 1571 (cf. Attendolo 1573).

Alcuni anni dopo, gli Eletti chiesero allo stesso Attendolo una valutazione degli Annali del Sannelli, come sappiamo da una lettera di risposta del poeta agli Eletti conservata da Minieri Riccio ed edita nel 1890 (Minieri Riccio 1890, 297-304). Poiché l’episodio non figura in Manna 1588, esso è da ascriversi a un periodo compreso tra questa data e il 1593, data di morte dell’Attendolo. Anche in questo caso è notevole l’interesse della città per le opere che ne indagassero il passato. Per il giudizio dell’Attendolo su Sannelli v. sotto, la sez. Storiografia locale e cronache.

Dedicatari di opere letterarie

La serie di componimenti dedicati a Ettore Fieramosca, raccolti solo nel 1547 (cf. Damiani 1547), furono composti immediatamente dopo la disfida, che ebbe luogo nel 1503.

Nel 1509 l’uomo d’armi capuano Lelio Gentile, che aveva una formazione classicista e si dilettava di studi di greco e latino, risulta il dedicatario di un sonetto di Benet Gareth, il Cariteo. Sempre Lelio è il dedicatario di un carme latino di Cosimo Anisio, stampato nel 1533 ma precedente di circa un decennio, dato che Lelio Gentile morì nel 1526.

Alla città di Capua, mediante la formula Senatui Populoque Campano, è dedicata la Campania di Antonio Sanfelice, grato perché la città aveva finanziato integralmente l’edizione del libro.

È invece pressoché impossibile rendere conto dei numerosi dedicatari capuani degli epigrammi latini raccolti in Morelli 1613, alla cui scheda si rimanda.

Gli Eletti di Capua sono i dedicatari dell’edizione postuma, curata da Silvestro Ajossa, dell’orazione in lode di Capua di Michele Monaco (Monaco 1665).

Storie di famiglie

In quanto città demaniale, Capua non è associata alla letteratura sulle grandi famiglie feudali del sud Italia. Piuttosto in essa fioriva quella nobiltà cittadina dalla quale venivano estratti i quadri dell’amministrazione pubblica. Molti esponenti delle famiglie più in vista come i de Capua, i delle Vigne, i Lanza, i Ferramosca, gli Antignano, i della Leonessa, i dell’Uva ebbero spesso incarichi importanti anche nell’amministrazione centrale. Molte informazioni sui loro principali esponenti sono da rintracciare nella storiografia di Cinque e Seicento sul Regno, e nella letteratura biografica e prosopografica degli stessi eruditi capuani, in primis negli inediti di Fabio Vecchioni, nei cui Discorsi istorici era previsto uno studio delle famiglie antiche capuane [v. sotto, la sezione Storiografia locale e cronache e Letteratura antiquaria].

Corografia e geografia

L’ampia attestazione nelle fonti classiche e la continuità abitativa, sia pure nella forma medievale della Capua nuova, fanno sì che la città figuri stabilmente nelle opere di geografi e antiquari umanisti. Due pagine (e cioè non poco, data la concisione dello scritto) sono dedicate a Capua nell’Italia illustrata di Flavio Biondo, al cui tempo la città in rovina appariva come un campo di maestosi monumenti diroccati attorno alla chiesa di S. Maria delle Grazie. Biondo afferma di ignorare chi avesse fondato la città nuova (dunque le vicende della Capua altomedievale erano ancora ignote a molti), e afferma di non essere riuscito ad avere informazioni dagli abitanti. Dopo aver infatti affermato che circa cento anni dopo la Guerra Gotica la città fu distrutta dai Longobardi, Biondo aggiunge:

 

Quis autem et quo tempore postea eam ad hunc in quo nunc est duos mille passus remotum trnastulerit locum nec alicubi legimus, nec ab his qui inhabitant civibus scire potuimus (Biondo 1531[1474], 411).


Raffaele Maffei il Volterrano (Maffei 1506, 138) nomina Capys e altre fonti relative alle guerre annibaliche, e sull’età longobarda ripete quanto detto da Biondo. Anche Leandro Alberti menziona il Capys di Virgilio e altri autori latini che riprendono il mito di fondazione. Quanto alla storia più recente, Alberti afferma a sua volta di non sapere chi abbia fondato la città nuova, poi si sofferma a lungo sulla strage operata dai Francesi nel 1501, riportando come esempio di pudicizia cristiana l’episodio delle giovani capuane che preferirono morire piuttosto che essere violate dalla soldataglia (Alberti 1551,136r-137v). L’episodio, che Alberti riporta con toni encomiastici, è oggetto anche del libro di Pascale 1682.

Tra fine XVI e inizio XVII le descrizioni del regno di Napoli si soffermano abitualmente su Capua, così Vitignano 1595, 12-15, e Mazzella 1601, 20-23.

Capua è ben presente in un’opera a cui si è già fatto cenno e su cui si tornerà ancora, la Campania di Antonio Sanfelice detto Fra’ Plinio, stampata poco prima del libro dell’Alberti. È lo stesso Sanfelice, nell’epistola prefatoria di dedica al senato e al popolo capuano, a definire la propria opera chorographia, intesa evidentemente all’antica, come emulazione di Catone, Plinio, Mela etc., in quanto l’interesse è rivolto soprattutto a ricostruire la fisionomia della Campania antica, ma la sovrapposizione di piani con la topografia moderna è inevitabile.

Storiografia locale e cronache

La Capua tardo medievale e rinascimentale non conosce una vera e propria produzione storiografica o cronistica. È con la seconda metà del Cinquecento e poi col secolo successivo che fiorisce la stagione della storiografia capuana, del tutto intrecciata con gli sviluppi dell’antiquaria [v. sotto, la sez. Letteratura antiquaria]. Un profilo degli studi storici a Capua è in Cilento 1980; cf. anche Carfora 1998. Si indica usualmente in Scipione Sannelli (o Ciannelli) il primo ad aver provato una ricostruzione dell’intera storia capuana. Un rimaneggiamento seicentesco della sua opera, gli Annali della città di Capua, si conserva al Museo Campano di Capua; il ms. fu conservato presumibilmente a cura pubblica poiché, come visto sopra [cf. la sez. Committenza], gli Eletti della città chiesero a Giovan Battista Attendolo un parere sull’opera. L’Attendolo la dichiarò meritoria e degna di conservazione, benché l’autore si dimostrasse “oltre il dovere animoso, e troppo ardito nelle lodi di Capua”; l’opera era dunque meritevole di essere ricopiata in buona grafia, nonostante le molte imperfezioni (Attendolo in Minieri Riccio 1890, 301).

Un pionieristico lavoro storiografico è la Historia Principum Langobardorum in due volumi curata da Camillo Pellegrino jr. che chiariva definitivamente la storia della fondazione longobarda della nuova Capua sul Volturno (abbiamo visto sopra che all’epoca di Flavio Biondo e poi di Maffei la vicenda era ancora ignota agli stessi Capuani). Pellegrino aveva raccolto il testimone di Marino Freccia, pubblicando e correggendo la trascrizione che quest’ultimo aveva compiuto di un manoscritto di Erchemperto, la principale fonte per la Capua altomedievale (v. Pellegrino 1643-1644. Cf. Freccia 1554, che parla della storia di Capua longobarda al f. 56v, capp. 27-28, a partire dalla storia dell'episcopato).

Letteratura antiquaria

Sebbene l’autore appartenesse a un nobile casato napoletano, non certo capuano, e nella sua opera Capua non occupasse a ben vedere uno spazio maggiore del giusto, la più antica opera a stampa frutto degli interessi antiquaria capuani può a buon diritto essere considerata la Campania di Antonio Sanfelice, la cui vicenda editoriale abbiamo trattato precedentemente [v. sopra, la sez. Stampatori e prod. libraria]. Preso in sé, il volume non è che una snella descrizione della Campania di età romana il cui territorio viene letto con spirito antiquario in parallelo con le modificazioni subite nel tempo e con lo stato presente. Tuttavia l’universitas capuana assorbì ideologicamente il progetto del libro, e se ne appropriò di fatto mediante il finanziamento della stampa e la traduzione commissionata al capuano Girolamo d’Aquino. Capua ambiva ad essere la prima città di Terra di Lavoro, e mirava a promuovere l’idea che l’antica Campania, che corrispondeva all’incirca alla regione moderna, fosse la tradizionale estensione del dominio cittadino, forte anche del nesso etimologico tra il suo nome e quello dell’intera regione. Grato del felice esito della vicenda editoriale, Fra’ Plinio assecondò queste ambizioni culturali capuane scrivendo nella sua epistola prefatoria di dedica:

Inclytae Capuae nostra merito Campania quam et Latini et Graeci scriptores Campaniae dixere principem, quin propter amplitudinem opumque potentiam posse omnibus in terris imperii nomen ac dignitatem sustinere (Sanfelice 1562, 1v).

E tuttavia, anche dopo lo studio del Sanfelice, una dettagliata descrizione ed interpretazione delle antichità capuane continuava a mancare: nella Campania l’autore si limitava infatti a menzionare con qualche accenno di descrizione i due monumenti capuani più celebri: l’anfiteatro e il criptoportico (con maggiore attenzione al secondo).Come detto anche in altre sezioni di questa scheda, nel tardo Cinquecento non mancarono affatto spunti antiquari tra gli eruditi capuani, anzi: le conoscenze sulla città antica e sulla storia capuana si fecero sempre più approfondite. Mancò però ancora a lungo un’opera che potesse essere per Capua quello che era stato il De Nola di Ambrogio Leone per Nola, ossia una monografia rigorosa sulla città antica, con ambizioni di esaustività. Non dovette giovare ai Capuani il fatto che la città, a differenza di Napoli, Nola, Fondi, Nocera o Sessa, avesse registrato nella sua storia una forte cesura a causa della soluzione della continuità abitativa e la fondazione medievale della Capua nuova: osservare i monumenti romani ben al di fuori delle mura cittadine poneva diversi interrogativi che solo una consapevolezza di tutto il percorso storico, soprattutto delle epoche più oscure, poteva risolvere. Non a caso una monografia sistematica su Capua vetus sarà opera dello stesso erudito che farà luce anche sulle vicende medievali: il compito di una pubblicazione sistematica sulle antichità di Capua lo assolse infatti a metà Seicento Camillo Pellegrino junior (per una rivalutazione dell’opera di Pellegrino cf. Ferone 2008, che giustamente mette in luce l’importanza del continuum tra antichità e medioevo nella concezione storiografica dell’antiquario capuano). La ricerca gli prenderà una vita intera, se è vero che nel 1630 Michele Monaco (Monaco 1630) già rinviava a questo lavoro, che tuttavia vedrà la luce solo nel 1651, dopo cioè la pubblicazione della Historia Principum Langobardorum che conteneva Erchemperto e la storia altomedievale di Capua [v. sopra, la sezione Storiografia locale e cronache]. Prima di questa data Pellegrino aveva già pubblicato alcune opere di erudizione capuana, come ad esempio un saggio sull’antica sede della città (cf. Pellegrino 1643), ma l’Apparato alle antichità di Capua (Pellegrino 1651) si pone come un’opera di ampio respiro, aggiornata al metodo della ricerca storico-antiquaria di quegli anni, un’opera che si segnala per l’equilibrio e per l’assenza di quel campanilismo radicale che permeava, ad esempio, l’opera di Vecchioni.

Proprio Fabio Vecchioni resta una pagina ancora da scrivere, a proposito dell’antiquaria capuana. I primi dieci libri dei suoi Discorsi historici erano dedicati alla Capua antica, ma i materiali sono sostanzialmente inediti, e attendono ancora una messa a punto. Sull’interesse di Vecchioni per il Medioevo e in generale sui suoi interessi antiquari cf. Russo 2006-2007.

Letteratura ecclesiastica e religiosa

La produzione a Capua di letteratura religiosa aveva avuto un momento felice dietro la spinta del vescovo Caetani nell’ultimo quarto del Quattrocento. La già menzionata stampa del Breviarium Capuanum, discussa sopra [sez. Stampatori e produzione libraria cittadina], ne è la prova evidente. Il secolo successivo era stato per larga parte influenzato dal laico clima umanistico che aveva attraversato tutta la penisola, ed è solo a partire dalla fine del Cinquecento che la letteratura erudita riguardante la città si fuse con quella di stampo confessionale. Una data cruciale per questa fusione tra ricerche laiche e spirito controriformato fu l’ascesa al soglio vescovile capuano di Cesare Costa, nel 1572. Questi si fece non solo promotore della raccolta e della stampa degli statuti del seminario vescovile (Costa 1591), ma fu soprattutto l’autore, con l’aiuto degli eruditi locali, della prima ricostruzione grafica di Capua vetus, una mappa nella quale era segnalata l’ubicazione di ciascun monumento e ne era raffigurata una ricostruzione più o meno fedele. Ancora più significativo è che Costa, ammirato dalle antichità locali, fece dipingere questa rappresentazione della città sulle pareti della sala grande del Seminario, dove era visibile fino al Settecento. Morto Costa nel 1602, gli successe il cardinale Roberto Bellarmino, che continuò (sia pur per breve tempo, fino al 1605) a dare impulso alla vita culturale e religiosa cittadina. Figlio di questo clima è il principale interprete della letteratura religiosa e antiquaria capuana, Michele Monaco, il cui Sanctuarium Capuanum (Monaco 1630) e le correzioni incluse nella Recognitio Sanctuarii Capuani (Monaco 1637) sono di primo acchito una summa agiografica di santi capuani, ma contengono in realtà una gran messe di informazioni antiquarie di varia natura, al punto da prendere quasi la forma di una sylva erudita. Il Sanctuarium in particolare è una delle principali opere antiquarie su Capua e una delle più interessanti dell’intera letteratura erudita del Mezzogiorno moderno.

Successiva di un trentennio al Monaco è la produzione di un dotto gesuita capuano, Giovanni Pietro Pasquale, che stampò nel 1667 un volume religioso-antiquiario sulla storia di S. Maria Maggiore a Capua (Pasquale 1667).

Letteratura giuridica

Capua è notoriamente patria di giuristi fin dall’epoca fridericiana: basti pensare alle figure di Pier delle Vigne e, nel secolo successivo, a Bartolomeo di Capua. La tradizione di studi giuridici continuò ininterrotta anche nel corso del XV secolo, e notevolmente consistente fu il numero di alti ufficiali del regno che provenivano dalle famiglie capuane. Un quadro d’insieme con una rassegna delle personalità più insigni, da Angelo Riccio a Panfilo Mollo, è in Cappuccio 1971, 45-47. La storiografia capuana del Seicento si occupò di ricostruire le biografie di questi ufficiali capuani: Fabio Vecchioni vi dedicò un intero libro dei suoi Discorsi istorici, che si conserva ancora oggi presso la Società Napoletana di Storia Patria in un poco studiato manoscritto autografo.

Tra Rinascimento ed età moderna l’universitas si fece carico di pubblicare alcune opere di natura giuridica, ed è il caso dei due libri di Gian Francesco Scaglione e di quello di Pietro Paolo Parisio menzionati sopra, nella sez. sulla stamperia capuana.

Nel secondo cinquecento scrissero opere di diritto alcune personalità capuane di rilievo: Flavio Ventriglia, autore di Commentaria ad jura municipalia Civitatis Capuanae sive ad Consuetudines Capuanas (Toppi 1678, 87, menziona altre opere, tra cui elogi ed epigrammi); Giulio Cesare Imbriani [per il quale v. anche sotto, la sez. Elogi della città]; Tommaso de Marinis etc. Benché non sia prettamente un testo giuridico, è opportuno segnalare qui il repertorio di Gian Antonio Manna (Manna 1588), che inventariò tutti gli atti del Consiglio, dalla seconda metà del Quattrocento ai suoi tempi, fornendo una guida valida ancora oggi per districarsi nell’archivio pubblico capuano.

Letteratura scientifica

La cultura capuana non si distinse particolarmente per gli studi scientifici e filosofico-naturalistici, benché scorrendo le pagine di repertori biografici quali ad esempio quello di Niccolò Toppi non manchino riferimenti a varie personalità che si distinsero in questi ambiti, come ad esempio il medico Paolo Bottone. Nel primo Seicento furono dati alle stampe alcuni titoli significativi; ci limitiamo a qualche esempio: nel 1605 fu pubblicato un commentario aristotelico di argomento meteorologico a opera di un prelato, Marcantonio Laureo, che fu il primo rettore del seminario diocesano (Laureo 1605). Nel 1639, un esponente della famiglia dell’Uva, l’ingegnere militare Flavio, scrisse un trattato sull’arte militare (dell’Uva 1639).

Poesia, prosa d'arte, altre forme letterarie

Capua poteva vantare di aver dato i natali al più antico esponente della lirica volgare italiana, Pier delle Vigne. Nonostante ciò, non è attestata una continuità nel tardo medioevo della produzione poetica a Capua, né latina né volgare. Sappiamo che tra la fine del Quattrocento e soprattutto il primo quarto del Cinquecento la famiglia Gentile, in particolare l’uomo d’armi Lelio, promosse una certa attività mecenatesca nella sua residenza della torre di S. Erasmo, tra le rovine classiche di Capua vetus, ma le nostre informazioni in merito si fermano qui (cf. Miletti c.d.s).

Un nuovo inizio si ebbe tuttavia per impulso esterno: molta fortuna ebbe un epigramma latino del Sannazaro sull’anfiteatro di Capua, che inaugurò un fortunato filone di “Poesia delle rovine” a Capua, sulla scia di un filone che stava avendo notevole fortuna in Italia, soprattutto in relazione alle antichità romane: a partire dalla metà del Cinquecento le antichità di Capua ispirarono una produzione lirica per lo più latina che vide coinvolti vari autori, capuani e non, tra i quali Antonio Sanfelice, che pubblicò in coda alla sua Campania un epigramma per l’anfiteatro, Girolamo Aquino, Giovan Battista Attendolo, Giovanni Morelli etc. Una silloge di questi componimenti fu pubblicata dal Mazzocchi nel suo saggio sull’anfiteatro capuano (Mazzocchi 1727).

L’interesse per la poesia volgare tra i dotti capuani fiorì nel secondo Cinquecento, come mostra la partecipazione di Camillo Pellegrino senior e Benedetto dell’Uva al dibattito intorno alla Liberata del Tasso e come mostra l’ampia produzione poetica dell’Attendolo.

Molto interessante è il caso della poesia antiquaria composta da Giovanni Morelli, che raccolse in una stampa del 1613 (Morelli 1613), oltre a vari carmi di poesia religiosa, numerosi epigrammi latini dedicati alle antichità di Capua. Nello stesso volume figurano anche vari componimenti, sempre in versi latini, dedicati a un gran numero di esponenti della vita culturale e politica capuana di fine Cinquecento e inizio Seicento.

Elogi di città e altri scritti encomiastici o apologetici

Abbiamo già visto come le lodi di Capua trasparissero da molte menzioni della città sparse nella letteratura capuana e non: la virtù delle fanciulle suicide durante il sacco del 1501 costituiva chiaramente un motivo di elogio per la città, e così anche la sola presenza delle antichità romane, dell’anfiteatro, etc. In apertura al suo volume sulle antichità capuane, Camillo Pellegrino junior raccolse in numerose pagine tutte le lodi di Capua e dell’ager Campanus presenti nella letteratura antica e moderna (Pellegrino 1651).

Già si è osservato come il volume in lode di Fieramosca e dei tredici duellanti italiani avesse da parte del suo curatore, il notaio capuano Damiani, un intento celebrativo della città (Damiani 1547).

Abbiamo anche visto come gli scritti storici di Sannelli e Vecchioni avessero anche un obiettivo apologetico, mirati com’erano a confutare il quadro profondamente negativo di Capua e dei capuani che emergeva dall’opera di Tito Livio.

Per trovare, però, una letteratura esplicitamente mirata all’encomio o all’apologia bisogna attendere il Seicento. Nel 1620 il notabile Giulio Cesare Imbriani, già sindaco di Capua, indirizzò al Vicerè una supplex exhortatio affinché non venissero revocati alcuni privilegi che la città aveva ottenuto nei secoli. Nel fare ciò Imbriani si diffonde in una pregevole storia di Capua a partire dall’antichità, intessendola con motivi d’encomio (Imbriani 1620).

Un vero e proprio esempio di laus urbis è l’orazione in onore di Capua che Michele Monaco recitò il 3 febbraio del 1627 davanti ai membri dell’Accademia dei Rapiti e che fu pubblicata postuma, a Napoli, nel 1665 (Monaco 1665).

Altro
Schedatore

Lorenzo Miletti

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Letteratura/4
Mappe territoriali

L'antica Capua è raffigurata nella Tabula Peutigeriana

 

La terra di Lavoro con al centro la città di Capua compare in una planimetria pubblicata da Camillo Pellegrino.

Analoga, anche se diversa nella rappresentazione e negli scopi, è la planimetria del tratto delal via Appia corrispondente alla Campania, pubblicata da Francesco MAria Pratilli

Piante di città

SANTA MARIA CAPUA VETERE

Monaco 1630. La pianta pubblicata da Michele Monaco è ricavata dalla veduta fatta affrescare nel 1595 dall'arcivescovo Cesare Costa nel palazzo arcivescovile di Capua. Dai dati in nostro possesso risulta che l'affresco rappresentava la città in veduta, mentre Monaco traduce la complessa iconografia in una rappresentazione planimetrica. Deriva dall'affresco il perimetro murato della città, l'orientamento con il sud in alto e la collocazione degli edifici, che qui però non sono rappresntati - come invece era nell'affresco di Costa - ma soltanto localizzati da una legenda numerata.

 

 

Una pianta simile è riprodotta in Pratilli, ma con orientamento inverso (il nord in questo caso è in alto)

 

CAPUA

 

Una delle prime piante della nuova Capua è pubblicata, corredata da una legenda numerata, in Granata 1752

Plan de Capoue (1768)

Plan de la ville de Capoue dans le royaume de Naples / fait par Vervier, du 1er régiment du génie le 4 brumaire an III de la République (1794)

Vedute di città

SANTA MARIA CAPUA VETERE

Santa Maria Capua Vetere da Pacichelli 1702-1703

 

Quasi identica è la pianta pubblicata da Granata nel 1752

 

CAPUA

La più antica immagine della nuova Capua è probabilmente la veduta presente nella bolla del principe Roberto, riprodotta a stampa in Monaco 1630

Apprezzi di tavolari
Schedatore

Fulvio Lenzo

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Cartografia storica/3
Fonti manoscritte

ACA: Archivo de la Corona de Aragón de Barcelona, serie Privilegiorum Cancellarie Neapolis, registro 2912, ff. 8v-9v, 20 febbraio 1447.

 

ACC: Archivio del Comune di Capua, Cancelleria, voll. 1-28. 

Fonti a stampa

BMC, Inventario: Biblioteca del Museo Campano, Inventario dell’Archivio Comunale di Capua, a cura di R. Orefice e J. Mazzoleni.

 

Bova 1996: Giancarlo Bova, Le pergamene normanne della Mater Ecclesia Capuana (1091-1197), Napoli 1996.

 

Bova 1998: Giancarlo Bova, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana (1201-1228), I, Napoli 1998.

 

Bova 1999: Giancarlo Bova, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana (1229-1239), II, Napoli 1999.

 

Bova 2001: Giancarlo Bova, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana (1240-1250), III, Napoli 2001.

 

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Monaco 1637: Recognitio Sanctuarii Capuani per eundem eiusdem collectorem Michaelem Monachum, Decretorum doctorem cathedralis ecclesiae Capuanae canonicum presbyterum addita. In qua multa, quae in priori editione desiderabantur accuratissime, et perdiligenter recollecta videntur, Neap[oli], ex typographia Roberti Molli, 1637.

 

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Pellegrino 1651: Camillo Pellegrino [junior], Apparato alle antichità di Capua o discorsi sulla Campania Felice, in Napoli, per Francesco Savio Stampatore della Corte Arcivescovile, 1651.

 

Pellettieri 2008: Il Gran Priorato giovannita di Capua, a cura di Antonella Pellettieri, Matera 2008.


Pergamene di Capua 1958: Le pergamene di Capua, a cura di Jole Mazzoleni, Napoli 1958.


Pergamene di Montevergine 1956-1962: Abbazia di Montevergine. Regesto delle pergamene, a cura di Giovanni Mongelli, 7 volumi, Napoli 1956-1962.

 

Pimpinella 1968-1968: B. M. Pimpinella, “Il portale di San Marcello Maggiore a Capua”, Capys, 1968-69.

 

Pisani 1887: Biagio Pisani, La cappella del Sacramento nel Duomo di Capua, Capua 1887.

 

Pistilli 1999: Pio Francesco Pistilli, “Un castello a recinto normanno in Terra di Lavoro : il castrum Lapidum di Capua”, in Arte d’Occidente: temi e metodi, a cura di Antonio Cadei et al., Roma 1999, I, 143-149.

 

Pontieri 1975: Ernesto Pontieri, Alfonso il Magnanimo Re di Napoli, Napoli 1975.

 

Pratilli 1758: Francesco Maria Pratilli, Dell’origine della Metropolitana Ecclesiastica della chiesa di Capua, Napoli 1758.

 

Provvisto 1992: Felice Provvisto, “La collegiata di S. Maria Assunta in Cielo nella chiesa di S. Maria delle Dame Monache in Capua”, Capys, 24/25, 1992, 19-61.

 

Quintavalle 1933-1934: Arturo Ottavio Quintavalle, “Un affresco ignorato di Pietro Cavallini a Capua”, Bollettino d’Arte, serie 3, 27, 1933-1934, 412-431.

 

Ricciardi 2007: Emilio Ricciardi, Chiese e commende dell’Ordine di Malta in Campania, in www.fedoa.unina.it/1059

 

Rinaldo 1753-1755: Ottavio Rinaldo, Memorie istoriche della fedelissima città di Capua raccolte da Ottavio Rinaldo, 2 tomi, in Napoli, appresso Giovanni di Simone, MDCCLIII-MDCCLV [vol. 1; vol. 2].

 

Robotti 1980: Ciro Robotti, "La visita di Carlo V a Capua", Capys 13, 1980, 39-48

 

Robotti 1983: Ciro Robotti, Palazzo Antignano e l'architettura rinascimentale a Capua, Napoli 1983.

 

Robotti 1987: Ciro Robotti, “Una presenza rinascimentale a Capua: il forte di Carlo V sul Volturno”, Quaderni dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, 4, 1987, 75-96.

 

Robotti 1988: Ciro Robotti, “Disegni di Giovanni Del Gaizo, architetto napoletano”, Opus, I, 1988, 88-94

 

Robotti 2002: Ciro Robotti, “Il castello di Carlo V a Capua : una poco nota architettura del Cinquecento in Campania”, in Carlo V, Napoli e il Mediterraneo, atti del convegno internazionale svoltosi dall'11 al 13 gennaio 2001 presso la Società Napoletana di Storia Patria in Castelnuovo Napoli, a cura di Giuseppe Galasso e Aurelio Musi, Napoli 2002, 705-744

 

Rotili 1967: Mario Rotili, “L’Exultet della Cattedrale di Capua e la miniatura beneventana”, in Il contributo dell'archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione, Roma 1967, 197-210.

 

Rotondo 1902: V. Rotondo, “Il restauro della chiesa di S. Marcello Maggiore in Capua”, in Campania Sacra, 1902.

 

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Ruotolo 1983: Franco Ruotolo, “Il tempio di San Benedetto in Capua”, Capys, 16, 1983, 103-114.

 

Salazaro 1869: Demetrio Salazaro, “Scoperta di pitture nella chiesa di S. Michele a Corte a Capua”, Il Pungolo, X, n. 246, anno 1869.

 

Salazaro 1869/a: Demetrio Salazaro, “Pitture del sec. IX e X nella chiesa di San Michele in Curtim”, Italia, XII, n. 247, anno 1869.

 

Salazaro 1871: Demetrio Salazaro, Studi sui monumenti dell'’ltalia Meridionale dall V al XIII sec., Napoli 1871.

 

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Schmiedt 1978: Giulio Schmiedt, “Topografia storica della città altomedievale”, in Le città di fondazione, Atti del 2° Convegno internazionale di storia urbanistica (Lucca 1977), Venezia 1978, 59-96.

 

Senatore 2007: Francesco Senatore, “Cerimonie regie e cerimonie civiche a Capua (secoli XV-XVI)”, in Linguaggi politici e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli nel Tardo Medioevo, Salerno 2007, 151-205.

 

Senatore 2009: Francesco Senatore, “Gli archivi delle universitates meridionali: il caso di Capua ed alcune considerazioni generali”, in Archivi e comunità tra Medioevo ed età moderna, a cura di Attilio Bartoli Langeli, Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, Siena 2009, 447-520.

 

Serraglio 2001: Riccardo Serraglio, Interventi settecenteschi per la Santa Casa dell'Annunziata di Capua, in Ferdinando Fuga 1699-1999 Roma, Napoli, Palermo, a cura di Alfonso Gambardella, Napoli 2001, 353-364

 

Speciale, Torriero Nardone 1997: Lucinia Speciale, Giuseppina Torriero Nardone, “Sicut nunc cernitur satis pulcherrimam construxit: la basilica e gli affreschi desideri ani di S. Benedetto a Capua”, in Desiderio da Montecassino e l’arte della Riforma Gregoriana, a cura di Faustino Avagliano, Montecassino 1997, 147-188.

 

Strazzullo 2005: Maria Rosaria Strazzullo, “Assistenza e beneficenza a Capua. Le fonti documentarie dal Cinquecento all’Ottocento”in Annali del Museo Provinciale Campano di Capua, 2, 2005, 173-176.

 

Summonte 1602: Francesco Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli, Napoli 1602.

 

Tabacco 1974: Giovanni Tabacco, “La rottura longobarda nella storia d'Italia”, in Storia d'Italia, II (I), Torino 1974.

 

Tedesco 2006: Mariaimmacolata Tedesco, “Nuove acquisizioni sul complesso di Sant'Eligio a Capua”, Capys, 39, 2006, 72-85.

 

Tescione, Iodice 1967: Giuseppe Tescione, Antonio Iodice, “ Il monastero di S. Giovanni delle Monache di Capua e l’inedita storia di Michele Monaco”, in Il contributo dell’archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione, Roma, 1967, 405-442.

 

Tortora 2005: Simona Tortora, “Regesto delle opere”, in Domenico Antonio Vaccaro. Sintesi delle arti, a cura di Benedetto Gravagnuolo e Fiammetta Adriani, Napoli 2005, 401-435.

 

Treppicone 1936: M. Treppicone, Cenni storici della chiesa di S. Domenico, Capua 1936.


Trimarchi 1985: Armando Trimarchi, "Un complesso di opere architettoniche a difesa della città di Capua, durante i secoli XII-XVIII. Piano di sviluppo urbanistico e sistemi costruttivi delle fortificazioni", Capys, 18, 1985, 42-54.

 

Ughelli 1720: Ferdinando Ughelli, "Capuana Metropolis", in Italia sacra, cura et studio Nicola Coleti, tomo VI, Venetiis 1720, coll. 292-366.

 

Vendemia 2005: Angela Vendemia, “L'ampliamento del contado: Capua nei secoli XIV-XV”, in Città e contado nel Mezzogiorno tra Medioevo ed età moderna, a cura di G. Vitolo, Salerno 2005, 167-185.

 

Vendemia 2006: Maria Elisabetta Vendemia, “Il fondo pergamenaceo del Museo Campano di Campano”, Capys, 39, 2006, 50-71.

 

Vendemia 2009: Maria Elisabetta Vendemia, Guida dei fondi storici degli Archivi comunali campani. Aree dell’Alto e del Basso Casertano, in S. Marino - M.E. Vendemia, Guida dei fondi storici degli Archivi comunali campani, pubblicato sul sito dei beni culturali della Regione Campania e della RAI. disponibile all’Url: http://www.culturacampania.rai.it/site/_files/Marino Vendemia_Introduzione.pdf

 

Venditti 1967: Arnaldo Venditti, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli 1967


Visentin 2005: Barbara Visentin, “Spazi urbani e contesti politico-istituzionali nel mezzogiorno: le chiese a corte nella Capua longobarda”, estratto da Rivista di Storia della Chiesa in Italia, anno LIX, n.1, gennaio-giugno 2005.

 

Visentin 2012: Barbara Visentin, La nuova Capua longobarda. Identità etnica e coscienza civica nel mezzogiorno altomedievale, Manduria-Bari-Roma 2012.

 

Vitolo 2001: Giovanni Vitolo, Tra Napoli e Salerno. La costruzione dell'identità cittadina nel Mezzogiorno medievale, Salerno 2001.

 

Walter-Piccialuti 1960: I. Walter,  M. Piccialuti, “Bartolomeo di Capua”, in Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma 1960, 697-704.

 

Woltmer 1960: E. Woltmer, “Marino di Eboli”, in Dizionario biografico degli italiani, XLII, Roma 1960, 262-265.

 

Zampino 1968: Giuseppe Zampino, “La chiesa di S. Angelo in Audoaldis a Capua”, Napoli nobilissima, serie 3, 7 1968, 138-150.

 

Zchomelidse 1996: Nino Zchomelidse, “Der Osterleuchter im Dom von Capua: Kirchenmobiliar und Liturgie im lokalen Kontext”, Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome, 55, 1996, 18-43.

 

Zonta 2001: M. Zonta, "Giovanni da Capua (Iohannes de Campana, de Campania, de Capua)", in Dizionario biografico degli italiani, LV (2001), Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2001, 759-761.

Per citare questa schedahttp://db.histantartsi.eu/web/rest/Fonti e bibliografia/3
LuogoCapua
DenominazioneCapua, Archivio dell'Universitas
Sede storica
Tipologia
Soggetti produttori

Universitas di Capua;

Opere pie della città di Capua (Chiesa, Confraternità, Conservatorio e Ospedale dell’Annunziata; Congrega di Carità; Chiesa e Confraternità di Santa Maria del Suffragio o delle anime del Purgatorio; Chiesa e Conservatorio di Santa Teresa o delle Trentatré; Chiesa e Conservatorio di Santa Maria Maddalena detto delle Pentite e Convertite; Cappella del SS. Corpo di Cristo).

Storia dell'archivio

L'archivio del Comune di Capua è conservato presso la Biblioteca del Museo Provinciale Campano, Palazzo Antignano, via Roma n. 68, Capua. .

Esso si compone di tre fondi archivistici: il primo contiene la documentazione cartacea delle antiche magistrature cittadine dell'Universitas capuana, mentre il secondo fondo contiene le pergamene superstiti del Comune; il terzo fondo, invece, denominato archivi ex ECA (Ente Comunale di Assistenza), contiene la documentazione degli enti assistenziali, laici e religiosi,   presenti sul territorio capuano.

La documentazione dell'Universitas capuana fu versata, a titolo di deposito, al Museo Campano nell’ultimo decennio del XIX secolo. Il fondo cartaceo è conservato in un’unica sala, mentre la parte residuale del fondo membranaceo della città è stipata in una cassettiera di metallo, insieme all’intero diplomatico del Museo Provinciale Campano.

Il fondo cartaceo dell’archivio comunale è costituito da 3.467 unità archivistiche tra volumi e faldoni che vanno dal XIV al XX secolo. Esso fu riordinato da Jole Mazzoleni e Renata Orefice de Angelis nei primi anni Cinquanta del Novecento (BMC, Inventario).

Per rispettare l’antica struttura dell’archivio dell'Universitas capuana, le archiviste napoletane suddivisero il fondo cartaceo in quattro ripartizioni che riflettevano in buona parte le antiche magistrature della città di Capua.

Il 9 febbraio 1973 furono trasferiti nello stesso Museo Campano, grazie a un accordo tra il soprintendente archivistico Angelo Caruso e il direttore del museo Francesco Garofano Venosta, i fondi archivistici delle Opere pie, in seguito definiti Archivio ex E.C.A. (Ente comunale di assistenza). Questa documentazione è custodita in una sala diversa da quella del fondo dell’Università di Capua. Il fondo pergamenaceo, che pure è riconducibile all’Archivio ex E.C.A., è conservato in una sala diversa, giacché questi documenti, fino a oggi, non sono stati individuati come parte integrante del patrimonio delle Opere pie (Vendemia 2009, 66-78).

Consistenza dell'Archivio
Fondi archivistici

1. Fondo cartaceo dell'archivio storico del Comune di Capua (secc. XIV-XX)

L’archivio comunale è costituito da 3.467 unità archivistiche. L’archivio storico capuano fu riordinato da Jole Mazzoleni e Renata Orefice de Angelis, nei primi anni Cinquanta del Novecento (BMC, Inventario).

Per rispettare nei limiti della possibilità l’antica struttura dell’archivio, le archiviste napoletane suddivisero il fondo cartaceo in quattro ripartizioni:

I)  Carte di Cancelleria antiche, lettere regie e diversi (1109-1883);

II) Amministrazione (1505-1879);

III) Amministrazione finanziaria (1523-1864);

IV) Procedure giudiziarie (1652-1860).

 

2. Pergamene dell'Archivio storico del Comune di Capua (secc. XIV-XIX)

Il fondo superstite delle pergamene della città di Capua è conservato anch'esso presso la Biblioteca del Museo Campano e fa parte integrante di un fondo pergamenaceo più grande, costituito da 832 pezzi, 24 frammenti e due cartulari. L'intero fondo membranaceo del Museo Campano copre un arco cronologico che va dal 972 al 1862. In questo diplomatico furono inserite anche le pergamene del Comune di Capua, a tutt’oggi identificabili perché riportano il timbro dell’Archivio storico e diplomatico della Città (Capasso 1885, 39). Le pergamene della città di Capua sono sessantuno e costituiscono la parte residuale del diplomatico del Comune, che fu trasferito nel 1847 all’Archivio di Stato di Napoli e che andò distrutto nel rogo del ‘43 (Vendemia 2006, 50-71).

Una copia dell’inventario del fondo pergamenaceo, compilato dalle archiviste napoletane Mazzoleni e Orefice, è conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, non già presso la Biblioteca del Museo Campano.

Al fondo Pergamene sono aggregati due manoscritti in membrana, noti come “Cartulari”, identificati da Senatore con il Libro d’Oro (1513) e il Libretto dei Privilegi (1480) dell’Università di Capua (Senatore 2009, 457-478).

 

3. Archivi ex ECA della città di Capua

La documentazione degli antichi enti di assistenza e di beneficenza, operanti sul territorio capuano, a seguito di un accordo tra la Soprintendenza archivistica per la Campania e il Direttore del Museo Provinciale Campano, fu trasferita nei locali del Museo il 9 febbraio 1973. Il materiale giaceva ammucchiato presso i locali dell’Annunziata di Capua. Il personale della Soprintendenza nello stesso periodo lavorò al riordino del materiale, compilando un elenco, tuttora conservato nell’Archivio interno della Soprintendenza.

Nel 2004 un gruppo di lavoro della Soprintendenza Archivistica per la Campania, coordinato dalla dottoressa Strazzullo, ha riordinato di sana pianta il fondo, perché si era completamente persa traccia del lavoro svolto trent’anni prima. L’intervento è consistito nell’individuazione dei fondi archivistici sottoelencati, nell’individuazione delle serie omogenee e nella successiva schedatura analitica dei singoli pezzi (Strazzullo 2005, 173-176).

I fondi sono i seguenti:

Chiesa, Confraternità, Conservatorio, Ospedale dell’Annunziata (1477-1930);

Congrega di Carità (1863-1937);

Chiesa e Confraternità di Santa Maria del Suffragio o delle anime del Purgatorio (1665-1852);

Chiesa e Conservatorio di Santa Teresa o delle Trentatré (1765-1863);

Chiesa e Conservatorio di Santa Maria Maddalena detto delle Pentite e Convertite (1819-1863);

Cappella del SS. Corpo di Cristo (1752-1816);

Eredità:

Giuliano d’Angelo (1584-1625);

Lorenzo Menecillo (1663-1713);

Geronimo Paparo (1603-1606);

Giovanni Pagliuca (1793);

Francesco Cameo (1622-1732);

Paolino Mirto (1658);

Ottavio Villano (1613-1623).

 

Infine, nel Museo Campano è conservato un piccolo nucleo di sessantadue pergamene (1222-1914), di diversa provenienza, quarantatré delle quali appartengono all’Archivio ex E.C.A., come fu rilevato nel 1973. 

Strumenti di corredo

Inventario dell’Archivio Comunale di Capua, a cura di R. Orefice e J. Mazzoleni (Biblioteca del Museo Campano di Capua).

 

Elenco di consistenza delle pergamene del Comune di Capua in Vendemia 2006.

 

Elenco di consistenza del fondo ex ECA della città di Capua in Strazzullo 2005, 173-176.

Raccolte e miscellanee
Note

Presso la Biblioteca del Museo Provinciale Campano non è ancora stato messo a disposizione degli studiosi l’inventario del fondo ex E.C.A., gli studiosi si possono tuttavia orientare spogliando l’elenco a stampa delle principali serie documentarie dell’Archivio dell’Annunziata di Capua.

Le serie documentarie sono le seguenti:

Titoli di proprietà (1401-1836);

Libri bancali (1477-1784);

Bilanci (1589-1784);

Cautele e istrumenti (1591-1789);

Conclusioni (1662-1789);

Messe celebrate (1683-1734);

Cedolari (1758-1812);

Conto dell’Introito ed esito (1779-1804);

Libri di cassa (1787-1816);

Conto dei grani (1810-1811);

Protocolli (1839-1864);

Giornali di Cassa (1848-1858).

Bibliografia

Capasso 1885: Bartolomeo Capasso, Gli archivi e gli studi paleografici e diplomatici nelle province napoletane fino al 1818, Napoli 1885.

 

Esposito 2009: Laura Esposito, "Il patrimonio archivistico di Capua. Note preliminari per lo studio degli ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme nella città" in Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Atti del convegno (Bologna, 12-13 ottobre 2006) a cura di A. L. Trombetti Budriesi, Bologna 2009, 269-300 [Distribuito informato digitale da “Reti Medievali”].

 

Marino 2007: Salvatore Marino, "Il Museo Campano di Capua: problemi di conoscenza e valorizzazione dei fondi archivistici", Nuovi Annali della Scuola Speciale per archivisti e bibliotecari, 21, 2007, 141-157.

 

Pergamene 1958: Le pergamene di Capua, II, 1266-1501, a cura di Jole Mazzoleni, Napoli 1958.

 

Senatore 2009: Francesco Senatore, "Gli archivi delle universitates meridionali: il caso di Capua ed alcune considerazioni generali", in Archivi e comunità tra Medioevo ed età moderna, a cura di Attilio Bartoli Langeli, Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, Siena 2009, 447-520.

 

Strazzullo 2005: Maria Rosaria Strazzullo, "Assistenza e beneficenza a Capua. Le fonti documentarie dal Cinquecento all’Ottocento", Annali del Museo Provinciale Campano di Capua, 2, 2005, 173-176.

 

Vendemia 2006: Maria Elisabetta Vendemia, "Il fondo pergamenaceo del Museo Campano di Campano", Capys, 39, 2006, 50-71.

 

Vendemia 2009: "Guida dei fondi storici degli Archivi comunali campani. Aree dell’Alto e del Basso Casertano", in Salvatore Marino, Maria Elisabetta Vendemia, Guida dei fondi storici degli Archivi comunali campani [disponibile sul sito dei beni culturali della Regione Campania e della RAI]. 

Allegati
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SchedatoreSalvatore Marino
Data di creazione02/12/2012 15:45:01
Data ultima revisione07/04/2017 11:42:07
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